Mestruazione
La mestruazione (dal latino menstruus, «mensile») è un fenomeno fisiologico ciclico consistente in una perdita ematica che proviene dalla cavità uterina; tipica della femmina dei Primati superiori, nella donna si ripete ogni 28 giorni circa, nel periodo che va dalla pubertà alla menopausa. L’equilibrio delle interazioni ormonali da cui dipende si altera facilmente e, per questo motivo, le anomalie mestruali sono molto frequenti. Dal punto di vista psicologico, la comparsa del ciclo mestruale (menarca) è l’evento più significativo dell’adolescenza, in quanto segna l’emergere di un’identità femminile adulta e costituisce una tappa importante nel graduale conseguimento dell’equilibrio sessuale. L’idea, diffusa in quasi tutte le culture e in ogni tempo, di una ‘impurità contaminante’ del flusso mestruale si è tradotta in regole di comportamento restrittive per la donna, come manifestazione di un rapporto antagonistico tra i sessi.
Aspetti fisiologici e clinici di Piergiorgio Crosignani
1.
L’organismo femminile, dalla pubertà alla menopausa, presenta modificazioni funzionali e strutturali a carico dell’apparato genitale che si ripetono ciclicamente e che hanno la loro espressione più significativa nella mestruazione. Le stazioni di controllo del ciclo mestruale sono l’ipotalamo, l’ipofisi e l’ovaio. L’ormone ipotalamico GnRH (Gonadotropin releasing hormone) stimola l’ipofisi a produrre le due gonadotropine, ormone follicolostimolante (FSH, Follicle stimulating hormone) e ormone luteinizzante (LH, Luteinizing hormone), che stimolano l’ovaio. L’ovaio, a sua volta, modifica ciclicamente la funzione ipofisaria attraverso il continuo variare dei livelli degli ormoni ovarici (estrogeno, progesterone, inibina).
A livello dell’unità funzionale ovarica (il follicolo), le cellule della granulosa e della teca agiscono sinergicamente per produrre una quantità ottimale di steroidi: le prime sintetizzando androgeni, le seconde trasformando gli androgeni in estrogeni. Gli estrogeni localmente inducono ulteriore proliferazione delle cellule della granulosa, inibendo i processi di regressione follicolare e, in sinergismo con l’FSH ipofisario, promuovono l’incremento dei recettori per l’LH nelle cellule della granulosa. Gli androgeni, invece, inibiscono la proliferazione delle cellule della granulosa e facilitano i processi di atresia follicolare, ostacolando specificamente la crescita del follicolo stesso.
Per comprendere il meccanismo d’azione delle gonadotropine sulla steroidogenesi ovarica sono stati utilizzati modelli sperimentali nei quali fosse espressa solo l’influenza dell’FSH oppure sinergicamente quella di FSH ed LH, e si è constatato che solo l’attività combinata di entrambe le gonadotropine ipofisarie è in grado di regolare i processi enzimatici che determinano la produzione degli ormoni ovarici in modo tale da ottenere un quadro di secrezione normale. La maturazione follicolare dipende, quindi, sia dall’effetto delle gonadotropine, che sinergicamente agiscono sulle componenti follicolari, sia dall’interazione fra gonadotropine, ormoni ovarici e altri fattori locali (Lenton et al. 1982).
Gli estrogeni e il progesterone prodotti dall’ovaio, inoltre, regolano la formazione di FSH e LH da parte dell’ipofisi attraverso specifici meccanismi, che vengono comunemente chiamati feedback positivo e negativo. Il feedback positivo si verifica 36-48 ore prima dell’ovulazione, allorché il brusco aumento della produzione di estrogeni da parte del follicolo preovulatorio provoca uno specifico stimolo per l’ipofisi, che secerne in poche ore un’importante quota di LH capace di innescare gli eventi biochimici che portano allo scoppio del follicolo (ovulazione) e alla formazione del corpo luteo.
