METAMATEMATICA
. Il problema della metamatematica. - Come disciplina specifica, la m. deve la propria genesi (e la propria denominazione) a D. Hilbert, il quale vi attese col proposito di superare le difficoltà emerse dalla crisi dei fondamenti della matematica classica nei primi anni del Novecento. Per comprendere adeguatamente la natura e gli sviluppi di tale disciplina, conviene premettere alle considerazioni più specificamente tecniche, che costituiscono l'oggetto dell'articolo che segue, almeno un cenno circa le sue radici storiche, facendo infine seguire analoghi rilievi sulla sua portata ulteriore.
Il quadro, entro cui ha tratto origine l'indagine metamatematica, è quello degli straordinari esiti del processo ottocentesco di rigorizzazione dell'analisi e delle altre dottrine matematiche tradizionali; esiti in qualche caso problematici e pertanto responsabili della già riferita crisi dei fondamenti, come attesta soprattutto la scoperta dell'antinomia delle classi (o insiemi) che non sono membri di sé stesse, a opera di B. Russell poco dopo l'inizio di questo secolo. Ciò segnò effettivamente il blocco della ricostruzione matematica perseguita via via nell'Ottocento secondo organiche linee riduzionistiche: in particolare, mediante l'aritmetizzazione della teoria dei numeri reali da parte di K. Weierstrass, R. Dedekind, ecc.; l'ordinamento assiomatico dell'aritmetica per iniziativa di G. Peano; nonché, infine, la logicizzazione dei medesimi principi aritmetici dovuta a G. Frege e destinata ad attingere - sulla base della Mengenlehre di G. Cantor - consistenza ancor più vasta con il successivo apporto russelliano. Proprio l'imprescindibilità delle nozioni insiemistiche cantoriane entro il sistema fondazionale del Russell spiega perché esso abbia risentito in modo sconvolgente della suddetta antinomia delle classi, rendendo altresì comprensibile il dissenso radicale di H. Poincaré nei confronti della progettata riduzione di tutta la matematica alla logica e alla teoria degl'insiemi: "la logistique n'est plus stérile: elle engendre la contradiction".
Comunque, siffatta risultanza contraddittoria o antinomica e la connessa crisi dei fondamenti, lungi dal rappresentare soltanto una battuta d'arresto, un evento "patologico", nell'acquisizione graduale di migliore consapevolezza critica intorno alle prerogative del sapere matematico, hanno esercitato fecondi stimoli metodologici, promovendo la ricerca di nuove congetture e di nuovi strumenti per dirimere accuratamente le questioni teoriche aperte.
Fra i tentativi di revisione così intrapresi, alcuni si sono ben presto distinti con peculiare evidenza: massimamente, l'opera assiomatica zermeliana in materia d'insiemi; il potenziamento del logicismo di B. Russell mediante la teoria dei tipi; e, non senza risalto antitetico, la formulazione da parte di L. E. J. Brouwer dell'intuizionismo (o neo-intuizionismo, tenendo conto di specifici antecedenti ravvisabili nel pensiero di Poincaré, di L. Kronecker, e simili).
Il contributo di E. Zermelo ha assunto la forma di una meticolosa assiomatizzazione del lavoro di Cantor, introducendo condizioni restrittive ad hoc - principalmente nei riguardi dell'assioma di comprensione - atte a precludere l'affiorare d'incoerenze del genere già esemplificato. Più ampia e complessa è stata, nel frangente, la strategia russelliana: fermo restando il disegno originario di fondare la matematica col procedere sia a definirne i concetti, sia a dedurne i principi sulla base, rispettivamente, di concetti e principi logico-insiemistici, Russell ha stabilito nell'omonima teoria dei tipi una gerarchia di livelli di predicabilità, nonché corrispondenti restrizioni per quanto attiene alla struttura generale del discorso enunciativo, in grado di dissolvere l'aporia implicata dal proprio riduzionismo logicista. Infine, secondo il punto di vista brouweriano, è apparsa necessaria una duplice svolta, nel senso, anzitutto, d'identificare la matrice dell'attività matematico-aritmetica, sulla scia di Kant e Poincaré, essenzialmente con l'intuizione del tempo all'interno della coscienza; quindi, di ritenere idonee solo le procedure costruttive, ossia basate su operazioni effettivamente eseguibili, tali da escludere ogni riferimento all'infinito attuale come presupposto definitorio o fattore d'inferenze (discendendone, per la concezione del Brouwer, attributi di costruttivismo e di finitismo parimenti qualificanti sotto il profilo teorico-metodologico).
