Abstract
La voce descrive l’architettura del sistema della vigilanza sui mercati finanziari. Se ne individuano le finalità e i destinatari. Si traccia, inoltre, la distribuzione delle competenze delle autorità di vigilanza nazionali e si ricostruiscono i tratti essenziali dell’organizzazione di vertice della supervisione europea.
Con l’espressione “vigilanza sui mercati finanziari” ci si riferisce al sistema pubblicistico dei controlli sulle attività degli operatori economici che intermediano la ricchezza tra il pubblico. Poiché in un’economia di mercato le risorse economiche sono lo strumento e il fine di molte attività umane, gli ordinamenti contemporanei tendono a introdurre forme di controllo le cui finalità consistono nel garantire la stabilità del sistema, l’integrità dei mercati e la tutela del risparmio. In ciò possono individuarsi gli obiettivi essenziali della vigilanza, che nell’ordinamento italiano sono riassunti nell’articolo 47, co. 1, Cost. e specificati nella disciplina di rango primario contenuta nei codici di settore (artt. 5 t.u.f., 5 t.u.b., 3 c. ass.).
Generalmente si descrive il mercato finanziario come il luogo, non più necessariamente fisico, in cui si incontrano domanda e offerta di ricchezza, in cui interviene uno scambio tra chi è in una situazione di surplus e chi, invece, ha necessità di risorse per compiere attività imprenditoriali, di investimento e di consumo. Questa definizione ampia, che forse non brilla per immediatezza, racchiude in sé tutte le attività connesse alla circolazione della provvista finanziaria e permette di individuare le tre forme di impresa che di ciò si occupano: banche, imprese di investimento e assicurazioni.
Nonostante la mutevolezza dei fenomeni che intervengono sui mercati finanziari e le tendenze all’ibridazione tra i prodotti e i servizi ivi offerti, muovendo dallo statuto giuridico delle richiamate forme di impresa del settore finanziario, il diritto positivo consente oggi di ripartire il mercato in tre settori:
i) mercato bancario, sul quale le banche svolgono un’attività riservata consistente nella raccolta dei depositi e nella erogazione dei crediti. Sotto il profilo del diritto civile, l’attività delle banche ha luogo con regole di contrattazione tipiche o tipizzate (contratti bancari o contratti cui si applica la disciplina del t.u.b.) e tutt’ora in massima parte si fonda sul presupposto per cui alla raccolta del risparmio tra il pubblico ex artt. 10 e 11 t.u.b. consegue un obbligo di rimborso della clientela che ha fornito la provvista;
ii) mercato finanziario in senso stretto, su cui le imprese di investimento (SIM, le stesse banche a ciò autorizzate, le imprese di investimento di altri Stati europei) svolgono una serie di prestazioni di intermediazione aventi a oggetto non già denaro, ma prodotti finanziari. Come l’attività bancaria, anche quella di prestazione di servizi di investimento è attività riservata, e ha luogo con modalità di contrattazione che, pur se non considerate tipiche, si fondano su di un riconoscibile contratto di investimento cui si applica una disciplina in parte speciale (artt. 21 e 23 t.u.f.). Una disciplina che ha la principale finalità di palesare al contraente che desideri investire i rischi che l’investimento implica, perché l’investitore, a differenza del depositante, sopporta per definizione il rischio di mercato e quello dell’insolvenza del soggetto “finanziato”, come partecipante al capitale ovvero come creditore;
iii) mercato assicurativo, sul quale operano le imprese di assicurazione, che pure svolgono un’attività riservata, basata su un contratto tipico regolato dal codice civile, ulteriormente tipizzata dal codice di settore, in particolare in punto di protezione dell’assicurato. In questo caso l’attività si caratterizza per il pagamento del premio che, oltre a costituire il prezzo del trasferimento del rischio, nell’ottica del mercato costituisce una modalità di impiego alternativa al risparmio bancario e all’investimento finanziario, che dovrebbe caratterizzarsi per l’annullamento del rischio della mancata restituzione dei fondi.
