Metallurgia e scienza dei metalli in Grecia
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nell’età classica i minerali diventano un fattore importante nell’economia e nella politica. I Greci sfruttano le miniere del Laurio perfezionando le tecniche per separare l’argento dal piombo. Lo studio delle proprietà chimico-fisiche dei metalli è parte integrante delle ricerche dei presocratici e di Democrito, il quale le interpreta in termini atomistici e le studia in maniera sperimentale. I Meteorologica di Aristotele rappresentano una tappa fondamentale nello studio dei metalli, in quanto lo Stagirita comincia a stabilire le differenze tra le sostanze metalliche e altre estratte dalla terra. Teofrasto sviluppa le teorie aristoteliche in senso meccanicistico, spiegando le proprietà dei metalli in termini di mutamenti della loro struttura.
La diffusione della metallurgia in Grecia e nelle isole dell’Egeo inizia con un certo ritardo rispetto al Vicino Oriente. A Creta la metallurgia si sviluppa a partire dal III millennio a.C.: inizialmente si lavora il rame, non molto tempo dopo anche il bronzo. L’uso di rame arsenicale e di bronzi di stagno è documentato da utensili e armi rinvenute nell’isola. È probabile che il rame venga in parte da giacimenti cretesi, successivamente (dopo il II millennio a.C.) da Cipro, mentre non è chiara la provenienza dello stagno. A metà del II millennio a.C. a Gournià fiorisce la lavorazione del bronzo, come indicano rimasugli di bronzo, scorie, un crogiolo e numerose forme per coltelli, scalpelli e punteruoli; a poca distanza dalla città sono presenti terreni cupriferi e molto vicino a essi sono stati rinvenuti i resti di un forno.
Dal 3000 a.C. circa la lavorazione dei metalli si afferma nelle Cicladi. L’isola di Syros è stata un importante centro metallurgico, come testimoniato dai pugnali, asce e aghi, nonché dai crogioli e dagli stampi riportati alla luce nel sito di Kastrì. I rari bronzi di stagno presenti nelle Cicladi, come per esempio a Kastrì, sono probabilmente importati dall’Asia Minore – forse dalla regione di Troia. I corredi funebri delle Cicladi attestano inoltre la produzione di oggetti di prestigio in argento e in oro. Giacimenti di piombo sono sfruttati nelle Cicladi (a Melos, Thera, Seriphnos, Mykonos, Anaphi e soprattutto Sifnos), forse perché il minerale di piombo contiene spesso dell’argento metallico. Nell’antica età del Bronzo, il piombo è stato utilizzato in Egeo per fini utilitari, come la confezione di pesi da reti e la riparazione di vasi rotti. A Sifnos, lo sfruttamento delle miniere risale all’inizio del III millennio a.C. e nei dintorni delle miniere sono stati scoperti ceramica preistorica, frammenti d’ossidiana, martelli di pietra e cunei triangolari.
Nella Grecia continentale, la lavorazione dei metalli (in particolare per la produzione di armi) svolge un ruolo di grande importanza nella civiltà elladica. Spade e armature in bronzo, come quella rinvenuta nella tomba di Dendra, testimoniano un’ampia diffusione di armi in bronzo nel XV secolo a.C. Le tecniche metallurgiche non presentano novità rispetto a quelle minoiche, ma l’impatto sull’economia è certamente maggiore: gli Achei commerciano materie prime e oggetti in metallo in varie zone del Mediterraneo, da Cipro (il maggior centro esportatore di rame) alla Sardegna e alla Spagna, dove lo stagno è estratto sin dalla prima età del Bronzo.
Miniere di rame sono presenti presso Micene, che probabilmente è un importante centro di lavorazione del metallo nell’età del Bronzo finale. È inoltre attestato che nel II millennio a.C. è iniziato lo sfruttamento dei giacimenti di argento e piombo del Laurio, in Attica, che avranno una grande importanza nell’economia ateniese del V e IV secolo a.C. L’uso del ferro per strumenti ed armi inizia nella media età del Bronzo, ma solo nel XII secolo a.C. il metallo inizia a essere impiegato per strumenti di uso comune; nei poemi omerici chalkos (rame) è il metallo per eccellenza.
I metalli usati dai Greci sono l’oro, l’argento, il rame, il piombo, lo stagno, il ferro. In età classica non si ha una significativa evoluzione delle tecniche di estrazione, che per lo più sono importate dal Vicino Oriente e dall’Egitto. La prima maniera di procurarsi oro è di trovarlo allo stato nativo, da giacimenti di tipo alluvionale, o placers: per mezzo di un’azione puramente meccanica si opera la separazione delle particelle dell’oro dal materiale di scarto.
Si adotta una tecnica di separazione dell’oro con un sistema di vasche perforate attraverso le quali l’acqua è incanalata e fatta scorrere su pelli ovine ingrassate, che fungono da filtro per raccogliere i granuli di minerale aurifero trasportati dall’acqua. Strabone afferma che una tecnica molto diffusa per raccogliere l’oro è quella (di origine egizia) del lavaggio: il terreno aurifero è posto all’interno di fosse o di vasche nelle quali è sottoposto a lavaggio.
