MESI
La rappresentazione dello svolgimento dell'anno attraverso figure, personificazioni o scene corrispondenti a ognuno dei dodici m. costituisce un tema iconografico che ha le sue origini nell'Antichità.I m. formano un ampio repertorio tematico, che, oltre a includere motivi religiosi, agricoli e folcloristici, si caratterizza per l'uso di un linguaggio figurativo che poteva variare dall'allegoria alla narrazione. Il carattere prevalentemente lavorativo e agricolo di questi cicli nel Medioevo ha fatto sì che la storiografia artistica (Le Sénécal, 1921-1923; Réau, 1955; Mane, 1983; Castiñeiras González, 1995a) li abbia indicati, nel definirne l'iconografia, come lavori dei m., denominazione che - insieme a quella di calendario, che ne indica il carattere di sequenza temporale - rende giustizia alla direttrice fondamentale di questi cicli, vale a dire l'esposizione dell'anno agricolo con il corso dei lavori e degli intervalli di riposo (Castiñeiras González, 1995c, pp. 39-40).
Nell'Antichità il calendario fu oggetto di studio e motivo di ispirazione, e diede luogo a una tradizione poetica e scientifica che sopravvisse nel Medioevo soprattutto attraverso la tradizione enciclopedica delle scuole dei monasteri e delle cattedrali. Tra le fonti antiche primeggiano i Fasti di Ovidio e le Georgiche di Virgilio, che insieme sono all'origine del sottogenere della 'poesia dei m.', sviluppatosi nella Tarda Antichità, di cui costituiscono un buon esempio i tetrastici e i distici del Cronografo del 354, attribuito a Furio Dionisio Filocalo, dell'Eclogarium di Ausonio (sec. 4°), del De mensibus di Draconzio (496-523), della Laus omnium mensium (sec. 6°) e del Dira patet Iani (Poëtae Latini minores, 1979; Courtney, 1988). In essi, oltre a darsi notizia degli aspetti etimologici, religiosi, atmosferici e agricoli di ogni m., si apprezza una chiara dipendenza dalle immagini (Levi, 1941), che sperimentavano all'epoca un grande successo dovuto in parte al secessus in villam rusticam dell'aristocrazia romana (LafonDelaplace, 1986, pp. 23, 121), che finì per orientare sempre più verso l'agricoltura il contenuto stesso delle rappresentazioni (Stern, 1953b).Nel contesto della rinascita carolingia e ottoniana questi carmina mensium non solo furono copiati, durante i secc. 9°-10° e anche 11°, nelle maggiori abbazie benedettine (Poëtae Latini minores, 1979; Castiñeiras González, 1994c), ma ispirarono a loro volta nuovi componimenti poetici, in cui si osserva una marcata tendenza alla descrizione dell'attività agricola del singolo m. e all'abbondanza di dati meteorologici e di appunti paesistici. Questi testi comprendono sia semplici composizioni di forte valore mnemonico, che descrivono sommariamente le occupazioni in forma di tituli (Stern, 1955), sia raffinati poemi di marcata ispirazione virgiliana e ovidiana, nei quali trova spazio un'ampia e diversificata gamma di temi e motivi iconografici (Tuve, 1933, pp. 27-30, 38-45), come nel caso degli Ydiomata mensium (855-859) di Salisburgo (Webster, 1938, pp. 111-113), del De mensium duodecim nominibus signis culturis aerisque qualitatibus (848 ca.) di Vandalberto di Prüm (Riegl, 1889, pp. 35-39) e del componimento in strofe saffiche Oriens annus ianuarii mensis (1055), attribuito al monaco Oliva di Ripoll (Castiñeiras González, 1994c; 1996, p. 33).A questa ricca tradizione poetica va aggiunta quella essenzialmente etimologica, interessante per le allusioni agli dei pagani che danno il nome ai mesi. Il suo punto di partenza medievale è nel De mensibus di Isidoro di Siviglia (De rerum natura, IV, 612-615 ca.; Etym., V, 33, 3-11, 630 ca.), la cui sistemazione etimologica sopravvisse nella tradizione enciclopedica medievale con pochissime variazioni: dal sec. 8° con Beda (De mensibus Romanorum; De temporum ratione, XII) e con lo pseudo-Beda (De divisionibus temporum, XV-XXVI), al 9° con Rabano Mauro (De Universo, X; sec. 9°), al 12° con Onorio Augustodunense (De imagine mundi, II, 37-48) e con Vincenzo di Beauvais (Speculum naturale, XV, 80), al 13° infine con Bartolomeo Anglico (De proprietatibus rerum, IX, 9-20).Nell'ambito della letteratura romanza - con i primi esempi nella letteratura francese (Morel-Fatio, 1875, p. 80; Lecoy, 1938, pp. 278-280; Faral, 1967, p. 69; Comet, 1992a, p. 51) - venne ripresa una formula della retorica antica, la descriptio rerum o ékphrasis, che trasformava i m. in una decorazione allegorica all'interno di una imago mundi; in un componimento della letteratura castigliana del 1200-1230, il Libro de Alexandre (vv. 2554-2566), si riflette per la prima volta per iscritto l'ampia gamma di temi e motivi dell'iconografia romanica dei m. (Forastieri, 1972), le cui fonti figurative si rintracciano sia nell'arte ispanica sia in quella italiana (Castiñeiras González, 1992; 1994a). Ekphráseis simili per il loro tono parodico si trovano nel sec. 13° nel Breviari d'amor (vv. 6415-6518) del poeta provenzale Matfre Ermengaud, il cui passo sui m. costituisce un vero manuale del pittore (Comet, 1992a, p. 49).Nella letteratura italiana si distingue il componimento del poeta lombardo Bonvesin de la Riva (m. tra 1313 e 1315), intitolato Disputatio mensium - comprendente un contrasto basato sui conflitti tra l'Inverno e la Primavera, con una messa a fuoco sociale completamente nuova -, in cui l'autore adotta per i m. la disposizione di una sfilata alla maniera dei calendari della valle del Po (Castiñeiras González, 1994a). Fortemente influenzata dall'ideologia cavalleresca, e con un particolare gusto per la descrizione della natura, è la Corona dei sonetti dei mesi, della prima metà del Trecento, del poeta toscano Folgore da San Gimignano (Barzon, 1924), alla quale rispose in forma parodistica Cenne della Chitarra con un testo (1310-1320) nel quale abbondano motivi folcloristici e popolari. In entrambi i componimenti si anticiperebbero (Pächt, 1950) molti temi e motivi che caratterizzano l'opposizione tra signori e contadini del calendario del 1414-1416 delle Très Riches Heures del duca di Berry (Chantilly, Mus. Condé, 1284; Alexander, 1990).Oltre alla tradizione enciclopedica, alcune delle regole di interpretazione del tema dei m. nell'arte medievale sono fornite dalla Bibbia e dalla sua esegesi. Nella Bibbia si trova l'idea di un Dio Chronokrátor che non solo ordina e divide il tempo attraverso le stelle del firmamento (Gn. 1, 14-15), ma assicura anche semine e raccolti per il sostentamento dell'uomo, così come promise a Noè dopo il diluvio (Gn. 1, 29; Lv. 25, 19). La patristica riservò al tema dei m. e alle attività che si praticavano in essi un'abbondante letteratura allegorica (Daniélou, 1961, pp. 131-142), i cui echi si rilevano in scritti esegetici durante tutto il Medioevo, per es. nella lettura dell'anno, delle stagioni e dei m. come prefigurazione di Cristo, degli evangelisti e degli apostoli nel prologo dei Commentari all'Apocalisse (II, 3, 19) di Beato di Liébana. A questa medesima impostazione si deve l'interpretazione allegorica dei lavori dell'anno agricolo come metafora della predicazione e della lotta del buon cristiano (Rabano Mauro, De Universo, XIX, 1, 4; Codex Calixtinus, I, 17), così come i passi che considerano i m. come un calendario festivo di celebrazioni liturgiche avviato alla salvazione (Onorio Augustodunense, Gemma animae, CLVIII; Codex Calixtinus, I, 17; Castiñeiras González, 1995a, p. 86).
Nell'elaborazione del repertorio medievale (Riegl, 1889; Koseleff, 1934; Webster, 1938; Frugoni, 1980; Comet, 1992a), avvenuta in ambito carolingio, fattori determinanti sembrano essere stati la ridenominazione dei m. in seguito alla riforma agraria, con termini che riflettevano le attività della campagna (Eginardo, Vita Karoli, XXIX; Epperlein, 1975, p. 22), e, in secondo luogo, l'insolito interesse per il tema negli ambienti artistici e letterari in seguito alla riforma del calendario.Anche se sul piano iconografico si ricorse al repertorio dell'Antichità, furono introdotte innovazioni determinanti per la definitiva formazione del tema nel Medioevo. Le fonti antiche furono, tra le altre, il Cronografo del 354, del quale, tra la fine del sec. 8° e il 10° venne eseguita in territorio carolingio e ottoniano una serie di recensioni, di cui la più completa e probabilmente la più antica era quella del perduto manoscritto Luxemburgensis (fine sec. 8°-inizi 9°), conosciuta grazie a una copia commissionata nel 1620 dall'antiquario francese Nicolas-Claude Fabri de Peiresc (Roma, BAV, Barb. lat. 2154; Strzygowski, 1888a, pp. 2-6; Stern, 1953a, pp. 14-20). L'impatto delle copie filocaliane diventa evidente nelle illustrazioni dei m. di un codice del sec. 9° (Leida, Bibl. der Rijksuniv., Voss.lat. 4°, 79, c. 93v) e degli Aratea del sec. 10° (Boulogne-sur-Mer, Bibl. Mun., 188, c. 30r; Webster, 1938; Stern, 1953a, pp. 27-31; Gundel, Gundel, 1966). L'altra importante fonte antica fu il repertorio tematico dei m. della Gallia romana (Stern, 1955), le cui vivaci scene di raccolto, vendemmia, allevamento e uccisione del maiale - per es. a Reims (dip. Marne) sull'arco di trionfo del sec. 3°, la c.d. porta di Marte, descritto nel sec. 10° da Flodoardo (Historia Remensis Ecclesiae, I; Stern, 1951; 1962) - sembrano avere influito nell'elaborazione della nuova iconografia dei calendari.L'inserimento in tale iconografia di temi propriamente medievali - come il Campus Madii (raffigurazione di un cavaliere nel m. di maggio), testimonianza dell'importanza del ruolo della cavalleria nella guerra (Stern, 1955, p. 148; Frugoni, 1980, pp. 329-330) - e l'orientamento segnatamente lavorativo e campestre dei cicli produssero un cambiamento del linguaggio figurativo, nel quale si assiste al passaggio dalla rappresentazione passiva e frontale, caratteristica delle personificazioni dell'Antichità, a una prevalenza della figura vista di profilo e rappresentata nello svolgimento di un'attività (Le Sénécal, 1921-1923; Webster, 1938; Stern, 1955; Frugoni, 1980). Prova di questo mutamento sono le miniature dei m. in manoscritti provenienti da Salisburgo (calendario dell'818 ca., Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm. 210, c. 91v; Aratea dell'830 ca., Vienna, Öst. Nat. Bibl., 387, c. 90v; Swarzenski, 1913, pp. 13-21), da Fulda (sacramentario del 975 ca., Gottinga, Niedersächsische Staats- und Universitätsbibl., 2 Theol. 231 Cim., c. 250v), dalla Reichenau (Martirologio di Vandalberto del 975 ca., Roma, BAV, Reg. lat. 438, cc. 2r-28r; Reuter, 1984, p. 154) e da Saint-Mesmin-de-Micy presso Orléans (codice del 1000 ca., Roma, BAV, Reg. lat. 1263, cc. 65r-74v; Riegl, 1889; Webster, 1938; Frugoni, 1980).