Quest’ultimo è composto principalmente di cellule luteiniche della teca, cellule luteiniche della granulosa e tessuto fibroso di sostegno. Macroscopicamente è caratterizzato da un colore giallastro legato alla presenza di pigmenti carotenoidi, e può avere una consistenza sia solida sia cistica. La fase iniziale della luteinizzazione è accompagnata da una brusca caduta dei livelli di estrogeni, mentre quelli di progesterone aumentano progressivamente; quando il corpo luteo acquista completa competenza funzionale, 6-10 giorni dopo l’ovulazione, si ha un ulteriore incremento nella produzione non soltanto di progesterone, ma anche di estrogeni.
A questo punto, l’effetto congiunto degli ormoni ovarici attiva il feedback negativo che determina una diminuzione della produzione ipofisaria di FSH e soprattutto di LH, sicché il corpo luteo, già molti giorni prima del ciclo mestruale successivo, se non avviene il concepimento, entra in crisi e le sue cellule vanno incontro a processi regressivi che si concludono con la morte funzionale. Il corpo luteo subisce successivamente delle modifiche residuando un nucleo di tessuto fibroso cicatriziale che prende il nome di corpo albicante. La crisi del corpo luteo, accompagnata da un rapido decremento della produzione degli ormoni ovarici, da una parte ripristina l’attività gonadotropa ipofisaria (cessazione del feedback negativo), dall’altra determina la crisi della mucosa uterina (endometrio) che si era venuta accrescendo e modificando durante le fasi precedenti del ciclo.
2.
I vari quadri morfologici endometriali che si osservano durante il ciclo sono strettamente correlati con la secrezione ovarica. La fase proliferativa, o prima fase, corrisponde alla fase follicolare della secrezione ovarica, durante la quale si assiste alla maturazione del follicolo ovarico con graduale aumento della secrezione estrogena. Ed è proprio la secrezione estrogena che promuove la rigenerazione dell’endometrio appena sfaldato e il progressivo accrescimento dello spessore della mucosa, agendo sia sulla componente ghiandolare sia su quella stromale.
In questa fase, la mucosa endometriale passa da uno spessore di 0,5-1 mm, che è possibile osservare subito dopo la mestruazione, a uno spessore di 3,5-5 mm, caratteristico della metà ciclo.
La fase secretiva o fase luteinica del ciclo ovarico è caratterizzata dall’azione combinata degli estrogeni e del progesterone secreti dal corpo luteo, che determina una modificazione secretiva dell’endometrio. L’attività secretiva delle ghiandole endometriali è indispensabile per l’eventuale iniziale nutrimento e impianto dell’uovo fecondato. Quando questo non si verifica e il corpo luteo inevitabilmente si avvia al proprio rapido esaurimento funzionale, la struttura endometriale è sede di una rapida crisi vascolare che determina la necrosi del tessuto e la sua espulsione (mestruazione). Rapidamente, però, in virtù della sua particolare sensibilità agli estrogeni prodotti dai follicoli del nuovo ciclo ovarico e della sua spiccata capacità di rigenerazione, l’endometrio, subito dopo la mestruazione, avvia una fase proliferativa, riproponendo un nuovo ciclo maturativo.
3.
Il primo giorno di mestruazione è considerato il primo giorno del ciclo e l’intervallo tra questo e il primo giorno della mestruazione successiva è detto, appunto, ciclo mestruale. Il ciclo viene suddiviso in due fasi: prima fase, o fase proliferativa o follicolare o estrogenica, e seconda fase o fase secretiva o luteinica o progestinica. Le due fasi sono separate tra loro dall’ovulazione; mentre la durata della prima fase è variabile, quella della seconda è costante (11-13 giorni), in quanto direttamente legata alla funzione del corpo luteo. La durata del ciclo varia, per la grande maggioranza delle donne, tra 22 e 41 giorni, con una media che si aggira intorno ai 28 giorni.
