MEROVINGI
La dinastia merovingia, che deriva il suo nome da Meroveo - mitico eponimo dei Franchi Salî, germani del Reno inferiore -, regnò sull'antica Gallia romana dall'epoca di Clodoveo (481/482-511), suo conquistatore, al 751, data della deposizione dell'ultimo dei M. da parte di Pipino il Breve (751-768) e del conseguente avvento dei Carolingi.L'insediamento dei M. in Gallia non portò a una brutale rottura rispetto alla civiltà della Tarda Antichità, ma fu accompagnato da un fenomeno generale di continuità amministrativa, sociale, economica, culturale e religiosa facilmente comprensibile, dovuta al fatto che i Franchi, anche se divenuti padroni della Gallia, rimasero sempre una minoranza che si adattò alle strutture preesistenti; d'altro canto essi, da molte generazioni insediati nel territorio imperiale come alleati militari, erano di fatto già virtualmente integrati nel mondo romano. L'arte merovingia appare dunque il prolungamento diretto di quella della Tarda Antichità, pur riflettendo in certa misura i gusti di un'aristocrazia divenuta ormai gallo-franca. Quanto alle innovazioni, manifestatesi soprattutto nell'ambito delle arti suntuarie, esse sono l'esito di apporti che non è possibile mettere direttamente in relazione con i Franchi, anche se i loro ceti dominanti ebbero un ruolo decisivo nella diffusione di queste nuove mode.Come dimostrano le testimonianze letterarie e le indagini archeologiche, la fisionomia delle città merovinge ricalca quella delle città tardoantiche, conservandone l'impianto, le cinte murarie, la rete stradale, le strutture essenziali del patrimonio immobiliare pubblico e privato, nonché il sistema delle necropoli. Le città ebbero peraltro, tra il sec. 6° e l'8°, nuove sistemazioni urbanistiche, legate - come già nel Basso Impero - all'edificazione di chiese, come per es. a Parigi che in quest'epoca vide la costruzione di oltre una ventina di edifici di culto.Le chiese intramuranee diedero vita a modificazioni più o meno importanti del tessuto urbano: scavi recenti a Ginevra, Lione e Rouen, al pari di quelli di Treviri e di Colonia, hanno rilevato l'eccezionale ampiezza degli insiemi monumentali che costituirono i gruppi episcopali, con chiese multiple (tra cui spesso una cattedrale 'doppia'), battistero e residenza del vescovo.Architettura religiosa.- L'architettura religiosa è ben nota sia attraverso i monumenti, in tutto o in parte conservati, sia attraverso gli scavi. Accanto alle piante cruciformi (Parigi, Saint-Germain-des-Prés; Grenoble, Saint-Laurent) od ovali (Colonia, St. Gereon), la pianta basilicale risulta sempre la più diffusa sia per le cattedrali (Colonia, Treviri, Rouen, Lione, Ginevra) sia per le basiliche funerarie (Lione, Saint-Laurent-de-Choulans e Saint-Just). La chiesa di Saint-Pierre a Vienne, nel Delfinato, della fine del sec. 5°, rappresenta tuttavia l'unico esempio ancora conservato di questo tipo in Gallia. Tali edifici, a una o più navate, erano spesso preceduti da un atrium e dotati di portici laterali, talvolta con campanili.Si sono conservati vari battisteri risalenti alla fine dell'epoca romana o a epoca merovingia (Fréjus, Poitiers, Riez, Aix-en-Provence); altri sono stati individuati archeologicamente (Lione, Ginevra, Marsiglia, Cimiez a Nizza, Grenoble, Séviac, Port-Bail); queste costruzioni presentano piante originali - quadrate con nicchie angolari o cruciformi - e, pur conservando le tecniche architettoniche della Tarda Antichità, testimoniano la maestria dei loro costruttori nel passaggio da una pianta quadrata a una copertura a cupola per il tramite di un tamburo ottagonale, traforato da finestre (Fréjus).A eccezione dei grandi monasteri (Jouarre, Chelles, Nivelles) e di alcuni santuari, l'architettura