MERCURIO (Mercurius)
Era presso i Romani il dio del commercio e del guadagno. Il suo nome va messo in relazione con le voci latine merx e mercari. Fu presto identificato col dio greco Ermete (‛Ερμῆς), figlio di Zeus e di Maia, nipote di Atlante, che con la sua accortezza e abilità sapeva condurre ogni cosa a buon fine. Fra le varie ed estese attribuzioni di questo dio v'era quella di essere nume tutelare del commercio, ispiratore dell'abilità di procurarsi l'agiatezza con l'attività commerciale, sia pure a mezzo di leciti inganni. Il benefico dio faceva inoltre prosperare il gregge, rendeva fecondi i campi e feraci i pascoli (v. ermete). Quindi nella religione romana fu facile l'identificazione del dio latino del commercio con la divinità greca, attribuendoglisi tutte le qualità di questa. Fino dai tempi remoti i mercanti romani celebravano in suo onore una festa alle idi di maggio (il 15), con abbondanti offerte d'incenso. Alle idi di maggio del 495 a. C., gli fu dedicato un tempio presso il Circo Massim0, e fu istituito il collegio dei mercanti romani (mercuriales). I Romani, per il tramite degli Etruschi, conobbero il tipo dell'Ermete greco, spesso rappresentato nei vasi attici dipinti. L'immagine di M. con il petaso alato dell'Ermete greco appare per la prima volta in un pezzo della serie monetale: nel sestante (due once).
Il numeroso collegio dei mercuriales era fra i più antichi di Roma e aveva la sua sede presso la porta Capena, in vicinanza del pomerio, ove sorgeva un sacello con un'ara dedicata al dio, presso il quale scaturiva una sorgente la cui acqua si considerava fornita di virtù lustrali. I mercanti aspergevano con un ramoscello di alloro bagnato di quell'acqua (aqua Mercitrii) le loro mercanzie per preservarle, con la protezione del dio, da cattivi influssi e dal deperimento. Il collegio aveva a capo un magister e i suoi membri potevano fare parte anche di altri collegi. Il collegium Mercurialium di Roma servì di modello per tutti i collegi consimili che si moltiplicarono in quasi tutti i municipi d'Italia e di fuori.
Il solo tempio dedicato a M., del quale si abbiano informazioni sicure, è quello dedicato nel 495 a. C., presso il Circo Massimo. Nella cerimonia della dedicazione, si pretende che, essendo stati rifiutati i due consoli dal popolo, tenesse le funzioni di sacerdote un centurione primipilare. Sorgeva alle falde dell'Aventino ed era di forma circolare. M. era inoltre venerato in numerose edicole compitali, nei quadrivî della città, specie nei quartieri abitati da commercianti. Ogni vicus di maggiore traffico aveva il suo sacello dedicato a M. con uno speciale epiteto. Così lo si diceva sobrius in un vico senza taverne; in un altro aveva il titolo di malevolus, perché il suo simulacro volgeva le spalle alle botteghe. Altri epiteti dati a Mercurio, in relazione con gli estesi suoi poteri, furono: potens, repertor, negotiator, mundinator, lucri conservator.
Il culto di M. andò unito con quello di Maia, la divinità eponima del mese di maggio, nel quale si celebrava la sua festa. L'estensione del culto e delle attribuzioni di M. andò sempre aumentando in progresso di tempo. E anche i suoi fedeli s'accrebbero di numero. Il collegio dei Mercuriali ricevette membri onorarì fuori dell'elemento commerciante; tributano onori alla divinità e gli rendono grazie anche personaggi consolari, tribuni militari e magistri di altri collegi. Il culto di M. si estendeva anche fuori di Roma, nel Lazio, nell'Etruria e in tutte le regioni d'Italia; fuori d'Italia fu propagato in modo particolare dai legionarî, insieme con quello della Fortuna. Ed ebbe nuovi titoli (sanctus, felix, custos, coelestis, consentiens, conservator, fatalis, finitimus). Quale protettore dei viaggiatori è detto reducens, perché assicura il loro felice ritorno. Altri grecizzanti lo dicono: epulo, euphrosinus, quasi fosse il patrono dei festini, il dio dell'allegrezza. Cura inoltre la salute degli esseri umani, è il genio della pace e della concordia, procura la vittoria; è detto invictus, augustus, aeternus. Orazio (Carm., I, 2, 25-40) fa credere che sia umanizzato nella persona di Augusto, per vendicare Cesare e salvare Roma e i Romani. Sembrano illustrare il testo di Orazio alcune statuette rappresentanti Augusto con gli attributi di M. Il dio bene esprimeva nella sua essenza il carattere del popolo romano, al tempo stesso pratico e abile nella politica e nel governo.
M. fu rappresentato nell'arte romana dapprima nelle monete della serie dell'aes grave, nel sestante, ove nel dritto è la sua testa di profilo. Il tipo è preso dall'arte greca; un volto di giovane imberbe, coperto dal petaso a orli stretti, con due alette. Il tipo dell'Ermete greco ringiovanito fu largamente riprodotto dagli artisti etruschi, specie nei graffiti decoranti gli specchi. In uno di questi, rappresentante il dio in atto di fare la presentazione delle tre dee a Paride, la sua figura è acmmpagnata dal suo nome latineggiante: Mirqurios. In una moneta della gens Rubria sono rappresentate le teste accollate di Ercole e di Mercurio con il petaso alato, formanti cioè un Hermeracles.