Sul mercato finanziario quale somma di questi tre comparti la vigilanza può essere organizzata secondo modelli diversi. Sul mercato finanziario italiano, ormai largamente integrato nel mercato unico europeo, l’esercizio delle funzioni di vigilanza è attualmente distribuito fra tre autorità principali: la Banca d’Italia, la Consob e l’IVASS. Queste, peraltro, esercitano le proprie attribuzioni di concerto con le autorità europee e in stretta cooperazione con le autorità di vigilanza degli altri Stati membri dell’Unione europea.
Tradizionalmente si individuano alcuni modelli fondamentali di organizzazione della vigilanza. Il primo è il modello cd. istituzionale o per soggetti, in cui la vigilanza di ognuna delle tre forme imprenditoriali ricordate (banca, assicurazione o impresa di investimento) è affidata a una distinta autorità, che vigila sul soggetto in ragione della sua natura e, quindi, anche a prescindere dall’attività da questo in concreto esercitata (si pensi alla prestazione di servizi di investimento da parte di una banca: nell’àmbito del modello istituzionale essa andrebbe soggetta al controllo dell’autorità di supervisione bancaria e non anche dell’autorità di supervisione sul mercato mobiliare). Il secondo è il modello “per attività” o “per funzioni”, incentrato sulla distinzione tra le diverse attività di intermediazione svolte dai soggetti che operano sul mercato finanziario e sulla corrispondente ripartizione del potere di vigilanza tra distinte autorità, ciascuna competente per una determinata attività, senza che rilevi la natura giuridica del soggetto vigilato. Il terzo è il modello del supervisore unico, c.d. accentrato, che prevede l’esistenza di un’unica autorità di vigilanza, competente su tutti i settori del mercato finanziario in senso lato e su tutti gli operatori in esso presenti, con riguardo a tutti gli obiettivi della regolamentazione. Ulteriore modello è quello per finalità, nel quale esistono almeno due autorità e ciascuna persegue specifici obiettivi in relazione a una o più attività economiche esercitate dai soggetti vigilati, senza che rilevi la natura giuridica di questi (come nel modello per attività).
Sotto il profilo della concreta distribuzione delle funzioni a una o più autorità di vigilanza, il modello per soggetti implica l’attribuzione della vigilanza a tre autorità, una per ciascuno dei tre settori individuati. Alcune giurisdizioni prevedono peraltro l’applicazione del modello per soggetti o di varianti di questo, pur tenendo conto dell’attività in concreto esercitata dalle imprese (Brasile, Spagna, Portogallo, ma come si dirà questo accade, almeno in parte, in Italia per la vigilanza sulle assicurazioni). In altri sistemi, i compiti di vigilanza possono essere divisi tra due autorità, l’una incaricata dei profili di vigilanza prudenziale, l’altra dei profili di correttezza e trasparenza (cd. twin peaks), come è normale nel modello per finalità puro (Australia, Olanda). Non mancano sistemi in cui la vigilanza è affidata a un supervisore unico (Germania, Svizzera).
Quando fu scelto il modello per finalità in materia di vigilanza sugli intermediari finanziari, si trattava del sistema al tempo più diffuso. Il legislatore italiano non ha peraltro ritenuto di modificare l’impostazione originaria, neppure quando la maggioranza degli ordinamenti europei ha corretto il tiro, verso la fine degli anni Novanta, adottando sistemi di vigilanza accentrati, sulla base della sempre più diffusa tendenza alla “multisettorialità” degli intermediari e alla progressiva integrazione dei mercati, che ha reso sempre più difficile una netta distinzione tra i tradizionali settori in cui si articola il mercato finanziario, anche in considerazione della costituzione di gruppi finanziari “conglomerati”.
Con il senno di poi la scelta si è rivelata opportuna, perché il più noto tra gli ordinamenti che avevano preferito siffatta soluzione l’ha abbandonata nel corso della stagione di riforme che è seguita alla crisi finanziaria del 2007-2009 (si tratta del Regno Unito, che proprio in quegli anni ha optato per l’adozione di un modello di vigilanza per finalità, distribuendo fra distinte autorità la vigilanza prudenziale e quella sulla trasparenza dei comportamenti delle banche e degli intermediari).
