metafora
Considerata la ‘regina’ delle figure retoriche, la metafora (dal gr. metaphorá «trasferimento», in lat. translatio) è un tropo, cioè un sovvertimento di significato, rispetto al significato proprio, di due parole o segmenti discorsivi.
Una parola o un segmento eredita uno dei significati della seconda parola o segmento: si dice allora che il significato che risulta è ‘figurato’.
Come è stato osservato (Eco 1984: 242), il termine metafora sfida qualsiasi voce enciclopedica, sia perché la bibliografia relativa è enorme, sia, e soprattutto, per il significato del termine, complesso e variegato a seconda delle teorie adottate. Nondimeno in una voce sulla metafora va ricordata almeno la classica distinzione tra metafora d’uso e metafora d’invenzione per sottolineare un principio fondamentale: qualsiasi accostamento tra due parole o espressioni comporta uno sfasamento di significato di una delle due. La rassomiglianza istituita tra i due termini, in forza della quale avviene il trasferimento del significato, può essere o no depositata nella definizione convenzionale del termine.
Così (1) e (2) esprimono un significato convenzionale:
(1) ho una fame da leone
(2) sono ostaggio della fame
In questo senso la tradizione parla di catacresi o abusio per indicare le metafore che, da invenzione che erano, diventano ‘congelate’ e dal significato ormai stabilizzato. Le espressioni (1) e (2) non sono dunque metafore, almeno non nel senso di metafora di invenzione.
Aristotele, che la identificò, fece il primo tentativo di definire la metafora:
Metafora è invece l’applicazione di un nome estraneo, passando dal genere alla specie, dalla specie al genere, dalla specie alla specie, oppure per analogia. Intendo dal genere alla specie, per esempio la nave mi sta là: essere all’ormeggio equivale, in un certo senso, a stare. Dalla specie al genere: davvero diecimila valorose imprese Odisseo compì; diecimila equivale a molte, al posto del quale è stato qui usato. Dalla specie alla specie è, per esempio, con il bronzo avendo sottratto l’anima e avendo tagliato con affilato bronzo; qui il poeta ha definito il sottrarre tagliare e il tagliare sottrarre: entrambi comportano, in un certo senso, l’idea di togliere (Poetica 1457b, 7-15).
In queste quattro maniere di definire la metafora, Aristotele parte dall’idea secondo cui il procedimento riguarda il confronto tra nomi: il significato proprio è tradotto in un significato ‘figurato’ (o non proprio): in tal modo si impostò la definizione della metafora per i secoli successivi.
È soprattutto il quarto modo di funzionare della metafora (per analogia), però, a fissare l’idea di confronto e paragone. In questo caso l’analogia (A : B = C : D) riguarda la confrontabilità, come appare nel celebre esempio aristotelico della vecchiaia come tramonto della vita (tramonto : giorno = vecchiaia : vita). La metafora (nell’es., la vecchiaia è il tramonto della vita) diventa così artificio: similitudine tra cose dissimili, ma che possono essere confrontate (fissando la possibilità che la metafora paragoni il simile nell’istituire una intersezione di somiglianza percettiva).
Considerata così, la definizione di metafora viene ricevuta dalla latinità che ne enfatizza la trasferibilità (translatio) e confrontabilità, considerando la metafora una similitudine abbreviata.
Cicerone la definisce infatti come «una breve similitudine ridotta a un’unica parola […] messa in un posto altrui come se fosse il suo» (Cicerone, Orator III, xxxix, 157). Anche Quintiliano conferma l’idea di trasferimento e di confronto attraverso un paragone abbreviato:
Per dirla in sintesi, la metafora è una similitudine abbreviata, e differisce da questa in quanto la similitudine è paragonata all’oggetto che vogliamo descrivere, mentre la metafora viene collocata al posto della parola stessa, La similitudine si ha quando dico che un uomo si è comportato come un leone, la metafora quando dico, di un uomo, che è un leone (Quintiliano, Inst. VIII, vi, 8)
Quintiliano aggiunge l’idea che la metafora diventi tanto più efficace in quanto cose animate siano confrontate con cose inanimate e viceversa. Tuttavia questa idea di paragone abbreviato che omette il come è facilmente discutibile, come appare dagli esempi seguenti, che dimostrerebbero come non sempre la metafora contenga un paragone abbreviato:
(3) è forte come un leone → è un leone
(4) è forte come suo padre → *è suo padre
In più la tradizione latina vede nella metafora una figura per l’abbellimento del discorso in quanto è capace di creare circuiti di significato inattesi (inopinatum). Per questo tutta l’antichità e il medioevo insistono sull’idea che debba essere usata a fini di diletto e di spiegazione, secondo una tradizione che rimarrà costante nei secoli successivi.
