COLLOIDALI, METALLI
. I metalli, i loro ossidi, i loro idrati, taluni sali insolubili possono essere divisi in particelle tanto fini da restare in sospensione in acqua o altro liquido per un tempo lungo e in certe condizioni praticamente lunghissimo. I metalli così divisi e dispersi in un liquido sono pseudosoluzioni colloidali e presentano i fenomeni caratteristici di questo stato: fra l'altro evidentissimi il fenomeno di Tyndall dovuto all'inomogeneità ottica del colloide, e il movimento browniano delle particelle, che esaminate all'ultramicroscopio appaiono molto luminose, variamente e vivacemente colorate, perché la luce è diffratta nei suoi componenti elementari, e dotate di continui movimenti a zig-zag. La grandezza dei granuli dei metalli colloidali dipende dallo stato di divisione del metallo. Sono stati calcolati 15 milioni di granuli in 1 millimetro cubo d'una soluzione d'argento colloidale, i miliardo di granuli in 1 mmc. d'una soluzione colloidale d'oro. Zsigmondy ha calcolato che la superficie totale dei granuli contenuti in 1 mmc. d'or0 colloidale può essere di 625 metri quadrati. Poiché il peso del metallo contenuto in questo millimetro cubo è di 5 centomilionesimi di grammo, si vede come la superficie totale dei granuli sia enorme rispetto alla massa del metallo. Questa condizione è la base di alcune proprietà dei metalli allo stato colloidale.
Le soluzioni colloidali di metalli si possono preparare con processi chimici e con processi fisici. I primi consistono nella riduzione lenta d'un sale del metallo per mezzo d'agenti chimici adatti: i secondi (metodo di Bredig) nel fare scoccare l'arco voltaico tra fili di metallo immersi in acqua purissima e continuamente raffreddata. Con opportuni accorgimenti si ottengono granuli di diversa grandezza. Le soluzioni a granuli più fini sono le più stabili e le più attive farmacologicamente (Foà e Aggazzotti). Si tende con diversi mezzi a ottenere la stabilità massima.
Ci si può domandare se i metalli colloidali introdotti nell'organismo vengano assorbiti inalterati. Si sa che iniettati endovenosamente soggiornano per pochi istanti nel sangue, poi vanno a depositarsi nei varî organi e specialmente nel fegato (Voigt, 1914). E certo che la loro trasformazione nello stato di metallo-ione deve essere graduale ma rapida: il metallo ionizzato entra allora probabilmente in combinazione con le sostanze proteiche dei tessuti dando origine a quelle metalloproteine che sono state molto studiate dal punto di vista chimico e chimico-fisico (Benedicenti, Bonino, ecc.). Certamente i metalli colloidali producono sintomi (iperpiressia, ipo- e poscia iperleucocitosi, irritazione renale e intestinale, ecc.) che non possono spiegarsi se non attribuendoli, in parte almeno, allo stato colloidale del metallo stesso. È in discussione il meccanismo della loro azione nelle malattie infettive, sulle quali esercitano talvolta benefica influenza. Lodatissimo è stato l'argento colloidale (collargolo) come antisettico per uso interno nella febbre puerperale e nella setticemia, nella dissenteria e nel tifo, ma i risultati ottenuti sono incerti e, per iniezione endovenosa, non scevri di pericoli per gli embolismi che si possono produrre passando l'argento colloidale nella sua forma insolubile. Il bismuto colloidale è stato proposto nella cura della sifilide. Basandosi sulle osservazioni di wassermann e Keysser (1911-1912), i quali videro sparire i tumori sperimentali nei ratti per iniezione di composti di selenio-eosina, si sono fatte molte esperienze coi metalli colloidali (rame, piombo, ecc.) nella cura dei tumori, ma con risultati, per i tumori viscerali umani, assai scarsi.