METAMORFOSI (greco μεταμόρϕωσις "trasformazione")
Botanica. - In botanica per metamorfosi s'intende un cambiamento di forma che si può verificare nei varî membri del corpo delle piante, in modo più o meno leggiero o profondo, al punto da rendere in certi casi irriconoscibile, a trasformazione compiuta, la vera natura morfologica del membro stesso. Queste modificazioni di forma sono specialmente frequenti, e in vario grado, nelle foglie, le quali assumono molto visibilmente aspetti diversi lungo l'asse che le porta, a partire dai cotiledoni per giungere alle foglie che costituiscono il fiore; perciò esse furono le prime ad attirare l'attenzione degli studiosi della natura nei secoli passati.
Prescindendo dalle supposte cause di tali trasformazioni fogliari già enunciate fin dallo scorcio del sec. XVI da Andrea Cesalpino, perché frutto d'immaginazione anziché di osservazione diretta, si può dire che la dottrina delle graduali progressive trasformazioni delle foglie è nata nella seconda metà del sec. XVIII. Questa dottrina fu enunciata da K. F. Wolff nel 1759 e l'anno dopo da C. Linneo che chiamò "metamorfosi" le trasformazioni fogliari ravvisando in esse una somiglianza con quelle degl'insetti e paragonando quindi l'aprirsi di un fiore in boccio allo scoppiare della pelle di un bruco.
Successivamente l'attraente problema fu ripreso in esame e ampliato dal Goethe, che formulò il concetto di una pianta primitiva ideale, astratta, che passa anche oggi sotto il nome del suo inventore, e da cui proverrebbero poi tutte le successive trasformazioni delle sue singole parti. A ogni modo non è esatto chiamare, come è stato fatto, il Goethe fondatore della dottrina delle metamorfosi, perché egli in realtà ha solo tentato di dare un'altra, sia pur geniale, interpretazione di quel fenomeno già da Linneo battezzato con tal nome. Le vere cause determinanti di esse sfuggirono a questi filosofi della natura che si limitavano a studiare le forme solo allo stato adulto, ultime e complete, e per spiegare tali fenomeni vennero formulate le ipotesi più strane. Basti ricordare che per Linneo e la sua scuola il cambiamento di forma e dimensioni delle successive foglie era da attribuirsi a una locale diminuzione della nutrizione. Si credeva che, a causa del diminuito afflusso del succo nutritivo ascendente, le foglie man mano più lontane dalla base non potessero più raggiungere le dimensioni ordinarie, ma rimanessero più piccole, com'è il caso di molte brattee, e che anche il fusto, per lo stesso motivo, non fosse più in grado di allungarsi alla sua sommità, donde gl'internodî cortissimi e le foglie avvicinatissime del fiore.
Goethe invece spiegava in altro modo il processo metamorfico, per il quale parti originariamente uguali si sviluppano nelle differenti forme delle foglie, attribuendolo non alla quantità, bensi alla qualità dei succhi nutritivi di cui possono fruire. Egli immaginava che la causa del diverso sviluppo fogliare consistesse in una sorta di filtrazione del succo ascendente nel fusto, per modo che il succo bruto appena entrato nella pianta dal terreno darebbe origine ai cotiledoni, poi, elaborandosi e raffinandosi, alle foglie ordinarie e via via, filtrandosi e chiarificandosi sempre più, alle brattee fiorali e alle varie foglie del fiore di conformazione più delicata.
Oggi tali interpretazioni non hanno più che un valore storico e lo studio dei fenomeni della metamorfosi riposa su base scientifica solida, da quando l'indagine morfologica si rivolse non solo alle forme adulte dei membri, ma anche alle loro forme iniziali e alle successive fasi del loro sviluppo, che ha permesso di scoprire le loro omologie e analogie e di riconoscere quasi sempre le vere cause dei cambiamenti di forma.
Le metamorfosi dei membri della pianta sono dovute essenzialmente a due ordini di cause più o meno palesi: l'adattamento a mutate condizioni d'ambiente (cause estrinseche) e l'adattamento a compiere una nuova funzione diversa da quella che competerebbe al membro di forma normale (cause intrinseche). In qualche caso tuttavia le cause della metamorfosi ci sfuggono ed essa sembra apparentemente arbitraria.
Le metamorfosi, come si è detto, possono essere leggiere o profonde. Nel primo caso si tratta di lievi modificazioni di forma che lasciano ancora scorgere la vera natura morfologica del membro che le presenta; nel secondo caso invece i cambiamenti della forma sono così accentuati che occorre seguire lo sviluppo del membro trasformato per capire a quale delle tre forme fondamentali - fusto, foglia, radice - esso realmente appartiene.
Alle prime appartengono i numerosi casi di eterofillia presentati dalle foglie vegetative in ogni singolo individuo e anche nella cerchia dei generi e delle famiglie (v. eterofillia). Vi appartengono pure gli stoloni e i rizomi: cioè i germogli striscianti sul terreno o sotterranei, che adattandosi all'ambiente in cui vegetano modificano i caratteri tanto dell'asse del germoglio, il fusto, quanto delle sue appendici, le foglie (v. rizoma; stolone).
