Messaggeri extracellulari
Gli organismi pluricellulari rappresentano un caso estremo di divisione dei compiti e costituiscono una società fortemente strutturata i cui singoli componenti (le cellule), pur contenendo la stessa informazione genica, la esprimono in modo differente. Per di più l’organizzazione gerarchica in tessuti e organi fa sì che le singole cellule rinuncino a un controllo autonomo di funzioni essenziali come il metabolismo energetico e la riproduzione. Per tale motivo funzioni quali l’espressione del programma genico, la crescita, la divisione cellulare e la morte programmata dipendono strettamente da segnali provenienti dall’esterno e sono coordinati da messaggeri extracellulari. Questi ultimi possono essere anche molecole di adesione tra cellule e molecole di adesione al substrato, oppure messaggeri che viaggiano per distanze più o meno grandi che si possono misurare in termini di frazioni di millimetro, come nel caso dei neurotrasmettitori che agiscono nello spazio di una sinapsi tra neuroni, o in termini di decine o centinaia di centimetri, come nel caso degli ormoni e dei fattori di crescita. Spesso il significato di messaggeri extracellulari viene decodificato a livello della membrana che delimita la singola cellula da parte di recettori specifici la cui funzione è di trasdurre in modo intracellulare il messaggio. A volte però, nel caso di messaggeri liposolubili in grado di attraversare il doppio strato lipidico che delimita la cellula, essi vengono riconosciuti da specifici recettori citoplasmatici o nucleari. Con il sequenziamento del genoma umano e la catalogazione funzionale dei vari geni si è dimostrato che circa il 30% del genoma umano codifica per messaggeri extracellulari, loro recettori e molecole che ne trasducono il segnale.
La sfida che attende gli studi futuri è capire la ‘logica’ del funzionamento di queste molecole e, in particolare, comprendere come si possa ottenere un’interpretazione non ambigua del segnale extracellulare e, nello stesso tempo, una risposta cellula-specifica. Infatti, per fare un esempio, lo stesso fattore di crescita può indurre differenziamento, divisione cellulare o migrazione a seconda del suo bersaglio cellulare. Occorrerà comprendere inoltre come si possa coniugare l’elevata sensibilità nel rispondere a messaggeri extracellulari con la necessità di distinguere falsi segnali e come si possa ottenere nella comunicazione cellulare robustezza, definita come capacità di fornire un output stabile nonostante perturbazioni esterne o interne. Nuove metodologie, soprattutto quelle che permettono di monitorare in tempo reale l’interazione tra messaggeri extracellulari e loro recettori, forniranno un’analisi cinetica della trasduzione del segnale e permetteranno di comprendere se e quanto la modulazione di frequenza di un segnale biologico contribuisca alla regolazione delle risposte cellulari. I messaggeri extracellulari e i loro recettori per la loro particolare accessibilità rappresentano il bersaglio privilegiato di interventi farmacologici.
La comunicazione intercellulare
Gli organismi pluricellulari sono una società rigidamente regolata di singole cellule organizzate in tessuti e organi che collaborano per il funzionamento dell’individuo, il cui ‘scopo’ finale (dal punto di vista biologico) è quello di riprodursi (o di permettere la riproduzione di un genoma simile al suo). Il funzionamento coordinato delle varie popolazioni cellulari nell’individuo adulto, così come crescita e differenziamento cellulare e l’organogenesi a partire da una singola cellula fecondata, richiedono sofisticati meccanismi di segnalazione. Si sono così generati, nel corso dell’evoluzione, messaggeri molecolari che vengono sintetizzati e rilasciati in qualche distretto dell’organismo e che sono poi riconosciuti specificamente dai rispettivi recettori espressi nelle cellule bersaglio. Sono stati contemporaneamente selezionati complessi macchinari molecolari necessari per trasdurre il segnale dei recettori attivati. È implicito nel termine messaggero il fatto di essere dotato di un ‘significato’ e quindi non si considerano messaggeri extracellulari semplici sostanze nutritive o molecole provenienti dall’esterno: per es., sostanze in grado di stimolare l’olfatto non sono considerate messaggeri in senso stretto, anche se si legano a recettori specifici, attivano meccanismi di trasduzione del segnale, alterano il funzionamento della cellula e spesso addirittura regolano il comportamento dell’individuo. È pur vero comunque che alcune classi di messaggeri extracellulari sono semplici metaboliti, come l’ATP (adenosintrifosfato).
Mentre generalmente il termine messaggeri extracellulari si riferisce alla comunicazione intercellulare all’interno di un organismo pluricellulare, è opportuno ricordare che anche microrganismi unicellulari sono capaci di comportamenti ‘sociali’ che richiedono una risposta coordinata. Per es., il processo di quorum sensing consiste nella sintesi da parte di batteri, sia gram-positivi sia gram-negativi, di specifiche molecole, chiamate autoinduttori o feromoni batterici, che vengono rilasciate nel mezzo extracellulare e la cui presenza viene rivelata da recettori/trasduttori specifici. Attraverso il quorum sensing i batteri misurano la loro concentrazione e modulano l’espressione genica in risposta alla densità della popolazione. In questo modo vengono controllati processi che hanno una rilevanza anche clinica, quali la virulenza e la formazione di biofilm (Camilli, Bassler 2006). Esistono principalmente due meccanismi di quorum sensing basati su distinte vie di segnalazione, che presentano un’analogia con i meccanismi esistenti anche negli organismi pluricellulari. Il primo, generalmente utilizzato da batteri gram-negativi, consiste nella sintesi di una famiglia di piccole molecole, chiamate AHL (Acylated Homoserine Lactones), che hanno una struttura centrale simile e differiscono solo per la lunghezza di una catena laterale. Di solito ogni tipo di batterio produce una specifica AHL, ma esistono ceppi batterici che ne producono più di una. Per le loro caratteristiche chimiche le AHL sono in grado di attraversare la membrana batterica e diffondere all’esterno, così come, dal mezzo extracellulare, entrano liberamente all’interno della cellula e si legano a specifici recettori, chiamati LuxR (il prefisso Lux deriva dal fatto che per la prima volta il fenomeno del quorum sensing è stato descritto in un fotobatterio che produce luce a seconda della densità cellulare). Il complesso AHL-LuxR a sua volta si lega al DNA (DeoxyriboNucleic Acid) batterico e regola la trascrizione di specifici geni. Quando la concentrazione di batteri è bassa, il livello di AHL sintetizzato è al di sotto della soglia necessaria per il legame a LuxR. A mano a mano che la concentrazione di batteri cresce, aumenta anche la quantità di AHL e di conseguenza viene formato il complesso AHL-LuxR. Dato che tra i geni indotti da questo complesso vi è anche quello che codifica per l’enzima responsabile della sintesi di AHL, si instaura un feedback positivo che porta a una rapida e sincrona risposta dell’intera popolazione.