religiosa in pietra ebbe sviluppo limitato. Se la marca settentrionale e quella orientale del Regnum Francorum furono segnate da una prima ondata di fondazioni di chiese in legno, il resto del regno vide fin dall'inizio la costruzione di chiese rurali, le cui fondazioni in pietra sorreggevano muri in pietra o in legno e torchis (impasto di argilla e paglia): si tratta, nella grande maggioranza dei casi, di piccole basiliche funerarie, edificate per iniziativa dell'aristocrazia gallo-franca. Sono strutture con navata rettangolare, capocroce con abside semicircolare o quadrangolare e, in qualche caso, atrium, portici e annessi, come negli esempi rinvenuti durante gli scavi di Briord (dip. Ain), Chassey-lès-Montbozon (dip. Haute-Saône), Saint-Julien-en-Genevois (dip. Haute-Savoie) e Montferrand (dip. Aude).
Come testimonia il battistero di Poitiers, del sec. 4°, rimaneggiato in epoca merovingia, il mattone, combinato con la pietra di piccolo modulo, venne largamente utilizzato per la decorazione dei muri esterni degli edifici religiosi (incatenature, rosoni, losanghe curvilinee). Gli scavi hanno anche rivelato nel Sud-Ovest della Francia, nella valle della Loira e nella regione parigina la presenza di elementi architettonici in terracotta modellata, che si inseriscono nella tradizione antica: mattoni piatti con bordi decorati (ovoli, girali, volute), modiglioni dalle estremità scanalate, antefisse a frontone con l'impressione di una maschera umana crucifera (Santo Volto). La decorazione in pietra scolpita non doveva peraltro essere assente dalle facciate, come testimonia il battistero di Poitiers, con capitelli a decorazione vegetale posti su pilastri, mensole, timpani modanati e pannelli decorativi a bassorilievo schiacciato, con fioroni e palmette.Per i capitelli, che - a differenza delle colonne, ritenute per lo più materiale di spoglio - sono di produzione merovingia, si è tentato di tracciare con maggiore o minore fortuna l'evoluzione stilistica tra il sec. 5° e il 7° (Fossard, 1947), datando alcuni di essi attraverso i monumenti di pertinenza reale o ipotetica, spesso peraltro di incerta datazione, e senza considerarne il possibile reimpiego. Se in molti casi è difficile distinguere i capitelli tardoantichi riutilizzati dalle imitazioni merovinge, queste ultime testimoniano tuttavia - parallelamente al prolungamento dei tipi vegetali ibridi con perdita generalizzata di modellato - incontestabili innovazioni, quali l'unico giro di foglie, la presenza di motivi a spina di pesce (chevrons) sulle nervature e di croci patenti tra le volute angolari o ancora la tendenza alla stilizzazione degli ovoli e delle scanalature, con alcune opere di eccezionale originalità e livello qualitativo (Jouarre).Rari resti archeologici permettono inoltre di restituire altri aspetti della decorazione interna dei santuari merovingi, ricordata dai testi per la sua sontuosità: triplo portico dipinto con figure bibliche e ricco soffitto ligneo scolpito nell'edificio parigino dedicato agli apostoli, poi abbazia di Sainte-Geneviève; marmi preziosi, oro dei muri, rivestimenti dorati della volta, pavimenti a mosaico e tetto di bronzo scintillante, nella chiesa di Sainte-Croix-et-Saint-Vincent, sempre a Parigi, per questo denominata di Saint-Germain-le-Doré, prima di divenire Saint-Germain-des-Prés. La cripta di Notre-Dame-de-Confession, nella chiesa di Saint-Victor a Marsiglia, è uno dei rari monumenti che conservi in situ un pannello musivo a fondo d'oro e motivo policromo di girali, insieme con il rivestimento di stucco, con pampini di vite, nell'intradosso di un arco (sec. 5°). Gli scavi recenti della cattedrale di Saint-Pierre a Ginevra hanno rilevato nel palazzo episcopale di epoca merovingia