MERCATO
Nelle definizioni di Isidoro di Siviglia il termine m. connota sia il concorso consuetudinario di compratori e venditori ("Mercatus dicitur coetus multorum hominum, qui res vendere vel emere solent"; Etym., V, 25) sia i luoghi deputati agli scambi commerciali, sottoposti a regolari esazioni fiscali ("Mercatum autem a commercio nominatur. Ibi enim res vendere vel emere solitum est; sicut et teloneum dicitur ubi merces navium et nautarum emolumenta redduntur. Ibi enim vectigalis exactor sedet pretium rebus inpositurus, et voce a mercatoribus flagitans"; Etym., XV, 2). Il ruolo fondamentale del m. nello sviluppo e nel consolidamento delle strutture territoriali e urbane medievali è stato da tempo trattato dalla storiografia (v. Città). Sul piano della configurazione degli spazi cittadini è essenziale il rapporto funzionale del m. con la strada e la piazza (v.), dato che esso si avvale spesso di accorgimenti protettivi, corrispettivo architettonico di particolari normative giuridiche. Sono frequenti recinzioni che delimitano l'area destinata al commercio, complessi porticati, edifici speciali usati come magazzini e luoghi di vendita, isolati o incorporati nei palazzi pubblici comunali (v. Broletto; Palazzo).L'importanza del m. come istituzione urbana, ancor prima che come area o edificio specialistico, è sottolineata da una messe di testimonianze documentarie (estese anche alle fiere), particolarmente precise e ricche nel mondo islamico, e da descrizioni letterarie e rappresentazioni artistiche, numerose ed efficaci soprattutto nel 14° e 15° secolo.Se in molti casi si assiste nei primi secoli del Medioevo alla permanenza dell'attività mercantile primaria nel forum cittadino, che deve la sua sopravvivenza alla continuità di funzione, si verificano anche una forte disgregazione e una redistribuzione delle attività di m., in sintonia con la parcellizzazione delle risorse e delle istituzioni territoriali (m. presso le abbazie, i castelli, i porti) e urbane (m. presso le porte cittadine). La lotta per il controllo delle rendite di m., che vide per molti secoli prevalere le autorità vescovili, condizionò direttamente anche la sistemazione fisica dei luoghi, nella quale solo gradualmente possono riconoscersi intendimenti che vadano oltre le preoccupazioni funzionali e di ordine pubblico.Il controllo dell'autorità pubblica sul m., a garanzia della pace e quindi del migliore andamento delle contrattazioni, si esercitava sul piano simbolico con la costruzione, visibile a tutti, della croce di m. (come nelle città anglosassoni) e sul piano pratico con l'esposizione delle misure ufficiali che tutti dovevano osservare. Nell'Inghilterra anglosassone si trovava una perfetta coincidenza tra m. e impianto urbano: al centro della croce di strade veniva eretta l'alta crux visibile da ogni direzione di provenienza, garanzia della protezione del sovrano e della Chiesa sul m. che si svolgeva lungo le quattro strade principali.Il m. stradale continuò a essere ampiamente diffuso in tutta l'area europea fino al sec. 12°-13°, influenzando profondamente l'evoluzione degli impianti viari e gli schemi di nuova fondazione. La strada mercantile tendeva ad allargarsi e veniva dotata di portici; inoltre la coincidenza di laboratori e botteghe e la necessaria solidarietà di mestiere favorivano nella generalità dei casi lo stabilirsi di ciascuna delle diverse attività in un particolare settore della città, oppure in una strada che prendeva il nome dalla specializzazione che vi si esercitava. Ma fu sempre più la piazza a essere destinata ad accogliere le principali attività mercantili nelle città tardomedievali, in un quadro di progressiva stabilizzazione del centro urbano promossa dalle iniziative urbanistiche dei Comuni.Nelle principali città italiane il Comune si preoccupava di misurare accuratamente e di delimitare con termini ben visibili gli spazi