LeRoy, Mervin
Regista e produttore cinematografico statunitense, nato a San Francisco il 15 ottobre 1900 e morto ivi il 13 settembre 1987. Uno dei più prolifici 'artigiani' di Hollywood, diede il meglio di sé nella costruzione solida e tesa di melodrammi a sfondo sociale, ma confermò un eclettismo di base nella confezione di prototipi di genere: dal musical al gangster film, dal kolossal storico al dramma psicologico. Venne due volte premiato agli Academy Awards: nel 1946 per la produzione del cortometraggio documentario di forte impegno sociale sull'intolleranza The house I live in, e nel 1975 con un Oscar speciale alla carriera, l'Irving Thalberg Memorial Award.
La carriera di LeR. appare una specie di parabola, applicata al sistema hollywoodiano, del mito dell'individuo che si fa da sé partendo dal nulla. Dopo un tracollo familiare (il padre, piccolo industriale ebreo, fu rovinato dal terremoto del 1906), LeR., adolescente, si vide costretto a lavorare come venditore di giornali e in seguito come attore di vaudeville, per approdare nel 1919 a Hollywood, dove svolse le mansioni più varie (trovarobe, attore, autore di gag, assistente operatore). Nel 1924 debuttò nella regia con No place to go, commissionato dalla First National, per la quale diresse numerose altre commedie, per lo più interpretate da Alice White, una delle attrici di maggior successo della società di produzione. Tra i meriti principali di LeR. vi fu la capacità di sapersi adattare alle esigenze economiche e creative dello studio system. Così, dopo l'avvento del sonoro e nell'epoca successiva alla Depressione, quando la Warner Bros. ‒ che aveva assorbito la First National e alla quale il regista era quindi passato ‒ cercò di distinguersi dalla concorrenza con una serie di film socialmente impegnati e più realistici del solito, LeR. girò in prevalenza drammi a sfondo sociale, valorizzando questa volta i migliori interpreti maschili dello studio, da James Cagney a Paul Muni a Edward G. Robinson. In quest'epoca diresse opere memorabili e controverse, come il gangster film Little Caesar (Piccolo Cesare), suo primo grande successo del 1931, Five star final, dello stesso anno, in cui si prendeva di mira il giornalismo scandalistico, Two seconds (1932), costruito sui ricordi di un condannato alla sedia elettrica che attende l'esecuzione e, soprattutto, I am a fugitive from a chain gang (1932; Io sono un evaso) e They won't forget (1937; Vendetta), lucidi e impietosi ritratti dei meccanismi perversi che possono portare individui innocenti a pagare per colpe non proprie, complice una giustizia lacunosa, di-stratta e sommaria. Per tutti gli anni Trenta riuscì a stare al passo con i vertiginosi ritmi di produzione della Warner: trentaquattro film girati in nove anni, dal 1930 al 1938, tra cui il musical Gold diggers of 1933 (1933; La danza delle luci) che inaugurò il sottogenere del backstage e in cui LeR. collaborò con il geniale coreografo Busby Berkeley, ritrovato poi nel 1952 per Million dollar mermaid (La ninfa degli antipodi), con Esther Williams. Nel 1938 passò alla Metro Goldwyn Mayer, proseguendo l'attività di regista, sia pure con meno intensità, e intraprendendo quella ancora più prestigiosa di regista-produttore. Alla MGM, LeR. mostrò ancora una volta di sapersi immediatamente adeguare alle esigenze di una major per la quale contava innanzitutto la produzione di film eleganti, capaci al contempo di consolidare la fama degli attori più importanti sotto contratto per lo studio. Appena arrivato, produsse The wizard of Oz (1939; Il mago di Oz) di Victor Fleming, uno dei più grandi successi della storia del cinema statunitense, girando, solo un anno più tardi, un melodramma all'epoca altrettanto popolare, Waterloo bridge (1940; Il ponte di Waterloo), con Robert Taylor e Vivien Leigh. In seguito si specializzò in film imperniati su figure femminili di notevole spessore, che accrescevano il prestigio delle attrici scelte per interpretarle, da Greer Garson (in Random Harvest, 1942, Prigionieri del passato, che ottenne una nomination all'Oscar per il miglior film, e Madame Curie, 1943) a Lana Turner (in Johnny Eager, 1942, Sorvegliato speciale, e Homecoming, 1948) ed Elizabeth Taylor, tra le protagoniste della seconda versione per il cinema di Little women (1949; Piccole donne), dal romanzo di L.M. Alcott. A LeR. si deve anche l'esplosione, all'inizio degli anni Cinquanta, del genere storico-mitologico, inaugurato appunto dal suo Quo vadis (1951; Quo vadis?) con Robert Taylor e Deborah Kerr, kolossal girato in Italia e terza versione cinematografica del romanzo di H. Sienkiewicz. Dalla seconda metà degli anni Cinquanta tornò a lavorare con la Warner, pur mantenendo, nella maggior parte dei casi, il doppio ruolo di regista e produttore. Tra i film realizzati nella parte finale della sua carriera, va ricordato soprattutto il curioso The bad seed (1956; Il giglio nero), dall'omonimo dramma di M. Anderson, inquietante storia di una bambina assassina, ma anche Gypsy (1962; La donna che inventò lo streap-tease), rutilante biografia musicale di Gypsy Rose Lee, mitica spogliarellista degli anni Trenta. Nel 1974 scrisse l'autobiografia Mervin LeRoy ‒ Take one.
K. Canham, Mervin LeRoy, in The Hollywood professionals, 5° vol., London-New York 1976, pp. 133-89.