A questo stato di cose Hilbert ha contrapposto alcune radicate convinzioni, da cui è successivamente dipeso il processo costitutivo della riflessione metamatematica. Nonostante le difficoltà inerenti al suo riassetto ottocentesco, il corpus della matematica classica (aritmetica, analisi, teoria degl'insiemi) possiede intrinseca congruenza, cioè è immune da antinomie o contraddizioni. Pertanto, la crisi dei fondamenti va risolta fornendo espressamente una dimostrazione rigorosa di non contradittorietà dell'intero corpus in oggetto. Ma gli apporti relativi di Zermelo, Russell e Brouwer presentano, oltre a valide istanze, anche limiti non trascurabili (motivazioni talora poco approfondite, insufficiente ampiezza, o ulteriori aspetti problematici); né risulta adeguato allo scopo il procedimento consistente nello stabilire la coerenza di particolari discipline costruendone "modelli" entro altre, supposte non contradittorie, dato che si tratterebbe soltanto di prova relativa, anziché assoluta, come testimonia la costruzione effettuata da E. Beltrami (1868) e dallo stesso Hilbert (1899) di modelli all'interno della geometria euclidea, nonché, rispettivamente, della teoria dei numeri reali per provare la non contradittorietà di determinate geometrie non euclidee e della medesima geometria euclidea.
Quale via seguire, allora? La risposta in termini hilbertiani ha tenuto conto delle indicazioni positive, non meno che di quelle negative, riscontrabili entro il contesto esaminato. Fra esse, sono state recepite sia la fiducia zermeliana nel metodo assiomatico come mezzo ottimale di ricostruzione matematica; sia il convincimento russelliano circa la profonda unità, cogente struttura e astratta pregnanza del pensiero matematico, nonché l'estrema ricchezza assicurata a esso dal cantorismo (il "paradiso di Cantor"); sia genericamente, le tesi brouweriane riguardo alla superiore attendibilità delle procedure finitistico-costruttive, in quanto capaci di risultati garantiti da puntuale evidenza sul piano dell'intuizione. Un ulteriore antecedente rilevante può considerarsi l'orientamento formalistico, parzialmente assunto durante l'Ottocento - e oltre - nell'indagine logica, geometrica, algebrica, aritmetica, insiemistica (J. D. Gergonne, K. F. Gauss, J. Bolyai, N. I. Lobačevskij, B. Riemann, G. Boole, A. De Morgan, E. Schröder, Peano, Zermelo, ecc.), insieme con la prospettiva assiomatica meta-teorica, suggerita dalla distinzione del Frege tra linguaggio-oggetto e metalinguaggio, ma adombrata altresì nella gerarchia dei livelli di predicabilità della teoria dei tipi di Russell.
Sussistendo simili premesse, grazie all'impegno originale profuso da Hilbert nell'elaborazione del suo severo formalismo ha preso corpo - per es., mediante la stesura di Über die Grundlagen der Logik und Mathematik (in Verhandlungen des dritten internationalen Mathematiker-Kongresses in Heidelberg vom 8. bis 13. August 19o4, Lipsia 1905, pp. 174-85) o di Neubegründung der Mathematik in Abhandlungen aus dem mathematischen Seminar der Hamburgischen Universität I [1922], pp. 157-77) - il cosiddetto "programma hilbertiano", vero e proprio atto di nascita della ricerca metamatematica strettamente intesa.
Due appaiono i punti basilari di tale programma: primo, "tradurre" la matematica classica, comprese le sue parti infinitistiche non costruttive, in un sistema assiomatico rigoroso, integralmente formale (vale a dire, le cui espressioni siano tutte non interpretate o prive di significato esplicito); secondo, provare, con dimostrazione generale e assoluta, che, applicando agli assiomi di siffatto sistema le corrispondenti regole d'inferenza, non può mai seguirne contraddizione alcuna. Questo "metateorema d'impossibilità", vertente sulla teoria rappresentata nel predetto sistema assiomatico formale, dev'essere stabilito facendo uso di mezzi dimostrativi elementari, non controversi, comunque in qualche misura differenti e meno problematici (onde evitare circolarità o altre insufficienze metodologiche) rispetto a quelli ammessi fra le regole del sistema dato. Ora, mezzi del genere coincidono con le già ricordate procedure finitistiche, uniche attendibili - per il Brouwer - a livello di ragionamento matematico. Nella geniale sintesi così addotta, Hilbert rivendica suggestivamente la validità dei principi infinitistici cantoriani entro la sfera matematica, impiegando sul piano metamatematico quali soli canoni di prova proprio i mezzi finitistici, legittimati dall'intuizionismo brouweriano in maniera esclusiva all'interno delle teorie matematiche.