mercantili esistenti (per es. Genova, 1186) o di creare nuove grandi piazze da adibire esclusivamente a m., utilizzando aree già appartenenti a istituzioni ecclesiastiche (per es. Brescia, 1179).Nelle nuove fondazioni comparve la piazza centrale porticata, tendenzialmente regolare (per es. Montauban, in Francia, 1143): si inaugurò così una tipologia funzionale e progettuale ricorrente nelle bastides (v.) del secolo successivo e, più in generale, nelle città nuove (v.) tardomedievali, dove nel centro era situata invariabilmente la piazza destinata al m. locale. In area tedesca questa esigenza fu particolarmente sentita e diffusa e portò, a partire dal sec. 12°, all'apertura di piazze mercantili all'incrocio delle vie principali (per es. Monaco, 1158), giungendo a rappresentare, nei casi più complessi, il centro di un articolato e complesso organismo (per es. Wiener Neustadt, 1192).A Lubecca, fondata intorno al 1158, il m. era un'ampia piazza trapezoidale adiacente alla Marienkirche, ma le attività commerciali si svolgevano in un'area assai più vasta del centro urbano, ufficialmente delimitata e comprendente i tratti centrali di tutte le vie che vi confluivano. D'altra parte si verificava comunemente che l'area destinata a m. (e particolarmente protetta con un'adeguata normativa) non coincidesse con la piazza, estendendosi di norma oltre i confini ufficiali dello spazio architettonicamente definito dalle costruzioni pubbliche più rappresentative.La funzione specialistica della piazza di m. principale venne sempre più a sommarsi alla rappresentatività civile e religiosa, di cui il m. restava la prima emanazione: un caso emblematico è quello di Modena, dove il m. occupava gli spazi compresi tra il palazzo del Comune e il duomo, tangenti alla via Emilia, oltre che naturalmente la grande piazza pubblica. Questo rapporto tende a mantenersi nel tempo, ma gradualmente gli interessi dell'autorità cittadina si volsero agli aspetti estetico-rappresentativi della piazza, soprattutto quando si trattava di spazi centrali e unici, creati ex novo (per es. piazza del Campo a Siena).La tutela della piazza, la sua manutenzione e la sua pulizia determinavano non soltanto particolari normative urbanistiche ed edilizie, ma anche dei limiti sempre più vincolanti per le attività mercantili che potessero danneggiarla materialmente o degradarne l'immagine. Nelle disposizioni statutarie del Duecento sono numerosissime le norme riguardanti la pulizia, l'ordine pubblico e la posizione, la forma e le misure dei banchi dove i mercanti potevano disporre le merci all'esterno delle botteghe. Il carattere invasivo e in forte crescita delle attività commerciali nel centro cittadino poneva quindi problemi organizzativi ed estetici cui si tentò di porre rimedio già nel corso del sec. 13°, ordinando architettonicamente le sedi stabili per vendite differenziate (per es. palazzo della Ragione a Padova), decentrando in zone più periferiche i m. più ingombranti e sgradevoli (m. del bestiame), aprendo o sistemando nuovi spazi nelle periferie.Le pavimentazioni e i lavori di sistemazione edilizia, nel segno dell'uniformità e della modernità, ebbero l'effetto di attrarre nelle aree centrali le più prestigiose attività economiche; nella piazza del Mercato Nuovo a Firenze, pavimentata nel 1270, si stabilirono nel tempo ricchi mercanti e banchieri.Edifici adibiti a m., rispondenti a diverse categorie tipologiche - dalla tettoia lignea alla strada coperta fiancheggiata da botteghe -, erano assai frequenti soprattutto nell'Europa centrosettentrionale, per evidenti ragioni climatiche. Si trattava spesso di strutture dalla semplice copertura a capannone, che, divenute permanenti, venivano costruite nell'area centrale delle piazze o comunque in parti dell'edificio destinato all'amministrazione pubblica. Dalle più antiche e semplici strutture lignee si passò gradualmente alla