Alle leggiere modificazioni vanno pure ascritti i germogli di due sorte, brevi e lunghi, che si vedono, ad es., in alcune Conifere e dei quali soltanto quelli corti portano le foglie (Ginkgo), ovvero ne portano anche i lunghi, ma ridotte a squame o catafilli (Pinus, Larix).
Delle metamorfosi vere e proprie, cioè con profonde modificazioni dei caratteri morfologici originali, molte sono comuni a tutti tre i membri della pianta in quanto possono verificarsi, con maggiore o minore frequenza, tanto nel fusto quanto nella foglia o nella radice; altre poche sono invece speciali a uno dei membri e non si verificano mai negli altri.
Metamorfosi comuni a tutti i membri. - 1. Appiattimento (cladodî, fillodî, rizocladî): consiste nella perdita della forma cilindrica o prismatica che hanno certi membri allo stato normale, per assumere quella allargata, sottile, laminare, onde fornire alla pianta una superficie verde adeguata ai suoi bisogni. Normalmente una tale superficie, colorata in verde dalla clorofilla, è fornita alle piante autotrofe dai lembi fogliari; ma se questi si sviluppano insufficientemente o mancano del tutto, ecco che il fusto o i suoi rami, totalmente o parzialmente, sopperiscono al bisogno sviluppandosi in forma appiattita (cladodio), oppure si appiattisce il picciolo fogliare (fillodio) e talora persino certe radici aeree (rizocladio).
2. Spinificazione (spine caulinari, fogliari, radicali): è la trasformazione di un membro qualsiasi, o di una sua parte, in spine, cioè in parti dure, rigide, acute e pungenti; questo serve anche come difesa meccanica dalla voracità degli animali erbivori d'una certa mole, quali i bovini, gli ovini, ecc. (v. spine).
3. Cirrificazione (cirri o viticci caulinari, fogliari, radicali): è la trasformazione in cirri, detti anche viticci, che sono organi in forma di filamenti flessibili che s'attaccano ai sostegni per lo più avviticchiandosi, cioè avvolgendosi a elica intorno ai medesimi, ma che in qualche caso raggiungono lo scopo altrimenti: ad es., per mezzo di uncini o di ventose (v. cirro).
4. Tuberizzazione (tuberi caulinari, fogliari detti anche bulbi, radicali): consiste nel rigonfiamento totale o parziale di membri della pianta per accumularvi sostanze nutritive di riserva, generalmente solide, da servire per i futuri bisogni della pianta in quel periodo in cui essa non è ancora in grado di fabbricarsele. Talora tuttavia la tuberizzazione ha lo scopo di accantonare acqua, come nelle cosiddette "piante grasse".
Quando tuberizza l'asse del germoglio si hanno i tuberi caulinari; quando invece tuberizzano le foglie di esso, diventando più o meno carnose, si parla di tuberi fogliari, più noti comunemente sotto il nome di "bulbi" o "cipolle"; e se il rigonfiamento avviene nella radice, si tratta di tuberi radicali (v. tuberi; bulbo).
5. Trasformazione in galleggianti, detti anche meno propriamente natatoi (caulinari, fogliari, radicali): s'incontrano solo in alcune piante acquatiche destinate a galleggiare e sono o fusti, o foglie, o radici o parti di esse che raggiungono lo scopo rigonfiandosi e riempiendosi d'aria.
Metamorfosi speciali a qualche membro. - Se ne conoscono due proprie della foglia e altre due limitate alla radice.
1. Ascidî (v.; foglia): sono tipicamente limitati ad alcune delle piante dette "carnivore", e sono foglie o porzioni di esse che assumono in vario modo la forma di otri e funzionano a guisa di trappole catturando animaletti di cui si giovano per esercitare quel supplemento di nutrizione azotata detta appunto carnivora.
2. Antofilli, o foglie del fiore: qui si considerano solo quelle a funzione riproduttiva, dette anche in generale sporofilli (v.), e in particolare stami e pistilli, così profondamente trasformate da non rivelare facilmente la loro origine fogliare, mentre le foglie fiorali sterili, sepali e petali, che le accompagnano mostrano ancora palesemente la loro omologia con le foglie della regione vegetativa del germoglio. Tuttavia la natura fogliare degli stami e pistilli era già nota ai primi studiosi delle metamorfosi dei secoli passati per il fatto che specialmente gli stami tornano spesso e facilmente ad assumere la forma di petali (fiori doppî e stradoppî) e qualche volta persino quella di foglie vegetative verdi (virescenza), casi che già il Goethe indicò col nome di "metamorfosi regressive" in antitesi alla metamorfosi progressiva rappresentata dal graduale trasformarsi dei sepali in petali, dei petali in stami e di questi in pistilli.