Si deve, tuttavia, precisare che il sistema italiano di vigilanza è comunque in qualche misura ibrido, in ragione dello stratificarsi, largamente casuale, di elementi di legislazione successivi e scomposti, particolarmente nel settore assicurativo e dei fondi pensione.
Il modello per soggetti è adottato per le banche, ma limitatamente allo svolgimento dell’attività bancaria tipica. La Banca d’Italia vigila, infatti, sulle società bancarie per tutti i profili di attività regolati dal t.u.b. e, come vedremo, condivide alcune di queste attribuzioni con la Banca Centrale Europea (BCE) in funzione di Meccanismo Unico di Vigilanza (SSM, nel più noto acronimo derivato da Single Supervisory Mechanism).
Qualora una banca presti anche servizi di investimento non bancari (ad esempio, negoziazione, collocamento, gestione di portafogli), resta soggetta alla vigilanza prudenziale della Banca d’Italia, ma è sottoposta anche ai controlli di correttezza e trasparenza della Consob previsti dal t.u.f., secondo il richiamato modello per funzioni. Allo stesso tipo di controlli sono sottoposte le imprese di investimento non bancarie, quali le SIM, le imprese di investimento autorizzate in altri Stati membri dell’Unione europea e quelle extraeuropee.
Il modello per soggetti trova pure applicazione con riferimento alle imprese di assicurazione. Queste sono sottoposte in Italia alla vigilanza dell’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni (IVASS), ente con personalità giuridica di diritto pubblico il cui direttorio è integrato in quello della Banca d’Italia e che fino al 2012 è stato formalmente un’autorità indipendente che si chiamava ISVAP (la trasformazione in ente pubblico e la parziale integrazione nel sistema della Banca d’Italia si deve ad esigenze di contenimento dei costi perseguite dal d.l. 6.7.2012, n. 95, convertito dalla l. 7.8.2012, n. 125; sul piano funzionale, tuttavia, l’IVASS conserva autonomia operativa).
Anche la struttura della vigilanza sui fondi pensione si approssima al modello puro di vigilanza per soggetti. In questo caso la vigilanza è affidata alla Covip.
Non si deve in ultimo dimenticare che altre forme di vigilanza sono esercitate nel campo della concorrenza e della tutela dei consumatori dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato e dalla Commissione europea in funzione di autorità antitrust del mercato unico (sul punto v. Cons. St., sez. VI, 16.10.2002, n. 5640 e poi art. 19 l. n. 262/2005).
In risposta alla crisi dei mercati finanziari del 2007, l’Unione europea ha avviato una stagione di riforme indirizzate alla creazione di un sistema europeo di vigilanza finanziaria. Tali riforme costituiscono la principale risposta al problema evidenziato dalla crisi: l’inadeguatezza di un sistema di vigilanza strutturato su base nazionale rispetto a fenomeni critici di portata più ampia, che avevano colpito tutto il mercato europeo dei servizi finanziari. Con una serie di regolamenti adottati nel corso del 2010, l’Unione europea ha previsto l’istituzione di un Sistema Europeo di Vigilanza Finanziaria (SEVIF) composto dall’insieme delle autorità di vigilanza degli Stati membri e da tre autorità europee di vigilanza (European Supervisory Authorities, in acronimo ESAs), create attraverso la trasformazione dei cd. comitati Lamfalussy, che avevano funzioni di mero coordinamento informativo, in veri e propri centri di produzione di norme di rango secondario. Si tratta dell’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (European Securities and Markets Authority - ESMA), con sede a Parigi, dell’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (European Insurance and Occupational Pension Authority - EIOPA), con sede a Francoforte, e dell’Autorità bancaria europea (European Banking Authority - EBA), che ha avuto sede a Londra sino al 2019 per poi spostarsi a Parigi. Alle tre autorità europee di vigilanza, peraltro, si è aggiunta l’istituzione di un comitato europeo per il rischio sistemico (European Sistemic Risk Board - ESRB), cui è attribuita la funzione di segnalare possibili rischi sistemici e, là dove necessario, di raccomandare l’adozione di provvedimenti per far fronte a tali rischi.