costruzione in muratura, che assunse in età tardomedievale e rinascimentale l'aspetto di un vero e proprio palazzo, anche per l'aggiunta di una torre dominante la piazza del mercato. Così in Belgio le Hallen di Bruges, costruite a partire dal 1248, vennero dotate di un beffroi nel 1291 e le Hallen di Ypres (sec. 13°), il più grande edificio di questa categoria, destinato al m. dei drappi, rappresentavano la tendenza della città mercantile a riconoscersi nella propria più nobile e importante funzione. Nell'Europa orientale occorre citare il grande complesso mercantile-comunale di Cracovia, che, insieme ad altri esempi, documenta l'evoluzione da m. a sede comunale delle strutture commerciali, in un primo tempo provvisorie, costruite al centro delle grandi piazze mercantili duecentesche.L'antica specializzazione dei m. (per es. del legname, del pesce, delle erbe) sorti in funzione della viabilità e dei mezzi di trasporto, produsse non solo frequenti spostamenti di luogo, ma anche una programmata moltiplicazione degli spazi deputati. Queste esigenze, molto sentite nelle grandi città (per es. Milano), si trasferirono anche nell'ideazione di nuovi modelli urbani, nei quali intorno alla piazza principale si collocarono piazze minori destinate a m. particolari, come nelle proposte avanzate dall'enciclopedista catalano Francesc Eximèniç (1340-1408).Nonostante questi sforzi di razionalizzazione, del resto limitati, si accettò con una certa condiscendenza la confusione provocata dal m.: la sua ricchezza era testimonianza della ricchezza della città e l'affollarsi caotico delle funzioni, come l'accalcarsi della folla nei giorni di m., era indice di prosperità economica. Così nelle rappresentazioni, frequenti soprattutto tra le miniature, prevale sulla volontà di esaltare bellezza e regolarità urbanistica o architettonica del m. il gusto per la descrizione minuta della folla e dei banchi di vendita. Una delle testimonianze più interessanti in questo senso è la miniatura della Matricola dei Drappieri (1411) raffigurante il m. di porta Ravegnana a Bologna (Bologna, Mus. Civ. Medievale). Nacque così un tema iconografico che ebbe larga fortuna nel Quattrocento e nel Cinquecento: la rappresentazione del m. come luogo dell'incontro e dell'esposizione di ogni prodotto, dove la ricchezza e la varietà prevalgono sull'ordine.Il rapporto tra città e m. alla fine del Medioevo si basava dunque su una accurata dislocazione degli spazi e su una sostanziale separazione tra strutture permanenti (assai poche) e strutture provvisorie, alle quali erano sufficienti ampi spazi o, in via temporanea, piazze normalmente destinate anche ad altri usi.Un'idea precisa per Pavia nel sec. 14° la offre Opicino de Canistris, che sottolinea, innanzi tutto, la netta separazione tra gli spazi destinati ai m. più impegnativi: il m. del bestiame e le fiere. Al primo è destinata la piazza più grande della città (uno stadio per mezzo stadio, ossia ca. m 18090), il Brolium, situata tra la seconda e la terza cinta, verso N; allo svolgimento della fiera di S. Siro, che durava otto giorni nel mese di maggio, invece, era riservata la vicina piazza del Brolium Parvum, dove in questa occasione, secondo un uso ampiamente generalizzato, si erigevano banchi e tende. La normale attività di m., che Opicino si dilunga a descrivere, si svolgeva praticamente in tutta la città, ma ordinatamente e in luoghi stabiliti, tra i quali il principale era la piazza dell'Atrio, quindi la piazza davanti al palazzo del Popolo e il cortile del palazzo del Comune. Servizi essenziali, come le beccherie, erano distribuiti in diversi luoghi, ma la principale vendita di carne era situata nel centro cittadino.