La trasduzione del segnale attraverso AHL-LuxR, basata su un messaggero extracellulare in grado di attraversare la membrana e un recettore che è anche fattore di trascrizione, obbedisce alla stessa logica della segnalazione attraverso gli ormoni steroidei. Gli autoinduttori utilizzati dai batteri gram-positivi sono, invece, peptidi di lunghezza variabile tra i 5 e i 17 amminoacidi, prodotti dal processamento di precursori, e spesso soggetti a modificazioni postraduzionali. Questi peptidi richiedono appositi trasportatori per essere secreti nello spazio extracellulare e segnalano dall’esterno della cellula attivando un recettore di membrana che, a sua volta, trasduce il segnale attraverso fosforilazioni di bersagli intracellulari; questo meccanismo di azione è quindi assimilabile a quello utilizzato dai fattori di crescita negli organismi pluricellulari.
Esistono altre forme di comunicazione tra cellule batteriche, alcune delle quali permettono anche interazioni di carattere collaborativo o competitivo tra ceppi diversi. Infine, è importante menzionare che gli organismi superiori hanno evoluto meccanismi con cui interferire nel processo di quorum sensing dei batteri e questi potrebbero giocare un ruolo importante sia per una coabitazione pacifica, come quella della flora intestinale, sia in processi di resistenza a patogeni.
Concetti generali
Negli organismi pluricellulari la quantità e la diversificazione dei messaggeri e dei loro recettori, così come dei meccanismi di trasduzione del segnale, sono naturalmente di gran lunga maggiori che negli organismi unicellulari. Una descrizione esaustiva di tutti i messaggeri trascende gli obiettivi del presente saggio, che si limita a elencare i principi generali della comunicazione intercellulare e ad approfondirne alcuni aspetti attraverso opportuni esempi. Tra i concetti generali da ricordare, i seguenti risultano fondamentali:
1) Il significato di un messaggero extracellulare che agisce attraverso uno specifico recettore su una determinata cellula deve essere interpretato in maniera non equivoca; tuttavia la risposta cellulare evocata è spesso contesto-dipendente e risulta modulata dal microambiente (per es., dalla concentrazione locale di nutrimento e ossigeno).
2) Spesso i messaggeri extracellulari inducono una risposta stereotipata e l’informazione risiede più nel circuito cellulare che interpreta il messaggio che nel messaggero stesso. L’esempio estremo di questo principio viene fornito dalla comunicazione nervosa nella quale un numero limitato di trasmettitori induce una risposta e l’informazione rilevante viene codificata nel network neuronale.
3) Lo stesso messaggero, attivando il medesimo tipo di recettore in cellule differenti, è in grado di provocare una risposta diversa: per es., fattori di crescita, quali le neurotrofine oppure gli ormoni steroidei (come gli estrogeni) possono indurre una risposta mitogenica o differenziativa.
4) I messaggeri, come pure i loro rispettivi recettori, spesso appartengono a famiglie di proteine strutturalmente e funzionalmente simili, probabile retaggio di duplicazioni geniche nel corso dell’evoluzione.
5) Molti messaggeri hanno più di un recettore che trasduce segnali diversi: per es., secondo un paradigma classico, gli ormoni steroidei regolano l’espressione genica nelle cellule bersaglio modulando l’attivazione e la localizzazione di recettori che sono fattori di trascrizione. Tuttavia, gli stessi ormoni steroidei possono legarsi a recettori di membrana e attraverso essi attivare meccanismi di trasduzione del segnale mediati da secondi messaggeri, quali flussi di calcio o adenosinmonofosfato ciclico (AMP, Adenosine MonoPhosphate, ciclico o cAMP).
6) Recettori diversi per lo stesso messaggero possono essere espressi contemporaneamente nella stessa cellula, così che la risposta al messaggero risulta dall’integrazione di diversi circuiti molecolari (pathways) attivati contemporaneamente. Per di più, a volte, recettori diversi legano distinte regioni del messaggero e la loro coespressione nella stessa cellula fa sì che l’affinità per il messaggero stesso sia maggiore. Questo è, per es., il caso delle neurotrofine che hanno due tipi di recettori espressi sulla membrana cellulare: i recettori tirosinchinasi e il recettore p75. Oltre ad aumentare l’affinità del complesso recettoriale per le singole neurotrofine, la presenza di due recettori aiuta la cellula a discriminare tra neurotrofine simili.
7) Lo stesso messaggero può evocare risposte diverse a seconda della localizzazione cellulare del recettore. Per es., le neurotrofine regolano la plasticità sinaptica legandosi a recettori espressi nelle terminazioni nervose e hanno attività trofica agendo sugli stessi recettori espressi sul corpo cellulare del neurone.
8) Messaggeri extracellulari diversi possono agire contemporaneamente sulla stessa cellula e la risposta cellulare dipenderà dall’integrazione dei vari segnali.
9) Spesso il legame di un messaggero al proprio recettore è seguito da una temporanea attenuazione del segnale stesso: ciò può essere dovuto alla rimozione del recettore dalla superficie cellulare, alla sua degradazione o a modificazioni postraduzionali che riducono la sua capacità di segnalare. Tutto ciò costituisce un meccanismo di feedback negativo che previene una eccessiva segnalazione.
10) Spesso lo stesso messaggero extracellulare agisce su diversi tessuti e organi esercitando risposte disparate, che tuttavia collaborano in modo da regolare una risposta adattativa dell’organismo a una determinata condizione. Un esempio è fornito dall’ormone leptina, una piccola proteina di circa 16 kDa che agisce contemporaneamente su vari tessuti periferici e neuroni del sistema nervoso centrale. La leptina inibisce la secrezione dell’insulina agendo sulle cellule β del pancreas e attenua l’azione dell’insulina agendo su tessuti come quello muscolare e quello adiposo; esercita la sua azione sui neuroni del sistema nervoso centrale regolando l’appetito, la termogenesi, l’attività fisica. Inoltre la leptina regola la maturazione e il funzionamento dell’apparato sessuale adattando la risposta riproduttiva a seconda della presenza o meno di scorte metaboliche. La leptina, quindi, è un regolatore pleiotropico (ossia in grado di agire su più aspetti e funzioni) dell’omeostasi (vale a dire l’insieme delle condizioni di stabilità interne degli organismi) energetica e influisce anche sul comportamento dell’animale in modo tale che esso sia il più consono alla situazione nutrizionale (per es., in assenza di cibo sufficiente è controproducente riprodursi sia per la sopravvivenza dell’individuo sia per la società).
