Vedi METAPONTO dell'anno: 1961 - 1973 - 1995
METAPONTO (v. vol. IV, p. 1095 e S 1970 p. 481)
Il proseguimento delle ricerche su M. e la pubblicazione di numerosi studi particolari consentono di esporre in maniera ben più organica che in passato dati e conclusioni relativi all'area urbana e al territorio della colonia achea.
Urbanizzazione. - L'area urbana dell'antica metropoli è localizzata in una pianura alluvionale, scarsamente articolata, protetta dai corsi dei fiumi Bradano a Ν e Basento a S, in prossimità della linea di costa: i due lati della città corrispondenti al percorso dei fiumi presentano uno sviluppo irregolare, con un andamento meandriforme, mentre gli altri due sono caratterizzati da allineamenti rettilinei; il perimetro così definito, desumibile principalmente dalla fotografia aerea e confermato da numerose verifiche di scavo, si riferisce sicuramente alla seconda metà del IV sec. a.C., momento di maggiore intensità edilizia, e comprende un'area di c.a 150 ha.
I documenti letterari che tèstimoniano la fondazione della colonia achea, dopo la distruzione e l'abbandono delle strutture di un primo insediamento (Strab., VI, 1, 15, 264 ss.), sono stati in parte convalidati dalle più recenti scoperte archeologiche. In quattro differenti punti sono stati infatti ritrovati considerevoli indizî che provano la distruzione di strutture prevalentemente lignee, databili, in base alla documentazione ceramica, al tardo VII sec. a.C. Due grandi capanne abitative (capanna B: m 7,90 x 7 c.a) in proprietà Andrisani sembrano essere state costruite già nella prima metà del VII secolo. La forma curvilinea delle piante e la tecnica edilizia delle capanne (parzialmente interrate, costruite nell'alzato con graticcio e argilla e dotate al proprio interno di una o più cavità per la conservazione delle derrate) sembrano richiamare alcuni degli elementi più caratteristici della tradizione costruttiva indigena. Analoghe strutture sono state infatti ritrovate nel vicino insediamento indigeno, in località Incoronata, e sono state datate nell'VIII-VII sec. a.C.
Uno spesso strato di legno bruciato, ritrovato nella parte orientale dell'area occupata più tardi dai templi maggiori del santuario urbano, e il materiale di carattere prevalentemente votivo fanno pensare all'esistenza di un primo monumento sacro. I contemporanei ed estesi resti di legno carbonizzato, individuati sotto l'ekklesiastèrion-testro, sono stati interpretati come resti di ìkria (tribune lignee), sulla base della loro ubicazione ed estensione, ma soprattutto per la specifica conformazione dello strato. In tutte e tre le aree interessate - abitato, santuario e zona pubblica - erano dunque già presenti alcune strutture caratteristiche di queste zone, significativo indizio di una sistematica distribuzione del suolo già nel VII sec. (gli estesi scavi nel santuario e nell'agorà non hanno invece dato traccia di primitive capanne destinate ad abitazione).
Subito dopo la distruzione con relativo incendio della colonia, databile verso la fine del VII sec. a.C., è documentata una rioccupazione da parte di coloni achei, organizzata, secondo la tradizione, probabilmente da Sibari. La primitiva area edificabile viene divisa in più zone aventi funzioni diverse, secondo un rigido schema di strade disposte a scacchiera. Rimane incerto se le strade principali della pianta urbana del IV sec. (quattro strade in direzione E-O, cinque in direzione N-S) siano una replica precisa di quelle della prima distribuzione; i limiti tra abitato, agorà e santuario erano certamente già stabiliti in età arcaica. Soltanto la zona NO del santuario sembra essere stata più estesa in un primo momento. L'abitato arcaico, la sua densità e l'estensione sono ancora interamente da esplorare.
La costruzione delle mura nella seconda metà del IV sec. coincide con le linee di un vasto progetto ricostruttivo che interessa interi settori della città, determinato dalla necessità di affrontare e risolvere il problema del notevole innalzamento della falda acquifera rispetto ai livelli arcaici (50-80 cm) e dal generale degrado subito dalla città nella prima metà del IV secolo. La pianta regolare della città è articolata su strade di differente larghezza (m 18,10; 16; 5,50-6), quasi sempre completate da monumentali canali di drenaggio. Gli stenopòi dividono i quartieri formati dalle arterie principali in isolati di c.a 35 x 190 m. L'abitato è diviso dal santuario da una strada porticata, mentre il santuario e l’agorà sono separati soltanto da una fila continua di cippi. Sui lati orientale e meridionale, l’agorà sembra essere stata fiancheggiata da grandi stoài.