Si definiscono oligomenorrea la presenza di cicli mestruali di lunghezza superiore al normale, della durata cioè compresa tra 42 e 180 giorni, e, al contrario, polimenorrea la presenza di cicli ravvicinati, di lunghezza cioè inferiore ai 22 giorni. Il termine metrorragia si riferisce a un’emorragia uterina non ciclica, dovuta ad anomalie della funzione ovarica o a cause anatomiche (infezioni, tumori). L’amenorrea è l’assenza di mestruazioni per almeno sei mesi in un soggetto con precedenti cicli (amenorrea secondaria) o la mancanza della prima mestruazione al compimento del 16° anno di età (amenorrea primaria).
Il disturbo dell’amenorrea, frequente nelle giovani e nelle donne con problemi di subfertilità, risulta di particolare rilevanza. Questo sintomo può essere riferito a due diversi gruppi di cause: difetti anatomici dell’apparato genitale e anomalie relative alla funzione endocrina dell’ovaio.
a) Amenorrea da difetti anatomici. Le principali anomalie uterine capaci di indurre amenorrea nonostante una normale attività ovarica sono: l’aplasia uterina, o sindrome di Rokitanski, la presenza di sinechie (aderenze fra superfici tessutali) uterine, o sindrome di Asherman, e la distruzione dell’endometrio da parte dei processi infettivi cronici, come la tubercolosi, o di agenti fisici, come le radiazioni (Rebar-Connolly 1990). Altre situazioni anatomiche che possono simulare la presenza di amenorrea primaria sono i setti vaginali e l’imene imperforato: in questi casi il ciclo si verifica, ma il sangue mestruale non ha la possibilità di defluire per la presenza di un ostacolo meccanico (Fore et al. 1975). Per questa ragione le adolescenti che presentano tali anomalie hanno coliche mestruali riferibili alla ciclica impossibilità di drenaggio del sangue mestruale.
b) Amenorrea da difetto intrinseco dell’ovaio o da disfunzione ovarica. Le anomalie della funzione ovarica in grado di provocare amenorrea possono essere riferibili o all’incapacità dell’ovaio di produrre estrogeni e progestinici (difetto intrinseco dell’ovaio) o a una difettosa regolazione della propria funzione endocrina (disfunzione ovarica).
Il difetto intrinseco dell’ovaio, irreversibile (difetto primitivo ovarico, menopausa precoce, ovaio resistente), si caratterizza per la presenza di elevati valori di FSH plasmatico e urinario poiché non esiste più un’attività ovarica sufficiente a frenarne la produzione ipofisaria (amenorrea ipergonadotropa); altre cause di amenorrea ipergonadotropa sono le infezioni virali capaci di distruggere i follicoli ovarici o la chemioterapia antitumorale. L’amenorrea da disfunzione ovarica è legata, nella maggior parte dei casi, a un’alterazione della produzione pulsatile di GnRH da parte dell’ipotalamo; ciò determina un’irregolare increzione gonadotropa e, di fatto, porta a una disfunzione dell’ovaio. L’imperfetta funzione dell’ipotalamo può essere dovuta a difetti genetici o di sviluppo già presenti alla nascita anche se diventano evidenti solo in età fertile, come nel caso della sindrome di Kallman (Kallman-Schonfeld-Barrera 1944). Qualora la disfunzione ipotalamica si limiti all’attività GnRH, i soggetti in genere appaiono di costituzione normale. Più spesso l’ipotalamo risente di situazioni acquisite e tra queste le più frequenti sono rappresentate da: iperprolattinemia, difetto ponderale e reazione policistica dell’ovaio. L’iperprolattinemia, ossia l’eccessiva produzione di prolattina, è dovuta a un difetto di dopamina ipotalamica; può consentire un ciclo normale, più spesso però, a causa dell’alterata neuroregolazione che la caratterizza, si accompagna ad anomalie del ciclo e spesso ad amenorrea (Blackwell 1992).
Il difetto ponderale, caratterizzato da peso corporeo fortemente al di sotto del peso ideale e corrispondente a una limitata quota di grasso corporeo, induce una riduzione della produzione ipotalamica di GnRH (amenorrea ipogonadotropa; Frisch 1985). Nelle forme severe di anoressia nervosa si può addirittura osservare un ritorno alla pulsatilità LH di tipo prepubere. I problemi emotivi agiscono attraverso lo stesso meccanismo e frequentemente spiegano fenomeni di puro difetto gonadotropo, che hanno solitamente breve durata. Queste forme rispondono bene a un trattamento psicologico.