Sebbene si sia supposto che la decorazione con i m., i segni dello zodiaco e i sette pianeti delle terme del palazzo imperiale di Costantino a Costantinopoli abbia costituito il possibile archetipo del Cronografo del 354 (Strzygowski, 1888a; Stern, 1953a), questa ipotesi è difficile da dimostrare in quanto tale decorazione è conosciuta solo attraverso una descrizione sommaria (Richter, 1897, p. 256). Nel Peloponneso il ciclo di m. del mosaico, del 500 ca., della villa del Falconiere ad Argo (Archaeological Mus.) segnerebbe (Åkerström-Hougen, 1974, p. 84) l'inizio del calendario greco-bizantino, chiaramente differenziato dalla tradizione medievale occidentale, benché condivida con questa radici tardoantiche comuni. L'ispirazione campestre della serie di Argo e la scelta dei temi (Marzo guerriero, Aprile crioforo, Agosto assetato con il flabello e il melone, Dicembre seminatore e uccellatore e Febbraio cacciatore di anatre) preannunciano il repertorio dei m. bizantini comune a partire dal sec. 9° particolarmente nella miniatura. L'uso di decorare i mosaici pavimentali con il tema dei dodici m. sopravvisse comunque dal sec. 5° al 7° in ambito sia sacro sia profano, come attestano tra gli altri gli esempi di villa d'Awzai a Beirut, in Libano, di una basilica a Tebe, in Egitto, e di una basilica a Gerasa, in Giordania (Åkerström-Hougen, 1974; Nordström, 1977, p. 78).Nel campo della miniatura, nel celebre Tolomeo vaticano, dell'813-820 (Roma, BAV, Vat. gr. 1291, c. 9r), copia di un prototipo del sec. 4°, si dispongono tre cerchi concentrici formati da ore, m. e zodiaco intorno al carro del Sole, alla maniera di un'antica illustrazione enciclopedica. I m. sono ritratti a mezzobusto, secondo un'iconografia molto simile a quella del mosaico di Argo. Un importante gruppo di manoscritti (secc. 11°-14°) inaugurò un nuovo periodo della storia del calendario bizantino: al Vangelo di Melbourne (Nat. Gall. of Victoria, 710/5) e al tetravangelo conservato a Venezia (Bibl. Naz. Marciana, gr. Z. 540; Buchthal, 1961), realizzati verso il 1100 nello stesso scriptorium costantinopolitano, bisogna aggiungere il codice della fine del sec. 11° con la Scala del Paradiso di Giovanni Climaco (Roma, BAV, Vat. gr. 394, c. 12v), con quattro scene di genere tratte dal repertorio dei Lavori dei m. (Åkerström-Hougen, 1974, p. 134), e i cicli completi di due ottateuchi, rispettivamente del sec. 11° e del 12° (Roma, BAV, Vat. gr. 747, c. 27r; Vat. gr. 746, c. 48v), e del Typikón del 1346 del monastero di S. Eugenio a Trebisonda (Athos, Vatopedi, 1199, c. 44v), che include la rappresentazione dei segni dello zodiaco (Strzygowski, 1888b). Questo gruppo di immagini si caratterizza sia per l'utilizzazione di temi dell'antico repertorio greco dei m. sia per l'inclusione di altri motivi, come il banchetto con la testa di un maiale (Venezia, Bibl. Naz. Marciana, gr. Z. 540), il cacciatore di lepri in gennaio, ottobre e dicembre, il vecchio davanti al fuoco in gennaio o febbraio e il bagno o il riposo pomeridiano in agosto (Stern, 1955, p. 179).Alcuni temi e motivi propri del mondo greco-bizantino compaiono nei calendari occidentali nel contesto dell'arte del Duecento. È necessario citare tra gli altri i temi ellenistici della canefora e dello spinario 'bizantino' a due figure - derivante dal gruppo scultoreo di Pan che cava la spina dal piede di un satiro - del ciclo dei m. del 1189-1197 ca. nell'arcata mediana del portico occidentale della cattedrale di S. Pietro a Sessa Aurunca (prov. Caserta; Fossi, 1982; Castiñeiras González, 1994d), così come le raffigurazioni di Agosto tipicamente bizantine del Sacramentario di Siracusa, del 1200 ca., con la Dormizione di Maria con un flabello (Madrid, Bibl. Nac., 52, c. 7v), di un capitello del 1200-1210 nella galleria settentrionale del chiostro della cattedrale di Tarragona, con un personaggio esausto seminudo che beve da un recipiente, e del portale maggiore del 1230 ca. nella basilica di S. Marco a Venezia, con un indolente ragazzo con flabello (Castiñeiras González, 1993a), dove compaiono anche Marzo guerriero e Aprile crioforo.