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L'adozione di strutture urbane ereditate dalla Tarda Antichità caratterizzò tanto i m. protobizantini quanto quelli della prima epoca islamica, sebbene entrambi si connotassero spesso anche per la ripresa di modelli locali; inoltre, nelle aree orientali del mondo islamico, i m. subirono la forte influenza di tipologie proprie del mondo sasanide. Le caratteristiche storico-sociologiche intrinseche rendono in molti casi problematico stabilire se essi siano stati concepiti fin dall'origine secondo un preciso programma o se invece siano il prodotto del semplice susseguirsi di fasi costruttive diverse con reimpiego di spazi e materiali precedentiLe testimonianze ricavabili dalle fonti suggeriscono l'esistenza di numerosi centri commerciali e soprattutto di vie porticate a botteghe (ἔμβολοι) nella Costantinopoli bizantina. Rimane tuttavia assai complessa la stessa identificazione dei siti nei quali tali zone mercantili sorgevano. Infatti, le strutture erette in epoca ottomana sin dall'occupazione della città da parte di Maometto II (1453) non sembrano avere seguito l'impianto urbano precedente, né averne riprodotto le tipologie urbanistiche destinate alla produzione artigianale e al commercio (İnalcık, 1978, pp. 234-239), sebbene certamente si possa genericamente vedere in complessi come l'Uzunçarşı ('m. lungo'; od. Kapalıçarşı, 'm. coperto') la sopravvivenza di precedenti aree mercantili, come i portici di Domnino o quelli di Mauriano, di cui danno notizia le fonti già a partire dagli inizi del sec. 5° (Janin, 19642, pp. 87-99). Inoltre, l'assenza di ricognizioni archeologiche sistematiche in zone che pur dovevano essere densamente caratterizzate da attività mercantili, come nel caso del principale asse viario della città (Mese), non permette a tutt'oggi di identificare la forma esatta di edifici quali botteghe, officine o depositi. D'altro canto, le trasformazioni che nel corso dei secoli hanno caratterizzato questi complessi come quelle provocate dai danneggiamenti e dalle distruzioni causate a più riprese da incendi, per es. quello conseguente alla rivolta di Nika del 532, o quello che divampò nel 1204 al momento della presa della città da parte dei Latini - rendono ancor più ardua la possibilità di rinvenire i siti nella capitale bizantina.Restano tracce di attività mercantili e della concentrazione dei diversi mestieri in aree determinate nella denominazione di alcuni edifici, come la chiesa dedicata alla Theotokos Chalkoprateia (sec. 5°; od. Acem Ağa Mescidi), che doveva fare riferimento a artigiani del bronzo della zona (Χαλϰοπϱάται). Meno difficile è l'individuazione della presenza di m. per quanto concerne l'area commerciale della colonia genovese di Galata, dove la grande piazza del m. al centro dell'area - pur scomparendo nella sua conformazione originaria, risalente a un periodo successivo all'occupazione latina della città (secc. 13°-14°) - sopravvive in un'area coperta corrispondente al Perşembe pazarı ('m. del giovedì'), oggi complesso di edifici coperti (Sauvaget, 1934a, pp. 258-259; Eyice, 1982).Il problema di un'identificazione delle aree mercantili nella città bizantina individuato per Costantinopoli si ripropone in altri grandi centri urbani, a partire da Salonicco, che, pur avendo svolto un ruolo molto significativo sul piano economico e commerciale tra i secc. 9° e 12°, necessita tuttora di un'estensiva indagine. Diverso appare il discorso ove si affrontino i dati archeologici relativi a centri minori, sebbene ancora frammentariamente studiati per quanto concerne le strutture destinate alle attività commerciali. Crawford (1990) ha tentato di ricostruire un quadro d'insieme del riuso delle vie colonnate dell'Antichità in nuove strutture mercantili. Egli ha proposto la suddivisione dei m. in vari gruppi, principalmente 'siriano' ed 'egeo': il primo caratterizzato da strutture monumentali che avrebbero ispirato la stessa Costantinopoli, come nei casi di Palmira e soprattutto di Antiochia, il secondo connotato dall'appropriazione progressiva delle vie colonnate