la presenza di mosaici.La scultura in marmo o in pietra non si limita alla decorazione architettonica propriamente detta, ma comprende anche diversi arredi liturgici, come cibori, amboni, recinzioni e mense d'altare; ne sono esempi la mensa d'altare in marmo di Saint-Victor di Marsiglia, del sec. 5°, il pluteo d'ambone di Saint-Martin a Ligugé, nei pressi di Poitiers, del sec. 6°-7°, con un cervo che bruca l'albero della vita (Poitiers, Mus. Sainte-Croix), e ancora la celebre recinzione presbiteriale di Saint-Pierre-aux-Nonnains, a Metz, del sec. 7° (Metz, La Cour d'Or, Mus. de Metz).È certamente ai pilastrini di una recinzione in pietra, contemporanea a quella di Metz, che sembrano doversi connettere tre degli scalini d'accesso all'ipogeo delle Dune a Poitiers, con fregi che presentano mostri marini, foglie di edera e serpenti intrecciati. Scoperta nel 1878, questa cappella funeraria, che un'iscrizione indica come destinata all'abate Mallebaudo, conserva altri elementi scolpiti, come gli stipiti della porta d'accesso, che recano rispettivamente una successione di cerchi decorati con motivi floreali stilizzati e un fregio a carattere vegetale - alcuni alveoli hanno conservato le originali incrostazioni in pasta vitrea -, e una base di croce monumentale, in origine posta all'esterno del mausoleo, con l'immagine dei due ladroni a fianco di una colonna sormontata da un capitello; benché l'insieme sia stato eseguito a bassorilievo, i tratti del volto e i capelli, al pari di alcuni dettagli anatomici dei torsi o dei perizomi, sono evidenziati grazie alla tecnica di incisione.
Oltre a epitaffi ancora in linea, almeno fino al sec. 6°, con la tradizione paleocristiana, la scultura funeraria è documentata da pietre tombali più o meno elaborate, come le stele di pietra del Vexin francese (Guiry-en-Vexin, Mus. Archéologique Dép. du Val-d'Oise), scolpite con motivi geometrici semplici o di ispirazione cristiana, o quelle della Renania, in particolare la stele di Königswinter-Niederdollendorf (Bonn, Rheinisches Landesmus.). Essa rappresenta un magnifico esempio di sincretismo: da un lato vi figura la rappresentazione del Cristo trionfante, nimbato e recante una lancia, dall'altro il defunto che tiene il suo scramasax e si acconcia con l'aiuto di un pettine; oltre a presentare una fiasca ai piedi, il personaggio è avvicinato da due serpenti, uno dei quali bicefalo, motivo popolare associato al mondo dei morti nella tradizione germanica.Sono tuttavia i sarcofagi che illustrano nella maniera migliore la scultura funeraria merovingia. Le casse si differenziano progressivamente dagli esemplari antichi, rettangolari, per l'adozione di una forma trapezoidale più o meno marcata, con le pareti spesso più alte in corrispondenza della testa. I coperchi sono a tetto o piani e presentano, in alcuni casi, forti reminiscenze antiche con una forma bombata (Champagne, Borgogna); quelli a tetto hanno anche la variante a quattro falde, dotata di acroteri angolari atrofizzati (Poitou).A eccezione del Sud-Ovest della Gallia, ove perdurò fino alla fine del sec. 6° la tradizione tardoantica dei sarcofagi marmorei, nelle altre regioni essi furono realizzati in materiali locali. Lo studio della distribuzione geografica degli esemplari decorati, cui si aggiunge oggi quello degli esemplari non decorati, ha portato a identificare alcune aree regionali di diffusione ben distinte (gruppi bordelais e poitevins) o intersecantisi (tipi bourbonnais, bourguigno-champenois, a fasce striate incise). A esse è opportuno aggiungere, nel centro del bacino parigino, la caratteristica serie dei sarcofagi di gesso colato in forme, in cui le lastre di copertura scolpite permettono la ripetizione di motivi geometrici o