L’obiettivo di ESMA, EBA e EIOPA è tutelare l’interesse pubblico all’integrità e alla stabilità del sistema finanziario. Oltre ad assumere le funzioni di coordinamento dei comitati Lamfalussy, le Autorità esercitano specifici poteri, ciascuna nell’ambito del mercato di competenza – finanziario, bancario o assicurativo – seguendo quindi una struttura per soggetti. In estrema sintesi, i compiti affidati alle ESAs consistono nella elaborazione di prassi comuni di regolamentazione e vigilanza e nella applicazione uniforme del diritto dell’Unione, in particolare «contribuendo ad una cultura comune della vigilanza» (cfr., in termini, l’art. 8 di ciascuno dei tre regolamenti istitutivi di EBA, EIOPA ed ESMA; Reg. 1093, 1094 e 1095/2010). In questo quadro, ciascuna delle ESA ha il potere di: (i) elaborare progetti di norme tecniche di regolamentazione; (ii) elaborare progetti di norme tecniche di attuazione; (iii) emanare orientamenti e formulare raccomandazioni. In particolare, riguardo ai progetti di norme tecniche di regolamentazione ed attuazione, le autorità definiscono i cd. standard tecnici che solo in via mediata, ossia dopo che siano stati formalmente adottati dalla Commissione europea (cd. endorsement), divengono fonti di diritto europeo di rango secondario.
Nel corso del tempo le ESAs si sono viste attribuire nuove funzioni di coordinamento e, talora, sono loro stati attribuiti poteri ulteriori rispetto a quelli contenuti nei regolamenti istitutivi. Si pensi all’ESMA che ha dal 2012 poteri in materia di vendite allo scoperto che possono spingersi sino all’imposizione del divieto di compiere operazioni (cfr. anche le specifiche competenze in materia di agenzie di rating, strumenti derivati OTC, controparti centrali e repertori di dati sulle negoziazioni). Tuttavia, nessuna delle tre autorità esercita una funzione di vigilanza in senso proprio. Salvo eccezioni, come quella in punto di vendite allo scoperto, le tre autorità non esercitano le proprie attribuzioni in via immediata nei confronti dei partecipanti al mercato (ad esempio, non rilasciano autorizzazioni all’attività, non impongono sanzioni). Esse hanno, in linea di massima, poteri di carattere regolamentare e di coordinamento. Poteri talvolta molto rilevanti, che possono riguardare anche la composizione di controversie tra autorità nazionali sull’applicazione del diritto europeo (cd. binding mediation), ma che non limitano il concreto esercizio delle attribuzioni di vigilanza da parte degli Stati membri.
A pochi anni dai regolamenti istitutivi delle ESAs, il legislatore europeo ha introdotto ulteriori modifiche all’assetto regolamentare delle banche e delle imprese di investimento dei paesi dell’Area Euro (e in quelli che scelgano di sottoporsi alla vigilanza diretta della Banca Centrale Europea mediante opt-in). Si tratta in particolare di due regolamenti: (i) il Regolamento 1024/2013, che ha istituito, dal 2014, un meccanismo di vigilanza unico (il citato Single Supervisory Mechanism - SSM) e il (ii) il Regolamento n. 806/2014, che ha introdotto, dal 1.1.2016, il meccanismo di risoluzione unico (il citato Single Resolution Mechanism - SRM), che accentra una parte dei poteri di risoluzione introdotti a livello europeo dalla direttiva sulla gestione delle crisi bancarie (Bank Recovery and Resolution Directive – BRRD).
Il primo dei due regolamenti è il “primo pilastro” dell’Unione bancaria e detta una disciplina di coordinamento tra le funzioni di vigilanza attribuite alla Banca Centrale Europea e le autorità nazionali tra cui, ovviamente, la Banca d’Italia. Il punto emerge con estrema chiarezza dall’art. 6 del Regolamento SSM, secondo cui la BCE assolve i suoi compiti nell’ambito del meccanismo di vigilanza unico composto dalla stessa e dalle autorità nazionali (cfr. art. 7 Regolamento SSM e infra per la distribuzione di competenze di vigilanza tra la BCE e la Banca d’Italia).