Tutto ciò è stato opportunamente sottolineato dalla letteratura storico-critica sul tema. W. e M. Kneale, per es., nella loro classica Storia della logica scrivono che, secondo Hilbert, "l'infinito assolve in matematica lo stesso officio che un'Idea di Ragione nella filosofia kantiana: esso trascende ogni esperienza e, in un certo modo, la completa". Vale a dire, la teoria dell'infinito attuale differisce radicalmente dalla matematica costruttiva, ma non perciò dobbiamo rigettarla. Al contrario, in essa noi dobbiamo salutare la "più ammirevole fioritura dello spirito matematico" e cercare di conservarla con la massima vigilanza. In breve, "non dobbiamo lasciarci cacciare dal paradiso che Cantor ha creato per noi". Queste osservazioni sono chiaramente dirette contro Brouwer, come pure l'asserzione che ogni problema matematico è risolubile. Ma Hilbert consente tuttavia con Brouwer sul primato dell'intuizione e del ragionamento costruttivo. Egli pensa che in matematica il ragionamento basilare, che egli chiama "finitistico", sia una specie di "riflessione diretta sul contenuto, la quale procede, senza assunzioni assiomatiche, per esperimenti mentali su oggetti immaginati in piena concretezza" e usando l'induzione matematica, o il ragionamento per ricorrenza, cui Poincaré annetteva estrema importanza. Da Brouwer Hilbert dissente nel pensare che la matematica classica, con i suoi "teoremi ideali" inattingibili con metodi finitistici, possa tuttavia conservarsi come un prezioso patrimonio se si può dimostrare con un ragionamento finitistico la coerenza degli assiomi onde essa è derivabile. Il programma hilbertiano fu qualificato un piano per ridurre all'assurdo l'intuizionismo stretto, ma esso non intende essere solo una polemica. Al contrario, per Hilbert, l'esigenza di usare metodi intuizionistici nel dimostrare la coerenza della matematica classica sorge dalla natura stessa del problema. Insistendo analogamente sul confronto fra le tesi formalistiche hilbertiane e quelle intuizionistiche brouweriane, W. S. Hatcher, nei suoi Fondamenti della matematica, ribadisce che "l'intuizionismo può essere descritto come la posizione secondo cui soltanto i metodi aritmetici sono strumenti matematici validi; tutto il resto, affermerebbero gl'intuizionisti, è una mera finzione. Da parte sua Hilbert, pur rifiutando l'idea secondo cui la matematica non costruttiva è una mera finzione, accettava però le limitazioni intuizionistiche come ragionevoli per quanto riguarda la m.: in altri termini, mentre la matematica non si deve ridurre alla teoria dei numeri, è giusto che la discussione sui sistemi formali sia sottoposta a tale limitazione.
Quanto precede illustra a grandi linee il programma della m. hilbertiana, senza nulla precisare circa la sua realizzazione. In che misura questa ha avuto luogo storicamente? Pur considerando l'intensa attività di Hilbert e dei suoi collaboratori negli anni Venti-Trenta, attività esemplificata in modo cospicuo dai due volumi di Grundlagen der Mathematik (1934-39), dello stesso Hilbert e di P. Bernays, occorre subito precisare che già a partire dal 1931 il suddetto programma è apparso irrealizzabile. Infatti, proprio nel 1931, K. Gödel ha dimostrato sia l'omonimo teorema d'incompletezza riguardante l'assiomatizzazione della teoria dei numeri, sia, sotto forma di corollario, il non meno celebre teorema asserente l'intrinseca impossibilità di provare la coerenza di un sistema formale dell'aritmetica usandone i medesimi mezzi inferenziali; il che implica, appunto, l'irrealizzabilità in linea di principio dell'ambizioso disegno metamatematico hilbertiano.
È quindi sopraggiunto, con questo, il fallimento completo della metamatematica? O solo delle sue rigide vedute originarie? Effettivamente, sebbene costretta ad abbandonare l'esclusivo programma iniziale, nonché, in parte, a tendere verso più ampie chiarificazioni, l'indagine di tipo metamatematico ha saputo conservare indubbia rilevanza anche dopo il declino delle istanze programmatiche di Hilbert, come attestano, per es., opere quali l'Introduction to metamathematics (1952), di S. C. Kleene; Logic, semantics, metamathematics (1956), di A. Tarski; e Introduction to model theory and to the metamathematics of algebra (1963), di A. Robinson.
