METEOROLOGIA
. Propriamente discorso sulle meteore, le cose quae in sublimi apparent, cioè di tutti i fenomeni che si svolgono al di sopra della superficie terrestre. Il nome si deve ad Aristotele, che intitolò τὰ μετεωρολογικά un'opera in 42 capitoli, dei quali quindici soltanto si occupano di fenomeni veramente meteorologici, nel senso attuale della parola, che cioè sorgono e si svolgono nell'atmosfera, mentre gli altri trattano di fenomeni celesti in senso generale (bolidi, comete, via lattea) o terrestri (fiumi, mari e terre, cataclismi).
I fenomeni meteorologici rilevati nell'antichità sono quelli che hanno più diretta relazione col clima e con le colture: venti, nubi, precipitazioni, stagioni, ecc., e altri, prevalentemente ottici (aloni, arcobaleni, crepuscoli, ecc.), considerati come presagi; né mancano anche osservazioni sul comportamento di piante e di animali, specialmente degli uccelli. Nell'opera di Aristotele, e in quelle sui venti e sui segni, di Teofrasto, si trova qualche tentativo, talvolta indovinato, di spiegazione fisica (per esempio, della rugiada e della brina in Aristotele); ma in generale la dottrina meteorologica dell'antichità si riduce a una raccolta di descrizioni e di regole empiriche, spesso in forma di proverbî, a uso specialmente degli agricoltori. Esempio classico sono le Georgiche di Virgilio. La maggior parte sono regole tradizionali, troppo spesso basate sulla superstizione, o erronee, perché trasmigrate da regioni, ov'erano state suggerite dall'osservazione, ad altre di condizioni climatiche diverse. Le cause dei fenomeni sono di regola soprannaturali, personificate in divinità e in potenze occulte: secondo una teoria, che ebbe grande voga tra i filologi della fine del secolo scorso, e ha tuttora dei sostenitori, la mitologia greca non sarebbe che una rappresentazione personificata dei grandi fenomeni del cielo, astronomici e meteorologici.
Tale condizione si protrasse e, si può dire, si aggravò nell'alto Medioevo, col crollo della civiltà greco-romana. Più tardi Aristotele, i cui libri furono riportati in luce dagli Arabi, riprese il dominio del pensiero filosofico e scientifico, e lo mantenne per secoli. Ancora al principio del secolo XVIII, nonostante la rivoluzione scientifica portata dal metodo sperimentale e dal costituirsi della nuova meccanica su basi matematiche, mezzo secolo dopo la morte di Galilei, nell'università di Padova si spiegavano i Libri Meteororum di Aristotele.
Un primo barlume di scienza meteorologica si aprì in Italia col sorgere del metodo sperimentale: G. B. Benedetti (Speculationes, Torino 1580) riconosce nella diversa densità dell'aria la causa dei venti, che erano fino allora considerati "esalazioni" del suolo. Galileo misura il peso dell'aria, e in seguito a ciò G. B. Baliani, in una sua lettera del 1530 al maestro, parla del peso dell'atmosfera "molto grande, ma non infinito, e perciò determinato", e che "quanto l'aria è più alta sia sempre più leggera"; nel 1643 E. Torricelli inventa il barometro a mercurio, constatando che le sue variazioni dipendono però non solo dal variare della pressione atmosferica, ma anche dalla temperatura; nel 1648 B. Pascal confermò l'intuizione di Baliani verificando la diminuzione dell'altezza barometrica nell'ascesa non solo del Puy de Dôme, ma anche solo della Torre S. Giacomo a Parigi. L'invenzione di un misuratore dello stato termico dei corpi, in particolare dell'aria stessa, per comunicazione di calore, è contestata fra Galileo e Santorre Santorio (1612); ma il primo termometro ad alcool o a mercurio non fu costruito che nei primi del sec. XVIII da G. D. Fahrenheit. Un primo tentativo di raccolta simultanea di dati barometrici, termiometrici e pluviometrici fu promosso dalla Royal Society di Londra nel 1723; a essa contribuì Giovanni Poleni di Padova, che aveva già iniziato misure di pioggia, e le riprese regolarmente dal 1725, iniziando la serie più completa che si possegga. L'iniziativa londinese non ebbe seguito, e non fu ripresa che alla fine del secolo dalla Societas meteorologica palatina (1780-1792) di Mannheim, che organizzò osservazioni simultanee con strumenti controllati, a ore fisse (7h, 14h, 21h) in 36 stazioni dalla Groenlandia all'Italia, dall'America alla Russia. La rivoluzione francese ruppe gli accordi, ma intanto, s'era costituita, specialmente in Germania, una scuola meteorologica (G. L. von Buch, J. Lamont, X. Brandes, H. W. Dove), alla quale si deve il costituirsi della nuova scienza meteorologica fondata sull'osservazione metodica e sull'esperienza. A capo di essa fu Alessandro von Humboldt, che in estesi viaggi, dall'Ameriea Centrale alla Russia, ebbe modo di studiare fenomeni meteorologici di climi diversi. A lui si deve la prima carta delle isoterme annue, primo tentativo di rappresentazione sintetica di un elemento meteorologico.
A dare base scientifica alla ricerca contribuì anche l'esatta conoscenza della costituzione e delle proprietà fisiche dell'aria. Solo alla fine del sec. XVIII, per la scoperta del Lavoisier, si seppe che l'aria non è un gas semplice, ma una miscela di gas, e che tutti i gas hanno lo stesso coefficiente di dilatazione (legge di Gay-Lussac, enunciata prima dal Voltaj, che quindi la miscela si comporta, rispetto al calore, come un gas omogeneo; ma rispetto alla gravità in modo diverso, tendendo i gas più pesanti a mantenersi più bassi (legge di Dalton). Il meteorologo americano Guglielmo Ferrel fu il primo che applicò le teorie e le equazioni della meccanica analitica allo studio dei movimenti dell'aria, in un gruppo di memorie della metà del sec. XIX, memorie che rimasero però completamente ignorate dai meteorologi europei. Il tentativo fu ripreso dai meteorologi scandinavi Guldberg e Mohn nella memoria in due parti Recherches sur les mouvements de l'atmosphère (1876-78). Da allora la meteorologia entrò fra i capitoli della dinamica, e a essa si rivolsero anche i più grandi teorici del secolo scorso, come William Thomson (lord Kelvin), lord Rayleigh, H. Helmholtz, H. Hertz, Th. Reye, e nel secolo attuale A. Wegener, W. N. Shaw, F. M. Exner, V. Bjerknes.
La meteorologia, scienza che studia le proprietà dell'atmosfera terrestre, e i fenomeni fisici e dinamici che si svolgono in essa, si può dire una scienza iniziata nel sec. XIX. Ma, anche nella prima metà di questo, in parecchi capitoli di essa si brancolò in tentativi incerti, sia perché non si aveva un'esatta percezione dei principî fisici e dinamici dei corpi aeriformi, sia perché si assumevano i dati degli strumenti senza la necessaria critica delle varie cause che possono influire sul loro funzionamento, e che possono portare a una valutazione inesatta dell'elemento che ciascuno di essi è destinato a misurare. Questo difetto si rivelò in modo particolare nelle ascensioni aerostatiche, nelle quali gli elementi fisici (pressione, temperatura, umidità) variano assai rapidamente. L'inerzia dei termometri, l'influenza della temperatura sui barometri aneroidi e l'influenza delle radiazioni solari, dirette o riflesse, sui dati degli strumenti, hanno falsato in modo tale le osservazioni in alta atmosfera, anche se raccolte da fisici come Gay-Lussac e Biot al principio del secolo, e Welsh e Glaisher dopo il 1860, da togliere ogni significato a quelle ardite esplorazioni. Solo negli ultimi decennî del sec. XIX si ebbe coscienza della necessità di ventilare i termometri, di sottrarli alle radiazioni, e di calcolare per ogni strumento le correzioni rispondenti a ciascuna causa perturbatrice, ricavando dai dati bruti, dati attendibili e paragonabili fra di loro. Un grande progresso segnò dall'inizio del secolo attuale, per la conoscenza delle condizioni dell'atmosfera fino a 25 e più chilometri d'altezza, il lancio di palloni sonda, che trasportano leggerissimi strumenti registratori e ricadono lentamente al suolo, e di palloni piloti, abbandonati liberamente e seguiti con un teodolite, per lo studio delle correnti superiori. Per i paesi, come le regioni polari e tropicali, dove è difficile il ricupero degli strumenti dei palloni sonda, s'introdussero in questi ultimi anni le radiosonde, nelle quali i dati del termometro metallico e del tubo barometrico sono trasmessi automaticamente per radio da un'annessa eterodina a una eterodina ricevente a terra (v. altimetro; anemometro; barometro; igrometria; psicrometro, termometro).