Pur se il meccanismo di vigilanza unico è strutturato su questo doppio livello, la BCE è espressamente designata quale «responsabile del funzionamento efficace e coerente dell’MVU» (l’acronimo italiano è recessivo rispetto a quello inglese, SSM, ampiamente utilizzato da regolatori e studiosi in ogni lingua). L’obiettivo del SSM è, quindi, coordinare la vigilanza sulle banche che esercitano l’attività tipica, riservata per legge, e soggetta al controllo pubblico.
Il secondo regolamento ha istituito, al fianco del SSM, un meccanismo unico di risoluzione. Si tratta del “secondo pilastro” dell’Unione bancaria, che si giova di una nuova autorità: il Single Resolution Board (SRB). Questa, dotata di personalità̀ giuridica e avente sede a Bruxelles, ha il compito di coordinare la stesura dei piani di risoluzione delle «banche significative» (quelle sottoposte alla vigilanza diretta della BCE) e di esercitare su di esse, così come sui gruppi transfrontalieri, i poteri di risoluzione, tra cui il bail-in. Anche in questo caso, come in quello del SSM, il SRB, pur avendo la responsabilità di ultima istanza sulla risoluzione dei soggetti sottoposti alla vigilanza unica, opera in collaborazione con le autorità di risoluzione nazionali dei paesi dell’Area Euro e di quelli che optino per aderire all’Unione bancaria.
Il “terzo (e ultimo) pilastro” dell’Unione bancaria è tuttora in corso di completamento. Si tratta dell’istituzione di un sistema europeo di assicurazione dei depositi (EDIS) che gradualmente affianchi e, poi, integri i sistemi di garanzia che già esistono a livello nazionale (cfr. dir. 2014/49/UE in materia di garanzia dei depositi, che fissa il principio per cui i depositanti di banche con sede nell’Unione europea godono della garanzia sui loro depositi sino a centomila euro).
Il richiamato art. 5 t.u.b. stabilisce che la Banca d’Italia, in uno con le altre autorità creditizie italiane (Ministro dell’Economia e delle Finanze e CICR), esercita i poteri di vigilanza avendo riguardo alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità complessiva, all’efficienza e alla competitività del sistema finanziario nonché all’osservanza delle disposizioni in materia creditizia. La vigilanza delle autorità creditizie italiane, peraltro, non è esercitata nei confronti delle sole banche, ma anche degli intermediari finanziari, degli istituti di moneta elettronica e degli istituti di pagamento.
Con riferimento alle sole banche, lo si è accennato nel paragrafo precedente, la vigilanza è giuridicamente integrata nel meccanismo di vigilanza unica, al cui vertice sta la BCE (rectius, l’SSM) e di cui la Banca d’Italia è parte integrante. In concreto, le attribuzioni di vigilanza sono ripartite tra la BCE e le autorità nazionali secondo un criterio dimensionale. Il Regolamento SSM attribuisce alla BCE l’esercizio, in via diretta, di tutti i compiti di vigilanza prudenziale su tutte le «banche significative». Sono significative le banche con attività superiori a 30 miliardi di euro, le banche che abbiano un rapporto tra le attività e il PIL dello Stato in cui hanno sede maggiore del 20% (salvo che il valore delle attività sia inferiore a 5 miliardi di euro) e le banche che rivestano «un’importanza significativa con riguardo all’economia nazionale». Peraltro, anche con riguardo alle banche significative, le autorità nazionali restano investite di importanti funzioni di partecipazione ai lavori della BCE (in concreto la supervisione microprudenziale è affidata a gruppi di lavoro composti da funzionari della BCE e delle banche nazionali). Le banche «meno significative» sono sottoposte alla vigilanza diretta della Banca d’Italia.
Di questo duplice livello dell’articolazione della vigilanza dà conto anche il diritto nazionale. In particolare, l’art. 6 bis, co. 1, t.u.b. chiarisce che i poteri di vigilanza sulle banche sono esercitati dalla Banca d’Italia nei limiti e secondo le modalità stabilite dalle disposizioni del Regolamento SSM con «differenti modalità di cooperazione tra la BCE e le autorità nazionali per i soggetti significativi e per quelli meno significativi».