Purine
L’ATP è una molecola chiave nel metabolismo energetico e in qualche modo rappresenta la ‘valuta’ privilegiata per le transazioni biochimiche intracellulari che richiedono consumo di energia. L’ATP agisce come coenzima in un gran numero di reazioni enzimatiche che ricavano energia dall’idrolisi di un gruppo fosfato dell’ATP trasformandolo in adenosindifosfato (ADP, Adenosine DiPhosphate). Proprio questa funzione fondamentale dell’ATP come metabolita intracellulare ha per lungo tempo impedito che fosse preso in considerazione un suo ruolo come messaggero extracellulare, nonostante una serie di evidenze sperimentali a favore. In effetti fin dal 1929 era stata descritta una potente azione dell’ATP e dell’adenosina extracellulari sul cuore e sui vasi sanguigni, seguita nei venti anni successivi dalla descrizione dell’effetto di questi nucleotidi su altri organi quali l’intestino e l’utero. Agli inizi degli anni Settanta il concetto di ATP come possibile neurotrasmettitore ha cominciato ad affermarsi sulla base di esperimenti che mostravano un suo effetto sulla contrazione della muscolatura liscia; la trasmissione ‘purinergica’ (l’adenosina è una purina) accanto a quella adrenergica e colinergica è ora un concetto ben stabilito (Fields, Burnstock 2006).
In realtà lo studio dell’ATP come messaggero extracellulare è piuttosto complesso per le due ragioni seguenti: a) nel caso della trasmissione nervosa l’ATP è spesso secreto contemporaneamente a catecolamine (come la noradrenalina) o a neuropeptidi come il peptide intestinale vasoattivo (VIP, Vasoactive Intestinal Polypeptide: per questo motivo non è sempre facile comprendere fino a che punto la risposta postsinaptica possa essere attribuita all’ATP o ad altro cotrasmettitore; b) l’ATP può essere metabolizzato anche nello spazio extracellulare a opera di numerosi enzimi che lo convertono in ADP o in adenosina: l’ADP si può legare agli stessi recettori cui si lega l’ATP, mentre l’adenosina si lega a suoi recettori specifici. Spesso recettori per ATP/ADP e recettori per l’adenosina possono essere contemporaneamente espressi sulla stessa cellula. Dato che ATP e adenosina possono avere effetti antagonisti, la risposta cellulare dipenderà anche dal rapporto tra le loro concentrazioni e quindi, in ultima analisi, da quelle attività enzimatiche che idrolizzano l’ATP.
Al di là del suo coinvolgimento nella trasmissione nervosa l’ATP ha un ruolo come messaggero extracellulare in svariati processi biologici e in diversi tessuti e organi come l’epitelio, il tessuto osseo e il sistema immunitario. Le sue funzioni riguardano, tra l’altro, la regolazione della proliferazione, del differenziamento e della morte cellulare. A tante differenti funzioni fisiologiche corrispondono altrettante patologie in caso di disfunzioni della segnalazione da parte dell’ATP. Se l’ATP agisce come messaggero extracellulare deve esistere un meccanismo per il suo rilascio da parte della cellula e, in realtà, ne sono stati individuati diversi. In molti neuroni, come accennato precedentemente, l’ATP viene secreto con altri trasmettitori e numerosi studi evidenziano la sua presenza all’interno delle vescicole sinaptiche. In altre circostanze l’ATP è con ogni probabilità secreto direttamente dal citoplasma attraverso l’apertura di canali di membrana. Infine, condizioni patologiche in cui sia compromessa l’integrità della membrana citoplasmatica determineranno la fuoriuscita di ATP con conseguente modulazione dei fenomeni di infiammazione e rigenerazione. In una prima classificazione dei recettori per l’ATP e per i suoi prodotti di idrolisi sono state distinte due classi: i recettori P1 (Purinergic), che legano di preferenza l’adenosina, e i recettori P2, che legano ATP/ADP. Sono stati clonati quattro sottotipi di recettori P1, chiamati A1, A2A, A2B e A3, i quali presentano sette domini transmembrana che trasducono il segnale attraverso proteine G. I recettori P2 sono stati classificati nei due sottotipi P2X e P2Y; i primi possono formare canali transmembrana e segnalano regolando il flusso di ioni e piccole molecole; i secondi, come P1, sono recettori a sette domini transmembrana accoppiati a proteine G.
Attualmente si conoscono sette diversi recettori P2X e otto distinti recettori P2Y, e di alcuni sono note forme diverse dovute a splicing alternativo. I canali formati dai recettori P2X sono costituiti da tre subunità, uguali tra loro (omotrimeri) o diverse (eterotrimeri). La dissezione funzionale dei singoli recettori nella trasmissione dell’ATP e dei suoi prodotti di idrolisi è resa difficile dalla mancanza di antagonisti sufficientemente specifici. Nuove indicazioni sul possibile ruolo di ciascun recettore si sono accumulate negli ultimi anni, con la generazione di topi mutanti in cui singoli recettori sono stati inattivati con approcci di ingegneria genetica (topi knockout). Tuttavia, data la ridondanza della segnalazione, dovuta al fatto che differenti recettori attivano simili vie di trasduzione intracellulare, anche gli esperimenti con topi knockout risultano spesso di difficile interpretazione. È probabile che il messaggio dell’ATP sia decodificato, più che dall’azione di un recettore, dall’integrazione degli effetti indotti contemporaneamente sul repertorio di recettori espressi dalla cellula bersaglio.
Ormoni steroidei
Gli ormoni steroidei sono una famiglia di piccole molecole, la maggioranza delle quali deriva dal metabolismo del colesterolo, che per la loro natura chimica sono liposolubili e possono quindi attraversare liberamente la membrana citoplasmatica. Queste molecole sono principalmente prodotte dalle ghiandole endocrine come le gonadi, le surrenali e, durante la gravidanza, dalla placenta. Inoltre gli steroidi possono essere sintetizzati localmente nel sistema nervoso centrale: in questo caso si parla di neurosteroidi, la cui azione si esplica a livello locale. Gli ormoni steroidei controllano in modo coordinato funzioni fisiologiche fondamentali per l’individuo agendo su diversi organi periferici e sul sistema nervoso centrale. Per es., gli ormoni steroidei prodotti dalle gonadi influenzano il differenziamento degli organi sessuali primari e secondari, regolano il dimorfismo sessuale a livello cerebrale e, nell’adulto, regolano la funzione degli organi riproduttivi e influenzano il comportamento sessuale. Anche se tutti i tessuti che producono ormoni steroidei hanno la capacità di sintetizzare il colesterolo, generalmente le ghiandole endocrine utilizzano il colesterolo presente nel plasma e prodotto principalmente dal fegato o dalla mucosa intestinale. Si pensa che gli ormoni steroidei siano rilasciati in circolo in maniera costitutiva senza che vi siano meccanismi specifici di secrezione; di conseguenza, la risposta biologica nei tessuti bersaglio è strettamente correlata alla quantità sintetizzata da parte dei tessuti che li producono. Tuttavia un certo livello di regolazione è esercitato dal metabolismo periferico, principalmente nel fegato, e da modificazioni chimiche negli organi bersaglio che alterano l’attività degli ormoni steroidei (per es., l’enzima aromatasi trasforma gli androgeni in estrogeni).