Meteorologia Statica.
1. Composizione dell'aria. - Componenti permanenti dell'aria sono i seguenti gas, nelle proporzioni volumetriche indicate su 100 cc. d'aria al suolo.
Le percentuali N, O, Ar si possono considerare come sicure e, in aria pura, invariabili: quelle degli altri componenti sono più incerte e variabili. Componente costante, ma variabilissimo col tempo e col luogo, è il vapore acqueo, dovuto all'evaporazione delle acque superficiali. Da campioni d'aria raccolti in ascensioni aerostatiche risulta che la proporzione N : O varia pochissimo con l'altezza; si può dire che la composizione dell'aria, fino dove furono fatte misure, è Costante. Ciò sembra in aperta contraddizione con la legge di Dalton, secondo la quale in una miscela di gas ciascuno dovrebbe disporsi nel campo gravimetrico secondo la propria densità, come se gli altri gas non esistessero.
Per ogni dislivello verticale infinitesimo dz la pressione, in un'atmosfera di gas, soggetta alla gravità, subisce una diminuzione
dove ρ sia la densità, g l'accelerazione di gravità, pg = γ il peso specifico del gas. D'altra parte il gas obbedisce all'equazione caratteristica (Boyle-Gay-Lussac) p = RρgT − RγΤ, essendo T = 273° + t° la temperatura assoluta e R una costante = p0/γ0 273, dove p0 = 10333 kg./m2 è la pressione normale di 760 mm. di mercurio, γ0 è il peso specifico del gas alla pressione normale e a 0° 0. Dalle due equazioni si ricava
La legge di diminuzione con l'altezza è quindi tanto più lenta a eguale temperatura quanto maggiore è R, cioè quanto minore è γ0. Per i varî componenti si avrebbe in unità pratiche (kg. m.):
Secondo la legge di Dalton, in un'atmosfera in equilibrio l'anidride carbonica, già scarsa presso terra, si diluirebbe rapidamente con l'altezza; alquanto meno lentamente l'argon; dei due componenti principali, l'ossigeno si diluirebbe più rapidamente dell'azoto; a grandi altezze dovrebbero prevalere di gran lunga i gas più leggieri, elio e idrogeno, essendo trascurabile la proporzione degli altri gas (v. aria). Fino a 9-10 km., fin dove si poterono fare analisi sicure, la composizione si è trovata invece press'a poco costante: ciò si può spiegare come effetto dei movimenti convettivi, ascendenti e discendenti, che rimescolano continuamente gli strati inferiori più soggetti al diverso riscaldamento e raffreddamento della superficie terrestre. Ma una contraddizione alla legge di Dalton, più difficilmente spiegabile, sarebbe data dagli spettri delle aurore boreali, a parecchie centinaia di chilometri d'altezza. Il Vegard vi avrebbe misurato ben 30 linee spettrali, la maggior parte delle quali rispondono allo spettro dell'azoto, mentre non trovò alcuna linea dello spettro dei gas leggieri, elio e idrogeno. La caratteristica riga verde 5577 Å rivelerebbe inoltre secondo McLennan la presenza dell'ossigeno. Bisogna supporre che altre forze contribuiscano a mantenere elevati questi gas più pesanti, contro la gravità: siano esse la pressione della luce solare, come sembra in alcune apparenze delle aurore boreali, o l'azione di campi elettrici e magnetici, terrestri o cosmici, sui gas stessi ionizzati.
2. Pressione. - La pressione atmosferica è misurata comunemente dall'altezza della colonna di mercurio nel barometro torricelliano, con le correzioni di temperatura (riduzione a 0°) e di gravità (al livello del mare e a 45° lat.). Non è tuttavia corretto misurare una pressione [ML-1 T-2] con una lunghezza L]; essa deve esprimersi in peso per unità di superficie. La pressione normale di 76 cm. è di 1,033 kg./cmq.; in unità assolute (CGS) è 76 × 13,596 × 980,6 = 1.013.250 dine per cmq. Chiamiamo, con V. Bjerknes, bar un milione di dine; la pressione normale è allora 1,013 bar, ossia 1013 millibar. Un bar (1000 millibar) equivale a 750,25 mm. di mercurio, un mm. di mercurio a 1,333 millibar, un millibar 0,75 mm. di mercurio.
L'aria negli strati inferiori si può considerare come un gas semplice la cui costante, nelle unità pratiche (kg. m.), è 29,27: la legge con cui diminuisce la pressione con l'altezza risulta:
è il coefficiente di dilatazione dei gas e tm è la temperatura media della colonna d'aria d'altezza z − z0 alla cui base z0 la pressione è p0.
Da questa formula si ricava, con le citate correzioni a p e p0, la formula di Laplace che dà la misura del dislivello z − z0. Come tm, s' introduce di solito la media delle temperature alle due altitudini estreme; ma, se ciò può essere abbastanza approssimato per dislivelli piccoli, quando entro lo strato non si verifichi un salto di temperatura, per grandi dislivelli, come quelli raggiunti in alta montagna o dai palloni sonda, può portare a errori di parecchie centinaia e anche di migliaia di metri nella misura del dislivello, date le frequenti irregolarità nella distribuzione verticale della temperatura. Per ciò conviene dividere il dislivello totale in tanti piccoli dislivelli, corrispondenti a misure successive di pressione e temperatura, entro le quali sia attendibile la media.
Ai dati di pressione con barometro aneroide dev'essere applicata la correzione di temperatura, perché con la temperatura e la pressione varia l'elasticità del metallo e dell'aria interna allo strumento. Secondo esperienze di H. Hergesell, essa è data da una formula Δp = (a − bp) ΔT dove le costanti a e b sono determinate in laboratorio per ciascuno strumento, assoggettato a variazioni di pressione e di temperatura. Vi è una pressione p = a : b per la quale Δp = 0 per qualunque variazione di temperatura. Essa dipende dalla pressione dell'aria residua entro l'aneroide la quale nella costruzione può essere regolata in modo che l'aneroide sia compensato per le maggiori altezze raggiunte dal pallone sonda.
La pressione varia continuamente, con variazioni regolari e irregolari, periodiche e aperiodiche. Fra le periodiche più evidenti sono l'annua e la diurna, rispondenti evidentemente ai periodi della temperatura. La variazione annua è trascurabile nella zona tropicale, dove non vi è distinzione di stagioni, e nelle temperate è assai variabile da regione a regione, a seconda del loro diverso riscaldamento: in particolare nelle regioni più continentali la pressione è minima d'estate e massima d'inverno (v. figg. 13 e 14), nelle oceaniche è il contrario. Ciò risponde al fatto che l'acqua si riscalda e si raffredda meno della terra emersa. La variazione diurna ha invece un carattere molto definito, perché presenta due massimi verso le 10 e le 22, e due minimi verso le 4 e le 16 a tutte le latitudini fra l'equatore e il cerchio polare e a tutte le longitudini. Il fenomeno è particolarmente evidente all'equatore, dove l'ampiezza dell'oscillazione semidiurna è di circa 2,5 mm., mentre va rapidamente decrescendo con la latitudine: nelle zone temperate essa è quindi facilmente nascosta dalle variazioni irregolari, e risulta evidente solo dalla media di molte osservazioni, nelle quali queste variazioni in più o in meno si compensano (fig. 1).
La variazione periodica della pressione, come di qualsiasi altro elemento meteorologico può esprimersi con una serie (di Fourier)
essendo x = 2 πt/T (T. periodo) e rappresentando εr la fase dell'onda rm, cioè il ritardo dai massimi e minimi valori dell'onda sui massimi e minimi valori assoluti di sen rx.