Alla fine del sec. 11° un mutamento si produsse nella rappresentazione del tema dei m., fino ad allora presente quasi esclusivamente in codici e arazzi, che andò acquisendo un formato monumentale, in pittura e in scultura. A questo riguardo la penisola iberica, nella quale poche erano le testimonianze di tale soggetto iconografico, acquisì nella prima decade del sec. 12° il ruolo di protagonista: così, mentre tra il 1100 e il 1110 nel Panteón de los Reyes a San Isidro di León e nella chiesa di San Pelayo a Perazancas (Palencia) venivano realizzati, in uno stile derivato dalla scuola del Poitou, i primi grandi cicli dipinti dell'Europa romanica, nella Porta Francigena, il portale settentrionale del transetto della cattedrale di Santiago de Compostela, si scolpiva tra il 1105 e il 1110 il primo fregio monumentale del Medioevo con i m. (ora smembrato; Moralejo, 1969) e nella cattedrale di Gerona si elevava nel 1100 ca. come decorazione d'altare il grande ricamo detto della Creazione, il Tapís de la Creació (Gerona, Mus. de la Catedral), con un ciclo di m. e stagioni direttamente in relazione con fonti antiche, carolinge e ottoniane (de Palol, 1956-1957; 1986). In Italia la bottega di Wiligelmo e i suoi seguaci realizzarono, tra il 1115 e il 1130 come decorazione di stipiti, le serie dei m. della porta della Pescheria della cattedrale di Modena e dell'abbazia del Polirone a San Benedetto Po (prov. Mantova), nonché quella dei piedritti del portale della pieve di S. Giorgio presso Argenta (prov. Ferrara; Cochetti Pratesi, 1972; Quintavalle, 1983).Tra il 1120 e il 1150 in Borgogna, in Aquitania e nella Francia centrale venne sperimentata una nuova disposizione dei m. nell'archivolto, alternati ai segni zodiacali, nel contesto di programmi iconografici di grande ricchezza. Questa formula appare nei portali di facciata della Sainte-Madeleine a Vézelay (dip. Yonne) del 1120, di Saint-Lazare ad Autun (dip. Saône-et-Loire) del 1130-1135, di Saint-Pierre ad Aulnay-de-Saintonge (dip. Charente-Maritime) del 1135, nel portale meridionale della facciata dell'abbaziale parigina di Saint-Denis del 1130-1135 e nel portale dei Re della cattedrale di Notre-Dame a Chartres (dip. Eure-et-Loir) del 1145-1155 (Webster, 1938; Panadero, 1984). In Italia, lo scultore Niccolò sperimentava nel 1138 la formula dei m. come decorazione degli architravi laterali del protiro del portale di S. Zeno Maggiore a Verona (Kain, 1981; Gandolfo, 1984, p. 434).Alla fine del sec. 12° e agli inizi del 13° in Spagna e in Italia il tema dei m. fu rivalutato e adottò nuove e interessanti formule. È il caso dell'opera di Benedetto Antelami (1210-1215), la cui serie di m. - attualmente conservata nel battistero di Parma, ma di cui è discussa l'ubicazione originaria (Frugoni, 1995) - creò un repertorio di immagini innovativo, ricco di particolari descrittivi e con una peculiare corrispondenza tra attività e segno zodiacale (Quintavalle, 1990). Sono in relazione con le novità di questa bottega i fregi con i m. della parete esterna dell'abside della cattedrale di Fidenza, del protiro del 1210-1220 della cattedrale di Cremona e del portale del 1230 ca., detto porta dei m., della cattedrale di S. Giorgio a Ferrara (Mus. del Duomo). Influenze antelamiche sono presenti anche nelle serie dei m. del portale mediano del duomo di Parma, nell'archivolto del 1220 del portale centrale di facciata della pieve di S. Maria ad Arezzo e negli stipiti del portale centrale della facciata della cattedrale di S. Lorenzo a Traù, in Dalmazia, di maestro Radovan (Richer, 1965; Quintavalle, 1990, pp. 186-187).Nel resto della penisola italiana, tuttavia, il panorama artistico appare meno uniforme, variando dalla marcata impronta emiliano-lombarda dei cicli del chiostro di Santa Sofia a Benevento del 1159-1172 (due capitelli della galleria meridionale; Giess, 1959; Naldi, 1990), e di quello del duomo di Monreale, del 1172-1189 (due capitelli del chiostrino della Fontana in relazione con la serie dei m. di S. Zeno Maggiore a Verona; Sheppard, 1949, pp. 167-169; Salvini, 1962, p. 151), alla rinascita del sostrato antico, visibile nelle figurazioni dei m. che decorano l'acquasantiera del sec. 12° in S. Frediano a Lucca, il capitello trasformato in acquasantiera in S. Maria della Fontana a Lentini (prov. Siracusa) e la citata arcata mediana del portico occidentale della cattedrale di S. Pietro a Sessa Aurunca, in parte riflesso dei modelli delle stagioni dell'Antichità (Glass, 1970; Rash Fabbri, 1979; Castiñeiras González, 1994d). Questo carattere 'antiquario' in alcuni casi è legato all'influsso di modelli bizantini, come nei m. di Sessa Aurunca, nello stipite di sinistra del portale centrale del battistero di Pisa, dipendente a sua volta da un calendario romanico del sec. 11° (Firenze, Laur., Acq. e Doni 181, cc. 1r6v; Webster, 1938), e nel portale maggiore di S. Marco a Venezia.Per quanto riguarda la penisola iberica, il tema ebbe ampio sviluppo nei regni di Castiglia e di León e nella Corona di Aragona. Nella meseta i cicli dei m. - malgrado la 'rusticità', dovuta al carattere rurale delle chiese nelle