Mentre la vigilanza sulle banche è articolata su due livelli, la Banca d’Italia mantiene una competenza esclusiva in materia di vigilanza prudenziale su istituti di moneta elettronica e di pagamento, nonché, come si dirà, sulle imprese di investimento per i profili di stabilità e sana e prudente gestione. Inoltre, la Banca d’Italia conserva un’importante competenza “per attività” che copre le disposizioni in materia di contrasto al riciclaggio.
Quanto all’esercizio dei poteri di vigilanza, oltre alle fonti europee più volte richiamate, mette conto rinviare agli artt. 51–54 e 65–69 t.u.b. Queste disposizioni disciplinano le modalità attraverso cui la vigilanza si esplica, in particolare: i) la vigilanza informativa (artt. 51 e 66 t.u.b.), che impone ai soggetti vigilati la trasmissione, anche periodica, di situazioni e dati, nonché ogni altra informazione utile richiesta dalla Banca d’Italia; ii) la vigilanza regolamentare (artt. 53 e 67 t.u.b.), che consente alla Banca d’Italia di dettare disposizioni di carattere generale nonché di impartire alle banche, anche per il tramite della società capogruppo, disposizioni aventi a oggetto l’adeguatezza patrimoniale, il contenimento del rischio, le partecipazioni detenibili o il governo societario; iii) i poteri di intervento (artt. 53 bis e 67 ter t.u.b.), che spaziano dalla convocazione alla rimozione degli organi di gestione e controllo della banca; e iv) la vigilanza ispettiva (artt. 54 e 68 t.u.b.), ossia le attività da svolgersi presso i soggetti vigilati.
Peraltro, la Banca d’Italia coopera con le altre autorità di vigilanza dell’Unione europea, e quindi non solo con quelle dell’Area Euro coinvolte nell’Unione Bancaria, ma anche nel contesto dell’EBA. In tale àmbito contribuisce allo sviluppo del braccio europeo della vigilanza regolamentare, posto che l’EBA, come poco sopra accennato, esercita poteri regolamentari e di mediazione, che in sostanza mirano alla convergenza delle prassi di vigilanza.
Attualmente sono due in Italia le autorità di vigilanza principali sugli intermediari finanziari: la Banca d’Italia e la Consob. Il già citato art. 5 t.u.f. individua gli obiettivi generali della vigilanza, comuni a entrambe. Si legge, infatti, nella norma che «l’attività di vigilanza ha per obiettivi: a) la salvaguardia della fiducia nel sistema finanziario; b) la tutela degli investitori; c) la stabilità e il buon funzionamento del sistema finanziario; d) la competitività del sistema finanziario; e) l’osservanza delle discipline in materia finanziaria». Sotto questo profilo, la nuova disciplina richiama alla mente l’art. 5 t.u.b., dedicato – come noto – alle “finalità della vigilanza”, che individua complessivamente gli obiettivi delle “autorità creditizie”. Ciò detto, alla Banca d’Italia si attribuisce la competenza per contenimento del rischio, stabilità patrimoniale e sana e prudente gestione (art. 5, co. 2, t.u.f., ma cfr. ora anche art. 7 novies t.u.f. in punto di riserva di capitale) e alla Consob la competenza per trasparenza e correttezza dei comportamenti (art. 5, co. 3, t.u.f.). Si è dunque scelto, in principio, il modello di vigilanza per finalità.
L’art. 6 t.u.f. introduce principi in materia di «poteri regolamentari» che devono essere osservati dalla Banca d’Italia e dalla Consob (co. 1) e disciplina la distribuzione della potestà regolamentare fra la due autorità, nel rispetto del criterio di ripartizione delle competenze per “finalità” di cui si è detto, ma senza rinunciare a imporre a ciascuna di “sentire” l’altra prima di emanare i regolamenti (co. 1). Quanto alla Consob, la norma le attribuisce potestà regolamentare in punto di trasparenza, obblighi informativi, comunicazioni pubblicitarie e rendicontazione, nonché di correttezza dei comportamenti, ivi comprese le valutazioni di adeguatezza e appropriatezza, gli obblighi relativi alla cd. best execution e le regole sulla percezione di “incentivi”. Rientrano, invece, fra le regole organizzative e di comportamento a disciplina congiunta (dei due organi di vigilanza) quelle volte a gestire il rischio di conflitti di interesse, quelle relative alle procedure di controllo interno e quelle relative ai requisiti generali dell’organizzazione (cfr. co. 2 e 2-bis).