da parte di singoli privati. È certamente quest'ultimo il caso della fase bizantina della città di Sardi in Asia Minore, della quale Crawford ha studiato le botteghe disposte a ridosso del complesso includente le terme, il ginnasio e la sinagoga della città.Un fenomeno analogo caratterizza le tipologie edilizie degli edifici commerciali di Corinto in epoca mediobizantina. Scranton (1957, pp. 123-124) ha individuato diversi tipi di botteghe in questa città: in primo luogo i complessi contenenti esclusivamente negozi costruiti in unità composte da due a sei stanze regolari, separate tra loro, che con il tempo hanno spesso subìto ampliamenti. Non mancano esempi di fusione di modelli, come nella loggia disposta a ridosso della c.d. chiesa a bema, in cui si sovrappone alla tipologia della stoá classica la struttura consueta nelle logge italiane tardomedievali. Sempre a Corinto si poteva trovare un tipo di m. caratterizzato da botteghe probabilmente erette da singoli proprietari, precedute da un colonnato. Un'altra tipologia è di meno chiara identificazione e sembra essere caratterizzata da una relazione con strutture industriali secondarie.Il reimpiego di aree precedentemente destinate a m. caratterizzò anche i primi impianti urbani musulmani destinati alle attività mercantili e produttive (arabo sūq, persiano bāzār) e caratterizzò certamente gli insediamenti omayyadi. Gli esempi più consistenti di siffatta continuità possono essere identificati in contesto siriano: a Damasco l'antica via recta divenne Sūq al-ṭawīl e processi analoghi si verificarono in altre città, come Tiro, Sidone, Palmira, Antiochia e Laodicea. Tratto specifico degli insediamenti islamici era il reimpiego di vie colonnate o di portici, nei quali i mercanti e gli artigiani stabilivano il loro dukkān (pl. dakākīn), termine di provenienza aramaica originariamente destinato al banco (inizialmente maṣṭabat al-dukkān; Monneret de Villard, 1968, p. 153) sul quale il mercante esponeva le merci, passato poi a indicare più in generale il concetto di bottega. A questo termine va associato il hānūt (pl. hanāwīt), destinato in origine a indicare il concetto di 'taverna', per poi acquisire anch'esso il più generico significato di bottega. Uno dei casi più studiati di questo tipo di insediamenti è certamente quello di Laodicea (Sauvaget, 1934b; Wirth, 1975), ma non mancano m. sorti in città nuove come ῾Anjar (sec. 8°) in Libano, dove parrebbe essersi verificato un ibrido tra la bādiya (da intendersi qui come residenza privata del califfo) e una città vera e propria, nella quale botteghe erano allineate lungo strade colonnate in file continue (Chéhab, 1963).Se è vero che non esistevano strutture proprie alla tradizione 'araba' preislamica destinate alle attività mercantili, non deve essere trascurato il fatto che con l'avvento dell'Islam sopravvissero quelle fiere periodiche che caratterizzavano l'Arabia prima di Maometto: è il caso per es. del Sūq al-῾Uqāẓ, che si svolgeva annualmente sotto il controllo dei signori di Ṭā῾if, ed era ancora in funzione sotto i primi califfi (Monneret de Villard, 1968, p. 99; Cuneo, 1986, p. 106). Con la fondazione di città come Bassora o Kufa, tali complessi estemporanei si stabilirono inizialmente in vasti spiazzi (maydān), che divennero con il tempo sedi fisse di mercato. A questi vanno aggiunti i m. destinati a rifornire gli eserciti che si stabilivano ai margini delle città, come quelli per i soldati fatimidi (Raymond, Wiet, 1979, p. 28) o i più tardi ordu bāzār presenti in epoca mongola (Hoffmann, 1990, p. 421).Apparentemente diverse sono le condizioni nelle quali si formarono i primi m. islamici nelle aree precedentemente dominate dai Sasanidi. Le città avevano generalmente un centro commerciale esterno alla città vera e propria (arabo rabaḍ, persiano bīrūn): gli invasori si adattarono inizialmente a questa struttura urbana favorendo il