Nel caso della reazione policistica dell’ovaio, quest’ultimo produce un’eccessiva quantità di androgeni e ciò determina sintomi cutanei (acne, irsutismo), induce anomalie del ciclo (oligomenorrea, amenorrea, metrorragia) e riduce la fertilità della donna. Molte pazienti obese sono portatrici di tale disturbo (amenorrea normogonadotropa). Vi sono poi forme di amenorrea sostenute da cause ipofisarie (adenomi) o da disturbi funzionali della tiroide o del surrene.
L’esperienza psicologica di Dinora Pines
I primi psicoanalisti che studiarono gli effetti del ciclo mestruale sulle donne rilevarono nelle loro pazienti una particolare vulnerabilità e fragilità in coincidenza dell’inizio di questo. Nella stessa ottica, per cui le donne erano percepite come hommes manqués, si ipotizzava che le manifestazioni fisiche tipiche della mestruazione determinassero il riproporsi di conflitti irrisolti di castrazione e invidia del pene esperiti da bambina. Di conseguenza si riteneva che i disturbi nella funzione mestruale riflettessero, quasi somatizzandoli, i disturbi del funzionamento dell’Io.
Secondo H. Deutsch (1944), la prima mestruazione rappresenta l’avvenimento più importante della pubertà. L’esperienza psicologica fa rivivere i conflitti originari relativi al parto, alla castrazione, alla sensazione di essere sporca, alla mancanza di autocontrollo delle funzioni fisiologiche, all’aggressività e ad altre manifestazioni. La comparsa del ciclo mestruale rappresenta una pietra miliare nel processo di crescita della giovane donna verso il conseguimento di una identità femminile matura; i cambiamenti specifici del corpo femminile conducono dalla pubertà all’adolescenza, alla prima gravidanza e alla nascita di un bambino. In tal modo, ogni passo verso la maturità, prendendo avvio da un cambiamento corporeo, si accompagna inevitabilmente a una crisi emotiva del tutto normale, all’interno della quale le componenti libidiche di tipo aggressivo e narcisistico verso il Sé e verso l’oggetto devono modificarsi rispetto al mondo interiore e a quello esterno. Da un punto di vista fisiologico, la pubertà e l’avvento del ciclo mestruale portano a un processo di maturazione che definisce la condizione emotiva dell’adolescenza.
M. ed E. Laufer (1984) considerano il processo evolutivo dell’adolescenza come un graduale conseguimento dell’equilibrio sessuale fino al suo assetto definitivo. La rappresentazione del corpo deve ora comprendere gli attributi sessuali ormai maturi e il menarca segna l’emergere di un’identità femminile adulta. La crescita del seno e la prima mestruazione consolidano la femminilità della giovane donna, confermandole l’esistenza della vagina; di conseguenza, la capacità appena acquisita di procreare la influenza fortemente nella percezione che ha di sé come donna. L’accettazione della propria femminilità dipenderà non solo dalla percezione che ha la madre della propria femminilità e del proprio corpo, ma anche dal modo in cui la madre accetta il corpo femminile della figlia (Pines 1986).