La fecondità del retaggio hilbertiano è stata soprattutto metodologica, avendo esso propiziato, nell'esame dei problemi logico-matematici, sempre maggior affinamento e approfondita applicazione delle tecniche assiomatiche, metateoriche, formali. Tra le nuove prospettive - complementari o antagonistiche rispetto alla m. di Hilbert - così aperte da J. Herbrand, G. Gentzen, A. Church, L. Henkin, A. Mostowski, G. Kreisel, ecc., oltre che dai già menzionati Gödel, Kleene, Tarski, Robinson, basti ricordare la dottrina della ricorsività, gli studi recenti su algebre astratte e modelli, nonché gli ultimi svilupppi della teoria della dimostrazione.
In tal modo, hanno finito col prender corpo motivazioni più vaste del lavoro metamatematico, i principali ampliamenti concernendo o l'integrazione del punto di vista esclusivamente formale, sintattico, mediante assunti anche semantici (relativi al significato delle espressioni assiomatiche); o la rinuncia allo stretto finitismo, con conseguente ammissione di principi metateorici infinitistici; o l'estensione dello stesso oggetto tematico, in quanto costituito generalmente da sistemi simbolici e dalle loro prerogative di coerenza, completezza, ecc., anziché solo dalle teorie matematico-formali sotto il profilo dominante della non contradittorietà. Ne fanno fede odierne definizioni della m., tutte reciprocamente compatibili, quantunque di diversa ampiezza: da quella, ormai classica, di Kleene, secondo cui essa si risolve senz'altro nella "descrizione o costruzione di sistemi formali, nonché nell'analisi delle loro proprietà sintattiche, con l'ausilio di mezzi finitistici", a quella - poniamo - meno restrittiva, suggerita di recente da R. Feys e F. B. Fitch, per i quali "si dice metamatematico o metalogico il trattamento formale di sistemi simbolici, in rapporto alla loro struttura sintattica o alla loro dimensione semantica".
Bibl.: Sulla natura e sugli sviluppi della m., costituiscono letture proficue, oltre ai testi citati nelle pagine che precedono, ulteriori opere di carattere storico o teorico. Fra le prime, conviene in particolar modo segnalare: N. Boubarki, Elementi di storia della matematica (trad. it., a cura di M. L. Vesentini Ottolenghi), Milano 1963 (cap. I); H. Meschkowski, Mutamenti nel pensiero matematico (trad. it., a cura di L. Lombardo Radice), Torino 1963; W. C. Kneale, M. Kneale, Storia della logica (trad. it., a cura di A. G. Conte), ivi 1972 (cap. XI, par. 4); C. Mangione, La logica nel ventesimo secolo, in L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, vol. VI, Milano 1972, pp. 469-682; nonché, con intenti più monografici: L. Geymonat, La metamatematica dopo Hilbert, in Atti del VII Congresso dell'UMI (Unione Matematica Italiana), Roma 1965, pp. 288-318, e C. Reid, Hilbert, Berlino 1970. Tra le seconde, sono da tener presenti soprattutto in aggiunta agli stessi lavori di Hilbert (cfr. Gesammelte Abhandlungen, 3 voll., Berlino 1932-35) e della sua scuola (Bernays, Ackermann, von Neumann, Herbrand, ecc.); L. E. J. Brouwer, Intuitionistische Betrachtungen über den Formalismus, in Sitzungsberichte der Preussischen Akademie der Wissenschaften, physikalisch-mathematische Klasse, 1928, pp. 48-52; H. B. Curry, Outlines of a formalist philosophy of mathematics, Amsterdam 1958; R. Carnap, Sintassi logica del linguaggio (trad. it., a cura di A. Pasquinelli), Milano 1961; E. Agazzi, Introduzione ai problemi dell'assiomatica, ivi 1961; E. W. Beth, I fondamenti logici della matematica (trad. it., a cura di E. Casari), ivi 1963; E. Casari, Questioni di filosofia della matematica, ivi 1964; R. Feys, F. B. Fithc, Dictionary of symbols of mathematical logic, Amsterdam 1969 (cap. IX); A. S. Troelstra, Principles of intuitionism, Berlino 1969; W. S. Hatcher, Fondamenti della matematica (trad. it., a cura di M L. Dalla Chiara Scabia), Torino 1973 (cap. VI); A. A. Fraenkel, Y. Bar-Hillel, A. Levy, Foundations of set theory, Amsterdam 19732; A. Marruccelli, Teorie formalizzate e logica matematica, Roma 1975; nonché, con riferimento alle prospettive post-hlbertiane, G. Kreisel, Hilbert's programme, in Dialectica, XII (1958), pp. 346-72; E. Casari, Computabilità e ricorsività, Varese 1959; R. Magari, Su certe teorie non enumerabili (sulle limitazioni dei sistemi formali), in Annali di matematica pura e applicata, XCVIII, s. 4ª (1974), pp. 119-52; G. Lolli, Una dimostrazione di non contradditorietà per l'aritmetica, in Bollettino dell'Unione matematica italiana, II, s. 4ª (1974), pp. 213-21. Infine scritti rilevanti figurano nelle raccolte antologiche specificamente dedicate ai problemi fondazionali della matematica, come: Philosophy of mathematics (a cura di P. Benacerraf, H. Putnam), Englewood Cliffs, N. J., 1964; From Frege to Gödel, a source book in mathematical logic 1879-1931 (a cura di J. Van Hejenoort), Cambridge, Mass., 1967; La filosofia della matematica (a cura di C. Cellucci), Bari 1967 (contiene, inter alia, la versione italiana del già riferito saggio di G. Kreisel sul programma di Hilbert); La filosofia della matematica del '900 (a cura di E. Casari), Firenze 1973.