Un secondo livello di regolazione è fornito dall’esistenza di proteine che legano gli steroidi. Circa il 20-50% degli steroidi in circolo è legato in modo non specifico all’albumina, ma vi sono anche proteine con maggiore selettività, quali per es. la CBG (Corticosteroid Binding Globulin) o la SBP (Sex-steroid Binding Protein), che hanno varie funzioni: da una parte favoriscono la circolazione degli steroidi che, per la loro natura idrofobica, sono scarsamente solubili nelle soluzioni acquose, dall’altra costituiscono una riserva di ormoni steroidei in equilibrio con quella piccola percentuale non legata, circa 1-10%, che si ipotizza sia la frazione attiva. È anche possibile che queste proteine leganti gli ormoni steroidei ne modulino l’attività facilitandone l’ingresso nei tessuti bersaglio.
Il modo tradizionale di considerare il meccanismo di azione degli ormoni steroidei prevede i seguenti punti: a) queste molecole passano attraverso la membrana cellulare per semplice diffusione o grazie a un meccanismo di trasporto facilitato; b) esse vengono riconosciute da recettori presenti nel citoplasma; c) il legame dell’ormone induce un cambio conformazionale nel recettore accompagnato dalla sua dissociazione da complessi multiproteici; d) in questo modo viene esposto un segnale di localizzazione nucleare presente nella sequenza del recettore e precedentemente mascherato; e) i complessi ormone-recettore vengono trasportati nel nucleo; f) il recettore, generalmente sotto forma di omo- o eterodimero, lega il DNA riconoscendo sequenze specifiche nel promotore di un certo numero di geni; g) vengono reclutate proteine accessorie e viene attivata la trascrizione.
Da questo punto di vista, quindi, gli ormoni steroidei regolano le risposte cellulari alterando l’espressione genica. Tuttavia, vi sono risposte cellulari agli ormoni steroidei che avvengono in un lasso di tempo troppo breve, dell’ordine dei minuti o addirittura dei secondi, per poter essere mediati da un meccanismo molecolare che richiede la sintesi di nuovi mRNA (messenger RiboNucleic Acid) e la loro traduzione in proteine. Oltre alla rapidità della risposta cellulare in presenza degli ormoni, altri criteri indicano l’esistenza di meccanismi non trascrizionali degli ormoni steroidei: risposte possono essere osservate anche in assenza di un nucleo cellulare funzionale, per es. negli eritrociti e negli spermatozoi, dove il compattamento della cromatina impedisce la trascrizione genica; oppure possono avvenire anche in presenza di inibitori della trascrizione o della traduzione; infine possono essere indotti anche da analoghi degli ormoni steroidei che non sono in grado di attraversare la membrana citoplasmatica. Quest’ultimo punto è però ancora controverso, data la possibilità di artefatti sperimentali. Quindi, fermo restando che gran parte delle risposte cellulari all’azione degli ormoni steroidei è riconducibile al meccanismo trascrizionale descritto precedentemente, molti studi condotti a cavallo tra 20° e 21° sec. hanno cercato di chiarire in che modo vengano mediate le azioni non genomiche degli ormoni steroidei (Losel, Wehling 2003). Alcuni studi hanno evidenziato azioni non genomiche che sono tuttavia mediate dai classici recettori degli ormoni steroidei; altri indicano come gli steroidi possono segnalare attraverso recettori strutturalmente differenti da quelli classici. Per fare un esempio del primo meccanismo di azione, il progesterone, legandosi al suo recettore classico, ne favorisce l’interazione con una chinasi citoplasmatica, detta c-SRC, che in questo modo viene attivata e inizia una cascata di fosforilazioni simili a quelle indotte dai fattori di crescita. Il progesterone stesso a volte è più efficace quando è somministrato all’esterno della cellula rispetto a quando viene iniettato direttamente nel citoplasma. Questo fatto, unito alla purificazione di proteine di membrana capaci di legare il progesterone, suggerisce che recettori distinti da quelli citoplasmatici possono mediare alcuni effetti del progesterone stesso.
È stato inoltre dimostrato che i neurosteroidi sono in grado di modulare l’attività nervosa alterando la conformazione dei classici recettori per i neurotrasmettitori. Questo è il caso, per es., di vari ormoni steroidei la cui efficacia come ansiolitici è correlata con la capacità di modulare la funzione dei recettori per il GABA (Gamma-AminoButyric Acid). Analogamente, estradiolo e progesterone possono modulare un recettore per la serotonina, il quale regola l’insorgenza di nausea: questa azione del progesterone potrebbe fornire una spiegazione per gli episodi di nausea che si possono presentare durante la gravidanza. Per concludere è importante sottolineare come le risposte cellulari non genomiche degli ormoni steroidei possono modulare le risposte genomiche classiche alterando una serie di secondi messaggeri e regolando indirettamente la funzione dei fattori di trascrizione.
Fattori di crescita
Tra i messaggeri extracellulari meglio studiati e caratterizzati vi sono certamente i fattori di crescita (GF, Growth Factors), proteine che vengono secrete e che per la loro natura idrofilica non possono attraversare la membrana citoplasmatica e quindi segnalano attivando recettori espressi sulla superficie cellulare delle cellule bersaglio. Il nome di fattore di crescita non deve trarre in inganno; in realtà i GF, a seconda delle cellule su cui agiscono, hanno effetti diversi e possono sia promuovere la proliferazione cellulare sia indurre l’arresto mitotico e il differenziamento. La risposta biologica della cellula a un determinato GF richiede la regolazione simultanea di processi biochimici diversi in modo coordinato. Per es., quando i GF agiscono per promuovere la proliferazione cellulare vengono attivati in parallelo segnali di trasduzione che: inibiscono il processo di morte programmata detto apoptosi; attivano il macchinario necessario per la progressione attraverso il ciclo cellulare inducendo la duplicazione del DNA genomico; riprogrammano il metabolismo cellulare in modo da raddoppiare la quantità anche di altri componenti cellulari, come proteine e lipidi. Quest’ultima funzione dei fattori di crescita è stata apprezzata relativamente di recente, mentre precedentemente l’enfasi maggiore era posta sulla regolazione del ciclo cellulare, intesa come induzione della sintesi di DNA, segregazione dei cromosomi e divisione mitotica. Per questo i meccanismi molecolari che sono alla base della riprogrammazione del metabolismo cellulare in risposta al GF sono ancora relativamente poco conosciuti. È chiaro tuttavia che un ruolo cruciale viene esercitato dai mitocondri, gli organelli intracellulari responsabili della produzione della maggior parte dell’ATP cellulare (DeBerardinis, Lum, Hatzivassiliou, Thompson 2008). Spesso i GF regolano l’attività fisiologica delle stesse cellule di cui hanno influenzato il differenziamento; per es., le neurotrofine promuovono la sopravvivenza e la maturazione di precursori neuronali e regolano la plasticità sinaptica dei neuroni maturi.