In arte il tipo romano di M. è in genere la riproduzione del tipo ellenistico del sec. IV; vi si aggiunge talvolta come attributo del dio, in modo particolare ritenuto per protettore del commercio, la borsa di denari (crumena) che tiene per lo più nella destra, mentre la sinistra regge il caduceo. È rappresentato nudo, o semplicemente ricoperto dalla clamide, talvolta dalla paenula. In qualche rappresentazione in luogo del petaso alato, due piccole ali gli escono dalla capigliatura. Nelle pitture parietali è talvolta rappresentato insieme con la figurazione della Fortuna. Gli artisti romani hanno inoltre aggiunto le ali anche al caduceo, tanto sopra quanto sotto i due intrecci della verga. Animali a lui sacri accompagnano spesso la figura di M., quali il caprone, l'ariete e anche il vitello e il maiale. Erano queste le vittime che si sacrificavano in suo onore. La tartaruga che qualche volta ha in, mano, o ai piedi, ricorda l'invenzione della lyra, fatta secondo la leggenda da Ermete fanciullo, servendosi dell'involucro di una tartaruga. Il gallo che qualche volta accompagna la figura di M. è un motivo tardo esclusivo dell'arte romana, che si è compiaciuta a moltiplicare attorno al dio figure di animali. Anche la sfinge e lo scorpione si trovano in qualche rilievo tra gli attributi di Mercurio. Il M. romano è adunque meno agile e garbato del suo prototipo greco; v'è qualche eosa di più complicato nell'espressione della sua personalità. Questo carattere complesso è anche più spiccato in certe rappresentazioni, dove si sono volute fondere con le caratteristiche di M. quelle di altre divinità. Così sono noti alcuni tipi di Mercurio-Apollo in bronzetti della Gallia; caratteristico è inoltre un curioso ex-voto con il busto di M., inquadrato da due cornucopie e da figurine della triade capitolina; dall'inquadratura pendono, appesi a catenelle, sette campanelli (tintinnabula). Busti di M. in bronzo formavano il romano di molte bilance; nessuna divinità era più indicata a tale scopo. Abbondano nell'arte romana le riproduzioni delle celebri statue di Ermete di Policleto, di Scopa, di Prassitele e di Lisippo. Così anche nella letteratura i poeti latini si sono ispirati talvolta alla concezione greca del dio. Plauto nel prologo dell'Amphitruo delinea un compromesso tra il Mercurio romano e la divinità ellenica, e nel corpo della commedia traccia una felice caricatura del messaggero degli dei, di sapore del tutto greco. Così Orazio, in un'ode imitata da Alceo, si compiace di evocare la figura dell'Ermete psicopompo, del tutto estranea all'essenza del Mercurio romano (Carm., I, 10, 17-20). Così Virgilio nell'Eneide fa confidare a M. dei messaggi per i suoi eroi. Anche in Properzio (III, 30,6) e in Lucano (IX, 661) si riscontrano simili sincretismi.
Fuori d'Italia il culto tributato al M. italico fu abbastanza diffuso nelle regioni dell'alto Danubio e sul Reno, e anche nella Gallia Narbonese e nella Lugdunese. Ebbe minore estensione in Spagna e in Africa; rare tracce se ne hanno nelle parti occidentali dell'Impero, dove, naturalmente, predominò sempre il culto di Ermete. In qualche caso, specie in Germania e nelle Gallie, nel culto di M. si ebbe la trasformazione, con nuova denomlnazione, del culto di una delle divinità barbariche di quelle regioni.
Bibl.: Guigniaut, De Mercurii mythologia, Parigi 1853; H. D'Arbois de Jubainville, Le Mercure gaulois, in Revue archéologique, n. s., XXVI (1873), ii, p. 95; R. Mowat, Les types de Mercure en Gaule, in Bulletin monumental, 1876, p. 338 seg.; M. Collignon, Mythologie figurée, Parigi 1880, pp. 115-130; L. Preller e H. Jordan, Römische Mythologie, II, 3ª ed., Berlino 1883, pp. 229-234; A. Scheffler, De Mercurio puero, Königsberg 1884; L. Preller e C. Robert, Griechische Mythologie, 4ª ed., Berlino 1887, pp. 385-422; P. Monceaux, Le Mercure arverne, in Revue historique, 1887-1888; Ploix, La nature des dieux, Parigi 1888, pp. 176-211; H. Steuding, in Roscher, Lexikon der griechischen und römischen Mythologie, II, coll. 2802-2831; O. Gilbert, Griech. Götterlehre, I, Lipsia 1898, pp. 214-229; A. Legrand, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, s.v. Mercurius, III, II, Parigi 1904, p. 1802 segg.; J. Toutain, Les cultes païens dans l'empire romain, I, Parigi 1907, p. 297 segg.; G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, 2ª ed., Monaco 1912, p. 198 segg.; K. Scott, Mercur-Augustus und Horaz, in Hermes, LXIII (1928), p. 15 segg.; W. Kroll e F. Heichelhein, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XV, col. 975 segg.; F. Altheim, Griechische Götter im alten Rom, Giessen e Lipsia 1930, pp. 40-93; id., Röm. Religionsgesch., I-III, Berlino 1931-1933, passim.