Generalmente si arresta lo sviluppo a un numero finito di termini, perché si constata che i coefficienti pr decrescono rapidamente. Per esprimere la variazione diurna della pressione, bastano generalmente due termini, essendo il coefficiente del secondo termine (oscillazione semidiurna) spesso eguale e anche maggiore di quello del primo (oscillazione diurna), mentre quello del terzo termine è già molto piccolo. Per es., per Kimberley (Sud Africa) si ha p − p0 = 0,696 sen (x + 357°) + 0,619 sen (2x + 159°,4 + 0,044 sen (3x + 352°,2).
L'angolo di fase +357° risulta quasi costante su tutta la terra (escluse le regioni polari), fra 130° e 160°, mentre ε1 può variare entro i limiti più ampî. Questa doppia oscillazione diurna è comunemente spiegata, in base a un'ipotesi di W. Thomson (lord Kelvin), sviluppata da M. Margules, come rispondente a un periodo semidiurno della temperatura, che susciterebbe un fenomeno di risonanza nell'atmosfera, in quanto questa avrebbe un periodo proprio d'oscillazione di circa 12 ore. In realtà quel periodo semidiurno della temperatura a fase costante su tutta la terra non esiste.
La distribuzione della pressione al livello del mare viene rappresentata per linee di eguale pressione o isobare (v. figg. 13 e 14).
3. Temperatura. - La temperatura è misurata con termometri a mercurio (centigrado o Fahrenheit) o metallici. Questi, con apparati registratori, sono usati nei meteorografi dei palloni sonda, e sono di metalli molto conduttori e di massa così piccola da ridurre al minimo la loro inerzia. Conviene però sempre determinare antecedentemente questa inerzia, osservando in laboratorio l'andamento del termografo per variazioni note della temperatura, fino a temperature molto basse, paragonabili a quelle dell'alta atmosfera. Un termometro non si mette in equilibrio termico con l'aria ambiente se non è ventilato. Nei palloni sonda la ventilazione è determinata dal moto ascendente.
Le numerose osservazioni in montagna, in pallone montato e in pallone sonda hanno dimostrato i fatti seguenti:
1°. Negli strati inferiori dell'atmosfera fino a un'altezza, che nelle nostre latitudini oscilla, secondo la pressione dominante al suolo, fra 9 e 14 (in media 11) km., ma cresce verso l'equatore e diminuisce verso i poli, la temperatura di regola diminuisce con l'altezza con legge molto variabile (fig. 2) a seconda della stagione, del tempo che fa, della presenza o formazione di nubi, dei venti dominanti a varie altezze, ecc. Spesso si riscontrano a varia altezza delle inversioni di temperatura, cioè la temperatura localmente cresce invece di diminuire verso l'alto: ciò si verifica di regola presso il suolo negl'inverni delle regioni temperate e polari, perché l'aria a contatto e in vicinanza del terreno si raffredda più dell'aria superiore. Perciò nella media annua di giorni sereni la diminuzione verticale della temperatura presso terra, il gradiente termico verticale, è di pochi decimi di grado ogni 100 m. di sollevamento, ma va crescendo con l'altezza, potendo raggiungere, e solo eccezionalmente superare, il valore di 1°. Dove e quando il vapore acqueo si condensa, in nebbia (presso terra) o in nube, il gradiente è molto minore: e poiché la condensazione è più frequente negli strati più bassi, dove è maggiore l'umidità, entro 4-5 km. d'altezza il gradiente si mantiene in media attorno a 0°,5 per 100 m. di distanza verticale; a maggiore altezza è maggiore. Per rappresentare quindi la distribuzione della temperatura al livello del mare si usa aumentare le misure fatte in montagna, all'altezza h, di 0,5 h/100 m. Questa distribuzione al livello del mare è rappresentata con linee isoterme (figg. 3 e 4).
2°. Al disopra dell'altezza media di 11 km. la diminuzione di temperatura, in base ai dati raccolti con palloni sonda, quasi bruscamente si arresta, di solito con inversione di temperatura (fig. 2). Negli strati superiori, fino all'altezza finora raggiunta di circa 30 chilometri, la temperatura si mantiene presso a poco costante attorno a −54° (219° K.). L'atmosfera fino a quella altezza si divide dunque in due strati sovrapposti: uno inferiore, detto troposfera, nel quale la temperatura diminuisce con l'altezza e si svolgono i fenomeni più evidenti del tempo (formazioni di nubi e precipitazioni), e uno strato superiore, detto stratosfera, nel quale la temperatura è quasi uniforme e senza fenomeni così evidenti.
Ad altezze superiori ai 30-35 km. pare che l'inversione di temperatura si accentui, perché argomenti d'ordine diverso (lo spegnersi delle meteoriti più luminose, la riflessione di onde sonore provenienti dalla terra, che spiega la zona di silenzio) portano ad ammettere che fra i 40 e i 50 km. domini una temperatura di circa 30°, dovuta probabilmente a uno strato d'ozono (molto assorbente del calore solare) che recenti misure avrebbero constatato a quell'altezza. Nulla si può affermare sulle temperature degli strati più alti.
3°. La temperatura lungo ogni meridiano di regola diminuisce dall'equatore ai poli, in corrispondenza alla crescente inclinazione dei raggi solari sulla superficie della terra. Le figg. 3 e 4 delle isoterme di gennaio e di luglio dimostrano che quella regola si verifica quasi senza eccezione nell'emisfero australe in gran parte occupato dall'oceano, mentre è fortemente perturbata, specie sull'emisfero boreale, dalla presenza dei continenti, che nelle latitudini medie ed elevate d'inverno si raffreddano e d'estate si riscaldano più dei mari (v. clima).
Questa distribuzione orizzontale della temperatura è il dato fondamentale della meteorologia, perché tutti i movimenti che si svolgono nella troposfera, e quindi, per azione diretta o riflessa, tutti i fenomeni del tempo, hanno la loro causa prima in differenze di temperatura fra le varie parti della superficie terrestre.
Le condizioni termiche di un'atmosfera d'aria secca (non satura) rispondono alle leggi della termodinamica dei gas. Consideriamo dei processi reversibili, tali cioè che in ogni istante le differenze di pressione e di temperatura fra l'elemento d'aria che si considera e l'aria ambiente siano così piccole da potersi considerare come in equilibrio. Tale si può considerare con molta approssimazione la condizione d'una massa d'aria secca che si solleva nell'atmosfera dilatandosi progressivamente e che in seguito ridiscende fino a raggiungere il livello iniziale: allora, se non intervengono cause perturbatrici, essa ripassa a ogni altezza per lo stesso stato ivi assunto nell'ascesa, e riprende lo stato iniziale nel punto di partenza.
Alla condizione di reversibilità è subordinata, a rigore, anche l'equazione di stato pv = RT. Secondo essa lo stato dell'aria è determinato da due delle variabili p, v, T. In un diagramma ad assi perpendicolari p, v, (fig. 5) lo stato di un grammo di gas per una determinata coppia di valori di queste coordinate è rappresentato da un punto x, la cui posizione definisce anche la temperatura. Se p, v cambiano in modo che la temperatura T non cambi, il punto x descrive l'iperbole equilatera pv = RT, che è l'isoterma T; ogni temperatura T è rappresentata dalla corrispondente isoterma. Se si assumessero come coordinate v, T, o p, T le linee isobare (di eguale pressione) o isostere (di eguale volume specifico, o peso specifico) sarebbero rette passanti per l'origine.