cristiani.Se si fa eccezione per un certo numero di siti, a proposito dei quali alcuni santuari attestano la precoce cristianizzazione (Civaux, Isle-Aumont, Quarré-les-Tombes), l'uso di sarcofagi nelle campagne della metà settentrionale della Gallia merovingia non appare diffuso prima del 7° secolo. Ciò non accade nella regione tra la Loira e i Pirenei, dove, in realtà, questo tipo di sepolture è frequente soprattutto nei cimiteri rurali associati a chiese.Tanto nei centri urbani quanto nelle campagne, la moda dei sarcofagi scomparve nel corso del sec. 8°, per l'evoluzione dei costumi funerari, che condusse alla scomparsa dei cimiteri in estensione, con giustapposizione di tombe individuali, a vantaggio delle sepolture ad sanctos, che escludevano ormai i sarcofagi.Miniatura.- L'abbazia di Luxeuil (dip. Haute-Saône), fondata da s. Colombano nel 590 ca., giocò un ruolo determinante nell'arte del mondo merovingio, grazie al suo scriptorium che tra l'altro consentì la conoscenza in Gallia dei manoscritti irlandesi e italiani. I monasteri di Corbie (dip. Somme) e di Laon (dip. Aisne) furono centri altrettanto famosi per la produzione miniatoria. I più celebri manoscritti miniati su pergamena sono, per Luxeuil, le Homiliae in Ezechielem prophetam di s. Gregorio Magno, del secondo quarto del sec. 7° (San Pietroburgo, Saltykov-Ščedrin, Lat. Q.v.I.14), il Missale Gothicum, del 700 ca. (Roma, BAV, Reg. lat. 317), e il Codex Ragyndrudis, opera dei Padri della Chiesa, della metà del sec. 8° (Fulda, Hessische Landesbibl., Bonifatianus 2). Nel monastero di Corbie venne decorata la Regula sancti Basilii, del 700 ca. (San Pietroburgo, Saltykov-Ščedrin, Lat. F.v.I.2), mentre le Quaestiones in Heptateuchon di s. Agostino, della metà del sec. 8° (Parigi, BN, lat. 12168), vennero miniate nella Francia settentrionale, forse a Laon. Si possono inoltre ricordare, sempre per il Nord della Francia, il Sacramentario gelasiano, della metà del sec. 8° (Roma, BAV, Reg. lat. 316), e, per le regioni orientali dello stesso paese, il Chronicon di Fredegario, della metà del sec. 8° (Parigi, BN, lat. 10910), con meravigliosi disegni di personaggi e animali.La decorazione di questi manoscritti, ottenuta con l'impiego di colori caldi, fu all'inizio riservata alle pagine di frontespizio. Queste ultime prevedono un'incorniciatura rettangolare o di tipo architettonico, all'interno della quale compare spesso inscritta una grande croce, cui si avvicinano uccelli o belve; le fasce delimitate dalla cornice o i bracci della croce sono decorati da fregi con animali fantastici o anche da eleganti motivi geometrici o vegetali. Grande cura venne riposta anche nella realizzazione delle pagine di incipit, in cui tutte le lettere non sono più calligrafate ma disegnate e miniate, con un frequente ricorso al repertorio animalistico, completato da motivi geometrici, in particolare sapienti intrecci. Lo stesso tipo di trattamento appare riservato alle iniziali che segnano il principio dei capitoli o dei paragrafi.Senza mai raggiungere la perfezione e la raffinatezza dei loro omologhi insulari, i manoscritti miniati usciti dai monasteri merovingi della Francia settentrionale sono tuttavia testimonianza di un'arte compiuta e di uno stile originale, che conobbero in seguito ancora dei diretti prolungamenti nella seconda metà del sec. 8°: ne sono buoni esempi lo Hexaemeron di s. Ambrogio, proveniente da Corbie, della seconda metà del sec. 8° (Parigi, BN, lat. 12135), e il Sacramentario gelasiano, detto di Gellone, dalla regione di Meaux, della fine del sec. 8° (Parigi, BN, lat. 12048). Fu sempre nella seconda fase dell'epoca merovingia che alcuni scriptoria della Gallia settentrionale, in particolare Luxeuil, Chelles e Corbie, misero a punto delle scritture corsive, più veloci da tracciare rispetto alle onciali o semionciali ereditate dall'Antichità.