L’art. 6 bis t.u.f. si occupa della vigilanza informativa, anch’essa attribuita alle due autorità secondo l’ormai nota ripartizione per competenze. Quanto all’adeguatezza patrimoniale, la Banca d’Italia può chiedere ogni informazione che ritenga necessaria ai soggetti sottoposti al suo scrutinio, ma anche a coloro ai quali i soggetti abilitati abbiano esternalizzato funzioni aziendali essenziali o importanti e al loro personale (co. 2) e al revisore dei conti.
La Consob, nell’ambito delle sue competenze, può chiedere la comunicazione di dati, notizie, procedere ad audizioni nei confronti di «chiunque possa essere in possesso di informazioni pertinenti». Si tratta di poteri molto ampi, che impongono ai soggetti vigilati di fornire ogni informazione utile con completezza ed esaustività.
L’art. 8 t.u.f., un tempo rubricato «vigilanza informativa», dal 2017 è denominato «doveri informativi» ed estende alcune previsioni della disciplina dell’informazione a soggetti specifici, come gli organismi di investimento collettivo del risparmio. Si può evidenziare come in punto di informazione le due autorità di vigilanza operino separatamente – non però a “compartimenti stagni”, dovendo collaborare fra loro, anche mediante scambio di informazioni e non potendo opporsi il segreto di ufficio – richiedendo documenti ciascuna per le materie di rispettiva competenza. Siffatte materie “di competenza” vanno, caso per caso, individuate dalle singole norme del testo unico, quando non si tratti di materie rientranti nell’ambito della vigilanza regolamentare. E va avvertito che vigilanza regolamentare e vigilanza ispettiva non sono equiestese, sì che la possibilità di richiedere informazioni travalica certamente gli ambiti attribuiti alla normativa subprimaria.
L’art. 7 t.u.f. prevede che la Consob possa adottare una serie di interventi autoritativi sugli intermediari sottoposti a vigilanza. In questo caso la norma ricalca le analoghe previsioni del t.u.b. Un tempo, per vero, nel t.u.b. siffatti “interventi” erano collocati all’interno della vigilanza regolamentare, mentre nel t.u.f. hanno sempre costituito un corpo a sé, sospeso fra vigilanza regolamentare e vigilanza ispettiva, scelta che poi è stata adottata anche dal legislatore del t.u.b. (cfr. art. 53 bis). Di là dalla scelta di sistema, i poteri attribuiti agli organi di vigilanza, sempre «nell’ambito delle rispettive competenze», sono analoghi a quelli previsti dal t.u.b.: convocazione di amministratori, sindaci e dirigenti; ordine di convocazione di organi collegiali; convocazione degli organi collegiali in caso di inottemperanza all’ordine. A seguito della revisione del t.u.f., imposta dall’obbligo di recepire la direttiva MiFID 2, ai poteri di cui all’art. 7 t.u.f. si accompagnano ora quelli contenuti in alcune delle disposizioni che lo seguono, tra cui mette conto evidenziare quello di sospensione degli organi amministrativi attribuito al presidente della Consob in via d’urgenza ex art. 7 sexies.
L’art. 6 ter t.u.f. tratteggia l’ultimo “settore” della vigilanza, quello ispettivo. Il primo comma, in particolare, attribuisce alle autorità di controllo poteri molto ampi, sempre per le materie di rispettiva competenza: possono effettuare ispezioni presso i soggetti abilitati e richiedere l’esibizione di documenti (anche servendosi della Guardia di Finanza, cfr. art. 6 bis, co. 9 e 10). La norma, però, dice anche qualcos’altro: la Banca d’Italia e la Consob possono richiedere altresì «il compimento degli atti ritenuti necessari», previsione che va potenzialmente ben al di là della vigilanza ispettiva.