Una quantità dQ di calore comunicata a un kg. d'aria secca, per il principio della conservazione dell'energia, si trasforma in un aumento dU dell'energia interna, che nel caso di gas perfetti è cv dT., ove cv è il calore specifico a volume costante, e nel lavoro esterno dL che la massa d'aria compie dilatandosi contro l'azione della pressione esterna. Nel caso di trasformazione reversibile questo lavoro è p • dv, e il calore equivalente è Ap • dv, dove
è l'equivalente termico, in calorie, del chilogrammetro. Quindi si ha:
essendo cp il calore specifico a pressione costante, e
Nell'atmosfera è
Dalla seconda delle preeedenti espressioni di dQ, si ricava quindi:
Se ora immaginiamo che la massa d'aria si sollevi nell'atmosfera senza ricevere né emettere calore, si avrà dQ = 0 e quindi la massa d'aria presenterebbe una diminuzione di temperatura
cioè circa 1/100 di grado per metro di sollevamento, 1° ogni 100 m. Tale abbiamo visto essere il valore massimo del gradiente termico verticale, eccezionalmente superato nell'atmosfera. Una simile trasformazione di una massa, senza scambio di calore con l'esterno, si dice adiabatica. Le precedenti equazioni differenziali dànno le seguenti relazioni (Poisson) fra i valori finali e iniziali di p, v, T di una trasformazione adiabatica dell'aria
dove
Come abbiamo visto, per la condizione di perfetta reversibilità, è necessario che non vi sia differenza sensibile di pressione e di temperatura fra la massa che si solleva e l'aria ambiente. Ciò si verifica esattamente se nell'atmosfera sia già stabilito il gradiente termico adiabatico di circa 1° ogni 100 m. Allora una massa d'aria che si solleva assume a ogni altezza la temperatura e la pressione dell'aria ambiente, cioè, in qualunque punto si porti, è in equilibrio, e l'atmosfera si dice perciò in equilibrio indifferente, perché ogni trasporto di massa non determina alcuna mutazione, non genera alcuna forza sollecitatrice. Se nell'atmosfera domina un gradiente termico verticale maggiore dell'adiabatico, cioè una diminuzione di temperatura più rapida, una massa d'aria che in essa si solleva arriva a ogni livello con una temperatura maggiore di quella dell'aria ambiente, ed essendo perciò più leggiera, è sollecitata a continuare a sollevarsi con moto accelerato. Allora l'atmosfera è in equilibrio instabile, perché ogni spostamento che in essa si determina tende ad accelerarsi. Se il gradiente termico preesistente è minore dell'adiabatico, cioè la temperatura decresce meno lentamente, l'atmosfera è in equilibrio stabile. Si vede perciò che un'atmosfera d'aria non satura è in equilibrio soltanto se
solo in casi eccezionali potrà verificarsi un gradiente maggiore, che è condizione d'instabilità. È da osservarsi però che tanto nel caso d'instabilità che di stabilità, non è soddisfatta rigorosamente la condizione di reversibilità.
Anche la temperatura presenta in ogni punto dell'atmosfera variazioni periodiche e irregolari. Le variazioni annua e diurna dipendono evidentemente dalla posizione del sole sull'eclittica e sull'orizzonte; ma, poiché la distribuzione e le variazioni della temperatura determinano tutto il complesso dei fenomeni atmosferici, si comprende che l'andamento delle variazioni stesse ne sia molto influenzato (per le cause e le leggi del periodo annuo, v. clima). Il periodo diurno viene complicato dal fatto che la radiazione è interrotta durante la notte, quando la terra si raffredda con legge determinata dall'irradiazione.
Si comprende perciò che le due variazioni non possono essere espresse con sufficiente approssimazione mediante una serie di Fourier, arrestata a due o tre termini, come si è fatto per la variazione diurna della pressione (n. 2).
Nello studio sulla variazione annua della temperatura a Milano, il Celoria, essendosi fermato al termine in 4x, trovò ancora divergenze notevoli tra i valori osservati e quelli dedotti dalla formula, e infatti verificò che il termine in 5x aveva un'ampiezza doppia di quello in 4x. Le formule per la variazione diurna calcolate per molte stazioni dànno per le ampiezze e gli angoli di fase dei varî termini, compreso il secondo, valori differentissimi da paese a paese. I varî termini non rappresentano quindi, come nel caso del termine semidiurno per la pressione, vere oscillazioni della temperatura; lo sviluppo non è che un'espressione analitica del fenomeno.
4. Umidità. - La presenza del vapore acqueo può mutare radicalmente le condizioni d'equilibrio verticale. Il vapore esercita una propria tensione e e la pressione p dell'aria in un punto è la somma di questa tensione e della tensione p-e dell'aria secca in cui il vapore è diffuso. A ogni tensione e corrisponde un determinato peso specifico q, definito dal numero di grammi di vapore contenuti in un metro cubo d'aria, e che si dice umidità assoluta. Poiché la densità del vapore è 0.622 di quella dell'aria alla stessa pressione e temperatura, si dimostra facilmente che
dove Rv, data la piccolezza del rapporto e/p, differisce poco dalla R per aria secca. (Per aria molto umida invece di 29,27 è 29.65). Perciò si può considerare l'aria non satura come aria secca.
Ma in una massa d'aria non satura che si solleva, la temperatura diminuisce progressivamente: si può quindi raggiungere una temperatura per la quale la quantità di vapore contenuto nella massa raggiunge il punto di saturazione, la tensione massima E, l'umidità assoluta massima conciliabile con la temperatura stessa. Allora di regola s'inizia la condensazione, e si sviluppano le calorie di vaporizzazione; il raffreddamento si rallenta, il gradiente termico verticale diminuisce.
Conviene considerare, invece della quantità q di vapore contenuto in un metro cubo d'aria umida, la quantità x contenuta in un kg. d'aria secca. Allora l'equazione di stato della miscela è pv = RT (i + x/0,622) e quella del vapore solo x = o,622 e/(p − e) ossia, approssimativamente, essendo e piccola rispetto a p, x = 0,622 p. Se, per condensazione, la quantità x diminuisce di − dx, si sviluppa una quantità di calore − rdx (positiva), dove r indica il calore di vaporizzazione. L'equazione del primo principio della termodinamica, applicata all'aria in moto ascendente non essendo comunicato o sottratto altro calore dall'esterno diventa + rdx = cp dT + Adz. Da questa e dalla precedente si ricava con facili trasformazioni
I valori di E (tensione massima) per ogni coppia di valori di x e di t, nonché la legge con cui essa varia col variare della temperatura, sono dati fisici già calcolati, e raccolti in tabelle: il gradiente termico verticale varia quindi col grado di umidità x e con la temperatura, da cui dipende anche la tensione E, ed è sempre minore del gradiente − A/cp, in aria secca. Ma, tendendo x a zero, esso tende a questo valore limite: con ciò si spiega l'aumento del gradiente termico verticale con l'altezza nell'atmosfera, e il fatto che il gradiente è maggiore a basse temperature, quando l'umidità assoluta è bassa, che ad alte temperature.
Si è detto che, quando è raggiunto il punto di saturazione, il vapore di regola si condensa. Veramente per la condensazione è necessaria la presenza di nuclei di condensazione (pulviscolo atmosferico, vapori igroscopici, ioni elettrizzati), che impediscano per forza di adesione, o elettrica, o chimica, l'immediata rievaporizzazione delle minuscole goccioline di prima formazione. Per arrestare l'evaporazione da una superficie liquida fortemente curva si richiederebbe infatti una tensione del vapore esterno maggiore di quella dominante nell'aria, e tanto maggiore quanto maggiore è la curvatura della superficie, cioè quanto più piccole sono le goccioline. Nel fatto questi nuclei di condensazione generalmente non mancano, almeno negli strati della troposfera, fin dove arrivano i movimenti ascendenti che provengono dal suolo, o in alto, dove si dissolvono le meteoriti in polvere minuta; né mancano ioni prodotti da sostanze radioattive o da raggi ultravioletti e cosmici. La condensazione è quindi il fatto più comune.
Però non si può escludere che in condizioni eccezionali l'aria sia stata purificata, p. es., da piogge precedenti che hanno eliminato i nuclei preesistenti; allora il vapore può mantenersi anche soprasaturo. A. Wegener nell'aria purissima della calotta glaciale groenlandese, in condizioni di grande calma, constatò che l'aria stessa si manteneva perfettamente trasparente, a bassissima temperatura, e nonostante la presenza del ghiaccio, che necessariamente sublimava al sole; ma l'uscita di fumo dalla tenda determinò immediatamente una striscia di nebbia, che si manteneva per lunghissimo tratto. La formazione dei grossi goccioloni, con cui s'iniziano generalmente le piogge temporalesche, e quella di grossi chicchi di grandine sono probabilmente spiegabili con la repentina condensazione di vapore ad alto grado di soprasaturazione.
