Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La meteorologia già nel corso del XIX secolo comincia ad acquisire l’identità di disciplina scientifica approfittando anche delle potenzialità offerte dai nuovi strumenti tecnologici (come il telegrafo) e dalle nuove conquiste della ricerca fisica (equazioni di termodinamica e idrodinamica). Nel corso del Novecento lo scoppio delle due guerre mondiali ha incentivato nuove ricerche empiriche con palloni aerostatici e aerei, fino a giungere, in coincidenza con il periodo della guerra fredda, al lancio dei primi satelliti utilizzati che a tutt’oggi garantiscono attendibilità di previsione.
La possibilità di prevedere il tempo è stata per secoli l’ossessione di naturalisti e fisici, agricoltori e naviganti, regnanti e generali. Eppure, il succedersi di teorie e di sistemi di previsione errati ha suscitato ripetutamente l’ironia della scienza ufficiale, che nella meteorologia vede o il paziente e cieco raccogliere di dati quotidiani, impossibili da interpretare, o un settore di false pretese teoriche: il grande fisico Pierre-Simon de Laplace, agli inizi del XIX secolo, interviene personalmente su Napoleone per far cessare l’esperienza di osservatori meteorologici affidati a volontari in 16 dipartimenti dell’Impero, intrapresa dal biologo evoluzionista Jean-Baptiste Lamarck. Nel corso dell’Ottocento, tuttavia, disastri militari occorsi nella guerra di Crimea, e l’insediamento sistematico di società scientifiche o osservatori in tutto il sistema coloniale occidentale, aumenta la speranza di poter finalmente coronare un sogno ancora affidato ad almanacchi e millenarie tradizioni agricole. Risalgono agli anni tra il 1860 e il 1870 i primi tentativi di collegare tramite telegrafo stazioni di osservazioni metereologiche al fine di disegnare su mappe la situazione della pressione, della temperatura e dello stato dell’atmosfera a un momento dato, tramite curve simili a quelle tracciate dal fisico e naturalista tedesco Alexander von Humboldt per indicare le linee isotermiche alla superficie del globo.
La crescente sofisticazione delle ricerche fisiche nei settori dell’idrodinamica e della dinamica dei gas permette infine di sviluppare metodologie di studio dei fenomeni atmosferici radicalmente innovative, soprattutto grazie al contributo della scuola norvegese di meteorologia fondata da Vilhelm Bjerknes su fondamenti teorici elaborati da Hermann von Helmholtz e Jules Henri Poincaré. Bjerknes sviluppa dei teoremi capaci di combinare equazioni di termodinamica e idrodinamica per poi applicarli ai movimenti dell’atmosfera e degli oceani. Elbora quindi una complessa teoria dei fronti di masse d’aria, e la tesi che un sistema di equazioni sarebbe in grado di prevedere il comportamento nel tempo di grandi masse di aria. La prima proposta di previsione meteorologica numerica viene formulata nel 1904; nonostante l’enorme difficoltà dei calcoli previsti, irrealizzabili al tempo, dal 1905 al 1941 Bjerkens ottiene importanti finanziamenti dalla Carnegie Institution.
Durante la prima guerra mondiale, anche grazie al micidiale uso di gas tossici, che rischiano sempre di colpire sia il nemico sia gli aggressori, vengono intraprese ricerche empiriche sistematiche sull’atmosfera, utilizzando palloni e aerei. Ai rilevamenti al suolo si aggiungono dunque rilevamenti in quota, capaci di dar conto dei movimenti ascendenti e discenti di correnti d’aria calda o fredda, e di fronti di flussi atmosferici dal nord al sud.
A partire dai primi anni Venti, il fisico inglese Lewis Fry Richardson riprende i classici lavori della scuola norvegese proponendo di ridurre i complessi sistemi di equazioni matematiche di Bjerknes a sistemi di calcolo aritmetico eseguibili da personale non necessariamente in possesso di grandi capacità matematiche. Un suo testo fondamentale, Weather prediction by numeric process (1922), non ottiene il successo sperato, e anzi suscita qualche pesante ironia, anche se gli vale l’elezione alla Royal Society, nel 1926. In effetti, lo stesso Richardson avrebbe ammesso che per calcolare in modo soddisfacente la probabilità dello stato del tempo in una data regione con un massimo di sei ore di anticipo sarebbero occorse almeno 60 mila persone impegnate a risolvere le varie parti di un sistema di equazioni per differenze finite: per accelerare il lavoro, suggeriva, dei motociclisti avrebbero potuto far circolare i risultati parziali dei vari gruppi di calcolatori umani ospitati in capaci capannoni. Quacchero e pacifista convinto, Richardson avrebbe trascorso molti anni della sua vita a trovare equazioni in grado di predire l’occorrenza di corse agli armamenti e guerre.
Per una comprensibile ironia della storia, saranno la seconda guerra mondiale e la guerra fredda a rendere piena giustizia alle ipotesi di predizione matematica del tempo di Richardson. Gli eventi bellici infatti rendono le osservazioni meteorologiche e la necessità di predizioni affidabili sempre più impellenti. Ingenti risorse finanziarie e umane vengono consacrate al problema, e gli uffici meteorologici divengono in molti Paesi una branca dell’esercito, aviazione e marina in particolare. Nel 1960 il lancio del primo satellite meteorologico della serie Tiros e l’inizio dell’era dei computer permettono di combinare il metodo delle osservazioni – ora effettuate a livello gobale sia a terra sia a grande altezza – e il sistema di calcolo ideato da Richardson. Nel 1977, la messa in orbita del primo satellite Meteosat segna una vigorosa ripresa delle ricerche di meteorologia civile europea, i cui benefici sono goduti a livello continentale da un pubblico che ha fatto dei notiziari meteorologici la trasmissione televisiva in assoluto più seguita nei vari Paesi della Comunità Europea. Al tempo stesso, la meteorologia computazionale ha assunto un ruolo centrale nei dibattiti sui cambiamenti climatici in atto.