quali vennero realizzati - attestano la creazione di un repertorio ispanico che unisce a particolari caratteristiche derivate dalle modalità lavorative locali (Caro Baroja, 1946; Mingote Calderón, 1985a; 1986) i riflessi delle correnti inglesi e neobizantine dell'arte del Duecento, come nel fregio della parete meridionale esterna della cappella di S. Galindo nella chiesa di San Bartolomé a Campisábalos (Guadalajara), nell'archivolto del portale meridionale di San Miguel a Beleña del Sorbe (Guadalajara) e in quello di San Esteban a Hormaza (Burgos), nonché nell'archivolto del portale settentrionale di San Claudio de Olivares a Zamora (Castiñeiras González, 1993a). D'altro canto nell'area di influenza del Camino de Francia e in opere in qualche modo in relazione con la bottega del Maestro di San Juan de la Peña, la conoscenza di modelli borgognoni traspare nelle serie dei m. del portale meridionale della chiesa di San Nicolás a El Frago (Saragozza; Gómez de Valenzuela, 1977) e in alcuni rilievi del portale sud di Santa María la Real a Sangüesa (Navarra; Milton Weber, 1959; Castiñeiras González, 1995c). Infine, in Catalogna sono eccezionali i cicli scultorei realizzati tra 1140 e 1160 ca. negli stipiti del portale maggiore della chiesa del monastero di Santa María a Ripoll (Gerona), in cui confluiscono diverse tradizioni letterarie e iconografiche (Castiñeiras González, 1994c), e nel chiostro della cattedrale di Tarragona (Castiñeiras González, 1993a).Lo zenit dei m. come grande tema della scultura è costituito dai programmi enciclopedici contenuti sulle facciate occidentali delle duecentesche cattedrali del Gotico francese, per es. nel basamento del portale centrale della facciata della cattedrale di Saint-Etienne a Sens (dip. Yonne), negli stipiti del portale nord della facciata di Notre-Dame a Parigi, nel basamento del portale settentrionale della facciata della cattedrale di Notre-Dame ad Amiens (dip. Somme) e in quello del portale meridionale di Notre-Dame a Strasburgo (dip. Bas-Rhin).Importanti furono anche nei secc. 13° e 14° i cicli dipinti su muro o su tavola, per es. nell'intradosso dell'arco trionfale in Saint-Aignan a Brinay-sur-Cher (dip. Cher) e in Saint-Martin a Laval (dip. Mayenne), nel ciclo dipinto agli inizi del sec. 13° in Notre-Dame a Pritz (dip. Mayenne) e in quello del registro inferiore della parete interna dell'abside della chiesa di San Pelayo a Perazancas (Palencia), nonché in un affresco absidale degli inizi del sec. 13° in Saint-André ad Angoustrine (dip. Pyrénées-Orientales) e in quello di Saint-Julien a Estavar (dip. Pyrénées-Orientales), così come nella sezione mediana della parete interna dell'abside della cripta nord dell'antica cattedrale di San Vicente a Roda de Isábena (Huesca) e nelle pitture trecentesche dell'intradosso dell'arco della sala superiore della c.d. torre dell'Omaggio nel castello di Alcañiz (Teruel); a questi esempi occorre aggiungere la parte alta di tre paliotti d'altare, due provenienti da Arteta e da Góngora (Barcellona, Mus. d'Art de Catalunya) e uno proveniente da Eguillor (Torino, Gall. Sabauda, Coll. Gualino). Inoltre a Roma vanno ricordati lo scomparso calendario che decorava il muro settentrionale dell'ala dei monaci dell'abbazia delle Tre Fontane e quello nella torre abbaziale di S. Saba e nel Lazio quello, mutilo, sulla parte inferiore della parete sinistra del santuario della SS. Trinità sul Monte Autore; in Abruzzo, infine, sono da citare le pitture dell'abside di S. Maria ad Cryptas a Fossa (prov. Aquila), nonché quelle delle pareti sud e nord della navata dell'oratorio di S. Pellegrino a Bominaco (prov. Aquila).Sono localizzate in Francia e in Italia alcune immagini musive pavimentali, per es. nella cappella di S. Michele nell'abbaziale parigina di Saint-Denis, in Saint-Pierre a Moissac (dip. Tarn-et-Garonne), in Saint-Remi a Reims, in Saint-Philibert a Tournus (dip. Saône-et-Loire); in Italia si trovano gli esempi più interessanti nel pavimento del sec. 13° della cattedrale di S. Maria ad Aosta, nella chiesa di S. Colombano a Bobbio (prov. Piacenza), nella cattedrale di S. Maria Annunziata a Otranto (prov. Lecce), nonché in S. Michele Maggiore a Pavia, in S. Savino a Piacenza e in quello proveniente da S. Giacomo Maggiore a Reggio Emilia (Mus. Civ. e Gall. d'Arte, Mus. Archeologico, Coll. Chierici; Venturi, 1904; D'Ancona, 1923; Rasetti, 1941; Bresciani, 1968; Mane, 1983).Molto numerosi, come attestano inventari e testi letterari, dovettero essere i cicli dei m. su supporto tessile: tra gli scarsi esempi conservati si ricordano il tessuto ricamato di S. Ewaldo, forse del sec. 9°, in St. Kunibert a Colonia, il citato ricamo detto della Creazione a Gerona e l'arazzo del sec. 12° proveniente dalla chiesa di Baldishol (Oslo, Kunstindustrimus.). Infine, non si deve dimenticare che il tema dei m. venne utilizzato anche nella decorazione di vetrate nelle cattedrali gotiche, per es. nel rosone occidentale di Notre-Dame a Parigi, nella vetrata del deambulatorio della cattedrale di Chartres e in quella della cattedrale di Soissons (dip. Aisne; Mane, 1983, p. 27).