Apparentemente, una volta che nel corso dell’evoluzione si sia stabilito un binomio funzionale tra il GF e il suo recettore, questo viene utilizzato in circostanze diverse con funzioni differenti. Agendo sulle singole cellule i GF regolano il loro comportamento ‘sociale’ in tessuti e organi. In effetti, in assenza di segnalazione da parte del GF le singole cellule di un organismo pluricellulare non sono in grado di trasportare al loro interno sostanze nutritive, quali glucosio e amminoacidi, e questo meccanismo impedisce che le singole cellule crescano e si moltiplichino indipendentemente da un segnale esterno. Di conseguenza uno dei passi necessari per la trasformazione di una cellula normale in una cellula tumorale consiste proprio nell’acquisita indipendenza dal GF. Questa di solito viene ottenuta o con la produzione locale da parte della cellula neoplastica stessa di GF o tramite l’attivazione costitutiva dei recettori dei GF, dovuta a mutazioni o a sovraespressione, o infine all’attivazione di trasduttori del segnale dei GF. Considerando l’importanza della segnalazione attraverso i GF e i loro recettori non sorprende che si siano evoluti complessi meccanismi molecolari per il controllo di qualità della loro sintesi. Sia i GF che vengono secreti sia i loro recettori che vengono esposti alla superficie cellulare transitano attraverso il reticolo endoplasmatico dove assumono la corretta conformazione anche grazie all’azione di proteine residenti nel reticolo stesso, dette chaperones molecolari o chaperonine. GF e recettori che per una qualunque ragione non riescano ad assumere la struttura corretta sono inizialmente trattenuti nel reticolo endoplasmatico ed eventualmente traslocati nel citoplasma e degradati. Il meccanismo di assemblaggio delle proteine secrete e del loro controllo di qualità è in grado di adattarsi a condizioni variabili: per es., un aumentato carico di proteine secretorie ripiegate nella loro struttura in modo non corretto induce una risposta cellulare, detta UPR (Unfolded Protein Response), o una risposta a proteine malstrutturate, che comprende una diminuita sintesi proteica, in generale, contemporaneamente a un’aumentata espressione delle chaperonine. Tuttavia, se queste risposte adattative non sono sufficienti, la stessa UPR promuove la morte cellulare programmata, per evitare la secrezione di messaggeri extracellulari disfunzionali (Lin, Li, Yasumura et al. 2007). Il fatto stesso che i GF siano proteine secrete fornisce alla cellula un ulteriore meccanismo di regolazione, in quanto cellule diverse hanno modalità di secrezione differenti.
In particolare, mentre tutte le cellule hanno una via di secrezione costitutiva, alcune, prima fra tutte i neuroni, hanno anche una via di secrezione regolata. Nel caso della secrezione costitutiva le proteine traslocate all’interno del reticolo endoplasmatico sono trasportate attraverso vari compartimenti fino all’esterno della cellula con un flusso relativamente costante. Nel caso della secrezione regolata, attraverso meccanismi in parte ancora da chiarire, specifiche proteine durante il loro viaggio verso la superficie cellulare possono essere concentrate in vescicole specializzate che rilasciano il loro contenuto nello spazio extracellulare solo in seguito a un segnale opportuno. Si avrà così che GF espressi in cellule che posseggono solo la via secretoria costitutiva vengono rilasciati costantemente e la loro concentrazione extracellulare sarà regolata principalmente dalla velocità con cui sono sintetizzati. GF espressi in cellule che hanno il macchinario necessario per la secrezione appositamente regolato possono, invece, essere secreti in grandi quantità e in tempi rapidi, cosicché la loro concentrazione extracellulare sarà principalmente regolata dallo stimolo secretorio. Proteine che legano il GF nello spazio extracellulare possono poi modularne la diffusione, regolarne la vita media e favorirne o meno il legame ai rispettivi recettori. Qui di seguito sarà descritta la famiglia delle neurotrofine come esempio paradigmatico di GF, mettendo in evidenza i vari meccanismi che regolano la loro biosintesi e trasducono il loro segnale.
Neurotrofine
Le neurotrofine, tra i primi GF a essere stati identificati, rappresentano un ottimo esempio di come lo studio dei GF, anche se ha avuto inizio alla metà del 20° sec., riserva ancora adesso sorprese rivelando aspetti nuovi e complessità inaspettate. Le neurotrofine sono una piccola famiglia di GF composta, nei mammiferi, da quattro membri: il fattore di crescita nervoso NGF (Nerve Growth Factor), il fattore di crescita nervoso derivato dal cervello BDNF (Brain-Derived Neurotrophic Factor), la neurotrofina 3 NT-3 e la neurotrofina 4 NT-4. La prima neurotrofina a essere stata individuata, l’NGF, fu scoperta nel corso di studi miranti a comprendere come un organo periferico influisca sulla crescita e sul tropismo delle cellule nervose che con esso fanno contatto. L’NGF rappresenta il paradigma di GF a funzione trofica che previene la morte cellulare per apoptosi delle cellule bersaglio, nel caso specifico principalmente neuroni simpatici e sensoriali. Il paradigma generalmente accettato è che un tessuto periferico rilascia una quantità limitata di NGF e solo quei neuroni che riescono a stabilire un contatto con il bersaglio possono sopravvivere, mentre gli altri in sovrannumero vengono eliminati per apoptosi. In questo modo l’NGF e, in genere, le neurotrofine giocano un ruolo essenziale nella corretta formazione dei circuiti nervosi.
Altre azioni dell’NGF comprendono l’induzione della crescita dell’assone e dei dendriti, l’induzione del differenziamento di precursori neuronali in neuroni maturi e la regolazione dell’espressione di proteine che contribuiscono a definire il fenotipo del neurone maturo, quali canali ionici, neuropeptidi ed enzimi responsabili della sintesi dei neurotrasmettitori. Inoltre l’NGF agisce anche su cellule non neuronali: per es., aumenta la motilità delle cellule di Schwann, cellule gliali che supportano i neuroni periferici producendo la guaina mielinica. In caso di lesione dei nervi periferici i macrofagi si infiltrano nella zona ferita come parte della risposta infiammatoria e, attraverso la produzione di citochine, regolano la sintesi di NGF nei fibroblasti e nelle stesse cellule di Schwann. L’NGF a sua volta agisce promuovendo la sopravvivenza dei neuroni, e, attirando altre cellule di Schwann, promuove la rigenerazione del nervo. Accanto alla sua funzione trofica l’NGF presenta anche un ‘lato oscuro’: studi recenti hanno dimostrato una sua possibile azione proapoptotica.