Il medioevo sviluppa l’idea della metafora come analogia e l’assunto del trasferimento tra ‘animato’ e ’inanimato’ (così Isidoro di Siviglia nell’VIII secolo). In più, si profila con le Artes poetriae dell’XI e XII secolo l’idea che la metafora possa essere alla base di un percorso discorsivo allargato, collegato all’artificio dell’allegoria: attraverso una data immagine è possibile sviluppare un intero circuito significativo a fini conoscitivi e didattici. Ad es., l’Ars poetriae di Gervasio di Melkley distinguerà tra translatio e transumptio, indicando con questo secondo termine il procedimento attraverso il quale il circuito metaforico si estende dal singolo termine a segmenti discorsivi più estesi, che possono coincidere con interi brani (la distinzione è tra transumptio dictionis e transumptio orationis).
Quest’impostazione, accolta nelle pratiche delle artes dictaminis, confluisce nei procedimenti stilistici dell’alto medioevo fino a esaltarsi nei processi compositivi di ➔ Dante. Con la teoria della transumptio si configura un ampliamento degli artifici discorsivi della metafora in favore dell’allegoria: la stessa immagine della selva oscura diventa così una cellula metaforica pronta a essere variata nelle sue componenti enciclopediche e semantiche.
La concezione della metafora come transumptio orationis permette alla figura di diventare il principale tra i tropi, fino a farsi autentico artificio di creazione di pensiero (o metafora di invenzione): nel Seicento ciò è previsto sia nella teoria della metafora come brevitas, come «argutezza» e come «maraviglia» nel Cannocchiale del Tesauro (1654, 1670) sia nei Principi di scienza nuova (1725). Vico pone la metafora a fondamento conoscitivo degli uomini primitivi attribuendole così un valore cruciale per il funzionamento del linguaggio, nel quale il parlare figurato e metaforico è antecedente al parlare descrittivo, analitico e razionale.
Fondamentale, nella tradizione retorica tra Settecento e inizio Ottocento, è l’apporto di Pierre Fontanier, a cui si deve (nelle Figures du discours, 1821-1830) la distinzione tra metafore d’uso (catacresi) e metafore di invenzione.
Nel Novecento l’interesse per la metafora si riaccende e diventa imponente il numero di pensatori e di pubblicazioni che se ne occupano. È possibile indicare almeno tre filoni principali, che considerano la metafora come figura di pensiero (a), come figura discorsiva (b) e come figura dell’‘ineffabile’ (c).
(a) Il primo fu inaugurato nel 1936 da I.A. Richards con The philosophy of rhetorics, ove si contesta l’idea che la metafora costituisca un semplice trasferimento di significato, ma si afferma che le vanno riconosciute autentiche e originali capacità di ‘creare pensiero’. Da questo punto di vista, è essenziale distinguere tra termine metaforizzante e termine metaforizzato: chiamato il primo vehicle (come quando diciamo, ad es., porta per l’aeroporto è la porta del cielo) e il secondo tenor (per indicare il «collegamento tra terra e cielo»), ogni metafora consisterebbe dell’unione tenor + vehicle e in una transazione tra contesti che permette un autentico ‘commercio di pensieri’ tra i due capace di originare un significato nuovo e non previsto. Il pensiero si creerebbe proprio a partire da questo circuito in cui i significati comunicherebbero tra di loro trasferendo un messaggio che origina nuova informazione.
(b) Il secondo indirizzo di ricerca poggia su una concezione della metafora come tropo discorsivo. In un caso (Henry 1975), la metafora sarebbe costituita dall’incrocio di una doppia metonimia (= la parte per il tutto). In tal modo si ritorna alla visione analogica proposta da Aristotele:
(5) tramonto / giorno = vecchiaia / vita
prima metonimia seconda metonimia
«vecchiaia come tramonto della vita»
seconda + prima metonimia
Una più complessa teoria è stata elaborata dal cosiddetto Gruppo μ (denominazione collettiva di studiosi dell’Università di Liegi: Dubois, Edeline, Klinkenberg e altri), che provvide a una rielaborazione tassonomica delle figure, distinguendole in metaplasmi (figure che modificano l’aspetto sonoro e grafico delle parole e in genere del materiale significante), metatassi (figure che modificano in vari e distinti modi la struttura della frase e del testo), metasememi (figure che consistono nel porre un ‘effetto di senso’ – semema – al posto di un altro capaci di modificare il grado ‘zero’ o basico delle parole come avviene con i tropi) e metalogismi (figure di pensiero che modificano il valore logico del segmento discorsivo).
In questa prospettiva, la metafora è un metasemema (un ‘senso sul senso’) che fa confluire due sineddochi, in cui si assiste alla soppressione e alla aggiunta di semi, cioè di unità minime descrittive del piano del significato:
(6) porta / collegamento = aeroporto/collegamento tra spazi col cielo
prima sineddoche seconda sineddoche
«aeroporto come porta del cielo»
seconda + prima sineddoche
(c) Il terzo filone è di natura filosofica. Per es., in Paul Ricœur (1975) la metafora consiste nella creazione di un pensiero originale effettuato tramite l’interpretazione di una ’contraddizione’, che aggiunge senso mentre l’interpretazione letterale tende a diminuirlo.