Nel sec. 12° la tradizione artistica, il clima e l'agricoltura contribuirono a formare repertori iconografici regionali (Webster, 1938). I cicli italiani si diversificano per vari motivi: in primo luogo, come si è già visto, per la sopravvivenza del repertorio dei sarcofagi con le stagioni (Sessa Aurunca; Lentini) e di temi di tradizione classica come Giano bifronte in gennaio (Aosta; Bobbio; Lucca, duomo; Parma, battistero; Fidenza; Arezzo; Ferrara) o lo Spinario a marzo (Firenze, Laur., Acq. e doni 181, c. 2r; Lucca, S. Frediano; Pisa; Sessa Aurunca; Perugia, fontana Maggiore; Fossi, 1982); in secondo luogo per la presenza di un gruppo di temi di origine bizantina, come Febbraio pescatore (Firenze, Laur., Acq. e doni 181, c. 1v; Pisa; Parma, duomo; Sessa Aurunca; Perugia), Marzo guerriero e Aprile crioforo (Venezia, S. Marco); in terzo luogo per la peculiarità del tema di Marcius Cornator che ricorre nei cicli di S. Zeno Maggiore a Verona, di S. Michele Maggiore a Pavia, di Monreale, di Fidenza, di Arezzo, nel martirologio di Cremona (Arch. della Curia), in un codice di Roma (BAV, Vat. lat. 4363, c. 110r), nella fontana Maggiore di Perugia, del 1278 ca. (Pressouyre, 1965); infine, le serie di m. italiane - a causa della dolcezza del clima mediterraneo, della ricchezza e varietà dei prodotti dell'agricoltura e dell'importanza dell'allevamento suino - includono una precoce potatura a febbraio, la mietitura a giugno e la trebbiatura per pressione con cavalli a luglio, il tema del bottaio ad agosto (per es. Parma, battistero), la ortofrutticoltura a giugno e a ottobre, la macellazione e lo sventramento del maiale a novembre o a dicembre, e infine il trasporto della legna a dicembre o a gennaio.Al contrario, i cicli della Francia, dominata da un clima più freddo e umido e improntata nel paesaggio a un'ampia estensione di prati, collocano a febbraio il vecchio che si riscalda davanti al fuoco, includono generalmente la scena della mietitura del fieno a giugno e ritardano quelle della mietitura e della battitura del grano a luglio e agosto (Webster, 1938; Mane, 1983). Tra le loro peculiarità è anche la presenza del tema del personaggio avvolto in panni che, seduto alla mensa, taglia una focaccia di pane a gennaio - come nell'archivolto dei m. del portale centrale del 1120 nella facciata occidentale della Sainte-Madeleine a Vézelay, ma anche a NotreDame a Fenioux del 1140 (dip. Charente-Maritime), a Saint-Nicolas a Civray (dip. Vienne) e nella chiesa di Saint-Jacques a Aubeterre-sur-Dronne (dip. Charente; Castiñeiras Gonzá lez, 1992) - nonché di una serie di varianti regionali, come quella della scena dell'alimentazione dei buoi a novembre nella regione del Poitou-Saintonge (Fenioux; Civray), o quella dell'alternanza di m. e segni dello zodiaco entro medaglioni in Borgogna (Vézelay; Autun; Webster, 1938).Per quanto riguarda il caso ispanico, si devono prendere in considerazione da un lato le fonti stilistiche e iconografiche e dall'altro l'influenza delle caratteristiche climatiche ed ergologiche nella formazione dei cicli (Caro Baroja, 1946; Mingote Calderón, 1985a; 1986). Si possono stabilire due tradizioni: nella prima, in relazione diretta con la via di pellegrinaggio, si individua una forte dipendenza dai cicli francesi (León; El Frago); la seconda, localizzata in Catalogna, ricorre a fonti antiche, carolinge e dell'arte mediterranea (Gerona; Ripoll; Webster, 1938). È alla fine del sec. 12° che si costituì nella penisola iberica, all'interno della corrente neobizantina, un repertorio proprio, direttamente in relazione con il clima e i processi lavorativi locali, visibile in temi come la trebbiatura con tribulum - per es. nell'antependium di Arteta, del primo terzo del sec. 14° (Barcellona, Mus. d'Art