Le arti del metallo conobbero un notevole sviluppo, tanto da documentare più di altre manifestazioni l'evoluzione originale del gusto; accanto a oggetti di carattere liturgico, sono conservati vari pezzi emersi nel corso di scavi, per lo più di provenienza funeraria. Le tecniche utilizzate sono segnate al tempo stesso dall'eredità antica e da elementi innovativi.Le produzioni in metallo fuso - bronzo, argento, più raramente oro - attestano una larga sopravvivenza delle conoscenze tecniche gallo-romane. Tuttavia, a differenza dei secoli precedenti, l'epoca merovingia non ha lasciato opere fuse di grandi dimensioni o comunque a tutto tondo (ma può trattarsi di una carenza di documentazione), salvo forse la parte inferiore del trono detto di Dagoberto, attribuito al sec. 7° (Parigi, BN, Cab. Méd.). Gli accessori dell'abbigliamento, gli oggetti di decorazione personale, l'equipaggiamento militare e anche gli oggetti d'uso comune sono invece innumerevoli e testimoniano la maestria dei fonditori merovingi, che utilizzarono spesso procedimenti di fabbricazione seriali. La tecnica più sofisticata era quella a cera persa, con rifinitura finale del pezzo. Una tecnica più sommaria consisteva invece nel colare direttamente il metallo allo stato liquido in stampi di argilla non riutilizzabili, le cui due facce interne erano state impresse con l'aiuto di matrici, specialmente di piombo. Lo stampo veniva in questo caso frantumato per liberare l'oggetto, che era poi rifinito attraverso molte operazioni: asportazione delle sbavature, spianatura, completamento della decorazione con un bulino o un punteruolo, stagnatura dei bronzi, doratura al mercurio e niello di alcuni dettagli per gli oggetti d'argento. Lo studio delle carte di distribuzione degli oggetti provenienti dagli stessi stampi, come le fibule ansate asimmetriche in bronzo o in argento, prova l'esistenza di botteghe che assicuravano una larga diffusione regionale dei loro prodotti, con qualche oggetto che poté giungere fino alla periferia del mondo merovingio.L'agemina - arte di intarsiare o placcare metalli su di un supporto costituito da un metallo differente - conobbe in Gallia un grande sviluppo a partire dalla fine del sec. 6°, senza dubbio sotto l'impulso di artigiani orientali che contribuirono a farne l'arte popolare per eccellenza del mondo merovingio. Venne principalmente applicata alla decorazione delle guarnizioni di cintura, di calzature e di cinturoni, ma anche a quella di bardature e di fibule. Alla fine del sec. 6° e agli inizi del 7° predominavano i motivi geometrici a intarsi di fili d'argento, a imitazione della tecnica cloisonnée. La prima metà del sec. 7°, marcata da uno stile 'monocromo', vide la combinazione dell'intarsio e della placcatura in argento, con motivi a trecce su fondo ombreggiato. Per contro, a partire dalla seconda metà del sec. 7° si impose lo stile 'bicromo', con il predominio della placcatura a foglia d'argento, nei cui spazi risparmiati venivano intarsiati fili di ottone che disegnavano intrecci zoomorfi e in seguito arabeschi. La fine della pratica della sepoltura dei defunti con corredo, che si verificò in Gallia agli inizi del sec. 7°, non permette di seguire in questa regione l'evoluzione dell'agemina.Gli stretti contatti intrattenuti nel corso della seconda metà del sec. 5° con i Germani orientali permisero l'introduzione in Occidente dello stile 'colorato', che ebbe origine nel sec. 5° nelle regioni danubiane. Nella prima fase gli orafi merovingi utilizzarono essenzialmente la tecnica cloisonnée, con la quale vennero decorati con reticoli larghi e semplici di granati - o anche paste vitree colorate - fibbie di cinture, ornamenti di spade, fibule o fermagli di borsa. Nel corso della seconda metà del sec. 6° i cloisons divennero di dimensioni minori e di disegno più complesso, le superfici rivestite a cloisonné si ridussero e la decorazione venne completata da foglie di metallo stampato, da graniture, da globetti o da filigrane in oro o argento. Questa tecnica non fu più utilizzata per la decorazione di oggetti d'uso comune a partire dagli inizi del sec. 7°, ma sopravvisse fino alle soglie dell'epoca carolingia nell'arredo liturgico, come nella croce di s. Eligio per Saint-Denis, un frammento della quale è conservato a Parigi (BN, Cab. Méd.).Variante dello stile 'colorato' è quella delle pierres en bâtes montate in incassi metallici individuali, che si diffuse nella Gallia merovingia solo a partire dalla fine del sec. 6°, per conoscere poi una pratica ininterrotta fino al pieno Medioevo. Questa tecnica prese, per certi aspetti, il posto di quella cloisonnée, trovando la sua migliore espressione su alcune fibule rotonde o quadrilobe, con composizioni simmetriche di cabochons e di pietre multicolori, associate alle filigrane, alle graniture e ai globetti.Le filigrane, usuale decorazione complementare dei gioielli ornati con la tecnica delle pierres en bâtes, compaiono talvolta anche da sole, nella realizzazione di eleganti cestelli traforati per orecchini, teste di spilloni o anelli. Inoltre gli orafi merovingi, al pari dei bronzisti, praticarono normalmente la tecnica repoussée (battitura dal rovescio, eseguita con l'aiuto di un attrezzo, della lamina di metallo per ottenere un decoro a rilievo) e soprattutto quella dello stampo (riproduzione meccanica di una decorazione grazie all'imbutitura di una lamina con l'impiego di una matrice di metallo) per la decorazione di guarnizioni di cofanetti e secchielli o anche per piastre di fibule.Il damas soudé, o damaschinatura, è una tecnica definita dai motivi organizzati simmetricamente - linee parallele separate da fasce a spina di pesce o a volute -, applicata sulle lame delle spade e su alcune punte di lancia. Ricerche di laboratorio (Salin, 1949-1959, III) ed esperimenti hanno permesso di studiare e di ricostruire questa tecnica, che fu perfettamente dominata solo in epoca merovingia, diffondendosi in seguito in Occidente. La damaschinatura, variante sofisticata della forgiatura, consiste nel forgiare delle barre di ferro più o meno carburato con lo scopo di ottenere un'anima al tempo stesso flessibile e resistente per spade, scramasax, lance o asce, a cui le lame erano aggiunte attraverso la saldatura. Barre di ferro dolce e carburato, disposte alternativamente (spesso per gruppi di sette), venivano saldate, martellate e quindi accuratamente ritorte, in un senso o nell'altro a intervalli determinati, a seconda della damaschinatura voluta. Tre o quattro delle barre così ottenute venivano a loro volta giustapposte, saldate e forgiate fino ad avere una lama i cui taglienti erano ancora una volta aggiunti attraverso la saldatura. L'insieme era quindi accuratamente molato e lucidato. Si procedeva in seguito alla mordenzatura della lama immergendola in un bagno d'acido, che a questo punto rivelava la decorazione damaschinata, messa in evidenza dalle sfumature del metallo: bianche per il ferro e nere per l'acciaio.I tratti specifici del repertorio decorativo merovingio vanno ricercati negli oggetti metallici in ferro damaschinato o in bronzo o argento fuso, stampato o più raramente sbalzato. Fatta eccezione per alcuni esempi di grande rilievo, scoperti in contesti privilegiati, come le tombe principesche di Colonia e di Saint-Denis, nella maggior parte dei casi si tratta di oggetti fabbricati