3. Pneumatodi (v.; radice): sono casi non frequenti di metamorfosi che avvengono in piante che vivono sulle coste paludose dei tropici nel fango assai povero di ossigeno e le cui radici fuoriescono crescendo verticalmente nell'aria e si conformano in modo da poter servire allo scambio dei gas.
4. Austorî (v.) o succiatoi (v.): sono radici normali o, più spesso, avventizie caulinari delle piante semiparassite e parassite, trasformate in guisa da poter penetrare, perforandolo per azione meccanica e chimica, nel corpo di un'altra pianta prescelta quale ospite e addentrandosi fino alle sue vie di trasporto succhiarne abbondantemente gli alimenti, producendo nell'ospite malattie più o meno gravi e finanche la morte.
Bibl.: J. F. Wolff, Theoria generationis, Halle 1759; C. Linneo, Prolepsis plantarum, Upsala 1760; J. W. Goethe, Versuch die Metamorphose der Pflanzen zu erklären, Gotha 1790.
Zoologia. - Termine con il quale s'indica in zoologia quella serie di cambiamenti, talora molto profondi e complicati, che subiscono differenti organismi dei più varî gruppi animali al termine del loro sviluppo embrionale e attraverso i quali viene raggiunta la forma definitiva dell'adulto. Si contrappone alle metamorfosi lo sviluppo diretto di altre forme che sgusciano invece dall'uovo simili in tutto o quasi alla forma definitiva. Fra questa (immagine) e l'embrione (v.) s'intercalano così degli stadî di passaggio, i cosiddetti stadî o forme larvali (v. larva) che, il più spesso, hanno un'organizzazione ed un modo di vita assai differenti da quelli che caratterizzano l'organismo adulto. Lo sviluppo per metamorfosi è diffuso specialmente negl'Invertebrati, sebbene stadî larvali e post-larvali si abbiano pure fra i Cordati, nei Tunicati, negli Anfibî e nei Pesci.
Complicate e ben note le metamorfosi che intervengono durante l'ontogenesi degli Artropodi - ove i casi di sviluppo diretto sono piuttosto rari - che fanno sì che questi animali, al termine del loro sviluppo embrionale, subiscano in genere cambiamenti profondi; le loro larve diversificano infatti molto dagli adulti, tanto da sembrare esseri completamente differenti (baco da seta: bruco, crisalide e farfalla); tipiche le metamorfosi degl'Insetti, di cui soltanto pochi sono ametaboli, si sviluppano cioè dall'uovo direttamente, laddove la maggior parte subisce una metamorfosi larvale con uno, due stadî larvali (talora anche più); oppure, come negl'Insetti "epimorfi", l'individuo nasce dall'uovo poco dissimile dall'adulto, la cui forma e le cui dimensioni raggiunge con successive mute di accrescimento (Ortotteri). Metamorfosi anch'esse molto complicate sono quelle dei Crostacei e fra questi in specie dei Decapodi marini.
Nei gruppi animali di meno elevata organizzazione si verificano anche metamorfosi: così nei Poriferi (v. spugne), nei Celenterati, nei Platelminti - esclusi i Tricladi fra i Turbellarî -, nei Trematodi e nei Cestodi. In questi ultimi lo sviluppo larvale si complica vieppiù con la vita parassitaria che menano tali vermi, il più spesso con migrazione del parassita nei suoi stadî larvali dall'ospite definitivo a uno o più ospiti intermedî. Negli Anellidi Policheti (v. anellidi), si ha una larva ciliata caratteristica (trocofora) che è molto simile alla larva dei Molluschi; negli Echinodermi varie larve pelagiche caratterizzano lo sviluppo delle diverse classi di stelle di mare, di oloturie, di ricci di mare, ecc.
Nei Vertebrati caratteristiche metamorfosi sono quelle ben note degli Anfibî e fra esse le più appariscenti negli Anuri, la cui larva sviluppatasi dall'uovo, il cosiddetto "girino" dall'aspetto pisciforme, provvisto di branchie esterne, privo di arti, mena vita esclusivamente acquatica. La metamorfosi interviene con la comparsa degli arti posteriori e di quelli anteriori, con la riduzione e atrofia delle branchie, spesso con il riassorbimento della coda, con la modificazione di certi organi o la neoformazione di altri nuovi che sono necessarî alla nuova vita che mena il girino metamorfosato. Nei Pesci (Teleostei) non si hanno delle vere e proprie metamorfosi, ma piuttosto delle fasi giovanili di vita, gli stadî larvali e post-larvali che trascorrono in genere un periodo di vita pelagica e che assumono a poco a poco le dimensioni, l'aspetto e le abitudini degli adulti. Vere metamorfosi, fra i Pesci, sono quelle dei Murenoidi (Anguille) le cui forme larvali, i leptocefali, sono così dissimili dalle anguille adulte da essere stati un tempo considerati come specie a sé. (V. anguilla).