de Catalunya), ma anche a San Miguel a Beleña del Sorbe, a San Claudio de Olivares a Zamora, nel chiostro della cattedrale di Pamplona, e nei citati paliotti da Góngora e da Eguillor - e l'aratura autunnale, così come nel motivo dell'assetato (Beleña del Sorbe; Zamora; Tarragona; soffitto del palazzo del Carrer di Lledó, ora a Barcellona, Mus. d'Art de Catalunya; Castiñeiras González, 1993a). Occorre segnalare, inoltre, il primato ispanico nella raffigurazione di Giano bifronte in gennaio (León; Perazancas), come anche le interessanti variazioni alle quali il tema venne sottoposto tra il sec. 12° e il 14° (Castiñeiras González, 1992).Nella produzione miniata della Germania si osserva una forte influenza anticheggiante di matrice bizantina e i cicli dei m. sono caratterizzati da un'impronta essenzialmente agricola, dalla collocazione della mietitura in agosto e dalla presenza di rappresentazioni di pagliai (Webster, 1938; Epperlein, 1975).In Inghilterra il repertorio, fortemente condizionato dai manoscritti del sec. 11° (Londra, BL, Cott. Jul. A.VI; Cott. Tib. B.V), presenta come caratteristiche iconografiche la scena in cui si scava a marzo, la sarchiatura in giugno e una collocazione dei lavori di ciascun m. spostata più avanti nel corso dell'anno, a causa del clima freddo e umido (Webster, 1938, p. 102).Il prevalere nei calendari del gusto per il dettaglio aneddotico e per l'azione ha indotto ad affermare che l'illustrazione di questi temi fu uno dei principali mezzi di conquista del realismo nell'arte occidentale (Le Sénécal, 1921-1923, p. 182). Dietro i differenti modi di rappresentazione si nascondeva spesso un'ideologia sociale che distingueva tra m. pertinenti al nobile stato dei signori (Gennaio signore al banchetto, Maggio cavaliere) e m. propri dei rustici contadini (Frugoni, 1980, pp. 326-327). I calendari si rivelano peraltro una preziosa fonte per lo studio dei costumi e della vita quotidiana, quindi del folclore e della cultura della civiltà contadina.Il calendario del portale di Santa María a Ripoll risulta eccezionale per l'accento posto sulla descrizione del paesaggio: in marzo sorprende il dettaglio con cui sono state realizzate le rocce e la disposizione a scaglioni del terreno boschivo, rappresentato da due alberi; in aprile e in giugno si cercava di offrire una rappresentazione realistica della natura trasformata dal lavoro dell'uomo, ovvero del paesaggio agrario. Parallelamente all'attenta osservazione della realtà si sviluppò il fenomeno della progressiva perdita dell'antico carattere allegorico di temi come Giano e la Primavera e il loro adeguamento a contesti narrativi come quello del banchetto di Giano, di Giano vicino al fuoco o della passeggiata primaverile (Castiñeiras González, 1992; 1994b).Una nuova era nel linguaggio figurativo del calendario venne inaugurata da due opere: il primo volume del Breviario di Belleville, del 1323-1326, di Jean Pucelle (Parigi, BN, lat. 10483), nel quale, per la prima volta, la rappresentazione delle trasformazioni della natura sostituisce l'attività umana (Panofsky, 1953; Meiss, 1974, p. 185), e il grande affresco del Buon Governo realizzato nel 1338-1339 da Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo Pubblico di Siena, nel quale il vasto paesaggio è popolato di attività agricole (Pächt, 1950). In esso si preannunciano formule come quelle utilizzate nella variopinta sequenza dei m. del 1400 ca. nella torre dell'Aquila nel castello del Buonconsiglio a Trento (Castelnuovo, 1987) o in alcune delle più belle pagine miniate dei libri d'ore francesi e fiamminghi, come nelle Très Riches Heures (Chantilly, Mus. Condé, 1284, cc. 1v-12v) o nelle perdute Heures de Turin, del 1414-1417 (già Torino, Bibl. Naz., K.IV.29, cc. 1r-12r).
