MEROVINGI
. Quella dei M. fu la prima dinastia che regnò sui Franchi dal sec. V alla metà del sec. VIII.
Secondo leggende raccolte da scrittori dei secoli VI e VII, la sposa di un re Clodio avrebbe avuto dal dio del mare un figlio di nome Meroveo. Personaggi storici sono però Meroveo e Clodio che appaiono alla testa di una tribù franca nell'età di Valentiniano III. In un contrasto fra i due fratelli, Meroveo ebbe la protezione di Ezio e con lui combatté contro gli Unni nella battaglia dei Campi Catalauni.
I Merovingi erano legati con l'impero mediante il legame del foedus. Soltanto dopo il 480, per merito di Clodoveo, i Merovingi poterono distruggere le altre dinastie regnanti nei varî gruppi franchi e unificare quasi tutto il popolo, condizione necessaria per poter procedere alla conquista di quasi tutta la Gallia romana, iniziata e portata avanti da Clodoveo con le guerre contro gli Alamanni e i Visigoti e compiuta dai figli suoi con la conquista della Borgogna. Sole rimasero fuori dell'orbita dei Merovingi la Bretagna semindipendente e la Settimania sotto i Visigoti. Avidi di conquiste, i figli e i nipoti di Clodoveo cercarono di penetrare in Spagna e in Italia, ma furono impediti di affermarvisi, in quella per la resistenza dei Visigoti, in questa perché l'impero bizantino riuscì ad affermare una certa superiorità anche sul regno longobardo. Invece non trovarono i Merovingi alcuna resistenza oltre il Reno, dove conquistarono la Turingia, e imposero il loro primato ai Bavari e a qualche tribù sassone. Poi le conquiste si fermarono.
I Merovingi non avevano un programma politico né ebbero in genere altezza di mente e nobiltà d'animo. Cristiani, non sentirono alcun rispetto per la religione; tradimenti, assassinî e atti di crudeltà caratterizzano il loro governo. Vivono fra le concubine e le mogli senza alcun riguardo alla famiglia; non hanno alcun rispetto per il giuramento. Il regno è per essi una ricchezza da conservare e da accrescere; alla morte d'ogni re, i territori vengono divisi fra gli eredi al pari delle oreficerie e dei cavalli e nascono guerre civili per questioni di eredità. Neppure nel governo interno dello stato rivelano doti di organizzatori e di amministratori. Vivono sfruttando le istituzioni e le preesistenti magistrature romane, ma non si curano né di conservarle, né di riformarle. Le abbandonano alla trasformazione secondando solo i capricci e le cupidigie personali, senza preoccuparsi se il vantaggio proprio immediato non nasconda il trionfo a breve andare dell'aristocrazia che ingigantisce in potenza e in autorità.
La decadenza della dinastia si fa notevole nel sec. VII. Il regno è ripetutamente nelle mani di minorenni; il potere è conteso dalle regine, dai maestri di palazzo, dai più cospicui personaggi dell'aristocrazia. La divisione del regno in Austrasia e Neustria dà origine a due dinastie merovingiche in contrasto. I re sono assai spesso di fatto un puro trastullo nelle mani dei maggiordomi. Nel sec. VIII gli ultimi Merovingi sono ombre evanescenti; in prima linea sta già la nuova dinastia dei Pipinidi e dei Carolingi, forti della potenza loro data dal maggiordomato. Nel 737 la dinastia merovingica parve estinguersi con Teoderico IV; Carlo Martello e Pipino il Breve continuarono a governare senza che il trono fosse occupato. Nel 745 Pipino fece riconoscere come re un Chilperico III, discendente dai Merovingi, ma nel 751 assunse personalmente il titolo di re.