perpetuarsi del fenomeno delle 'città doppie' sasanidi. È emblematico che, come era già avvenuto nella città di Hujistān vāchār (Iran), fondata da Ardashīr I (211-241) e poi divenuta in epoca islamica Sūq al-Ahvāz, molte altre città della regione portarono dopo l'invasione islamica il proprio nome preceduto dal termine sūq e tale uso sopravvisse anche in epoche avanzate, tanto che il buyide ῾Aḍūd al-Dawla (949-983) fondò una città-m. a poco più di km 1 a S di Shiraz (Iran) con il nome di Sūq al-Amīr (Monneret de Villard, 1968, pp. 99-100). Solo in un secondo tempo le 'città doppie' furono concepite come un unico contesto urbano. È questo il caso di Marv (Iran), in cui si realizzò un passaggio da una fase 'arcaica', caratterizzata dalla presenza di uno shahristān ('cittadella dei nobili') e di un m. eccentrico, a una fase 'matura' (sec. 9°), in cui il m. si stabilì in posizione centrale rispetto al contesto urbano (Bol'šakov, 1984; Cuneo, 1986, pp. 142-143).Con lo spostamento della capitale califfale da Damasco a Baghdad (sec. 8°) e con il conseguente spostamento verso Oriente del cuore politico dell'Islam, detto elemento arcaico sembra in un primo tempo avere il sopravvento: Lassner (1968, pp. 25-26) ha peraltro sottolineato che la creazione di appositi sobborghi commerciali, come quelli di al-Ruṣāfa o di al-Karkh, non fu successiva alla costruzione della Madīnat al-Salām (la città circolare fondata da al-Manṣūr nel 762), ma parallela a essa. Ogni m. era così separato dagli altri e i mestieri erano isolati, tanto che esisteva una via dei gabbiari e persino una dei gualchierai. Anche a Samarra i m. furono impostati fin dal principio secondo una concezione analoga (Rogers, 1970).In Spagna la maggior parte dei mestieri era raggruppata in sūq non distanti dalla grande moschea cittadina. A Córdova i m. erano costituiti da botteghe di un solo piano e i commerci di lusso erano circoscritti in aree particolari. Un sūq al-jamī῾ costituiva una sorta di fiera in cui era possibile trovare ogni genere di merce (Raymond, Wiet, 1979, p. 31).La specializzazione delle aree destinate al commercio caratterizzò sin dagli inizi i m. islamici (v. Artigianato): tale aspetto, riflesso in opere di diversa natura (Gavrilov, 1928; Brunschwig, 1947; Fahd, 1965; Baer, 1970; Cahen, 1970; Floor, 1975), derivò probabilmente in principio dall'adozione di consuetudini tardoantiche (Monneret de Villard, 1968, pp. 151-153), ma non è detto che simili usi non fossero presenti anche nella società sasanide, di cui a tutt'oggi non si conosce con precisione la struttura.La specializzazione artigiana e mercantile portò a una concezione 'gerarchica' dei m., con la disposizione delle botteghe per merci di lusso nel centro della città e via via le altre nelle aree periferiche, sino alle officine che producevano merci inquinanti, come le concerie o le industrie ceramiche, collocate all'esterno del contesto urbano. I m. al centro della città consistevano talvolta in botteghe coperte come la qayṣaryya, o il bazzistān (turco bedesten), che ospitavano i mercanti di gioielli o di stoffe preziose. Altri insediamenti potevano anche essere connessi ai luoghi destinati ad albergo, quali i caravanserragli o i fondaci (arabo funduq). Alcuni studi hanno offerto un quadro interessante della suddivisione dei m. in base alle diverse specializzazioni: è il caso del sūq di Damasco in epoca ayyubide, studiato da Eliséef (1956), del sūq al-Qaṭṭānīn ('m. dei cotonieri') di Gerusalemme, indagato da Golvin (1967), del bāzār di Isfahan, oggetto di una sistematica analisi da parte di Gaube (1978), o ancora delle tipologie mercantili ottomane, studiate da Cezar (1983). La rilevanza dei contesti mercantili nel più generale quadro della società islamica merita tuttavia ancora un'indagine complessiva per quanto concerne tutta l'epoca medievale.
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