Nel periodo compreso tra la sconfitta di Pirro e la II guerra punica, si colloca la costruzione dell'impianto del Castrum, realizzato probabilmente per ospitare la guarnigione militare romana e strategicamente disposto sul lato orientale dell'agorà. In questa zona si conservano le uniche tracce materiali di una persistenza dell'insediamento, con una disposizione a nuclei gravitanti intorno alle strutture del porto disposto in prossimità della foce del fiume Basento. Il monumento più recente degno di nota è una piccola chiesa con fonte battesimale di epoca giustinianea.
Complessi monumentali. - Le fasi iniziali del santuario, intorno al 600 a.C., si manifestano in forme molto semplici: un altare di cenere poggiato direttamente sulla terra, nel luogo dove poi si costruirà l'altare del Tempio di Apollo, e un gran numero di cippi, alcuni dei quali lavorati (àrgoi lìthoi). Un notevole esempio di protome di grifo testimonia la presenza di grandi tripodi bronzei con i relativi calderoni. Nella parte meridionale della zona sacra è documentato, con l’òikos CI e il suo altare di pietra, il primo complesso architettonico. Su primitive fondazioni di conglomerato sono conservati i resti dello zoccolo della parete con piccoli conci di tufo finemente lavorati; particolarmente degni di nota sono il fregio fittile con la rappresentazione di un corteo religioso, utilizzato come rivestimento del bordo del tetto, e una grande antefissa a testa femminile, di incerta collocazione, che rappresentano l'inizio della grande serie di terrecotte architettoniche metapontine.
Intorno al 570 a.C., immediatamente a Ν dell'epos, si inizia la costruzione di un tempio períptero, che precede (AI) il Tempio di Apollo (AlI), abbandonata in seguito per ragioni poco chiare. Lo stesso vale per un altro tempio períptero (Bl), iniziato circa un decennio più tardi, poco più a N, le cui fondazioni e colonne monolitiche, grossolanamente abbozzate, permettono di ipotizzare una pianta con 9 x 17 colonne, contraddistinta da un colonnato centrale sistemato nella cella. Va notato che questo tempio, a differenza di quelli più antichi, si orienta secondo lo schema delle grandi arterie del reticolato urbano. Poco dopo la metà del VI sec. a.C. si riprende contemporaneamente la costruzione di ambedue i templi
(l’Apollònion, AII e l’Heràion, BII), per portarli a termine intorno al 530 a.C. Anche il tempio AII cambia direzione e rispetta l'orientamento introdotto dal tempio B. La sua pianta allungata con 8 x 17 colonne (m 23,40 x 52,35), il doppio pteròn frontale e la cella lunga e stretta, ricordano alcuni elementi caratteristici dei contemporanei templi sicelioti. L'interno del naòs, senza àdyton, si distingue per la disposizione di due colonnati addossati ai muri della cella. L'alzato monumentale, eretto interamente in calcarenite importata dalla bassa murgia pugliese, mostra invece le caratteristiche dell'architettura arcaica delle colonie achee: la trabeazione si compone di una ricca sequenza di modanature che sostituiscono gli elementi distintivi dell'ordine dorico canonico, come le regulae e il gèison a mutuli. Anche il fregio a triglifi non è strettamente coordinato con le colonne.
Il tempio B (m 19,80 x 28,40), con una simile conformazione della trabeazione, sorprende per la novità dei colonnati: per la prima volta nell'architettura greca la perìstasis è chiusa da pareti, le quali sono articolate, verso l'esterno, da mezze colonne a esse addossate. Ambedue i templi avevano altari sacrificali disposti davanti alle loro fronti, nel rispetto però del primitivo «orientamento sacrale». L'altare del tempio A (m 4,50 x 19 c.a) era coronato da un fregio e da un gèison dorici.
Di grande interesse sono i ricchi elementi delle terrecotte architettoniche arcaiche, che hanno un ruolo particolare nella decorazione degli edifici di culto nelle colonie achee. Forme complicate e complesse, composte da cassette di rivestimento, tegole di gronda e alte sime lavorate a giorno con fregi a fiori di loto e palmette, ornavano i monumenti più grandi. Una serie di decorazioni più piccole presenta tipologie di più chiaro influsso siceliota. Verso la fine del VI sec. si giunge a ibride combinazioni di varí filoni evolutivi, che tradiscono l'estinguersi della capacità creativa e della forza produttiva in questo campo.