Così come la Banca d’Italia è parte del SEVIF, anche la Consob coopera con le altre autorità di vigilanza dell’Unione europea e, in particolare, è membro dell’ESMA, l’autorità europea di coordinamento e regolamentazione in materia di mercati e strumenti finanziari, di cui si è detto.
L’IVASS, succeduto all’ISVAP, esercita tutte le attività di vigilanza sull’attività assicurativa e riassicurativa. Va notato che, sebbene la rubrica dell’art. 3 c. ass. faccia riferimento all’attività assicurativa, il modello previsto dal legislatore per la vigilanza su questo settore del mercato è “per soggetti”, come emerge dalla lettura dell’art. 6 c. ass. («destinatari della vigilanza») a mente del quale sono vigilati dall’IVASS le imprese di assicurazione, i gruppi assicurativi, i soggetti che svolgono funzioni comprese nel ciclo operativo delle imprese di assicurazione e gli intermediari di assicurazione e di riassicurazione.
Le finalità principale della vigilanza è l’adeguata protezione degli assicurati e degli aventi diritto alle prestazioni assicurative. Ai sensi dell’art. 3 c. ass. «l’IVASS persegue la sana e prudente gestione delle imprese di assicurazione e riassicurazione, nonché, unitamente alla Consob, ciascuna secondo le rispettive competenze, la loro trasparenza e correttezza nei confronti della clientela. Altro obiettivo della vigilanza, ma subordinato al precedente, è la stabilità del sistema e dei mercati finanziari».
Questa disposizione è particolarmente importante per due ragioni. La prima è di tipo sistematico: a differenza di quanto accade nel sistema del t.u.b. e in quello del t.u.f., il legislatore indica un obiettivo di vigilanza (la sana e prudente gestione) come sovraordinato rispetto a un altro (la stabilità del sistema finanziario). L’altra ragione è che i poteri in punto di correttezza dei comportamenti sono attribuiti «unitamente alla Consob», il che certamente stride con la scelta del modello per soggetti, ma si propone di evitare che alcune attività ibride o alcuni prodotti misti, di natura finanziaria ed assicurativa insieme (ad esempio, le polizze indicizzate), sfuggano al controllo dell’autorità di vigilanza dei mercati finanziari.
L’art. 3 bis c. ass. detta i principi della vigilanza. Il settore è peculiare e per questo il legislatore, in modo più esplicito che nel t.u.b. e nel t.u.f., stabilisce che si basi su di un «metodo prospettico fondato sul rischio», che include «la verifica continua del corretto esercizio dell’attività di assicurazione o di riassicurazione e dell’osservanza delle disposizioni di vigilanza da parte delle imprese di assicurazione o di riassicurazione».
Per conseguire siffatto risultato, l’IVASS ha il potere di combinare (co. 2) vigilanza informativa (nel c. ass. definita anche attività di vigilanza cartolare) e vigilanza ispettiva («ispezioni in loco»). In concreto l’IVASS esercita tutti i poteri di natura autorizzativa, prescrittiva, accertativa, cautelare e repressiva previsti dalle disposizioni del c. ass. A tale riguardo, può adottare ogni regolamento necessario per la sana e prudente gestione delle imprese o per la trasparenza e la correttezza dei comportamenti dei soggetti vigilati (cfr. art. 5, co. 2, c. ass., che conferma l’adozione del modello per soggetti nel settore assicurativo).
Anche l’IVASS, nell’esercizio delle sue funzioni, deve tenere conto della convergenza degli strumenti di vigilanza e delle pratiche di vigilanza dell’Unione europea. Per questa ragione partecipa alle attività dell’EIOPA.
Fonti normative
dir. 2013/36/UE; reg. 575/2013/UE; reg. 1024/2013/UE; dir. 2014/59/UE; reg. 806/2014/UE; reg. 206/2014/UE; dir. 2014/49/UE; reg. 1093, 1094 e 1095/2010/UE; art. 47 Cost.; artt. 5, 6 bis, 10, 11, 51-54, 65-69 t.u.b.; artt. 5, 6, 6 bis, 6 ter, 7, 7 novies, 8, 21, 23 t.u.f.; artt. 3, 3 bis, 5, 6 c. ass.
Bibliografia essenziale
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