Dopo la pubertà e l’instaurarsi di un regolare ciclo mestruale, il corpo rammenta alla donna, materialmente e ogni mese, la propria femminilità e il meccanismo del ciclo biologico a essa legato. Tale meccanismo la spinge verso un’inconscia necessità d’azione tipicamente femminile, di cui l’uomo non ha esperienza. Infatti il corpo di una donna adulta e i suoi inevitabili cambiamenti fisiologici influenzano profondamente la sua percezione del tempo, perché il periodo di fecondità è limitato a una parte del suo arco vitale; spesso l’impatto delle modificazioni fisiche sulla sua vita psichica si rivela, a livello inconscio, attraverso i sogni. La ricerca sul nesso tra la funzione fisiologica dell’ovulazione e la sensibilità e il comportamento della donna fu avviata da T. Benedek (1950). Lo studio accertò che l’incremento di estrogeni è connesso con l’aumento del desiderio sessuale, con il comportamento aggressivo e con l’ansia; la fase del progesterone è segnata da un atteggiamento materno o di dipendenza, da sentimenti di rinuncia, da un aumento di preoccupazioni narcisistiche e da desiderio o resistenza verso la gravidanza. Tuttavia, il legame tra gli aspetti ormonali e gli aspetti emotivi del ciclo mestruale sono ancora oggetto di ricerca. Negli Stati Uniti si fa riferimento a questo insieme di cambiamenti come a una sorta di sindrome fisiologica, nota con la sigla PMT (Premenstrual time). L’inconscio della donna quale emerge dai suoi sogni, le fantasie e l’immaginario che la permeano, il modo in cui questi influenzano e sono influenzati mensilmente dal ritmo biologico, costituiscono un argomento complesso, tuttora oggetto di analisi.
Culture a confronto di Anne Honer
1.
«Il flusso arriva, goccia a goccia, diminuisce lentamente e passa»: con queste parole descrivono la mestruazione gli abitanti delle isole Trobriand (Malinowski 1929), che appartengono al novero ristretto delle popolazioni per le quali essa non costituisce un tabu. Nella stragrande maggioranza delle culture, invece, si riscontra l’idea che il sangue mestruale sia impuro e abbia un effetto contaminante. Tale concezione è durata a lungo anche nella medicina europea, perdendo di valore solo nel corso del Cinquecento, e in Occidente resiste tuttora in alcune aree geografiche e classi sociali. Ne sono espressione credenze popolari per le quali, per es., le donne causerebbero il deterioramento del vino, dell’aceto o del latte se durante il ciclo mestruale toccassero o solo si avvicinassero a questi liquidi. Sulla base di queste credenze, alle donne mestruate, in passato, non era consentito cuocere il pane, aiutare a macellare, preparare conserve o accedere ad alcune mansioni, come, per es., nelle raffinerie di zucchero e nelle fabbriche di lavorazione dei funghi in Francia, o nel commercio della frutta e dei fiori in Spagna, in Italia e in parte anche in Germania; inoltre, non dovevano fare determinati trattamenti ai capelli, prendere un bagno completo o toccare fiori. Viceversa, erano ritenute utili per contrastare i parassiti (in Germania e in Italia venivano mandate nei campi o negli uliveti come deterrente contro i bruchi) e le calamità naturali (si credeva che potessero tener lontano il ‘male’ se si denudavano durante le grandinate).
La dimostrazione, fornita nel 1827 da K.E. von Baer, dell’esistenza dell’ovulo femminile - che era stata affermata già nel 17° secolo dal naturalista W. Harvey - segna la svolta verso un moderno studio scientifico della mestruazione, contrapposto al principio interpretativo basato sulla teoria genetica di Aristotele e della medicina antica che ha per secoli dominato il pensiero europeo. Ad Aristotele va ricondotta la formulazione più radicale della dottrina del ‘sesso unico’: si pensava che l’apparato genitale femminile fosse analogo a quello maschile, con la differenza di essere capovolto, girato cioè all’interno del corpo. A questa supposta analogia non corrispondeva però una pari dignità: in ossequio alla teoria generale degli elementi e degli umori (patologia umorale) dell’antica cosmologia, si riteneva che l’uomo avesse un corpo più asciutto e caldo, e che la temperatura più elevata gli conferisse una maggiore energia. Questo metabolismo basale, fornito di particolare vigore, era simbolicamente connesso a doti di attivismo, forza e spiritualità, mentre la donna, più fredda e umida, era associata alla passività, alla mollezza, alla fragilità. In tal modo, si vedeva nella donna non un sesso diverso con una propria identità, ma soltanto una creatura carente rispetto all’uomo. Su tali presupposti, Aristotele poteva definire la donna un ‘essere manchevole’. Il flusso di sangue mensile era visto nella medicina antica come la fuoruscita di un eccesso di nutrimento: un fenomeno comune anche all’uomo, il quale però, disponendo di maggiore calore, bruciava, per così dire, il suo sangue in seme, una sorta di più nobile depurazione preclusa alle donne a motivo del minor grado di calore di cui erano dotate. Una teoria siffatta conteneva in sé anche l’idea radicata di una secrezione impura e velenosa: la ‘purificazione mensile’ aveva quindi la funzione di preservare il corpo da un avvelenamento. Mentre l’uomo si liberava principalmente dalle sostanze impure con il sudore o il salasso, la donna si purificava attraverso tutte le aperture del corpo (sangue dal naso, mestruazione, vomito ecc.); i ‘vapori velenosi’ potevano perfino uscire dagli occhi, una forma di espulsione che, non solo nelle credenze popolari, era ricollegata allo ‘sguardo cattivo’.