Gli sviluppi della metamatematica.
La m., chiamata in origine teoria della dimostrazione (Beweistheorie), è la scienza, creata da D. Hilbert intorno al 1919, avente per oggetto intere teorie matematiche e le relative proprietà strutturali. Nel termine m. è evidente il riferimento al tradizionale vocabolo "metafisica", ma mentre questa è una teoria filosofica e non fisica, la m. invece è una teoria matematica. Suo fine ultimo è di chiarire natura e limiti della matematica; il suo metodo specifico consiste, innanzitutto, nel trasformare la teoria matematica oggetto di studio in un sistema formale mediante la piena esplicitazione del suo contenuto intuitivo, la sua formalizzazione e simbolizzazione e, successivamente, nel dimostrare le proprietà del sistema formale costruito. Tra queste proprietà la più importante è la non contraddittorietà (detta pure coerenza o consistenza). Nel corso degli anni la m., pur restando sostanzialmente la teoria che ha per oggetto principale lo studio dei fondamenti della matematica, ha subìto svariate interpretazioni di cui si dà qui di seguito un cenno particolareggiato.
La metamatematica di Hilbert. - La teoria dei tipi, escogitata da B. Russell e A. N. Whitehead nei Principia Mathematica tra il 1910 e il 1913, era riuscita a eliminare tutti i paradossi fino allora conosciuti, ma non offriva garanzie che non potessero sorgere in futuro paradossi nuovi. Perciò nel decennio successivo alla pubblicazione dei Principia, Hilbert si propose di trovare una garanzia assoluta e definitiva per i fondamenti della matematica. La sua feconda attività di matematico, la sua straordinaria capacità di aprire nuove strade alla ricerca considerando come contenuto della matematica le operazioni con i simboli (si pensi, per es., al teorema della base e agli spazi di Hilbert), i suoi precedenti specifici, in materia di fondamenti (nel 1899 aveva pubblicato le Grundlagen der Geometrie) caratterizzano il nuovo indirizzo, il formalismo, da lui ideato nello studio dei fondamenti, in contrapposizione al logicismo di Russell. Il sistema formalista è sviluppato e presentato nei particolari nei due volumi delle Grundlagen der Mathematik, pubblicate in collaborazione da D. Hilbert e P. Bernays nel 1934 e 1939. In essi, contro la tesi logicista della riducibilità della matematica alla logica e le pretese realiste del platonismo, si rivendica l'autonomia dell'attività del matematico e si esalta, anche negli studi sui fondamenti, la tendenza all'astrazione e all'assiomatizzazione che già caratterizzava la ricerca matematica in quell'epoca. Vi sono due tipi di teorie assiomatiche: quelle concrete e quelle astratte. Le assiomatizzazioni del primo tipo trasformano le conoscenze empiriche di un certo settore della realtà in teorie scientifiche, come avvenne, per es., ad opera di Euclide per la geometria e di Newton per la meccanica. Le teorie astratte, invece, libere da conoscenze empiriche, sono il vero oggetto della matematica. Questa è, infatti, la scienza che costruisce teorie astratte a partire da proposizioni privilegiate (gli assiomi) dalle quali si derivano altre proposizioni formalmente, cioè senza nessun riferimento a significati esterni alla teoria. Ora, mentre la correttezza di una teoria concreta è garantita dallo stesso riferimento di essa ai fatti concreti, le teorie matematiche proprio per il fatto di essere astratte non possono essere fondate all'esterno; dare una garanzia della correttezza delle teorie matematiche è il problema fondamentale della metamatematica. Per risolverlo non è sufficiente trattare con le tradizionali teorie matematiche che sono definite più o meno accuratamente, e non completamente formalizzate (cosa che, del resto, lo stesso Hilbert si era limitato a fare nel suo primo lavoro metamatematico, le Grundlagen der Geometrie). Alcune teorie matematiche erano già state perfettamente formalizzate, ma per scopi diversi da quello che si propone Hilbert; per es., G. Peano aveva assiomatizzato perfettamente l'aritmetica, ma solo per renderla più rigorosa. Il trattamento metamatematico può essere