Bibl.: G. Monod, Études critiques sur les sources de l'histoire mérovingienne, Parigi 1872; F. Dahn, Die Könige der Germanen, VII, Lipsia 1894; N.-D. Fustel de Coulanges, Histoire des institutions politiques de l'ancienne France, VI, Parigi 1888-1892; E. Lavisse, la Décadence mérovingienne, in revue des Deux Mondes, XII, p. 15 (1885); G. Kurth, Histoire poétique des Mérovingiens, Parigi 1893; M. Prou, La Gaule mérovingienne, Parigi s. a.; G. Richter, Annalen des frankischen Reichs im Zeitalter der Merovinger, Halle 1873; A. Thierry, Récits des temps mérovingiens, in Œeuvres complètes, VII, VIII; P. Viollet, Histoire des instit. polit. et admin. de la France, I, 1890.
La poesia eroica merovingica.
Che sia esistita una poesia eroica o un'epopea merovingica e che questa sia stata quasi il ponte di passaggio di certe formule poetiche fra le canzoni germaniche e quelle carolingiche, è un'opinione che, sebbene non suffragata da prove di fatto, ha tenuto il campo sino a questi ultimi anni. Anzi, v'è stato chi, fondandosi su racconti leggendarî di cronache latine (la Historia Francorum di Gregorio di Tours, il Liber historiae Francorum e la compilazione di Fredegario), si è ingegnosamente sforzato di ricostruire i contenuti dei presunti poemi di materia merovingica perduti (Kurth). Nessuno può pretendere di affermare che nell'età merovingica sia mancata la poesia, perché dove sono uomini, ivi è poesia; ma non abbiamo nessun documento, che ci permetta di supporre l'esistenza di vere e proprie canzoni di gesta in età così remota e tanto lontana dal periodo della seconda rinascenza francese (secoli XI-XII), al quale (vedi canzoni di gesta; carolingi, IX, p. 119) si possono, a buon diritto, far risalire (nella forma, almeno, in cui ci sono stati conservati) i primi poemi nazionali francesi. Il solo testo, che potrebbe attestare l'esistenza di canzoni merovingiche, cioè il celebre canto di S. Farone, è ora ritenuto apocrifo (Krusch, Bédier) o punto significativo.
Non si può, dunque, parlare di un vero e proprio ciclo merovingico (Darmesteter) perché i poemi che trattano materia merovingica, rientrano, tutto sommato, nella "Gesta del Re" (v. canzoni di gesta) e sono anzi da ascriversi a un periodo tardo, se li confrontiamo con le canzoni propriamente carolingiche. L'unico manoscritto del maggiore poema d'argomento merovingico è del sec. XIV. Il poema, di poco anteriore, si può intitolare Floovant, dal nome del protagonista, figlio del primo re cristiano di Francia, Clodoveo. Altri poemi, già ascritti a questo ciclo, hanno dato origine a illazioni e teorie che la critica moderna sta dissolvendo. Così questi poemi sono ora veduti entro una luce diversa, per es., Charles le Chauve, Florent et Octavian. Quest'ultimo lungo e affannoso poema è anch'esso del sec. XIV. Non v'ha dubbio che nessuno possa sentirsi autorizzato a costruire, senza rischio di cadere nella rete delle illusioni, un ciclo merovingico sulla base di poemi scritti in età così tarda.
Bibl.: P. Rajna, Le origini dell'epopea francese, Firenze 1884; G. Kurth, Histoire poétique des Mérovingiens, Parigi e Bruxelles 1893; A. Longaon, La chanson de l'abbé Dagobert, in Romania, XXIX (1900), p. 490 segg. Sul canto di S. Farone: F. D'Ovidio, in Mem. della R. Accad. dei Lincei (CL. di scienze mor.), 1919. Contro l'epopea merovingica: K. Nyrop, Storia dell'epopea francese, Torino 1888 (trad. di E. Gorra), e soprattutto: J. Bédier, Les légends épiques, voll. 4, Parigi 1908-1913 (cfr. Archivum romanicum, V, 1920, p. 110); id., Les chansons de geste, Parigi 1921 (vol. XIII dell'Histoire de la nation française, di G. Hanotaux).