La condensazione del vapore si può verificare per umidità assolute diverse a temperature diverse. È necessario che la tensione raggiunga il valore massimo corrispondente alla temperatura. Si comprende perciò che, per giudicare se si è più o meno vicini a questa condizione, interessi conoscere o la differenza E − e, detta deficit di saturazione, o il rapporto e/E, che, espresso in centesimi, e/E 100, è detto umidità relativa, fra la tensione attuale e la tensione massima alla stessa temperatura. Lo psicrometro di August (v. psicrometro) dà la E − e, che si pone proporzionale alla differenza di temperatura fra un termometro asciutto e un termometro bagnato; ma in meteorologia è più usata l'umidità relativa, che si deduce dal dato psicrometrico, conoscendosi la E corrispondente alla temperatura del termometro bagnato. Essa è misurata anche con l'igrometro a capello, a graduazione empirica, fra 0° in aria assolutamente secca e 100° in aria satura. Valori sopra 100 indicherebbero, per uno strumento ben controllato, soprasaturazione: A. Wagner, sul monte Sonnblick in nebbia densa, misurò fino a 107.
5. Nebbie, nubi. - Le nebbie si formano presso terra o al di sopra delle acque: nel primo caso, quando il terreno per irradiazione si raffredda fortemente, e gli strati bassi dell'aria si raffreddano pure per contatto e per irradiazione verso di esso, o quando un lento flusso d'aria caldo-umida invade un'estensione di terreno freddo; nel secondo caso, quando la temperatura dell'aria è minore di quella dell'acqua, cosicché il vapore che emana da questa in quantità corrispondente alla sua temperatura si diffonde in ambiente più freddo, o quando in mare si trovano a contatto una corrente calda a intensa evaporazione e una corrente fredda che fa da condensatore (p. es., Corrente del Golfo e Corrente del Labrador). La nebbia può avere densità e qualità molto diverse, la densità si giudica dalla minore trasparenza dell'aria, cioè dalla distanza alla quale si vedono oggetti o luci di colore diverso, essendo il rosso la luce più penetrante; la qualità dalla maggiore o minore capacità di bagnare, distinguendosi nebbie umide e nebbie asciutte. La differenza dipende probabilmente dalla grossezza delle goccioline, potendo difficilmente le goccioline più piccole, a curvatura e a tensione capillare altissima, bagnare, cioè aderire ai corpi. Le goccioline di nebbia possono mantenersi allo stato liquido anche a temperatura di parecchi gradi sotto zero, ma appena toccano un corpo solido vi aderiscono come grani o cristalli di ghiaccio. Così si formano sul suolo e sugli alberi incrostazioni ed efflorescenze di ghiaccio che hanno nomi varî.
Le nubi sono nebbie che si formano a distanza dal suolo. La causa del raffreddamento che determina la condensazione è, quasi esclusivamente, il movimento ascendente adiabatico. Di ciò è prova la distribuzione delle piogge: queste infatti si dimostrano collegate o ad aree di bassa pressione attorno alle quali vi è moto ascendente (piogge equatoriali e cicloniche) o a catene di monti contro i quali le correnti dominanti dell'aria sono deviate verso l'alto. Si ammetteva anche la possibilità della formazione di nubi per miscela di aria caldo-umida con aria freddo-asciutta, ma il Hann dimostrò che lo sviluppo di calore, dovuto all'inizio della condensazione, ne arresta subito il processo; è del resto difficile che avvenga tale miscela per grandi masse, perché masse d'aria di provenienza e di temperatura diversa tendono a mantenersi separate lungo superficie o strati di discontinuità, come le correnti del mare.
Si distinguono due tipi di nubi caratteristicamente diversi per aspetto e per origine: lo strato e il cumulo. Il primo è prodotto dal sollevamento in massa di uno strato esteso d'aria, sollevamento dovuto o al dilatarsi della massa d'aria sottostante, o alla sua compressione dai lati, o allo scivolamento di una massa d'aria lungo una superficie di discontinuità leggermente inclinata verso l'alto. Secondo le teorie ora predominanti è quest'ultima la condizione più comune. Il secondo tipo è dovuto a un sollevamento verticale di una massa d'aria limitata, a una corrente ascendente d'aria. Lo strato si presenta quindi come una nube continua, a superficie inferiore piana, apparentemente orizzontale, perché da terra una leggiera inclinazione non si rileva: il cumulo si presenta come una massa tondeggiante, a base opaca, perché in ombra, e con la superficie superiore candidamente brillante per l'illuminazione del sole. Generalmente i cumuli non sono isolati: talvolta sono associati a contatto, formando uno strato di cumuli che si dice strato-cumulo (cielo a pecorelle). Lo strato si forma di solito a poche centinaia di metri dal suolo, i cumuli a maggiore altezza, con la base a oltre 1 km., e il vertice a oltre 2 km. d'altezza. Ma i due tipi si possono formare anche a livelli più alti, di parecchi chilometri: si hanno così gli alto-strati (in media verso i 4-5 km. d'altezza) e gli alto-cumuli (con la base a 4 km. in media.)
Negli strati più freddi la condensazione avviene non in gocce di pioggia, ma in aghetti di ghiaccio e dà origine a nubi di struttura filamentosa detti cirri; i quali possono essere o isolati a forma di penne, o formare strato (cirro-strato), e agglobarsi a cumuli (cirro-cumulo). Generalmente queste forme si generano oltre gli 8 km. d'altezza; ma si possono generare anche molto più in basso: in particolare le nubi temporalesche (nembi) sono spesso coronate in cima, anche a 4-5 km. d'altezza, da nubi filamentose, dette falsi-cirri, ma che sono veri cirri, perché formate da aghi di ghiaccio (v. nubi, con relative figure).
6. Precipitazioni. - Le goccioline d'acqua, che si formano all'inizio della condensazione, sono certamente piccolissime, e basta quindi un moto ascendente dell'aria, anche di pochi centimetri al secondo, per tenerle in sospensione. Secondo i calcoli del Lenard una gocciolina del diametro di 1/100 di mm. cadrebbe con la velocità di 3 mm. al secondo; ma già per sostenere una goccia del diametro di 0.1 mm. si richiederebbe un moto ascendente dell'aria di 32 centimetri al secondo. Il minimo diametro misurato dal Lenard stesso fra molte gocce di pioggia, a terra, fu di 0.5 mm., che richiederebbe una velocità ascendente di 3.5 m. al secondo per essere tenuto in sospensione: il massimo diametro fu di 5.5 mm., e a esso corrisponderebbe una velocità di caduta di 8 m. al secondo. Le goccioline minute rimangono quindi sospese a formare la nube, le più grosse cadono e formano la pioggia. Le nebbie umide ci danno un'idea di questa formazione di gocce più grosse in mezzo a gocce più piccole. Tale formazione, più che alla riunione di gocce piccole, deve attribuirsi alla condensazione di nuovo vapore, che probabilmente attorno alle gocce a forte curvatura si mantiene a tensione maggiore, sulle gocce meno minute già formate. Le gocce minori evaporerebbero per la diminuzione della tensione del vapore circostante, e il vapore si condenserebbe sulle gocce maggiori ingrossandole. Non si esclude anche l'intervento di azioni elettriche; è noto che spesso nei temporali a ogni scarica elettrica segue una pioggia più abbondante.
Se la temperatura dell'aria è sotto zero, la condensazione si può verificare tanto in forma liquida, di acqua soprafusa, quanto in forma solida, di cristalli di ghiaccio. Che si verifichi l'uno o l'altro caso dipende dalla tensione del vapore circostante. È noto infatti, dopo gli studî di H. W. Roozeboom, che per l'equilibrio vapore-acqua al di sotto di 0° si richiede una tensione di vapore maggiore che per l'equilibrio vapore-ghiaccio. Secondo il Wegener, inoltre, la condensazione in acqua si verifica su particelle igroscopiche gassose, mentre la condensazione in ghiaccio deve verificarsi su particelle solide. Si possono quindi mantenere gocce d'acqua liquida anche a parecchi gradi sotto zero in vapore soprasaturo. A. Berson, in una delle sue celebri ascensioni aerostatiche, attraversò un alto-cumulo costituito di gocce a −20° C. Diminuendo la tensione, non si formano più gocce, le esistenti evaporano, e si possono formare per sublimazione cristallini di ghiaccio, i quali aumentano di volume a scapito di quelle. Così si formano i cristallini esagonali di neve, i quali crescono e possono assumere le caratteristiche eleganti forme radiate. Il Lehmann dimostrò che queste forme singolari derivano da un cristallino esagonale regolare, perché il gradiente di tensione del vapore, e di conseguenza la condensazione, sono più intensi attorno ai vertici che sulle facce; e quindi si formano raggi uscenti dai vertici. Come nelle nubi acquee, nelle nubi di ghiaccio i cristalli maggiori crescono a scapito dei minori.