La funzione primaria del ciclo mestruale era vista, oltre che nella purificazione, nel suo contributo alla nascita degli esseri viventi. Tale apporto non era valutato in modo unanime dagli antichi esponenti della teoria genetica: alla tesi aristotelica di un unico seme, rimasta in auge per secoli, secondo la quale la donna si limitava a preparare la ‘sostanza materiale’ (il sangue mestruale) come nutrimento del germe maschile senza disporre di un seme in grado di procreare, si affiancava la teoria della ‘pangenesi’ degli ippocratici e di Galeno, basata sul principio che entrambi i genitori contribuivano in qualche modo a dar vita alla materia. Tuttavia anche Galeno si poneva in fondo come un sostenitore della dottrina del sesso unico, allorché supponeva che il seme femminile fosse analogo a quello maschile, ma dotato di una più debole forza procreativa. La concezione del ciclo mestruale (come nutrimento, sostanza genetica da una parte, e come elemento impuro, velenoso dall’altra) affondava le sue radici nell’antica dottrina dell’equilibrio degli umori, affiancata da un complesso sistema dietetico e ginnico orientato - per usare una terminologia moderna - a un sano ‘stile di vita’, e nell’idea filosofico-politica di un rapporto di forza tra i sessi. Tuttavia, tali concezioni appartenevano in sostanza al sistema di conoscenze di una ristretta élite culturale; per le credenze popolari erano assai più rilevanti, in età grecoromana, i legami magico-religiosi con il mondo degli dei e i rituali di purificazione.
Senza entrare nel merito di un’analisi dell’influsso reciproco tra la filosofia ellenistica con il suo dualismo corpo-anima (Platone considerava il corpo la prigione dell’anima) e la religione ebraica e protocristiana, è importante, per la comprensione del fenomeno, sottolineare che l’obbligo rituale di curare il proprio corpo imposto dall’Antico Testamento, allo scopo di presentarsi davanti a Dio anche in uno stato di purezza fisica, viene sostituito in età protocristiana da una concezione esclusivamente spirituale della purezza. Nasce l’ideale della verginità e della vita ascetica (monachesimo). Alla luce di questi valori, gli stati fisici tipicamente femminili (mestruazione, gravidanza e parto) diventano inevitabilmente espressione del desiderio sessuale e della peccaminosità umana. Gli apostoli e i primi padri della Chiesa (Agostino) mantengono un atteggiamento ambivalente nei confronti del matrimonio, considerandolo una sorta di ‘male necessario’ e arrivando a vedere nella mestruazione il simbolo del peccato originale di Eva. Tale impurità spirituale non era eliminabile con nessuno dei lavaggi rituali con cui la donna ebrea poteva riconquistare la purezza. Ne è derivata per la donna cristiana tutta una serie di limitazioni: nell’Alto Medioevo le era proibito, durante il ciclo mestruale, entrare in chiesa e prendere parte alla vita ecclesiale; anche la donna nel periodo del puerperio era considerata impura, e solo nel 16° secolo il rituale di purificazione si è trasformato in un rituale di benedizione della madre e del bambino.
