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Messina

di Gianvito Resta - Enciclopedia Dantesca (1970)
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Messina

Gianvito Resta

D. non ricorda mai direttamente M., se non in VE II V 4, VI 6, come patria di Guido delle Colonne (ludex de Columpnis de Messana), ma invece la conoscenza che di D. si ebbe in M. è attestata assai presto nel tempo: certamente tramite della sua diffusione saranno stati i numerosi Fiorentini che, esuli dopo il trionfo di Parte guelfa, avevano trovato in Sicilia una seconda patria, o i numerosi mercanti attirati dal rigoglio commerciale della città siciliana, o ancora gli studenti reduci dagli Studi del continente. Certamente si tratta di una ‛ fortuna ' molto limitata, soprattutto per le particolari condizioni politiche dell'isola, e di cui a stento documenti di archivio ci permettono di seguire le scarse tracce (come quell'inventario dei beni del notaro Pino Campolo in cui, a metà Trecento, è registrato un codice della Commedia). Tra l'altro, nessuno dei codici di questo periodo o del secolo seguente risulta esemplato in Sicilia, segno indubbio di un interesse limitato e circoscritto e, in un certo senso, marginale della cultura siciliana, dove spesso la conoscenza dell'opera dantesca è recepita per altri tramiti, come nel caso del volgarizzamento della Storia di Enea dovuta al messinese Angilu di Capua, in cui la fonte dantesca è mediata dall'originale toscano di ser Andrea Lancia.

Si deve ascrivere a merito dell'Umanesimo una maggiore diffusione della cultura che investe la stessa fortuna di D. (e in documenti notarili del tempo più frequente ritorna la registrazione dell'opera dantesca): significativa è infatti la presenza della Commedia nell'opera di un Matteo Caldo, relativamente ai margini della cultura ufficiale, opera di edificazione popolare, che pure trova nel poema dantesco copia di moduli espressivi da inserire nel suo modesto dettato. Col Cinquecento è possibile tracciare una trama più fitta e continua: nomi come quelli di Claudio Mario Arezzo (siracusano ma a lungo attivo in M.) o di Maurolico valgono ad attestare la continuità e il tono elevato del culto di D. nella città siciliana.

Un analogo discorso può essere fatto per il Seicento che, se non può vantare personalità insigni come il secolo precedente, ha il merito di una più diffusa vita culturale, soprattutto presso l'Accademia della Fucina, i cui rappresentanti, il Musarra, il De Gregorio e l'Ansalone, ma soprattutto Giovanni Ventimiglia, mostrano nelle loro opere speculative e nelle loro rime una vasta e sicura conoscenza dell'opera dell'Alighieri. Il Settecento segna per M. una più chiusa e provinciale attività culturale legata a un generale decadimento dovuto alla politica punitiva del governo spagnolo verso la città ribelle. In effetti a testimoniare la continuità di una tradizione dantesca non è possibile ricordare se non opere di scarso valore, come il macchinoso poema drammatico Il Natale di Cristo del principe Antonino Ruffo o, su un piano di poesia popolare, le Cicalate del sacerdote Pippo Romeo, recitate a Carnevale per i soci dell'Accademia Peloritana.

L'Ottocento riporta in auge il culto di D. anche a M.: il poeta è studiato e amato perché in lui si vede una prefigurazione delle contemporanee aspirazioni nazionali. Non a caso i dantisti messinesi di questa generazione possono vantare una brillante carriera di patrioti e di apostoli dell'unità: si pensi a un Mitchell, a un Lizio Bruno e, più importante di tutti, a Giuseppe La Farina. Sfogliando le bibliografie del periodo in questione ci s'imbatte in una miriade di discorsi, feste scolastiche, poesie, declamazioni, tutte dedicate a D.: sono le manifestazioni di una cultura molto spesso limitata e provinciale, ma vivace ed entusiasta che caratterizzò tutta la vita cittadina fino alla tragedia del terremoto. Si inquadrano solo in parte in tale clima anche la traduzione in dialetto siciliano della Commedia fatta da Tommaso Cannizzaro, opera senza dubbio di notevole interesse, e la stessa attività di dantista di Giovanni Pascoli durante il suo insegnamento nella città siciliana (Sotto il velame fu stampato e dedicato a M.), il quale seppe ben adattarsi alla cultura cittadina arrecando un suo particolare tono e una sua particolare impronta, anche con conferenze dantesche che, unitamente ai volumi, sollecitarono un vivo interesse attestato in studi e saggi di studiosi messinesi. Il terremoto del 28 dicembre 1908 con la morte o la dispersione dei giovani studiosi, con la distruzione della città, segnò la fine di un dantismo ‛ messinese ', la cui ultima testimonianza è l'ancora inedita traduzione in siciliano del poema a opera di Alberto La Maestra.

Bibl. - L. Natoli, Gli studi danteschi in Sicilia. Saggio storico-bibliografico, Palermo 1893; L. Perroni Grande, Notizie sulla varia fortuna di D. a M., Messina 1907; ID., Bibliografia dantesca messinese, Reggio Calabria 1935 (che registra compiutamente gli studi in proposito fino a quella data); G. Resta, Pascoli a M., Messina 1955, 74-76; La Istoria di Eneas vulgarizzata per Angilu di Capua, a c. di G. Folena, Palermo 1956; S. Correnti, D. e la Sicilia, in " Nuovi Quaderni del Meridione " III (1965) 63-73; F. Cilluffo, Le traduzioni siciliane della Commedia., ibid., 75 ss.; D. Cicciò, Il quinto " Dante siciliano " è opera di un messinese, in " Gazzetta del Sud ", Messina 11 nov. 1965; G. Resta, La conoscenza di D. in Sicilia nel Tre e Quattrocento, in Atti del Convegno di Studi su D. e la Magna Curia, Palermo 1967, 413-424; G. Santangelo, La critica dantesca in Sicilia nell'Ottocento, ibid. 435-463.

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