in serie, in cui i motivi decorativi stereotipati sono il fedele riflesso delle nuove tendenze del gusto e rispondono perfettamente all'accezione di arte popolare.Nella regione compresa tra il Reno e la Loira le raffigurazioni umane compaiono raramente sugli oggetti metallici. Tranne in casi assai rari - come per es. la brocca di Lavoye (dip. Meuse), degli inizi del sec. 6° (Saint-Germain-en-Laye, Mus. des Antiquités Nat.), ricoperta di lamine di bronzo raffiguranti scene del Nuovo Testamento, o la cassa di Mumma, del sec. 7°, conservata nell'abbaziale di Saint-Benoît-sur-Loire (dip. Loiret), che presenta un fregio con sei angeli lavorati a repoussé su di una lamina di rame dorato - gli artigiani merovingi del metallo si limitarono alla rappresentazione più o meno stilizzata del volto umano, abitualmente trattato in guisa di maschera. Il medaglione centrale della celebre fibula di Limons (dip. Puy-de-Dôme), del sec. 7° (Parigi, BN, Cab. Méd.), ne costituisce uno dei migliori esempi e occorre senza dubbio vedervi - come in una serie di fibbie di cintura in bronzo provenienti dalla regione a O di Parigi (per es. Parigi, Mus. Carnavalet; Saint-Germain-en-Laye, Mus. des Antiquités Nat.; Rouen, Mus. des Antiquités) - la raffigurazione del Santo Volto; l'iscrizione IMMANVEL appare in rappresentazioni analoghe nelle regioni orientali della Francia. Da questo punto di vista, l'artigianato franco si distingue dunque assai nettamente da quello della Burgundia, cui si devono comunque diverse scene figurate di ispirazione cristiana presenti su fibbie rettangolari in bronzo (secc. 6°-7°): Daniele con i leoni, Giona, Entrata di Cristo a Gerusalemme, Assunzione.Se i motivi zoomorfi, più o meno stilizzati, abbondano sugli oggetti di corredo personale e sugli accessori d'abbigliamento in bronzo o ferro ageminato della metà nord della Gallia a partire dalla fine del sec. 6°, essi tuttavia corrispondono solo raramente ai criteri degli stili animalistici germanici, così come sono stati definiti da Salin (1904), in particolare il II stile. Rari i casi in cui esso è documentabile nel Regnum Francorum; lo attestano la citata fibula di Limons, le decorazioni di giarrettiera della regina Arnegunda, nella tomba 49 di Saint-Denis (Parigi, Louvre), con la presenza di teste di rapaci e di cinghiali, trattate secondo gli schemi del II stile animalistico, al pari di alcune agemine della Burgundia con intrecci zoomorfi in II stile classico (Roth, 1989), come sulla celebre fibbia di Fétigny (Friburgo, Mus. d'art et d'histoire).Se l'Aquitania, divenuta franca agli inizi del sec. 6°, per quanto riguarda le arti del metallo non si differenziò in maniera apprezzabile dalla Gallia del Nord fin verso il 600, essa conobbe invece nel sec. 7° una produzione originale, essenzialmente illustrata da guarnizioni in bronzo per cinture. Oltre che realizzati in forme particolari (lastre con numerose borchiette ornamentali a risalto) e con tecniche ornamentali peculiari (uniformi superfici stagnate con zone risparmiate e puntinate; smalti champlevés), questi oggetti ricevettero una decorazione specifica assai accurata: personaggi, motivi geometrici e vegetali, ma soprattutto notevoli raffigurazioni zoomorfe, in particolare grifoni. Si è dimostrato (James, 1977) che lo stile delle fibbie dell'Aquitania non trova paralleli né nella Gallia settentrionale né in Burgundia e ancor meno - come invece era stato proposto - nell'Egitto copto o nel mondo delle steppe, ma risulta in realtà un prolungamento dell'arte antica in queste regioni, che rimasero fortemente romanizzate e furono segnate da un secolo di unità visigotica che rinforzò i loro caratteri peculiari: il mosaico in particolare poté servire da modello ai bronzisti.Fatta