Il BDNF è stato identificato circa trent’anni dopo la purificazione dell’NGF, ricercando fattori che avessero una funzione trofica su popolazioni neuronali che non rispondono all’NGF. La maggior parte degli studi sul BDNF però è centrata non tanto sulla sua azione trofica o differenziativa durante lo sviluppo, ma principalmente sulla sua funzione di regolatore della trasmissione sinaptica nel sistema nervoso centrale dell’adulto. In effetti il BDNF, sintetizzato nei neuroni, viene indirizzato per la via secretoria regolata, è localizzato nei dendriti e negli assoni e, una volta secreto dai neuroni, controlla l’efficienza della comunicazione sinaptica. Alterazioni dei processi di secrezione di questo fattore sono state associate con deficit della memoria e, in alcuni modelli animali, sono correlate con alterate risposte a stress. Numerose evidenze sperimentali suggeriscono un possibile ruolo del BDNF nella depressione, e farmaci antidepressivi aumentano l’espressione di BDNF nell’ippocampo e nella corteccia prefrontale (Martinowich, Manji, Lu 2007). Sulla base dell’omologia di sequenza tra NGF e BDNF è stato poi possibile clonare gli altri due membri della famiglia delle neurotrofine il cui ruolo fisiologico è ancora in gran parte da individuare. Sotto il profilo strutturale, le neurotrofine sono piccole proteine di peso molecolare intorno ai 13 kDa, sintetizzate come pre-proneurotrofine e cioè con una presequenza all’estremità N-terminale, necessaria per la traslocazione nel reticolo endoplasmatico, seguita da una prosequenza che viene tagliata per produrre la forma matura. Le neurotrofine nella loro forma attiva sono composte da due subunità identiche, non legate covalentemente tra loro, ciascuna delle quali presenta tre ponti disolfuro che forniscono una struttura rigida.
Anche se in vitro monomeri di neurotrofine diverse possono legarsi tra loro, non è stata ancora dimostrata la presenza in vivo di eterodimeri. Le neurotrofine segnalano attraverso due classi di recettori: la proteina p75NTR, che lega con affinità simile tutte le neurotrofine e ha un profilo di espressione molto ampio, e i membri della famiglia di recettori tirosinchinasi Trk, TrkA, TrkB e TrkC, che invece dimostrano selettività per le varie neurotrofine e sono espressi in ristrette popolazioni neuronali. In particolare, TrkA viene attivato dall’NGF, TrkB sia dal BDNF sia dall’NT-4, e TrkC dall’NT-3. La proteina p75NTR e i recettori Trk sono in grado di interagire tra loro e formare un complesso recettoriale con maggiore affinità e selettività per le neurotrofine rispetto ai recettori Trk da soli. La proteina p75NTR appartiene per omologia di sequenza alla famiglia del recettore del TNF (Tumor Necrosis Factor) e strutturalmente comprende una porzione extracellulare con quattro motivi ricchi in cisteina, un singolo dominio che attraversa la membrana cellulare e una sequenza intracellulare senza apparente attività catalitica. Le proteine Trk sono invece recettori la cui porzione intracellulare ha un’attività tirosinchinasica, che viene attivata in seguito alla formazione di omodimeri, favorita dal legame con le neurotrofine. Nella porzione intracellulare dei recettori Trk vi sono numerose residui in tirosina che, una volta fosforilati, formano siti di legame per altre proteine citoplasmatiche, dando luogo all’assemblaggio di complessi multiproteici trasduttori del segnale. Il contributo dei vari recettori alla segnalazione delle neurotrofine è in parte ancora da chiarire. Animali che non esprimono p75NTR hanno un fenotipo relativamente normale, mentre i mutanti per i vari Trk presentano deficit molto più accentuati. Per questo si è pensato a lungo che p75NTR avesse un ruolo secondario nel trasdurre il segnale delle neurotrofine e che servisse solo ad aumentare l’affinità per le singole neurotrofine di un complesso recettoriale in cui la subunità trasduttrice del segnale era costituita da un recettore Trk. Sono state identificate varie proteine in grado di interagire con la porzione intracellulare di p75NTR e di trasdurre un segnale rivalutando il ruolo di p75NTR come recettore funzionale. È quindi possibile che la risposta biologica di una cellula bersaglio a una neurotrofina dipenda dall’integrazione dei segnali generati sia dai recettori Trk sia da p75NTR.
Un ulteriore elemento di complessità deriva dall’esistenza di forme varianti di recettori Trk, generate per splicing alternativo, e prive della porzione intracellulare. Queste forme troncate sono potenzialmente in grado di attenuare la segnalazione attraverso i recettori dotati di attività tirosinchinasica. I complessi neurotrofina e recettori sono internalizzati e trasportati, a volte per grandi distanze, dall’estremità dell’assone fino alla regione perinucleare e in questo percorso sono potenzialmente in grado di interagire con numerose proteine e modificarne l’attività. Quale sia il contributo della segnalazione da parte dei recettori internalizzati nel modulare la risposta cellulare è ancora materia di intensi studi. La concezione tradizionale della funzione delle neurotrofine è stata recentemente rivoluzionata da una serie di nuovi dati che hanno messo in evidenza quanto segue: 1) le forme non mature dell’NGF e del BDNF, ossia il proNGF e il proBDNF, possono essere secrete; 2) proNGF e proBDNF legano p75NTR con affinità addirittura maggiore di quanto non facciano le forme mature delle neurotrofine; 3) il loro legame a p75NTR induce morte cellulare; 4) nello spazio extracellulare proNGF e proBDNF possono essere processati a NGF e BDNF dall’azione di proteasi, come metalloproteasi, associate alla matrice extracellulare, e plasmina. Questi risultati hanno rivelato un’ampia gamma di possibili meccanismi di controllo e inaspettate complessità nell’azione delle neurotrofine e rappresentano un campo di ricerca in rapida evoluzione. In particolare, sono investigati i meccanismi molecolari attraverso cui l’attivazione di p75NTR induce l’apoptosi, si studia se proBDNF e BDNF giochino ruoli opposti anche nella plasticità sinaptica e quale possa essere il coinvolgimento delle proneurotrofine in malattie neurodegenerative, quali per es. il morbo di Alzheimer (Lu, Pang, Woo 2005).