Le miniere del Laurio costituiscono un ampio distretto minerario situato in una zona collinosa dell’Attica, il più importante e anche il più documentato dell’antica Grecia. La coltivazione inizia in epoca antichissima (già nella prima età del Bronzo) e continua a fasi alterne fino al I secolo a.C. Vi si estraggono argento, piombo, rame e ferro. Inizialmente lo scavo è a cielo aperto, successivamente con gallerie di accesso in orizzontale, quindi, dalla fine del VI secolo a.C., si sviluppa l’estrazione mineraria sotterranea, con lo scavo di numerosi pozzi, che scendono oltre i 100 metri. A maggiori profondità si trovano infatti strati di minerale più ricchi e più spessi rispetto ai livelli più superficiali. I pozzi sono a sezione rettangolare le cui dimensioni sono mediamente di 190x130 centimetri, le gallerie, scavate nello scisto e nel calcare, sono anch’esse a sezione rettangolare e la loro altezza inferiore a un metro. I pozzi sono scavati a coppie e si costruiscono gallerie parallele per facilitare la ventilazione. Le puntellature sono minime, gli strumenti di lavoro pochi e semplici, per lo più in ferro: martello, scalpello, piccone e zappa. L’illuminazione è data da lampade e torce. L’estrazione dei minerali nelle miniere del Laurio è opera di schiavi, in un numero che oscilla dai 10 mila ai 20 mila, sottoposti al controllo di sorveglianti.
L’amministrazione delle miniere del Laurio subisce, a partire dal V secolo a.C., delle modificazioni: in un primo tempo lo sfruttamento è diretto dallo stato ateniese e gli utili distribuiti al popolo; in un secondo momento, con il fiorire dell’industria mineraria, diminuisce il controllo dello stato e subentra il sistema dell’appalto, ma non si tratta di appalti a durata perpetua, bensì rinnovabili. Nell’Egitto tolemaico, e in tutte le monarchie ellenistiche, le miniere sono di proprietà statale.
I Greci ricavano il metallo puro dal suo minerale in maniera meccanica: il minerale è triturato nei mortai e poi macinato con mole. Questa tecnica dà buoni risultati soprattutto per estrarre l’oro contenuto nei solfuri (per esempio nella pirite aurifera). Il materiale, una volta macinato, è fatto passare attraverso setacci. I Greci, come è attestato dai resti di impianti di lavorazione del Laurio, conoscono anche una tecnica più complessa, il “lavaggio”, per estrarre l’argento. Il minerale già polverizzato e triturato è ricoperto dall’acqua fatta scorrere su di esso.
Granuli di densità relativa differente offrono differente resistenza al getto d’acqua. L’acqua deposita nei recipienti i granuli del minerale contenente piombo argentifero, mentre porta con sé altri granuli di minerale, pietra e terra. Il minerale viene poi selezionato in base al suo grado di densità e purezza. Questo processo può essere ripetuto più volte per separare e selezionare ulteriormente il minerale.
Il metallo estratto è poi sottoposto a fusione. Il piombo argentifero è estratto dal suo principale minerale, il solfuro o galena, mediante un procedimento risultante dalla combinazione dell’arrostimento e della fusione. L’arrostimento trasforma la galena parte in litargirio e parte in solfato di piombo, mentre con la fusione, ottenuta aumentando la temperatura, si eliminano impurità quali lo zolfo, l’acido carbonico, il ferro, la silice (che non possono essere separati mediante lavaggio) e si ottiene il piombo. Nel Laurio, per ottenere piombo discretamente puro è necessaria un’elevata temperatura, in modo da assicurare una completa eliminazione delle impurezze, le quali includono zinco e ferro. Per tale motivo, oltre il 10 percento del piombo, e più del 33 percento dell’argento, rimangono nelle scorie. I Greci ereditano dall’Egitto la tecnica di coppellazione, con cui l’argento o l’oro sono separati dai metalli vili; essa è usata soprattutto per la separazione dell’argento dal piombo.
La coppellazione è eseguita in crogioli (detti coppelle) rivestiti di cenere d’ossa, la quale ha la funzione di assorbire parte delle scorie. Si fa poi passare una corrente d’aria cosicché il piombo è ossidato formando litargirio fuso, che scioglie anche tutti gli ossidi dei metalli vili; il litargirio galleggia, mentre l’oro o l’argento non ossidabili rimangono sul fondo. I Greci raggiungono notevole efficienza nella separazione del piombo dall’argento, infatti sono in grado di disargentare il piombo in modo tanto efficace da lasciare in esso solo lo 0,02 percento dell’argento.
Nella mitologia Telchini e Dattili, demoni che abitano i boschi e il sottosuolo, sono scopritori del ferro ed esperti nell’estrarlo e nel lavorarlo. Hanno introdotto le arti tra gli uomini, ma sono descritti come creature misteriose e temibili. Dedalo, eroe-artigiano, cesella, inventa e perfeziona strumenti, progetta edifici e li abbellisce, porta a compimento opere straordinarie.