In Arendt (1978), partendo dalla considerazione greco-classica per cui (come voleva Eraclito, tra gli altri) «gli occhi sono più fedeli testimoni degli orecchi», si pone la metafora a fondamento del pensiero, in quanto essa cerca di rendere visibile l’invisibile e effabile l’ineffabile. Così, daccapo nel quadro di una concezione analogica, la metafora adombra la trasformazione del linguaggio in immagine mentale e ha un fondamento iconico, in forza del quale il risultato è una sorta di ‘sesto senso’ percettivo:
(7) tramonto / giorno = vecchiaia / vita
«vecchiaia come tramonto della vita»
invisibile visibile
Come spesso avviene, per comprendere una nozione complessa come la metafora è necessario un certo eclettismo. Da questo punto di vista un contributo per una più approfondita comprensione proviene dalla pragmatica cognitivista, quella teoria linguistica e semiologica che nella seconda parte del Novecento ha elaborato modelli potenti dei meccanismi comunicativi (Bianchi 2009). Secondo questa prospettiva, la metafora è un atto comunicativo che consiste in una ‘manipolazione di credenze’, procedendo all’assegnazione di salienze o pertinenze ottimali per la selezione di tratti semantici relativi ai contesti attivati. Ogni metafora metterebbe in gioco dunque processi primari associativi coinvolti nell’interpretazione letterale e processi secondari inferenziali implicati nella derivazione di significati metaforici.
Così, l’espressione:
(8) Luca è un santo
può avere una pluralità di interpretazioni, modulate per inferenza in base al contesto:
(9) a. Luca ha senso religioso
b. Luca è una persona sensibile agli altri
c. Luca non commette ingiustizie
d. Luca è sempre disponibile
e. Luca è un evangelista.
In italiano, come nelle altre lingue, la metafora è particolarmente sensibile ai valori contestuali e recepisce i valori culturali della nostra lingua. Così, da sempre, nel quadro dell’uso della metafora nella poesia italiana, i temi della donna amata come simbolo salvifico (per es., Beatrice e Laura) e della natura come corrispettivo privilegiato dei sentimenti sembrano particolarmente attivi.
In realtà, l’esistenza di una serie di metafore privilegiate funziona da sempre come ingrediente dei testi poetici: così, ad es., quelle che sono state chiamate (Curtius 1948) metafore nautiche, in cui la composizione letteraria viene paragonata a un viaggio per mare, secondo una tradizione antichissima. Si pensi alla celeberrima metafora di chiusura de “L’Infinito” di ➔ Giacomo Leopardi («e il naufragar m’è dolce in questo mare», v. 15) e anche all’insistenza con cui torna il motivo della «luminosità», con il sole come unità figurale preferita, anche nella sua variante negativa come, per es., in Aldo Palazzeschi, “Mar grigio”: «Il sole si mette una benda di lutto» (v. 14) e, di conseguenza, «mar grigio / siccome una lastra d’argento brunastro» (v. 26).
La lirica italiana della prima parte del Novecento, però, sembra promuovere una nuova dimensione metaforica che rende più partecipe il lettore ed esalta i valori della parola poetica indagati, sin da Guido Gozzano, con riferimenti intertestuali. Questo nuovo profilo si realizza soprattutto in ➔ Eugenio Montale, quando cioè la poesia assurge a una maturità strutturale tale che il lettore diventa parte costitutiva del testo.
Celebre l’attacco dell’anepigrafe «Non chiederci la parola»:
(10) Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Il ricorso alle metafore non è però appannaggio solo dei testi letterari. La configurazione mediatica della società di massa ha riscoperto il valore funzionale della metafora, con la sua capacità di attivare coinvolgimento del lettore/spettatore. È raro, ad es., che uno slogan pubblicitario non se ne serva: si pensi ad alcuni slogan famosi, dai meno recenti Esso, metti un tigre nel motore o Durbans, ti spunta un fiore in bocca, ai più vicini (dal 2005 in poi) No Martini, no party, Müller fate l’amore con il sapore a Geox, la scarpa che respira, ecc.
Nello stesso tempo, l’accelerazione delle informazioni, sul monitor come sulla carta, ha rinvigorito le capacità di sintesi della metafora, soprattutto negli ingredienti paratestuali (titoli, glosse, didascalie: ad es., le banche rialzano la testa; abbiamo fatto gioco di squadra; Italia alle corde; l’autogol del centrosinistra, ecc.).
Altro settore vitale per le metafore attuali è la messaggistica dei cellulari, dove abbondano per lo più le catacresi (➔ posta elettronica, lingua della). È ragionevole immaginare che i processi metaforici stiano attualmente avendo un crescente impiego, in un momento in cui la lingua italiana ritrova una imponente vitalità come lingua di comunicazione.
Aristotele (1999), Poetica, a cura di A. Barabino, Milano, Mondadori.
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Quintiliano, Marco Fabio (2001), Institutio oratoria, a cura di A. Pennacini, Torino, Einaudi, 2 voll.
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