Più difficile è spiegarsi la formazione della grandine (v. grandine) che può assumere dimensioni e forme le più diverse, dal semplice nevischio granulare (ted. Graupeln), a sferoidi, a gruppi di cristalli, della grossezza di nocciole, di noci, di uova: in un temporale nella Stiria, il Prohaska segnalò un chicco del peso di un chilogrammo. La grandine è fenomeno temporalesco, di regola accompagnato da manifestazioni elettriche, benché non manchino esempî di grandini minute senza lampi e tuoni, però sempre con altri caratteri temporaleschi, come forma di nubi, rapide mutazioni di vento, caratteristiche situazioni isobariche. Secondo la teoria più accettata, la condensazione s'inizia con la formazione di nevischio granulare, dovuto alla condensazione di gocce d'acqua soprafusa; altre gocce si depositerebbero attorno a questi noduli formando degl'involucri non completi di ghiaccio trasparente; si spiega così la struttura cipollare rivelata dalla sezione dei chicchi sferoidi: il chicco s'ingrossa anche durante la caduta, conglobando tutte le gocce che incontra in parecchi chilometri di cammino. Bisogna anche notare che, nella prima fase di formazione negli alti strati, il movimento di caduta è rallentato dalle correnti ascendenti d'aria, generatrici dei cumuli temporaleschi. Ma i chicchi possono presentare anche forme discoidali a orlo rigonfio, prova di un movimento rotatorio, o coniche, forse frammenti di chicchi sferici, e anche presentarsi come un aggruppamento di cristalli romboedrici, scalenoedrici, esagonali, di origine ancora non ben conosciuta.
D'interesse più fisico e climatico che meteorologico, sono le forme di condensazione del vapore sul suolo e sugli oggetti (rugiada, brine, ecc.).
7. Struttura dell'atmosfera. - Abbiamo visto che nell'atmosfera spesso prevale la distribuzione orizzontale di alcune manifestazioni, come le nubi, i salti verticali e le inversioni di temperatura. Tale, p. es., è la disposizione della tropopausa, strato che divide la troposfera dalla stratosfera. Alcuni fenomeni, come lo spegnersi delle stelle cadenti e le nubi iridescenti, dimostrano l'esistenza di uno strato di salto di densità verso gli 80 chilometri d'altezza, e un altro, tra i 40 e i 50 km., abbiamo visto corrispondere a una maggiore densità di ozono. Ma anche nella troposfera due masse d'aria di qualità diverse, p. es., dovute al trasporto di masse polari verso i tropici, e di masse tropicali verso i poli, si dispongono di regola, e si mantengono per lungo tratto, a contatto secondo superficie pochissimo inclinate sull'orizzonte, sovrastando l'aria calda all'aria fredda. Il Helmholtz (1888) per primo dimostrò che questa era la condizione d'equilibrio fra masse d'aria di temperatura e di movimento diverso, e che tale dovrebbe essere la condizione dominante nella circolazione generale dell'atmosfera in ogni emisfero, determinata dal dislivello di temperatura tra l'equatore e il polo. La teoria fu svolta più particolareggiatamente e dimostrata, anche per contatti locali fra masse d'aria d'origine e di temperatura diversa, da Margules, Exner, Shaw e trovò ultimamente la sua applicazione, come vedremo, nella teoria del fronte polare e della formazione ed evoluzione dei cicloni secondo il Bjerknes. Un'ampia verifica su molti lanci di palloni sonda fu compiuta dalla prof. Venturelli (1932). La formazione delle nubi a strato, a varî livelli, si spiega con lo scorrimento di aria calda su aria fredda lungo una superficie di contatto, che, per inevitabile rimescolamento delle masse a contatto, diventa una zona di gradiente termico minore e anche d'inversione. Al di sopra dello strato di nubi l'aria è più calda e più asciutta.
Questo predominio di formazioni quasi orizzontali si spiega facilmente col grande predominio dei moti orizzontali sui moti verticali dell'aria, dovuto sia al fatto della vicinanza della superficie terrestre, lungo la quale ogni moto verticale è impedito, sia al fatto che l'aria tende a muoversi col minor possibile consumo di energia, e quindi, al limite, con consumo nullo, cioè o con moto adiabatico, nel quale il lavoro esterno si compie esclusivamente a spese dell'energia interna dell'aria e del vapore, e viceversa il lavoro esterno si trasforma interamente in aumento dell'energia interna, come nel caso dei moti ascendenti o discendenti dell'aria, oppure con un moto orizzontale nel quale tanto la temperatura che la pressione non cambino. Ambedue queste ultime situazioni si verificano approssimativamente quando l'aria sia in equilibrio indifferente, con superficie isobariche e isoterme quasi parallele alla superficie terrestre, essendo su questa distribuite in modo quasi uniforme tanto la pressione quanto la temperatura. Le misure meteorologiche raccolte con lanci di palloni sonda ci dicono se e quanto la condizione dell'atmosfera a varia altezza nell'epoca del lancio si avvicini o si scosti da tale situazione di equilibrio indifferente tanto verso l'equilibrio stabile quanto verso l'equilibrio instabile, e quindi la possibilità e il senso di movimenti e di trasformazioni di energia.
Generalmente il risultato dei lanci viene rappresentato in grafici nei quali sono rappresentati separatamente i valori della pressione e quelli della temperatura a varia altezza. In condizioni d'equilibrio la pressione è una funzione logaritmica dell'altezza ridotta alla temperatura zero, cioè divisa per il binomio di dilatazione (i + αtm). Praticamente si può dire che le curve rappresentative, riferite alle coordinate ortogonali p, z differiscono pochissimo da caso a caso. Invece un diagramma t, z, dove t è segnata sull'asse delle ascisse e z su quelle delle ordinate (fig. 6), rivela tutti i particolari della variazione verticale della temperatura: come varia il gradiente termico verticale, definito dall'inclinazione della curva sulla verticale, a quali altezze esso varia bruscamente per condensazione del vapore e formazione di nubi, dove sono gli strati a inversione. Recentemente W. N. Shaw ha suggerito una rappresentazione più sintetica, ma d'interpretazione meno immediata, della distribuzione degli elementi. Essa è basata sul concetto di entropia. Questa è una funzione ϕ della temperatura e della pressione, dal cui valore si può dedurre se una particella d'aria nell'atmosfera è in equilibrio dove si trova, o ha tendenza a innalzarsi o ad abbassarsi. Ricordiamo che in una trasformazione adiabatica d'aria secca i valori della temperatura assoluta e della pressione in due stati differenti sono legati dalla relazione
Quindi, se una particella d'aria, che, all'altezza z sul livello del mare, si trova alla pressione p e alla temperatura T, venisse abbassata adiabaticamente fino alla pressione normale p0 di un bar, essa assumerebbe la temperatura T0, che si dice temperatura potenziale, definita da
ossia da
Dall'equazione che esprime il 1° principio della termodinamica (v. n. 3) dQ = cpdT − Avdp, si ricava
donde
dove è il valore di ϕ corrispondente a un valore iniziale della temperatura potenziale. Poiché lo stato fisico di una particella d'aria si può definire, invece che con due delle coordinate p, v, T, con due funzioni qualsiasi delle coordinate stesse, Shaw assume come tali l'energia interna, definita dalla temperatura assoluta, e l'entropia. Un diagramma riferito a queste coordinate fu detto perciò tifigramma (fig. 7). Nel tifigramma come valore iniziale ϕ0 dell'entropia è assunto quello corrispondente a T = 100° (assoluti). La ϕ è espressa in unità assolute (ergs), ponendosi ϕ = 2320 log T0/100, e segnandola sull'asse delle ordinate, mentre sull'asse delle ascisse sono segnate le temperature assolute in ordine decrescente, p. es., da 300° (27° C.) a 219° (− 54°) temperatura della stratosfera. A ogni coppia di valori T e T0, essendo p0 = 1 bar, corrisponde una data pressione p; così si costruiscono nel tifigramma le isobare, che sono rette inclinate verso il basso da sinistra a destra. Nella figura sono segnate da 1000 a 200 millibar.