applicato solo a teorie completamente formalizzate (cioè a sistemi assiomatici contenenti un conveniente calcolo logico, simboli speciali per gli individui, i predicati e le funzioni, oltre agli assiomi non logici propri della teoria), scelte in modo da riprodurre fedelmente le teorie matematiche oggetto di studio. Perciò si dovrà, tra l'altro, esigere che la teoria formalizzata sia semanticamente completa, cioè che ogni teorema dimostrabile nella teoria matematica originaria trovi il corrispettivo in una proposizione deducibile nella teoria formale. Nella scelta del calcolo logico da includere nella teoria si farà in modo che questo sia non solo sufficientemente potente per esprimere tutte le deduzioni della teoria oggetto di studio, ma contemporaneamente il più debole possibile per evitare complicazioni non indispensabili. A tale scopo nelle Grundlagen der Mathematik si dimostra che è possibile ottenere nel calcolo logico due importanti semplificazioni: l'eliminazione dei quantificatori dagli assiomi e la sostituzione della logica di ordine superiore con una logica del prim'ordine con variabili non vincolate. A tale scopo Hilbert trasforma innanzitutto le formule contenenti quantificatori in espressioni in forma normale prenessa e poi elimina i quantificatori cominciando da quello più esterno; quelli universali osservando che un'espressione della forma ∀ x Ax è deduttivamente equivalente a Aa (con a costante qualsiasi) e quelli esistenziali servendosi del suo operatore ε. Questo in relazione a ogni predicato monadico P, sceglie o privilegia un particolare elemento tra tutti quelli che soddisfano a P. Il postulato debole degli ε, che viene posto in luogo degli assiomi dei quantificatori, afferma che se ogni elemento di un insieme gode del predicato P, gode di tale predicato anche l'elemento prescelto dall'operatore ε. Il postulato forte degli ε corrisponde invece all'assioma della scelta. Altro elemento qualificante della m. hilbertiana è che ogni dimostrazione dev'essere condotta con metodo finitistico, cioè effettivamente eseguibile in un numero finito di passi, così che non possano sorgere dubbi sulla correttezza delle deduzioni metamatematiche; ciò anche quando si tratti di giustificare una teoria matematica che, come tale, contenga argomentazioni non finitistiche. I criteri possibili per dimostrare la consistenza di una teoria sono tre: 1) esibire una realizzazione concreta finita della teoria; 2) mostrare che una realizzazione concreta infinita di essa può essere costruita con mezzi finitistici; 3) dimostrare direttamente che la teoria è non contraddittoria (e questa è per Hilbert il criterio fondamentale). Mediante il primo criterio si può, per es., dimostrare in modo assolutamente ineccepibile che la teoria formale astratta dei gruppi è consistente; di essa è possibile, infatti, esibire una realizzazione concreta finita mediante le relative tabelle di moltiplicazione. Il secondo criterio consente la giustificazione di un sistema assiomatico che formalizza parte della teoria dei numeri essendo costituito da un'infinità potenziale di individui; questo sistema è esso stesso assai utile in metamatematica. Il terzo criterio, in sostanza, consiste nel dimostrare con mezzi finitistici che con i procedimenti dimostrativi contenuti in una certa teoria non è possibile derivare in essa sia l'espressione A sia l'espressione ¬ A. Per far ciò, in base alla legge di Duns Scoto, basterà far vedere che c'è una formula esprimibile nel linguaggio della teoria che non può essere derivata in essa. Quando si tratta dell'aritmetica, come espressione di cui dimostrare la non derivabilità, si sceglie generalmente la formula 0 ≠ 0. Per tentare di dimostrare la consistenza della teoria dei numeri nelle Grundlagen si dimostra innanzitutto la coerenza del calcolo dei predicati del prim'ordine, mediante il terzo criterio. Dopo si passa all'aritmetica. Ecco in sintesi i risultati cui si perviene. Il sistema formale P, i cui assiomi sono:
risulta simultaneamente non contraddittorio e semanticamente completo (cioè, tutti gli enunciati validi intuitivamente, formulabili nel suo linguaggio, sono deducibili nel sistema). Però, mediante P si può formalizzare solo una parte dell'aritmetica; nelle Grundlagen, infatti, si dimostra che in esso non è neppure rappresentabile la funzione prodotto a • b. Invece il sistema formale P′, ottenuto aggiungendo a P il nuovo simbolo • e i due assiomi che definiscono ricorsivamente il prodotto, cioè
è sufficiente per la formalizzazione dell'intera teoria elementare dei numeri; però in esso possono essere rappresentati molti enunciati intorno ai numeri naturali finora indecisi ed eventualmente indecidibili con i mezzi elementari a disposizione. In P′ si può, per es., esprimere la congettura di Goldbach. Il fatto che P′ è tale da consentire la formulazione di proposizioni di questo genere, mentre conferma la sua potenza espressiva e quindi l'importanza in vista dell'esprimibilità della completa aritmetica, mette pure in luce la difficoltà di estendere a P′ la dimostrazione di completezza semantica che nelle Grundlagen era stata data prima per il sistema P. Il fallimento del programma della m. hilbertiana non dipende però tanto da questa difficoltà quanto dal teorema d'incompletezza di Gödel.
La metamatematica di Gödel. - La novità del metodo metamatematico di K. Gödel sta nel fatto che egli, oltre alla teoria matematica oggetto di studio, formalizza anche la m. stessa. Si può, dunque, dire che con Gödel si chiude la fase ingenua della m. e ha inizio il periodo critico di una m. formalizzata e cosciente delle proprie interne limitazioni. Lo strumento escogitato da Gödel allo scopo di formalizzare la m., esposto nella sua memoria Über formal unentscheidbare Sätze der Principia Mathematica und verwandter Systeme ("Proposizioni formalmente indecidibili dei Principia Mathematica e di sistemi affini") nel 1931, è il procedimento di aritmetizzazione, detto pure di gödelizzazione. Le espressioni di una teoria formalizzata T sono sequenze finite di simboli, che possono essere scelti arbitrariamente; conveniamo, allora, di usare per i segni dell'alfabeto logico e matematico delle teorie in esame, anziché i soliti simboli come 0, s (successore), =, −, ¬, ⋁ ∀, ∃, x, y, z,... rispettivamente i numeri: 1, 3, 5, 7, 9, 11, 13, 15, 17, 172, 173,... In tal modo a ogni espressione di T corrisponde esattamente una sequenza di numeri. Ogni sequenza di n numeri può, a sua volta, essere trasformata in un ben determinato numero, facendo il prodotto di n potenze aventi per base i primi n numeri primi in ordine di grandezza e per esponenti ordinatamente gli n numeri della sequenza; tale numero è detto numero gödeliano dell'espressione.
Per es., all'espressione 0 = 0 corrisponde la sequenza 1, 5, 1 e, perciò, il numero gödeliano 21 • 35 • 51 = 2430. Ovviamente, non tutti i numeri naturali sono gödeliani di qualche espressione, ma solo quelli che, decomposti in fattori primi, sono del tipo
(dove p è il k.esimo numero primo e n1,n2...,nk sono simboli dell'alfabeto della teoria). Così, per es., 2430 = 2 • 35 • 5 è il gödeliano della formula 0 = 0; invece 250 = 2 • 53, mancando il fattore 3, non è il gödeliano di nessuna espressione.
Anche alle sequenze di espressioni (per es., alle dimostrazioni) si può, con un procedimento analogo, associare esattamente un numero gödeliano. Segue che le affermazioni metamatematiche, per es., che una certa espressione è dimostrabile, divengono proposizioni aritmetiche, e la m., come la matematica, può essere interamente formalizzata. Se la teoria oggetto di studio è l'aritmetica formalizzata, essendo ormai anche le espressioni metamatematiche divenute aritmetiche, tutta la m. del sistema formale è contenuta in questo stesso sistema, se esso è sufficientemente potente. Con queste ipotesi e utilizzando la teoria della ricorsività primitiva, Gödel dimostrò nella predetta memoria: 1) che un tale sistema è sintatticamente incompleto (cioè, esiste un'espressione A del sistema per cui né A. né ¬ A è deducibile in esso; 2) che, se un tale sistema è consistente, la sua consistenza non può essere provata all'interno di esso.