eccezione per le ceramiche grigie (sigillate paleocristiane del gruppo atlantico), ben rappresentate nel Sud-Ovest della Francia e caratterizzate da un'accurata decorazione ottenuta per mezzo di punzoni (palmette, motivi vegetali e figurazioni paleocristiane, come cervidi, oranti e croci), e per i vasi biconici della Piccardia e del Vexin francese, con uno straordinario repertorio decorativo eseguito a rotella (personaggi, animali, motivi geometrici, vegetali, architettonici e cristiani), il vasellame in terracotta merovingio non servì da supporto per forme d'arte, sia pure popolare, né nel campo della forma né in quello della decorazione.Lo stesso si può dire dell'arte vetraria, anche se alcune produzioni (corni potori, bicchieri a tromba) testimoniano dell'abilità di alcuni artigiani merovingi. In effetti la produzione, ben nota attraverso rinvenimenti funerari, si distingue dai suoi precedenti gallo-romani per la relativa povertà del repertorio delle forme e delle tecniche decorative.L'intrinseca deperibilità dei materiali di origine organica - legno, cuoio, tessuti, avorio e osso - ha comportato una loro limitata conservazione.Per quanto riguarda la scultura decorativa in legno, i cui sviluppi furono senz'altro considerevoli - arredi delle chiese e delle residenze, citati dalle fonti, vasellame rinvenuto nel cimitero di Oberflach, nella Germania meridionale -, per la Gallia non si dispone che di rare testimonianze. È il caso del celebre leggio della Sainte-Croix di Poitiers, attribuito a s. Radegonda (m. nel 587), con una notevole decorazione scolpita di ispirazione cristiana, o ancora delle tavolette dell'Inst. Saint-Martin ad Angers (sec. 7°-8°), con un angoloso intreccio centrale circondato da un fregio di foglie d'acanto di stile antico.Il trattamento ornamentale delle pelli è attestato solo da rare scoperte archeologiche, come quella del fodero di scramasax, del sec. 7°, nella tomba 11 di Saint-Denis (Saint-Germain-en-Laye, Mus. des Antiquités Nat.).Resti tessili sono stati rinvenuti in alcuni siti archeologici (cattedrale di Colonia; Saint-Denis), ma sono i reliquiari a costituire la maggiore riserva di documenti di questo tipo. Accanto alle stoffe importate dall'Oriente bizantino o dall'Egitto copto, è da menzionare il più illustre esempio di tessuto merovingio, quello della 'camicia' della regina Batilde (v.), morta intorno al 680, che promosse il restauro dell'abbazia di Chelles (Chelles, Mus. Mun. Alfred Bonno).Alcuni oggetti in avorio testimoniano in modo chiaro il prolungarsi delle esperienze tardoantiche: il dittico del sec. 5° con la rappresentazione dei Ss. Pietro e Paolo (New York, Metropolitan Mus. of Art); la fibbia trovata nella tomba di s. Cesario di Arles (m. nel 542; Arles, Notre-Dame-la-Major), con le guardie addormentate dinanzi al sepolcro di Cristo; la pisside del sec. 6°-7°, proveniente dalla chiesa di Saint-Maclou a Bar-sur-Aube (Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny), con il Cristo accompagnato da cinque apostoli nell'atto di benedire il cieco nato; il pettine detto di s. Lupo (m. nel 623), con i leoni che si avvicinano all'albero della vita (Sens, Trésor de la Cathédrale). Altre opere riflettono invece le nuove correnti estetiche: è il caso per es. delle placche decorative incise del reliquiario di Essen-Werden, opera renana degli inizi del sec. 7°, dove fregi geometrici delimitano cartigli decorati da motivi animalistici e antropomorfi (Essen, St. Liudger). Queste opere notevoli si distinguono dagli oggetti in osso, scoperti in grandissimo numero nelle sepolture, come i pettini, in cui l'ornamentazione incisa, geometrica o zoomorfa, è generalmente poco elaborata.
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