Altre famiglie di fattori di crescita
Numerose altre famiglie di GF segnalano, attraverso recettori tirosinchinasi, con meccanismi di trasduzione del segnale che somigliano a quelli dei recettori Trk. Tra i tanti ricordiamo i GF della famiglia dell’EGF (Epidermal Growth Factor), di cui si conoscono otto membri che segnalano inducendo omodimeri del recettore tirosinchinasi ErbB1 o eterodimeri ErbB1/ErbB2; la famiglia delle neureguline (quattro membri) che segnala attraverso i recettori ErbB2, ErbB3 e ErbB4; l’insulina e gli IGFs (Insulin-like Growth Factors); fattori angiogenetici come il VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor), i ventitré membri della famiglia FGFs (Fibroblast Growth Factors) e molti altri ancora. Per tutti vale il principio che il legame del GF porta alla dimerizzazione o oligomerizzazione dei recettori e in tal modo ne stimola l’intrinseca attività tirosinchinasica. Di conseguenza, specifiche tirosine vengono fosforilate nella porzione intracellulare dei recettori stessi o in substrati diretti dei recettori. Queste tirosine fosforilate costituiscono siti di legami per una serie di proteine trasduttrici del segnale, che interagiranno con un’affinità dettata dal contesto di sequenza in cui è presente la tirosina stessa. Lo specifico assemblaggio della macchina trasduttrice del segnale sul lato citoplasmatico della membrana cellulare dipende, quindi, in primo luogo dalla sequenza del recettore, o da quella dei suoi substrati diretti. La risposta biologica della cellula bersaglio, a sua volta, dipenderà dall’integrazione dell’azione delle varie proteine trasduttrici del segnale reclutate. Tra queste di particolare importanza sono: enzimi che attraverso il metabolismo di fosfolipidi creano secondi messaggeri in grado di alterare la concentrazione locale dello ione calcio tramite l’apertura di canali della membrana citoplasmatica o mobilizzandolo da compartimenti intracellulari; elementi appartenenti alla famiglia delle piccole proteine G, che a loro volta reclutano proteinchinasi (generalmente serina- o treoninachinasi), dando luogo a una cascata di fosforilazioni; proteine della famiglia degli STAT (Signal Transducers and Activators of Transcription) che, a seguito di fosforilazione in tirosina, dimerizzano, traslocano nel nucleo e attivano la trascrizione genica.
Accanto ai GF con recettori tirosinchinasi esistono quelli che segnalano utilizzando meccanismi differenti. Per citarne alcuni, i membri della famiglia del TNF-β, i fattori detti TGF-β (Transforming Growth Factors-β)/attivina, una trentina di GF che giocano ruoli essenziali durante l’embriogenesi, regolano recettori con attività di serina/treoninachinasi. Anche nel loro caso la segnalazione dipende dalla formazione di oligomeri di recettori. Ne esistono due tipi differenti che, interagendo tra loro, si attivano e fosforilano specifiche serine o treonine presenti negli effettori a valle. Tra questi i membri della famiglia di proteine dette SMAD (Small Mother Against Decapentaplegic), inizialmente legate ai recettori che, in seguito a fosforilazione, formano complessi in grado di traslocare dal citoplasma al nucleo dove attivano (o a volte reprimono) la trascrizione di specifici geni-bersaglio. Tuttavia, è stato messo in evidenza come la trasduzione del segnale del TGF-β possa avvenire anche attraverso meccanismi indipendenti dalle SMAD e basati sull’attivazione di cascate di fosforilazioni (Derynck, Zhang 2003). GF della famiglia di Wnt (da wingless type), glicoproteine secrete (circa una ventina di membri distinti) segnalano attivando i recettori della famiglia frizzled e corecettori chiamati LRP-5 e LRP-6 (Lipoprotein Receptor-related Protein 5 e 6). L’attivazione dei recettori frizzled porta, con meccanismi ancora in parte da chiarire, alla stabilizzazione della β-catenina che, in assenza della segnalazione di Wnt, ha un rapido turnover e viene continuamente sintetizzata e degradata. La β-catenina che si accumula in seguito all’azione di Wnt si associa con uno dei membri della famiglia di fattori di trascrizione detti TCF (Ternary Complex Factors) e il complesso trasloca nel nucleo dove attiva l’espressione di specifici geni-target. Accanto a questa segnalazione ‘classica’ dei GF della famiglia Wnt, studi degli ultimi anni ancora in corso hanno messo in evidenza come i recettori frizzled possono segnalare anche attraverso la cosiddetta via delle proteine G trimeriche. Questa via media la trasduzione del segnale da parte di recettori con sette domini transmembranali, probabilmente la famiglia più abbondante di recettori per messaggeri extracellulari.
Recettori con sette domini transmembrana
Numerosi messaggeri extracellulari, siano essi neurotrasmettitori, purine, oppioidi, peptidi, proteine, lipidi segnalano attraverso una famiglia di recettori caratterizzata da sette domini transmembrana, i 7TMR (seven-TransMembrane Receptors), alcuni dei quali, non essendo noto il ligante, sono stati caratterizzati solo in base a omologia di sequenza, e perciò sono definiti recettori orfani. Con oltre 1000 membri, la famiglia di 7TMR è la più numerosa in assoluto e circa il 30% di tutti i farmaci correntemente utilizzati è diretto ad alterare la funzione di questi recettori e/o delle molecole che ne trasducono il segnale. Oltre che a messaggeri extracellulari in senso stretto, i 7TMR rispondono a stimoli quali la luce e le molecole di odorante. Considerando la diversa natura dei liganti e le risposte fisiologiche che controllano, i 7TMR devono essere in grado di rispondere sia rapidamente a segnali transienti (come nel caso di neurotrasmettitori o, in modo ancora più estremo, quando rispondono a segnali luminosi) sia in maniera più graduale a messaggeri che agiscono in tempi lunghi, quali gli ormoni. È probabile che meccanismi diversi, soprattutto con differenti cinetiche di attenuazione del segnale, siano operanti in recettori che rispondono a segnalazioni transienti o viceversa persistenti; tuttavia questo è un campo di ricerca ancora essenzialmente da esplorare. Classicamente il meccanismo di segnalazione dei 7TMR era considerato dipendente principalmente da una classe di proteine intracellulari, le proteine G eterotrimeriche, legate sul lato citoplasmatico della membrana cellulare: per questo i 7TMR sono anche chiamati GPCR (G-Protein Coupled Receptors).