Verso il 480-470 a.C., nella zona tra il tempio Β e le mura urbane, si realizza un nuovo tempio períptero di ordine ionico (tempio D) che col suo orientamento divergente da quello dei templi maggiori e dalle coordinate della pianta urbana determinerà tutto l'assetto della zona settentrionale del santuario. L'importante monumento, eretto sulla pianta di uno pseudodìpteros di 8 x 20 colonne (m 17,80 x 41,50 c.a), si distingue particolarmente per la combinazione di fregio e dentelli nella trabeazione, con cui si amalgamano, per la prima volta, un elemento di provenienza cicladica con un altro caratteristico dell'Asia Minore. Gli stessi elementi formali rivelano influssi attici e della Grecia nord-orientale. La pianta del tempio, più direttamente rispondente alle esigenze dei culti locali, è presente invece soltanto nella tradizione architettonica delle colonie achee d'Occidente. In pari tempo, il santuario si completa progressivamente di ex voto, cippi e stele, dalle forme più varie; si conservano anche importanti frammenti di almeno una grande colonna ionica (diam. m 1,41). I due templi maggiori, nel corso del V sec. a.C. vengono modernizzati con nuovi rivestimenti fittili e sime a teste leonine.
L'avvenimento più importante di questa fase di abbellimento e restauro è la sostituzione del primitivo sacello (CI) con un nuovo tempio (CII). La pianta e l'alzato sono del tutto incerte, mentre è provato che il tempio era sontuosamente definito da un tetto interamente di marmo, ornato da una sima a testa leonina e acroterî a spirali.
Già nel tardo VI sec. vengono collocate nel santuario urbano e in quello di Hera fuori le mura statue marmoree di korai, e poi, nelle vicinanze del Tempio di Apollo Licio, una grande statua virile in marmo, che, come indica il braccio destro piegato davanti al petto, non rappresentava uno dei soliti kouroi votivi, ma proprio il dio. Di altre statue votive, situate nel santuario urbano intorno alla metà del V sec., sono rimasti solo frammenti, fra cui spiccano una testa di efebo e soprattutto, per la sua eccezionale bellezza, quella di una fanciulla con i resti di due piccole corna di bronzo sulla fronte che la distinguono come Io, l'eroina capostipite degli Achei del Peloponneso.
A partire dalla metà del V sec., la crescente pressione sviluppata da parte delle popolazioni sempre più autonome dell'entroterra lucano causa una sensibile riduzione di tutte le manifestazioni artistiche e quindi anche dell'attività edilizia: solo alcuni restauri dei tetti dei templi testimoniano una continuità nelle pratiche cultuali. Il declino definitivo del santuario avviene - assieme a quello di quasi tutto l'abitato - nel III sec. a.C.; poco dopo le strutture dei templi vengono addirittura demolite e i materiali reimpiegati in altri settori.
La vastissima area dell'agorà è delimitata verso il santuario da una fila di cippi e verso SE da una grande stoà, mentre rimangono ancora incerte le altre delimitazioni. Nella parte settentrionale dell'area è stato scavato un importante complesso edilizio, le cui fasi iniziali risalgono al VII sec.: il teatro-ekklesiastèrion viene infatti eretto sopra lo spesso ed esteso strato di legno carbonizzato, interpretato come resti dei già citati ìkria.
Dopo una probabile prima sistemazione sotto forma di un lieve avvallamento del terreno sovrapposto agli ìkria, si costituisce, in torno alla metà del VI sec. e, quindi, contemporaneamente alla grande sistemazione della pianta urbana e del santuario, un monumentale impianto per assemblee popolari. L'edificio si compone di cavee costruite su terrapieni, contrapposte una all'altra e iscritte in un cerchio di m 62 di diametro, divise soltanto da due dròmoi di accesso; in esso si potevano riunire fino a ottomila persone per assistere alle funzioni e agli avvenimenti che si svolgevano nello spazio centrale. Il grande numero di partecipanti indica che l'impianto non ospitava soltanto assemblee di carattere politico, ma anche rituali agonistici e cultuali.
Nei primi decenni del V sec., nel rispetto della pianta originaria, si aggiungono sedili e rampe di accesso, nonché gradini di pietra disposti intorno a un'orchestra rettangolare centrale di m 12,80 x 19,05. Nella prima parte del IV sec., l'edificio fu parzialmente abbandonato e forse anche in gran parte demolito: chiaro segno di una crisi politica ed economica che interessa la città in questo periodo. Nell'ultima grande fase di ripresa verso la metà del IV sec. a.C., i resti dell'ekklesiastèrion con il relativo terrapieno vengono reimpiegati nella costruzione di un teatro che ripropone, con la sua cavea, lo schema edilizio di terrapieni sorretti da muri di sostegno. Probabilmente il nuovo edificio ha mantenuto la stessa destinazione multifunzionale di quello precedente, ospitando le rappresentazioni sceniche del teatro e le assemblee politiche.