Studi metamatematici dopo Gödel. - Dopo che Gödel ebbe dimostrato l'impossibilità di dare una garanzia assoluta della matematica mediante una dimostrazione finitistica della sua non contraddittorietà, furono fornite di questa alcune prove ma con argomentazioni non strettamente finitistiche. Nel 1936 G. Gentzen nell'articolo Die Widerspruchsfreiheit der reinen Zahlentheorie ("La non contraddittorietà dell'aritmetica dei numeri naturali") riuscì a dimostrare la consistenza dell'aritmetica usando un principio d'induzione transfinita. Nel 1940, W. Ackermann, nel lavoro Zur Widerspruchsfreiheit der Zahlentheorie, diede un'altra dimostrazione della coerenza dell'aritmetica anch'essa non finitista usando l'operatore ε di Hilbert. Analoghi risultati sono stati ottenuti da K. Schütte, da P. Lorentzen e altri. Naturalmente questo genere di dimostrazioni non ha l'importanza epistemologica di una dimostrazione di consistenza del tipo progettato da Hilbert. Proprio per questo si constata in questi ultimi anni un calo d'interesse per ricerche intorno alla non contraddittorietà dell'intera matematica. Anziché alla consistenza assoluta, l'interesse degli studiosi è oggi rivolto a dimostrazioni di consistenza relativa e d'indipendenza. I due risultati storicamente più importanti sono quelli ottenuti da Gödel e da P. Cohen. Nel 1940, nell'articolo The consistency of the axiom of choice and of the generalized continuum-hypothesis with the axioms of set theory, Gödel dimostrò la non contraddittorietà, relativamente agli altri assiomi della teoria degl'insiemi, dell'assioma zermeliano della scelta e dell'ipotesi cantoniana del continuo; questa, nel caso più semplice, afferma che non esistono insiemi di potenza compresa tra quella del numerabile e quella del continuo. Nel 1963, P. Cohen dimostrò anche l'indipendenza dell'ipotesi del continuo dagli altri assiomi.
La m., che era nata come studio di sistemi formali matematici e delle relative questioni di non contraddittorietà e completezza, si estende a campi nuovi divenendo una m. in senso ampio. Un esempio importante di tali ampliamenti è data dalla teoria dei modelli (v. modelli, Teoria dei). Anche la teoria della ricorsività primitiva viene ampliata nella teoria della ricorsività generale ed è applicata nella metamatematica. S. C. Kleene usa il concetto di ricorsività come base di una scala di complessità logica dei predicati nell'insieme dei numeri naturali, la cosiddetta gerarchia di Kleene; R. Péter, Th. Skolem e R. L. Goodstein elaborano i particolari dell'aritmetica e dell'analisi ricorsiva.
La metamatematica dell'algebra. - Il cosiddetto metodo semantico permette di ricollegare i metodi metamatematici a quelli ordinariamente seguiti nella ricerca matematica. Come anticipazione di questo metodo può essere riconosciuto il metodo di A. Padoa, che già nel 1901 consentì di dimostrare l'indipendenza di un termine da altri in una determinata teoria deduttiva. Il vero fondatore del metodo semantico è, però, A. Tarski, che nel 1931, con la sua teoria della definizione, si propose di studiare se, dato un insieme I di entità matematiche, esiste in una data teoria T un'espressione Px che sia soddisfatta esattamente dagl'individui di I. In caso affermativo si dice che I è definibile in T. Precedentemente, nel 1930, Tarski, analizzando il paradosso del mentitore, aveva dimostrato che "non è possibile, in generale, definire il concetto semantico di verità", proposizione, questa, che presenta un'evidente analogia con il teorema d'incompletezza di Gödel. A proposito di insiemi definibili, vanno segnalate le ricerche di A. Mostowski, che si ricollegano al concetto di computabilità e a quello di ordine costruttivo. Tarski aveva da tempo previsto pure che alcune idee della m. potevano essere usate nella dimostrazione degli stessi teoremi matematici; ciò fu effettivamente fatto all'inizio degli anni Cinquanta da A. Robinson e L. Henkin. Questa nuova scienza è stata chiamata m. dell'algebra. Notevoli contributi alla m. dei sistemi algebrici sono stati dati negli ultimi anni anche in connessione con la teoria dei modelli.
Bibl.: Si veda la bibliografia dell'articolo precedente.