Con i dati di pressione e di temperatura raccolti in un lancio di pallone sonda si può tracciare nel tifigramma la curva rappresentativa del lancio stesso, che si può dire curva di stato, perché rappresenta lo stato dell'aria a ciascuna altezza nel momento in cui vi è passato il pallone. Se, in tutto il lancio, l'aria si mantenne non satura, possiamo dire che essa era in equilibrio indifferente in quei tratti dove la curva appare parallela all'ascissa, perché lungo di essa è dϕ = 0, cioè dQ = 0, che definisce la condizione adiabatica, la quale si può dire anche isentropica (fig. 5). Se la curva, che è percorsa da sinistra a destra, si eleva, l'aria in quel tratto è in equilibrio stabile; se la curva si abbassa, è in equilibrio instabile. Infatti nel primo caso la temperatura diminuisce con l'altezza meno rapidamente, nel secondo più rapidamente che in un'ascensione adiabatica. Se il lancio raggiunge strati dove s'inizia la condensazione, l'equazione che esprime la linea che si può dire isentropica non è più dQ = Tdϕ = ma Tdϕ = − rdx (n. 4), dove r sono le calorie di evaporazione e x la quantità di vapore contenuto in un kg. d'aria satura a ogni data temperatura e pressione. Le linee punteggiate inclinate all'insù verso destra rappresentano nella fig. 7 appunto queste quantità di vapore in corrispondenza ai varî valori della pressione e della temperatura, e si può in corrispondenza costruire la linea isentropica dell'aria satura, nell'ipotesi che l'acqua condensata venga subïto eliminata per pioggia man mano che si forma. Le curve della figura che s'innalzano da sinistra a destra fino a diventare orizzontali sono appunto queste isentropiche dell'aria satura; e la curva di stato di un lancio rappresenta condizioni d'equilibrio indifferente, stabile o instabile secondo che segue l'andamento di una di queste curve, o le attraversa verso l'alto, o verso il basso. Naturalmente la condizione d'instabilità non può estendersi generalmente a tutto lo strato d'aria attraversato dal pallone sonda: la curva di stato, dopo essere discesa per un certo tratto nel diagramma, ricomincerà a risalire e a riattraversare in senso opposto le isentropiche già attraversate in discesa, chiudendo con ciascuna di esse un'area, che rappresenta la quantità di calore Q = ʃ Tdϕ, che sarebbe sviluppata da una massa d'aria che percorra la traiettoria del pallone fra due punti di eguale entropia. Il tigramma riassume quindi tutti gli elementi che possono interessare per la definizione dello stato dell'atmosfera durante un lancio; però in base all'ipotesi, che generalmente non si verifica, che l'acqua di condensazione venga immediatamente tutta eliminata in forma di pioggia. Né è sempre facile determinare in quale punto incominci la condensazione, dovendosi prima di essa riferire la curva di stato data dal lancio alle isentropiche orizzontali, dopo di essa alle isentropiche curve.
Meteorologia dinamica.
8. Forze determinanti movimenti dell'aria. - La causa prima dei movimenti dell'aria è la diversa distribuzione del calore solare sulla superficie terrestre, specialmente in quanto si manifesta nella distribuzione della temperatura. Se fra due regioni contigue si stabilisce un dislivello di temperatura, generalmente si stabilisce un movimento d'aria dalla regione più fredda verso la quotidiana, nelle zone costiere, col fenomeno delle brezze. Di giorno la terra si scalda più del mare e si ha la brezza di mare; di notte il mare si raffredda meno della terra e si ha la brezza di terra. Un fenomeno analogo, ma più complesso, è quello dei venti periodici di valle; vento ascendente nelle ore diurne, discendente nelle notturne e mattutine (la breva e il tivano del Lago di Como). La teoria esatta del fenomeno è tuttora controversa, ma esso è attribuito in ogni caso a dislivelli di temperatura fra i versanti e la pianura o fra i versanti e l'aria libera contigua. Un fenomeno analogo, su scala immensamente più grande, ci è dato dai monsoni, fenomeno particolarmente evidente nei mari orientali (mari asiatici, indiani, australiani), ma che, più o meno perturbato da fenomeni sovrapposti, si verifica attorno a tutti i continenti della zona calda e temperata. Nella stagione calda i continenti si scaldano più dei mari e vi è aflusso d'aria dai mari alla terra; nella stagione fredda i continenti si raffreddano più dei mari e vi è efflusso d'aria dalla terra al mare.
I movimenti dell'aria si svolgono con le leggi della meccanica e della termodinamica, sotto l'azione di forze e di condizioni fisiche ben determinate.
Gradiente. - L'afflusso d'aria verso le regioni più calde si spiega intuitivamente come effetto della dilatazione dell'aria sovrastante alle regioni stesse, e quindi del suo minor peso, cioè della minor pressione che su esse esercita. La causa immediata del movimento è infatti una differenza di pressione: l'aria deve muoversi dalle regioni dove la pressione è maggiore verso le regioni dove la pressione è minore. La differenza di pressione all'unità di distanza si dice gradiente, e si può considerare come una forza acceleratrice che unitamente alla gravità determina i movimenti dell'aria. Essa si può determinare in direzione e in grandezza quando sia costruita la carta delle isobare: evidentemente è diretta in ogni punto normalmente all'isobara passante per quel punto, verso la pressione minore, ed è in grandezza misurata dalla diminuzione di pressione fra due isobare consecutive, divisa per la loro distanza (fig. 8).
Indicando con G il gradiente, è
e il valore dipende dalle unità assunte per la misura della pressione e della distanza. Poiché le differenze di pressione sono in generale non molto rilevanti anche su grandi distanze, come unità pratica di gradiente fu assunta la differenza di 1 mm. di mercurio sulla distanza di 1° d'arco di cerchio massimo della sfera terrestre. Poiché l'arco di un grado è di circa 110 km., l'unità di gradiente in chilogrammi per metro sarebbe
cioè circa 1 : 8000 della forza di gravità, e poiché il valore del gradiente pratico raramente supera il
e solo nei grandi uragani tropicali può toccare e anche superare il 20, il gradiente è una forza molto piccola; si spiegano le grandi velocità che esso può determinare con la durata della sua applicazione, e con la lunghezza del percorso delle particelle d'aria da esso sollecitate.
Movimento relativo alla terra rotante. - Appena una massa si mette in moto, cioè si stacca dalla superficie terrestre, si muove indipendentemente dal movimento di rotazione di questa, e il suo movimento riferito a questa appare deviato, verso destra nell'emisfero boreale, verso sinistra nell'emisfero australe, verso l'alto nei movimenti diretti a est, verso il basso nei movimenti diretti a ovest, verso est nei moti discendenti, verso ovest nei moti ascendenti.
Queste deviazioni apparenti del movimento, dovute al fatto che sono riferite alla superficie rotante sotto di esso, si possono considerare come se fossero dovute all'applicazione di una forza, che è detta forza deviatrice della rotazione terrestre.
Di queste deviazioni, prodotte dalla rotazione terrestre nei movimenti sulla superficie, un esempio familiare è quello dei venti alisei; ma è facile darsi ragione di esse per qualunque direzione del moto.
La teoria dei movimenti relativi sulla sfera terrestre rotante dimostra che, alla latitudine ϕ, le componenti della forza deviatrice sono 2 ω sen IV (nel piano orizzontale), 2 ω cos ϕW (nel piano verticale tangente alla traiettoria), dove ω è la velocità angolare di rotazione diurna della terra; V, W sono le componenti orizzontale e verticale della velocità di movimento, considerando come positivi i movimenti verso est, verso sud e verso l'alto.
Essendo
(dove 86164 è il numero di secondi di un giorno sidereo) è 2ω sen variabile, da 0 all'equatore a 0,0001458 al polo; nelle latitudini medie fra 40° e 50° lat. è assai prossima a 0,000°. Poiché le velocità del vento sono di regola di pochi metri al secondo, arrivando solo in caso di turbini a 20-30 m./sec., la forza deviatrice della rotazione terrestre è dell'ordine di grandezza del gradiente. Essa opera continuamente a deviare il movimento verso destra (emisfero boreale) fino a ridurlo normale, se altre forze non si oppongono al gradiente, cioè nella direzione dell'isobara e anche, in condizioni particolari, ad angolo ottuso con questo, cioè contro il gradiente.
