mercato dell'arte
locuz. sost. m. – Con l’entrata in scena negli anni Novanta del Novecento delle economie dei nuovi paesi emergenti – Cina, India, Russia e quelli del Medio Oriente – il mercato dell’arte contemporanea è diventato una realtà globale. Si è assistito a una crescente importanza di fondi d’investimento nel mercato dell’arte fino ad arrivare a parlare di 'finanziarizzazione dell’arte', di opere d’arte come derivati finanziari: l’arte contemporanea è diventata il bene che forse più d’ogni altro crea ricchezza all’interno di un circolo fondato su valori simbolici, il cui fine è la proliferazione di segni finanziari. Al volgere del nuovo millennio, dunque, il mercato dell’arte ha finito per configurarsi come il perno fondamentale di un sistema dove prevalgono strutture e strategie mercantili – fiere, gallerie, case d’asta – rispetto a quelle culturali: basti pensare alle oltre 150 fiere di arte contemporanea che si tengono ogni anno in tutto il mondo (le più importanti delle quali sono divenute l’Art Basel Miami Beach, istituita nel 2001, la Hong Kong Art Fair, istituita nel 2007, l’Abu Dhabi Art, istituita nel 2009). Nell’epoca del capitalismo finanziario, dunque, le gallerie più potenti si sono trasformate in imperi economici con filiali in tutto il mondo, dimostrando fra l’altro un interesse sempre maggiore per il mercato asiatico (la Gagosian gallery ha undici filiali, di cui una aperta a Hong Kong nel 2008; la White Cube di Londra ne ha quattro, di cui una a Hong Kong dal 2012; l’italiana Galleria Continua, che ne ha tre, è stata tra le prime gallerie occidentali ad aprire a Pechino, nel 2005). In questo nuovo scenario, mentre l’artista diventa un ‘marchio’ – si pensi alle factory di produzione di artisti come J. Koons, T. Murakami, D. Hirst –, le fiere d’arte sono divenute a loro volta importanti eventi culturali, alla stregua di grandi mostre internazionali o delle Biennali. Proprio la problematicità della relazione tra l’arte e il mercato è al centro di uno dei lavori più interessanti e discussi degli ultimi anni, For the love of God (2007) di Damien Hirst, artista tra i più quotati al mondo, protagonista dell’art system globale: apoteosi della mercificazione dell’opera d’arte, il teschio ricoperto di diamanti di Hirst è l’opera più costosa al mondo ma anche, per definizione, memento mori, carico dunque di ambiguità verso lo stesso sistema dell’arte di cui è partecipe. Hirst ha maliziosamente giocato con i meccanismi eccessivi di un mercato oramai in mano a finanzieri/collezionisti anche nel 2008 quando, nel pieno della crisi finanziaria mondiale, ha deciso di vendere le opere esposte nella sua mostra Beautiful inside my head forever in un’asta pubblica da Sotheby’s a Londra, dando luogo a un’operazione inedita che ha scavalcato le gallerie e messo in crisi per la prima volta il sistema e il mercato dell’arte tradizionale.