Della scena, molto mal conservata, si riconoscono soltanto la pianta della skenè e del logèion. La cavea che racchiude l'orchestra in un perfetto semicerchio, presenta, invece, un'altra innovazione di notevole portata: l'esterno, articolato in un grande poligono di 10 lati, era rivestito da una vera e propria facciata architettonica, che a sua volta nascondeva sei scalinate d'accesso in summa cavea. Per accentuare l'aspetto scenografico della facciata si aggiunge, nella parte superiore, un ordine architettonico di stile dorico, con pilastri-colonne di tozze proporzioni. Con questa complessa articolazione - che prelude all'analoga scelta dell'evoluto teatro romano - il teatro è libero da condizionamenti topografici e assume per la prima volta tutte le caratteristiche di un monumento autonomo e di libera disposizione nel contesto urbano.
Nelle altre zone dell'agorà finora scavate si trovano alcime aree sacre formate da altare e muro di recinzione. Di particolare interesse è un témenos costruito intorno alla metà del VI sec. a.C. con un altare ben conservato affiancato, sui lati brevi, da due stele ancora in situ che recano le iscrizioni διος αγορα e διος αγλαο. Più a SO, dove la grande platèia A-A si congiunge all'agorà, si trova un grande témenos di forma trapezoidale che racchiude le fondazioni di varí monumenti, fra cui un altare compreso in un proprio muro-recinto decorato con trabeazione dorica. Questa struttura, databile nelle fasi finali del III sec., è preceduta da altre forme più modeste, che presuppongono una continuità d'utilizzo, a cominciare dalla prima metà del V secolo. La collocazione centrale, la forma complessa del monumento e soprattutto il ritrovamento di un gran numero di foglie bronzee di alloro ricordano l'altare di Apollo e Aristeas menzionato da Erodoto (IV, 15), circondato appunto da piante d'alloro.
Poco si sa ancora della nuova e monumentale sistemazione dell'agorà intorno al 300 a.C., che vide la costruzione della grande stoà conservata nel cast-rum e di almeno altri due monumenti attestati da una serie di disiecta membra.
Nell'angolo NO della città e immediatamente a ridosso delle mura è stato scavato un complesso di officine destinate alla fabbricazione di vasi. Grandi masse di scorie e di scarti ceramici hanno permesso di attribuire le officine a noti pittori vascolari come quello di Creusa o di Dolone (v. lucani, vasi). Questa prima grande scuola di vasai, localizzata a M., comprende sicuramente tutto il gruppo dei primi pittori protolucani, e si sviluppa lungo il IV sec. a.C., in uno stretto rapporto produttivo con i ceramisti apuli.
Il territorio. - La vita e lo sviluppo di una città si spiegano soltanto sulla base delle sue risorse economiche, e quindi, nel caso specifico di un insediamento concepito essenzialmente come colonia agraria, del suo entroterra agricolo. Per questo aspetto fondamentale della colonizzazione greco-occidentale, proprio M. offre attualmente l'esempio migliore.
I coloni achei che rifondano la città intorno al 620-610 a.C. occupano subito in maniera intensiva la grande piana alluvionale. Fino a 14 km dalla costa, dove alle sabbie e ghiaie ricche d'acqua si sostituiscono le argille sterili, sono state sistematicamente notate tracce di fattorie. Queste occupano in un primo momento le fertili valli dei fiumi Bradano, Basento e Cavone e si dispongono preferibilmente ai margini dei terrazzi e sulle dorsali dei corsi d'acqua secondari, ma sempre entro lotti molto regolari di 625 x 415 m.
In tutta la zona si sviluppano nello stesso periodo numerosi santuari sia vicino alle sorgenti d'acqua sia in punti idonei al controllo della viabilità extraurbana e comunque per sancire i limiti della zona occupata: S. Biagio della Vènella (Zeus Aglàios, Artemide), Pizzica-Pantanello (Demetra, Hera, Artemide?), Tavole Palatine (Hera), S. Angelo Vecchio (Hera). I centri indigeni, fortificati e dislocati sulle colline ai margini della chòra divisa, possono aver garantito una protezione, anche militare, verso l'entroterra.
