mercato interno
Gli effetti del Mercato Unico Europeo
sull’integrazione dell’economia europea
L’obiettivo fondamentale del MUE fu l’eliminazione di una serie di impedimenti esistenti soprattutto all’interno dei confini nazionali (behind the border barriers). In termini estremamente sintetici, essi possono essere raggruppati nelle seguenti 3 grandi categorie: barriere fisiche, quali le formalità amministrative e i controlli esistenti ancora alle dogane; barriere fiscali, tra cui innanzitutto le forti disomogeneità presenti nei livelli di imposizione indiretta dei Paesi membri (➔ armonizzazione fiscale); barriere tecniche, quali le diverse regolamentazioni, i criteri tecnici e gli standard applicati in ciascun Paese membro. Misure di questo tipo vengono talvolta definite deep integration, dal momento che vanno ben al di là della semplice eliminazione di barriere tariffarie (➔ barriera; tariffa; mutuo riconoscimento, principio del; Paese di origine, principio del).
La costruzione e il consolidamento del MUE, che includeva almeno 300 singoli provvedimenti, furono attuati con successo e nei tempi previsti. I più importanti cambiamenti introdotti riguardavano, da un lato, la liberalizzazione dello scambio di beni, con la semplificazione o l’eliminazione delle formalità di frontiera, l’armonizzazione degli standard tecnici di produzione e commercializzazione, la liberalizzazione di parte degli acquisti dei settori pubblici; dall’altro, la liberalizzazione dello scambio dei fattori produttivi, con la rimozione di tutti i controlli sui capitali, l’integrazione dei mercati dei capitali e la liberalizzazione delle politiche trans-frontaliere di accesso ai mercati.
La realizzazione del MUE rappresentò senza dubbio una spinta fondamentale al rilancio del processo di integrazione europea. I suoi effetti si realizzarono e vennero avvertiti su un ampio spettro di attività economiche. Al risultato positivo contribuirono in misura determinante alcune innovazioni introdotte nelle procedure decisionali della UE con l’Atto unico. La più importante, nell’ambito del cosiddetto ‘nuovo approccio’ alla liberalizzazione delle barriere tecniche, fu l’adozione del voto a maggioranza (➔ maggioranza, voto a) per l’approvazione delle decisioni, in sostituzione del più rigido principio basato sull’unanimità (➔), che aveva dominato in passato le procedure in quest’area. Altro strumento innovativo di rilievo fu l’introduzione del principio del mutuo riconoscimento, in base al quale a ogni bene prodotto in uno Stato membro veniva automaticamente garantita la libera circolazione e la vendita in un qualsiasi altro Paese dell’Unione alla sola condizione di rispettare standard prefissati comuni sul piano della salute e della sicurezza.
La costruzione del MUE ha comportato novità tali da farne l’esperienza più avanzata di deeper integration di economie nazionali, con conseguenze di più stretta interazione-competizione, da un lato, e di più o meno estesa convergenza, dall’altro, di strutture e assetti nazionali in partenza caratterizzati da forti differenze. Ma quanto consistenti sono stati i benefici economici per l’Europa derivanti dalla realizzazione del MUE? In estrema sintesi, negli studi teorici ed empirici si fanno discendere, dalla costruzione di un’area integrata come quella attuata dal MUE, 3 diversi insiemi di effetti: una riallocazione delle risorse; una più elevata efficienza; uno stimolo alla crescita. Il primo tipo è il più noto ed è al centro dell’approccio ortodosso basato sui vantaggi comparati (➔ vantaggio), legati alle scarsità fattoriali. È adottando tale approccio che la maggior parte delle elaborazioni empiriche condotte nel corso degli anni 1960 e 1970 aveva prodotto risultati non certo confortanti sull’esperienza europea: nei primi decenni il processo di integrazione aveva generato nel complesso una creazione netta di nuovi scambi, ma di entità assai modesta e tale da non giustificare, sul piano economico, una iniziativa così complessa e politicamente impegnativa. Nuovi spunti di analisi nel campo dell’integrazione economica sono venuti dagli sviluppi delle teorie del commercio internazionale (➔ commercio internazionale p) e delle politiche commerciali dagli anni 1980 in poi. Alla luce di queste moderne interpretazioni, sono stati ridefiniti anche i vantaggi dell’integrazione, sottolineando accanto ai benefici della riallocazione delle risorse quelli dell’efficienza, con risultati che hanno fortemente rivalutato i conseguimenti economici derivanti dalla creazione del mercato interno. Sono state offerte ampie evidenze empiriche degli effetti di maggiore efficienza del mercato unico, originati da mutamenti importanti nella organizzazione delle imprese e nella struttura e nel funzionamento dei mercati, illustrati dagli approcci teorici sopra ricordati. Essi hanno mostrato come i benefici netti del processo integrativo reale sono nel complesso positivi per l’insieme dei Paesi membri e sono assai più consistenti di quelli risultanti dalla teoria tradizionale di sola riallocazione delle risorse e degli scambi. È il caso, per es., delle interessanti valutazioni quantitative fornite da una serie di studi empirici promossi dalla Commissione europea (Cecchini 1988, ➔ Cecchini, rapporto di). Come fu affermato dall’allora presidente della Commissione, J.-L.-J. Delors, il mercato unico andava considerato come un processo in continua evoluzione e destinato a protrarsi nel tempo, che non avrebbe certo visto la sua fine con la data ufficiale della sua entrata in vigore. La sfida più rilevante è costituita dall’estensione del mercato interno al campo dei servizi, che è stato solo marginalmente interessato dalle liberalizzazioni degli anni 1990.