In epoca arcaica, la metallurgia e l’arte del fuoco (e più in generale le tecniche) sono associate alla magia. La categoria sociale dei demiourgoi include, oltre a chi lavora i metalli, anche guaritori e indovini. Le arti del fuoco sono praticate da demiurghi itineranti e si sviluppano fuori dell’ambiente domestico; esse costituiscono i primi “mestieri” specializzati. I documenti micenei attestano particolari privilegi per i bronzisti. Successivamente, le tecniche si separano dalla magia e acquisiscono uno status autonomo; nella polis va progressivamente definendosi una funzione specifica degli artigiani, ma il loro stato sociale decade. Il termine con cui si indica l’attività mineraria e metallurgica è quello, piuttosto generico e denigratorio, di banausia. In epoca classica l’artigiano non si qualifica più per la produzione di opere meravigliose, ma offre il proprio lavoro per un compenso. Senofonte (Economico, IV, 2) pone il lavoro dei campi su un piano più elevato rispetto a quello dell’artigiano metallurgo: in quanto lavorare presso il fuoco comporta la perdita di vigore fisico e viltà d’animo. Tuttavia, benché laicizzata, la tecnica, nel pensiero greco, non è considerata vero sapere. Il metallurgo non segue procedure scientifiche, razionali, ma applica ricette apprese con il tirocinio e con la consuetudine. Più di altri artigiani, egli opera in un ambito in cui la materia su cui agisce conserva sempre qualcosa di imprevedibile e casuale.
L’evoluzione della terminologia relativa ai metalli costituisce un aspetto non marginale dello sviluppo delle teorie e pratiche metallurgiche. Originariamente il termine greco metallon non indica un insieme di sostanze naturali, ma una forma specifica di sfruttamento del suolo, la miniera con gallerie sotterranee. Il verbo metalleuo, significa scavare una miniera, estrarre da una miniera, mentre l’aggettivo metallikos designa ciò che è relativo alle miniere. In Aristotele metalleuomena significa prodotto d’estrazione, ma anche metalli in senso stretto, ovvero quelle sostanze che, secondo lo Stagirita, sono malleabili e fusibili. Tuttavia, è solo molto tardi (nei primi secoli dell’età cristiana) che si stabilizza l’uso di metallon per indicare i metalli. In latino il termine metallum indica originariamente il luogo da cui sono estratti minerali dal suolo, così come le cave di pietre, successivamente, le sostanze estratte dal sottosuolo, assumendo poi in epoca imperiale il significato di metallo.
I presocratici discutono numerosi problemi legati ai metalli (emersi evidentemente dalla pratica metallurgica), come per esempio i processi di ossidazione, che Diogene di Apollonia spiega con la fuoriuscita di un umore contenuto nel ferro. Per Democrito, durezza e peso specifico dipendono dalla microstruttura del metallo: una maggiore quantità di vuoti produce un peso specifico minore, mentre una tessitura di atomi più compatta e con spazi vuoti più piccoli dà una maggior durezza. A Democrito è attribuito anche un esperimento di tipo quantitativo: sono esposti al sole per lo stesso tempo tre vasi di uguali dimensioni ma di differenti materiali, uno di bronzo, uno di vetro e uno d’argento. Democrito constata che il primo si riscalda più rapidamente e conserva il calore più a lungo degli altri. Nel Timeo Platone tratta dei metalli in modo piuttosto sintetico, basandosi sulla dottrina dei quattro elementi e su teorie di tipo geometrico-meccanico. La loro origine è dall’acqua e per questo possono essere sottoposti a fusione, processo prodotto dall’azione delle particelle di fuoco che separano e scompongono le particelle (a forma di solidi regolari) di cui sono composti i metalli. I corpuscoli che formano i metalli sono icosaedri e la quantità di interstizi tra loro determina la loro differente densità.
Aristotele presenta le proprie teorie sulla formazione e proprietà dei metalli nei Meteorologica, basandosi sulla teoria della doppia esalazione. Quando il Sole riscalda la Terra, si genera una duplice esalazione: una secca, infiammabile, e una umida, simile al vapore. Quando le esalazioni sono racchiuse nella terra, generano rispettivamente i minerali non metallici, generati dall’esalazione secca, e i metalli, formati dall’esalazione umida, che sono fusibili e malleabili. I metalli sono generati dalla condensazione e compressione dell’esalazione umida (che è anche definita come acqua in potenza). Nella loro formazione intervengono parti di terra, la cui proporzione in rapporto all’acqua determina le differenti proprietà dei metalli: la fusibilità è infatti data dall’acqua. Il ferro è meno fusibile poiché contiene una maggiore quantità di terra. Teofrasto abbandona la teoria aristotelica della doppia esalazione, mentre sviluppa in termini quasi atomistici la teoria della terra e dell’acqua quali costituenti dei metalli. Questi ultimi sono prodotti da un processo di indurimento dell’aggregato terra-acqua nelle viscere della Terra. Teofrasto fa dipendere le proprietà chimico-fisiche dei metalli dalla loro struttura. La fusione è determinata da un mutamento della disposizione interna delle parti del metallo: il calore penetra i pori e scompone la struttura del metallo.