Le tre subunità delle proteine G sono dette Gα, Gβ e Gγ e appartengono a piccole famiglie. Nell’uomo sono note 21 differenti subunità Gα, codificate da 16 geni distinti, con un peso molecolare di 33-55 kDa. Le Gα sono caratterizzate dalla loro capacità di legare il GTP e di idrolizzarlo a GDP; la Gα legata al GDP forma un complesso con una delle 5 Gβ, ~35 kDa, e una delle 12 Gγ, ~15 kDa. Generalmente si suppone che questo complesso sia costitutivamente associato a un 7TMR, anche se un’ipotesi alternativa suggerisce che proteine G eterotrimeriche diffondano libere sul piano della membrana cellulare e si leghino al 7TMR solo quando esso è occupato dal suo ligante. In ogni caso il 7TMR attivato induce un cambio conformazionale nella Gα promuovendo lo scambio tra GDP e GTP che, all’interno della cellula, è molto più abbondante. A sua volta il legame del GTP alla Gα provoca la sua dissociazione da Gβ e Gγ. La Gα e il dimero GβGγ si dissociano anche dal 7TMR e interagiscono separatamente con una serie di effettori molecolari, quali enzimi (come adenilatociclasi e fosfolipasi), canali ionici, attivatori di piccole proteine G della famiglia di Ras e così via. Evidenze sperimentali degli ultimi anni hanno dimostrato che il quadro è ben più complesso e almeno altre due famiglie di proteine interagiscono con i 7TMR e ne modulano la trasduzione del segnale (Reiter, Lefkowitz 2006). Si tratta delle GRKs (G-protein coupled Receptor Kinases) e delle β-arrestine, che svolgono un triplice ruolo nella segnalazione dei 7TMR. Una prima funzione riguarda la terminazione del segnale: le GRKs fosforilano in serina e treonina i recettori attivati, le β-arrestine si legano ai recettori fosforilati e inibiscono il legame delle proteine G. Inoltre le β-arrestine possono interagire con le fosfodiesterasi e in tal modo inibire la segnalazione attraverso il cAMP. Una seconda funzione svolta da GRKs e β-arrestine è relativa al traffico intracellulare dei 7TMR che vengono internalizzati per endocitosi, e questo può determinare: defosforilazione e riciclo sulla superficie; degradazione nei lisosomi; attivazione di varie vie metaboliche intracellulari. Infine le β-arrestine possono funzionare da adattatori tra 7TMR e una serie di proteine trasduttrici come tirosine e serine/treoninachinasi, spesso attivando vie di segnalazione simili a quelle dei recettori tirosinchinasi. Ulteriori livelli di regolazione della funzione dei 7TMR derivano dalla loro capacità di formare omo- ed eterodimeri e dall’azione di fattori che regolano l’attività GTPasica delle Gα.
Conclusioni
Lo studio dei messaggeri extracellulari, dei loro recettori e dei meccanismi molecolari che ne trasducono il messaggio ha beneficiato negli ultimi anni di una serie di innovazioni tecniche e di nuovi approcci sperimentali che hanno permesso un rapido avanzamento delle conoscenze e hanno contribuito a spostare in avanti il confine della nostra ignoranza. Le tecniche che hanno contribuito a ciò sono state il knockout genico condizionale, che permette di creare modelli animali in cui un singolo gene è selettivamente inattivato in modo inducibile o tessuto-specifico, e la RNAi (RNA interference), utilizzata principalmente nelle cellule in vitro, che induce selettivamente la degradazione di una singola popolazione di RNA. Questi strumenti hanno permesso un esame analitico sempre più raffinato dei componenti della segnalazione tra cellule. Tuttavia è risultato sempre più evidente, nel contempo, che una comprensione profonda richiede una descrizione sintetica di come i singoli componenti interagiscano tra di loro. Lo studio della comunicazione cellulare è uno di quei campi che maggiormente richiede un approccio di systems biology e cioè quel convergere di concetti e strumenti dalla matematica, dalla teoria dell’informazione e dall’ingegneria che si propone di comprendere le proprietà emergenti dei sistemi complessi. Approcci sperimentali quali quelli basati sui DNA microarrays, che permettono la quantizzazione di tutti i mRNA espressi in una determinata popolazione cellulare, o l’identificazione di tutti i geni bersaglio di un singolo fattore di trascrizione, insieme ad approcci di proteomica che misurano l’insieme delle fosforilazioni in risposta all’attività di una chinasi, o che misurano i network di interazione proteina-proteina, hanno generato una mole di dati che in parte aspetta di essere organizzata in modo coerente.
Alcuni principi generali sono comunque emersi negli ultimi anni nel campo della trasduzione del segnale. Il primo principio è che raramente il percorso tra un messaggero extracellulare e la risposta finale è di tipo lineare: al contrario, generalmente a valle di un recettore viene attivata una serie di segnali in parallelo e la risposta biologica dipende dalla loro integrazione. Così, per es., i recettori dei fattori di crescita reclutano trasduttori del segnale che: a) modificano l’organizzazione del citoscheletro e in tal modo regolano la forma e la motilità delle cellule; b) alterano la capacità delle cellule di aderire al substrato e ad altre cellule; c) regolano la funzione dei mitocondri, organelli centrali nel regolare i flussi metabolici e nel modulare le risposte apoptotiche; d) modificano il fenotipo o la fisiologia della cellula modulando la stabilità di proteine e mRNA e attivando i fattori di trascrizione. Un secondo principio è che spesso l’organizzazione dei network di segnalazione ha una struttura non dissimile da quella di altri sistemi complessi quali Internet, le grandi reti di trasporto e le relazioni sociali (Barabási, Oltvai 2004). Ci sono quindi proteine (o complessi multiproteici) che costituiscono hubs (nodi della rete) verso cui convergono e da cui dipartono molti segnali: in altre parole vi sono nodi della rete molto connessi, accanto a proteine con un numero limitato di interattori (spesso un messaggero extracellulare ha solo uno o pochi recettori). L’esistenza di hubs permette la modulazione reciproca tra diversi messaggeri che convergono sullo stesso nodo della rete di interazioni biochimiche. Un terzo principio è che la segnalazione dei messaggeri extracellulari, come molte funzioni biologiche, ha una struttura ‘robusta’, intendendo per robustezza di un sistema complesso la sua capacità di funzionare in maniera stabile nonostante una serie di perturbazioni. La robustezza deriva dall’organizzazione delle interazioni tra i componenti di un sistema e generalmente dipende dalla ridondanza dei componenti, che permette al sistema di operare correttamente anche in presenza di disfunzioni di un suo componente, e da meccanismi di feedback negativo che smorzano piccole variazioni casuali. Nel caso della trasduzione del segnale di un messaggero extracellulare l’organizzazione del sistema deve essere in grado di distinguere tra queste perturbazioni casuali e la presenza di un segnale significativo.
Se, come spesso viene ricordato, la comprensione della fisiologia è basilare per la correzione delle patologie, lo studio dei messaggeri extracellulari e dei loro recettori espressi sulla superficie cellulare può essere di particolare importanza, anche in considerazione del fatto che per la loro natura essi sono più direttamente accessibili all’azione dei farmaci.
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