L'organizzazione e la rilevanza architettonica dei santuari risponde alla loro importanza. A S. Biagio abbondanti resti di due rivestimenti fittili appartengono l'uno al più antico dei fregi figurati finora conosciuto nella zona, l'altro a un tetto classico molto elaborato, e tipologicamente simile a quello del famoso «tetto A» del V sec. che ornava il Tempio di Apollo nella città. Nell'Heràion, sulle rive del Bradano, si conservano ancora le quindici colonne delle peristàseis laterali del tempio tardo-arcaico, realizzato sul modello del tempio maggiore del santuario urbano, variando soltanto le proporzioni generali: per la prima volta gli interassi hanno uguali distanze sulle fronti e sui lati, e le snelle colonne formano un períptero ben proporzionato di 6 x 12 colonne. I pochi resti conservati della trabeazione e del rivestimento fittile del tetto fanno concludere che il tempio ripete comunque la tradizionale struttura dell'alzato caratteristica delle colonie achee.
Il periodo compreso tra la metà del V sec. a.C. e la metà di quello successivo evidenzia - in analogia con quanto si percepisce nella città - una trasformazione dell'organizzazione territoriale con forme di parziale spopolamento e abbandono delle campagne. A partire dal 350-340 a.C. circa, si nota un mezzo secolo di grande ripresa e fioritura, garantite da una consistente crescita demografica e da forme di stabilità politica cui forse non è estraneo l'intervento di Alessandro il Molosso, con tutti gli effetti politici connessi.
In questo contesto si occupano in prevalenza e con sistematicità tutti gli altipiani tra i fiumi, mentre la falda acquifera, salita considerevolmente dal periodo arcaico in poi, rende più difficile la rioccupazione e l'utilizzo per fini agricoli delle vallate fluviali. Le linee di divisione del territorio riconosciute nelle foto aeree risultano ora meglio leggibili e interpretabili. Dalla verifica, eseguita in limitati punti, sembra che si tratti di strade in terra battuta, larghe 3 m c.a, talvolta accompagnate da canali di scolo e disposte parallelamente alla distanza di m 195 x 240. Questa forma di catasto rurale non sembra subire particolari condizionamenti dalla morfologia, se non per quanto concerne l'allineamento generale. Dallo studio di un campione di c.a 4.200 ha, e cioè approssimativamente di un quarto della stimata superficie disponibile totale (c.a 18.500 ha), risultano presenti c.a 1.500 siti di fattorie, di cui un migliaio abitate contemporaneamente nella seconda metà del IV secolo. Riconosciuta con ciò un'area di c.a 18,5 ha per ciascuna fattoria, si avrebbero unità relativamente grandi che, oltre al nucleo familiare del colono, richiederebbero altre forze per essere adeguatamente lavorate. Le fattorie, costruite con ciottoli fluviali, mattoni crudi e copertura di tegole, hanno di solito una pianta assai compatta, quasi quadrata, con una serie di ambienti e senza un cortile riconoscibile.
Abbondanti ritrovamenti di semi, pollini e ossa di animali hanno restituito informazioni molto precise sulle colture in uso, sugli animali domestici e selvatici e, quindi, sui maggiori aspetti della nutrizione, del foraggio e anche della produzione di beni agricoli previsti per la vendita.
Sulla base di questi dati, si presume che l'occupazione greca non abbia provocato un radicale cambiamento nello sfruttamento della terra rispetto a quello precoloniale, quanto soprattutto un miglioramento nelle tecniche di coltivazione, specie col principio della coltivazione a rotazione. Oltre ai cereali, la coltura più diffusa, ampiamente documentata anche dalle monete metapontine e dal famoso ex voto delfico della spiga d'oro, vengono coltivati soprattutto legumi, olivi e viti nonché piante da foraggio. Il cambiamento nella coltivazione di varie piante nel corso del periodo coloniale, il mutare dei rapporti tra varie colture (p.es. cereali-ulivo) e soprattutto il passaggio da periodi di coltivazione ad altri di abbandono risultano chiaramente dall'analisi di depositi di pollini presenti in stratificazioni databili con criteri árcheologici convenzionali, che forniscono dunque importanti notizie sulla storia dell'occupazione e della coltivazione stessa. La coltivazione di piante da foraggio aiuta a illustrare i modi dell'allevamento di animali domestici. L'analisi delle numerose ossa di animali rinvenute, infine, dà un quadro completo dell'importante ruolo che l'animale, domestico, da pascolo o selvatico, aveva nell'economia della colonia achea.
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