Mèssico. – La vittoria del Partido Acción Nacional (PAN), d’ispirazione cattolica e conservatrice, nelle elezioni presidenziali e legislative del 2000 ha posto fine al monopolio politico del Partido Revolucionario Institucional, (PRI), al potere, sotto varie denominazioni, sin dal 1929. Quest’ultimo, tuttavia, avendo mantenuto al Senato la maggioranza dei seggi, ha condizionato la vita politica del Paese lasciando alla nuova amministrazione, guidata da V. Fox, scarsi margini di manovra. Nel tentativo di superare l’impasse politica, nell’ottobre 2001 Fox ha stretto con il PRI un accordo di programma volto all’attuazione di misure economiche e finanziarie: da esso ha però tratto vantaggio soprattutto il PRI, che è tornato cosi a dominare la scena politica, mentre i contrasti interni al PAN si sono acuiti e i risultati ottenuti sul piano pratico sono stati scarsi per il permanente dissidio di fondo tra i due partiti della coalizione. In particolare sono rimasti disattesi i progetti di riforma del mercato del lavoro e del sistema fiscale, mentre minori ostacoli hanno incontrato i progetti di privatizzazione delle fonti energetiche. Disattesi sono rimasti anche gli impegni presi in campagna elettorale per risolvere la questione delle comunità indigene tornata alla ribalta in seguito alla decisione del subcomandante Marcos, leader dell’Ejército Zapatista de Liberación Nacional (EZLN) – movimento che organizzava la protesta delle popolazioni indigene –, di uscire per la prima volta dalla clandestinità e organizzare una marcia pacifica attraverso tutto il Paese, per ottenere l’approvazione del disegno di legge sui diritti degli indios. (febbr
subcomandante Marcos, marzo 2001). La scarsa incisività del governo nell'affrontare i problemi strutturali del paese e gli scandali di natura finanziaria legati alle sovvenzioni illecite per la campagna elettorale di Fox, hanno generato una crescente disaffezione dell’elettorato nei confronti del PAN, che si è tradotta nel ritorno al potere del PRI in molti stati e nella sua riaffermazione nelle elezioni legislative svoltesi nel luglio 2003, nelle quali ha ottenuto il 37,9% dei voti contro il 31,8% del PAN. Perduta la maggioranza in Parlamento, si è venuta a creare una situazione di stallo decisionale che si è trascinato fino alle nuove elezioni svoltesi nel 2006, in vista delle quali il dibattito politico si è rianimato. Ai programmi liberisti dei candidati del PAN e del PRI, rispettivamente F. Calderón e R. Madrazo, si è contrapposto quello del leader del PDR (Partido de la Revolución Democrática) A.M. López Obrador (sindaco di Citta di Messico), che ha incentrato la sua campagna sul rilancio dell’intervento pubblico nel settore sociale e nell’economia per superare le sacche di arretratezza e assorbire la disoccupazione. Questi temi sono risultati di grande presa e alle elezioni presidenziali Obrador è stato sconfitto da Calderón solo per un pugno di voti: tra i due contendenti vi è stato infatti uno scarto inferiore all’1%. Contestati dall’opposizione, che ha chiesto un nuovo conteggio delle schede, i risultati sono stati confermati dal Tribunale elettorale federale solo nel settembre 2006. La nuova amministrazione guidata da Calderón ha avviato una serie di riforme volte ad attirare gli investitori stranieri e ha puntato a rafforzare i legami economici e commerciali con gli Stati Uniti e il Canada. La crescita che si è realizzata nei primi anni è stata bruscamente frenata nel corso del 2009 dalla crisi economica internazionale, che ha evidenziato i limiti di un'economia legata prevalentemente alle esportazioni verso gli Stati Uniti. Il mercato interno è rimasto asfittico, pesantemente condizionato dalla grave situazione in cui versa la maggioranza della popolazione, afflitta dalla disoccupazione e dai bassi redditi. A partire dal 2010 tuttavia, l'economia è tornata a crescere, trainata dalla ripresa statunitense e da una politica di investimenti pubblici, e anche il mercato interno si è rivitalizzato. I tassi di emigrazione illegale verso gli Stati Uniti sono rimasti elevati, nonostante le misure repressive messe in atto dai vari stati confinanti e il muro di più di mille chilometri voluto dall'amministrazione Bush, realizzato nella parte più permeabile del confine tra Stati Uniti e Messico, in Texas e in California. A questo proposito il governo messicano ha più volte invocato una maggiore flessibilità delle politiche statunitensi in materia d’immigrazione, chiedendo che alla liberalizzazione commerciale corrisponda quella dei movimenti di persone. A partire dal 2010 i flussi migratori hanno cominciato a subire un leggero calo, accompagnato da un aumento del numero dei rimpatri. L'impegno del governo nella lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, soprattutto quella legata al narcotraffico, ha prodotto scarsi risultati e il Paese ha continuato a vivere in una condizione di diffusa violenza. Il numero degli omicidi seguita a crescere a causa delle lotte tra i cartelli della droga ma anche per la strategia scelta dal governo per contrastarla, basata sul ricorso all'esercito e sull'uso massiccio delle armi. Secondo molte organizzazioni umanitarie, polizia ed esercito per combattere le bande si sono rese responsabili di gravi violazioni dei diritti umani (torture, arresti arbitrari, scomparsa di persone). Per porre fine a questo stato di cose si è mobilitata anche la popolazione civile e nel maggio 2011 un'imponente manifestazione per la pace ha attraversato le vie della capitale, rispondendo all'appello lanciato dal poeta Javier Sicilia. Contestata dall'opinione pubblica per le mancate riforme e per la non conseguita pacificazione del Paese, l'amministrazione Calderón ha perso ancora consensi: nelle elezioni legislative di medio termine, svoltesi nel luglio 2009, il PAN ha subito una pesante sconfitta a fronte di una nuova affermazione del PRI e di un tasso di astensionismo del 60%. I dati sono stati confermati dalle elezioni presidenziali del luglio 2012, che hanno riportato al potere, dopo 12 anni, il PRI, il cui candidato Enrique Peña Nieto si è affermato con circa il 38% dei voti sul candidato della sinistra A.M. López Obrador, attestatosi al 31%. Quest'ultimo, dopo aver lasciato il PDR, ha dato vita a un nuovo movimento politico, il Movimiento Regeneración Nacional (MoReNa), trasformato in novembre in un vero e proprio partito, le cui priorità sono state indicate nella lotta per la legalità e la giustizia sociale.