Nella tradizione ebraica, invece, le norme lustrali per le donne mestruate fissate dalla legge mosaico-veterotestamentaria non sono che uno dei precetti di purezza a cui l’intero popolo di Israele deve conformare la propria condotta di vita. L’idea di impurità, riferita in genere alle secrezioni del corpo, ai contatti sessuali e al parto, è collegata pure al divieto di consumare alcuni cibi; ma anche certe stoffe, poderi e campi, o addirittura interi territori potevano essere considerati impuri. Per M. Douglas (1970) il codice di purezza mosaico rappresenta non tanto il tentativo di difendere diritti patriarcali, quanto l’espressione del concetto ebraico di sacro; e tale concetto trova la sua estrinsecazione nella perfezione del corpo inteso come contenitore immacolato: solo il corpo puro può accostarsi nel tempio alla dimensione sacra. Al di là di questa idea, fondata su motivazioni religiose, tale codice di purezza simboleggia - sempre secondo Douglas - la preoccupazione di assicurare un ordine sociale a una minoranza fortemente perseguitata.
2.
L’idea di un potere contaminante del sangue mestruale, quale ancora si riscontra ai nostri giorni, appare come una debole eco di concezioni arcaiche e tradizionali che si traducono in precise regole di comportamento. L’idea di impurità del flusso mensile è presente nella maggior parte delle culture; esistono tuttavia sensibili differenze nel grado di pericolosità che il sangue mestruale assume agli occhi dei maschi e della comunità nel suo complesso e, di conseguenza, varia anche l’ampiezza delle misure che vengono adottate contro la minaccia da esso rappresentata.
Si è già detto che per gli abitanti delle isole Trobriand la mestruazione non costituisce un tabu (Malinowski 1929); presso la popolazione melanesiana si registra solo una certa repulsione verso i rapporti sessuali durante il ciclo e la tendenza, da parte delle donne, a indossare nei giorni della mestruazione gonne di rafia più lunghe del solito. Diversamente, per molte altre culture nella mestruazione si incarna l’opinione generale che le donne siano impure. Con qualche affinità con la medicina e la teoria genetica greca, la mestruazione è considerata un modo per depurarsi da elementi velenosi, e la constatazione che durante la gravidanza cessa il flusso mensile ha spesso portato a supporre che il sangue mestruale, venendo a coagularsi, serva da nutrimento per la crescita del feto (affiora a volte anche l’idea che occorra integrare questo alimento con il ricco seme maschile). In sintonia con l’opinione che il feto si alimenti di sangue infetto coagulato, anche il parto è considerato un momento particolarmente immondo, e nel nascituro si vede un essere al tempo stesso fragile e pericoloso.
Se, nell’opinione corrente di alcune culture, le donne sono dunque ritenute impure, ciò non è dovuto solo agli stati fisici legati all’attività riproduttiva, ma anche al fatto che su di esse grava (secondo una motivazione analoga a quella cristiana) una maledizione come conseguenza di una colpa originaria, derivante per es. dall’incesto con il fratello o dal commercio con il demonio. La minaccia che proviene dalle donne in genere e in particolare da quelle mestruate, gravide o partorienti, può quindi estendersi - in accordo con le diverse concezioni culturali - all’intera vita della comunità: in particolare alla salute e alla vita dei maschi, ma anche ai vecchi, ai malati, ai bambini e alle fonti alimentari. In quest’ultimo ambito, di approvvigionamento del cibo, l’uomo non può partecipare alle attività di caccia o pesca durante il ciclo mestruale della moglie, mentre alle donne sono imposte regole molto restrittive: in quei giorni è loro proibito recarsi nelle piantagioni o nei granai; non possono preparare il cibo per gli altri e devono usare per le proprie necessità un focolare separato: in sostanza, non è loro consentito di toccare né gli arnesi che servono per procurarsi il cibo né quelli necessari per cuocerlo. Inoltre, devono astenersi dal partecipare a particolari iniziative o funzioni (lunghi viaggi, cerimonie, feste religiose, solennità funebri ecc.).