La storiografia del sec. 19° considerò i cicli dei m. del Medioevo da due punti di vista molto differenti: sia come meri documenti di un rinnovato interesse scientifico nei confronti della natura sia come lezione didattica e morale rivolta ai contadini per ricordare i loro doveri come laboratores e indicare il tempo della vita del cristiano. Il tema sarebbe stato utilizzato dalla Chiesa come mezzo per esortare gli agricoltori al pagamento della decima (Kraus, 1967; Braude, 1968; Frugoni, 1980; 1991). Da alcuni decenni il riesame dell'iconografia del calendario ne ha sostenuto il valore come documento della rivoluzione agricola e della rivalutazione del lavoro manuale nei secoli centrali del Medioevo. Le diverse rappresentazioni costituiscono inoltre una fonte preziosa per tracciare una storia della tecnologia medievale (Baruzzi, 1976; Mane, 1983; Comet, 1992b).La centralità del tema del lavoro nell'iconografia del calendario comportò sin dall'inizio uno stretto legame con il ciclo della Genesi, dato che con esso si spiegava l'origine dell'agricoltura (Braude, 1968; Frugoni, 1980; 1985). Da questo orientamento derivarono programmi iconografici di marcato carattere penitenziale, come quelli della cattedrale di Santiago de Compostela e di Beleña del Sorbe, in cui la teologia medievale del lavoro divenne esplicita (Castiñeiras González, 1995b). Il comune substrato formale e ideologico in entrambi i repertori avrebbe finito anche per produrre una nutrita serie di prestiti e scambi iconografici. La grande diffusione del tema del calendario in chiese rurali risulta di rilevante interesse anche sul piano sociologico (Mane, 1983).Partendo da postulati differenti, la visione del calendario medievale come ciclo specificamente lavorativo è stata respinta a beneficio di una interpretazione che ne ritiene invece prevalente l'aspetto relativo al tempo (Panadero, 1984). La letteratura hexaemeral può costituire pertanto una guida per comprendere le ragioni dell'inclusione del ciclo dei m. in una serie di programmi iconografici nei quali il tema è quello del trascorrere del tempo e del progresso della storia umana tra l'incarnazione e la seconda venuta di Cristo (Vézelay; Autun; Aulnay-de-Saintonge; Parigi, Saint-Denis; Chartres). A questo riguardo non si deve dimenticare il ruolo che il tema dei m. dell'anno svolgeva nella cosmologia medievale come immagine del tempo, dell'ordine, della natura e della vita dell'uomo. I m. compaiono di conseguenza nelle imagines mundi del tessuto ricamato in St. Kunibert a Colonia e del ricamo della Creazione di Gerona, così come, tra gli altri, nei mosaici pavimentali di S. Colombano a Bobbio e della cattedrale di Otranto. Queste opere erano veri microcosmi che servivano per rafforzare il messaggio dell'ufficio divino: il lavoro dell'anno è consacrato a Dio e il tempo del lavoro umano è, per l'appunto, il tempo di Dio (Frugoni, 1968; 1991). La loro ubicazione nell'area dell'altare adempie (Baschet, 1991, p. 160) a una vera funzione strategica, in quanto il calendario designa il chierico come l'indispensabile mediatore, nel luogo in cui si compie, durante la liturgia, il congiungimento tra il tempo umano e il tempo di Dio (Panadero, 1984; Cohen, 1990).Insieme al calendario compare di solito un gruppo di temi ricorrenti, tra i quali emergono: Dio Kosmokrátor (Colonia; Aosta), la Creazione (Gerona), la storia di Adamo ed Eva e dei loro figli (Modena; Santiago de Compostela; Verona; Perazancas; Ripoll; Beleña del Sorbe), Enoc (Modena; León), Enoc inventore del calendario in alcuni ottateuchi bizantini (Roma, BAV, Vat. gr. 747, c. 27r; Vat. gr. 746, c. 48v), la Natività, l'Epifania (El Frago; Arteta), il Battesimo di Cristo (Roda de Isábena), i dodici apostoli in consesso (Perazancas; Santiago de Compostela; Góngora; Eguillor) o in episodi come quelli dell'Ultima Cena (Angoustrine), della Pentecoste (Vézelay) e dell'Ascensione (portale dei Re di Chartres; Estavar), il Giudizio universale (Autun), la storia dei ss. Pietro e Paolo (Ripoll; Sessa Aurunca), i vizi e le virtù (Aulnay-de-Saintonge); temi di carattere enciclopedico, come segni dello zodiaco, pianeti e stagioni (Colonia; Gerona; Parigi, Saint-Denis; Chartres; Roda de Isábena; Parma, battistero; Parigi, Notre-Dame) e temi propri della cultura profana, come racconti cavallereschi (Santiago de Compostela; Modena; Verona), favole (Bourges, Saint-Ursin; Otranto) e narrazioni storiche (Bobbio; Alcañiz).Per spiegare alcune di queste associazioni tematiche è sufficiente a volte ricorrere a fonti testuali: il Jeu d'Adam mette in relazione Genesi, m. (Frugoni, 1985; Castiñeiras González, 1995a) e temi profani (Moralejo, 1993); la patristica e l'esegesi biblica utilizzano la metafora di m. e zodiaco come prefigurazione dei dodici apostoli (Daniélou, 1961; Moralejo, 1969) o immagine della vita dell'uomo (Castiñeiras González, 1995a); la tradizione apocrifa bizantina considerava Enoc come l'inventore del calendario (Libro di Enoch, LXXXI-LXXXII; Stern, 1955). Alcuni cicli, oltre a mettere in relazione i m. con la nascita di Cristo o con la fine dei tempi (Perazancas), iniziando la sequenza dei m. a marzo - annum ab annuntiatione Domini (Perazancas; Angoustrine; Estavar) - come era usuale in molte regioni d'Europa, si trasformavano in calendari allegorici dell'era dell'Incarnazione, che rappresentavano il tempo dell'uomo in attesa della seconda venuta di Cristo. Questa idea del tempo sub gratia spiegherebbe la presenza della mano divina benedicente o di figure cristologiche nelle serie dei m. a Verona, ad Aosta o in S. Marco a Venezia (Gandolfo, 1984). Il calendario sembra avere costituito, inoltre, una delle immagini preferite dai diversi progetti di riforma religiosa portati a termine durante il sec. 12° (Quintavalle, 1983), come si deduce dai programmi di Santiago de Compostela, Modena, Ripoll e Sessa Aurunca (Castiñeiras González, 1994c).
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