Generalmente, le società sembrano essersi limitate a prescrizioni rivolte a tenere a distanza le donne mestruate; tuttavia, la volontà di evitare di contaminarsi anche solo toccando oggetti usati dalle donne mestruate ha dettato anche regole di segregazione, le quali impongono loro, per tutto il corso del ciclo mestruale, di appartarsi in un angolo separato della casa, in una capanna predisposta a tale scopo precipuo, in una tenda dietro l’abitazione, o addirittura di allontanarsi dal villaggio, rifugiandosi nella foresta.
Tale forma di isolamento, detta seclusione, ricorre con frequenza al momento della prima mestruazione, il menarca, e rientra quindi nel rituale di iniziazione con cui le ragazze sono avviate dalle donne adulte ai loro futuri compiti di mogli e madri. Se le donne mantengono per loro stesse le conoscenze sulla mestruazione, sulla gravidanza, sul parto oppure ne parlano in una lingua speciale, ciò si deve, a giudizio dell’etnologo K.E. Müller (1984), non tanto al tentativo di conservare l’esclusiva, segreta competenza sulle specifiche funzioni femminili, ma piuttosto alla preoccupazione di non ferire con argomenti appartenenti alla sfera dell’impuro l’‘orecchio’ degli uomini, di non turbarne la serenità. Questo atteggiamento di premura può anche diventare un mezzo di difesa: proprio nelle società in cui appare particolarmente forte l’antagonismo tra i sessi, le donne non solamente rispondono alle eventuali percosse da parte di un uomo, ma usano (o almeno minacciano di usare) malefici e il sangue mestruale per procurare danni diretti o indiretti agli arnesi essenziali per un uomo, come quelli usati per la caccia e la pesca.
Come l’idea del sangue mestruale quale sostanza impura e pericolosa è ampiamente diffusa, ma non universalmente condivisa, così non è comune a tutte le culture la repulsione che si riscontra presso gli abitanti delle isole Trobriand verso i contatti sessuali durante il ciclo mensile. I manus della Nuova Zelanda, per es., vi attribuiscono, al contrario, un valore altamente positivo. Ma tanto la regola quanto le eccezioni nei giudizi sul fenomeno della mestruazione non si inquadrano facilmente nello schema, forse ovvio, dell’oppressione patriarcale esercitata sulle donne, che peraltro è comune a tutte le culture e presente in ogni tempo. A questo proposito M. Douglas (1970) si richiama ai walbiri, una popolazione di aborigeni insediata nell’interno dell’Australia, che utilizza la violenza per preservare il suo modello patriarcale, ma ignora totalmente qualsiasi idea di impurità, anche connessa con il sangue mestruale.
Partendo da questo come pure da altri esempi, Douglas deduce che, quando a base dell’organizzazione sociale esiste un’assoluta supremazia maschile con il pieno diritto alla coercizione fisica, è improbabile che vi sia radicata l’idea di un’impurità sessuale; quando invece il principio della supremazia maschile risulta messo in crisi - per es. dall’istanza di indipendenza delle donne - diventa allora possibile l’idea di un’impurità sessuale. Tale concetto non appare dunque in connessione con un netto predominio maschile, ma affonda piuttosto le sue radici nel rapporto fra i sessi, che assume una connotazione antagonistica nel momento in cui compare l’idea di impurità. Questa idea di impurità sessuale e le norme di separazione che ne conseguono sono quindi un mezzo, fra tanti altri, per affermare e tutelare la supremazia maschile – laddove questa non sia sancita dall’ordine sociale – di fronte alla doppia dipendenza esistenziale degli uomini dalle donne quali ‘principali strumenti di piacere’ e garanti della continuazione della specie attraverso la riproduzione biologica (Müller 1984).
Nella tradizione occidentale il nesso impurità-sacralità è venuto meno: separate dalla sfera religiosa le regole della purezza attengono solamente all’ambito dell’igiene personale.
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