Attrito. - Il movimento dell'aria è necessariamente rallentato presso terra dall'attrito (esterno) contro la superficie del suolo o del mare; in libera atmosfera dall'attrito (interno) di ogni strato d'aria contro gli strati contigui, superiore e inferiore, nei quali generalmente l'aria ha velocità diversa. Anche questi attriti vengono considerati come forze create dal movimento, e si ritengono d'intensità proporzionale alla velocità della massa d'aria in moto, e di effetto ritardante, cioè dirette ad angolo ottuso sulla direzione del moto. In principio si ammise anzi, con Guldberg e Mohn, che furono tra i primi a formulare una teoria matematica dei venti, che esso sia in direzione opposta a quello del vento. In ogni strato il movimento, per effetto dell'attrito di esso con lo strato sovrastante a moto più rapido, viene invece alquanto deviato verso destra nell'emisfero boreale. Il suo valore, secondo le determinazioni di Hesselberg e Sverdrup, in base ai lanci di palloni piloti a Lindenberg, è = 50 ∂V/∂z (cm.-1 gr. sec.-1) cioè immensamente maggiore (circa 300.000 volte) dell'attrito interno dell'aria, quale è determinato, con esperienze di laboratorio, in un moto laminare entro tubi capillari o fra due lamine vicinissime. Ciò dipende dal fatto che i movimenti nell'atmosfera sono turbolenti, determinando una miscela di masse a velocità diverse e assorbendo in questi moti interni una parte rilevante dell'energia potenziale del gradiente barico.
La turbolenza è prodotta dall'irregolarità del terreno o della superficie del mare in moto ondoso, che determina, nella corrente d'aria a contatto, arresti e accelerazioni, piccoli salti di pressione, e piccoli vortici che si propagano ingrandendosi e attenuandosi progressivamente nella massa sovrastante fino ad altezza variabile con l'intensità del vento e con le irregolarità della superficie. Però anche in alta atmosfera, per i frequenti moti verticali, e specialmente lungo superficie di discontinuità, il moto è più o meno turbolento.
Il vento è perciò un fenomeno oscillatorio, non è cioè un moto continuo, ma una successione di raffiche, più o meno intense, divise da intervalli di relativa calma. Un comune anemometro Robinson non può registrare, per il suo elevato momento d'inerzia, le più minute di queste oscillazioni. Tuttavia anche dall'analisi dei tracciati anemografici il Robitsch rilevò che in una corrente di velocità media V, la velocità istantanea può oscillare fra 1,9 V e 0,2 V (per v = 20 fra 38 e 4 m./sec.).
9. Moti orizzontali. - Riferiamo il moto nell'emisfero boreale, in un punto P, a un sistema d'assi di cui quello delle x sia tangente alla traiettoria in quel punto, nella direzione del moto, e quello delle y sia ad esso normale verso la destra del moto stesso (fig. 9). Il gradiente, normale all'isobara, formi un angolo α con la direzione del moto. Allora, essendo V la velocità, le equazioni del moto dell'unità di massa sono
dove r è il raggio di curvatura della traiettoria della massa nel punto P; Rx Ry le componenti della forza d'attrito. Da esse si ricava l'angolo di deviazione definito da
Nell'ipotesi di Guldberg e Mohn è Ry = 0; Rx = kV, dove k è un coefficiente, che possiamo dire d'attrito esterno di turbolenza. Nel caso di moto uniforme rettilineo o a curvatura molto piccola (r grandissimo), come si verifica nella grande maggioranza dei casi, è
cioè la traiettoria di una particella d'aria intersecherebbe le isobare sotto angolo costante. Se le isobare sono rettilinee parallele, le traiettorie sono rettilinee; a isobare circolari corrispondono traiettorie a spirale logaritmica.
Tali conclusioni rispondono in pratica abbastanza bene ai fatti, quando si tratti di distribuzioni isobariche che si mantengono per un certo tempo immutate. Se si guarda una carta del tempo, nella quale si affermi la presenza di un sistema d'isobare chiuse attorno a un minimo di pressione, e nella quale la direzione del vento nei varî punti sia indicata con frecce, si constata le esse sono inclinate sulle isobare verso l'interno, a destra (nell'emisfero boreale) del gradiente, e costruendo le linee di flusso riunenti frecce successive si vede che esse sono, almeno grossolanamente, linee spirali convergenti verso il centro (fig. 10). Le linee stesse però non sono traiettorie, perché durante il movimento il centro si sposta.
Dalle equazioni precedenti si deduce che l'angolo β, che la forza d'attrito fa con la traiettoria, all'indietro, nell'ipotesi di accelerazione nulla, è definito da
Nel caso di traiettorie molto curve e di velocità molto grandi, come nei cicloni tropicali, può non essere trascurabile la forza centrifuga, che può anche determinare un movimento contro il gradiente, accentuando la depressione interna.
Ammettendo in via approssimata che l'attrito sia − kV e diretto in senso opposto al moto si può calcolare, misurando tang α, quale sia il valore di k. Da determinazioni del Mohn e d'altri risultò, per correnti sul mare k = o,00002 e per correnti entro terra, valori tre, quattro volte superiori, secondo le irregolarità del terreno e la distanza del mare; sulle coste inglesi k = 0,0000285, nell'interno dell'Inghilterra k = 0,0000637, nell'interno degli Stati Uniti k = 0,0000803, nell'interno della Norvegia k = 0,0000845. Anche la forza d'attrito è dell'ordine di grandezza del gradiente e della forza deviatrice della rotazione terrestre.
Crescendo l'altezza, l'attrito di turbolenza diminuisce fino a ridursi praticamente nullo; allora il moto avviene lungo l'isobara e la seconda delle equazioni del moto si riduce a G = 2 ω sen ϕV, che stabilisce una relazione di proporzionalità tra la velocità e il gradiente, relazione che in pratica si applica anche ai movimenti inferiori. Dati i valori di ω e di G, espresso in termini del gradiente pratico G0, è
formula naturalmente valida per latitudini non molto basse. Per eguale gradiente questa velocità di gradiente è tanto maggiore, quanto minore è la latitudine: ciò spiega la violenza dei cicloni tropicali. Per G = 20 (mm. di mercurio per grado) si avrebbe v = 34 m./sec., cioè 122,4 km./ora alla latitudine di 30°.
Le leggi del moto orizzontale si possono riassumere:
1. Legge di Buys Ballot: se si riceve il vento nelle spalle, la minor pressione è (sull'emisfero boreale) a sinistra e sul davanti, la maggior pressione a destra e all'indietro. Questa legge che fu enunciata dal meteorologo olandese, in base all'esame delle prime carte del tempo, verso la metà del secolo scorso, non è che l'espressione delle leggi meccaniche sopra enunciate.
2. In una corrente d'aria, che si estenda fino a uno strato di nubi, il movimento di queste appare deviato verso destra, nell'emisfero boreale, verso sinistra, nell'australe, rispetto al movimento dell'aria presso terra. Ciò risponde all'aumento dell'angolo di deviazione per la diminuzione dell'attrito.
3. La forza del vento, com'è impropriamente indicata la velocità, cresce col crescere del gradiente, e in alta atmosfera si può ritenere che sia ad esso proporzionale.
4. La velocità del vento cresce in media con l'altezza fino ai limiti della troposfera, oltre i quali, entro la stratosfera, diminuisce, almeno fin dove è giunta l'esplorazione coi palloni sonda e piloti. Così da molte misure sull'Europa il Peppler ricavò le seguenti medie annue della velocità (m./sec.) a varia altezza:
Con queste leggi, data la distribuzione della pressione, si può dedurne subito, in linee generali, la distribuzione dei venti in direzione e intensità.
Il Ferrel (1857) fu il primo che formulò una teoria matematica dei moti orizzontali: in particolare dei movimenti attorno a un centro di bassa o di alta pressione definiti da isobare chiuse, quando il sistema rimanga fisso. Attorno a una bassa pressione si stabilisce una circolazione rotatoria da destra a sinistra nell'emisfero boreale (fig. 10), da sinistra a destra nell'australe, che si dice ciclone; attorno a un centro di alta pressione si costituisce una circolazione in senso opposto che si dice anticiclone. Poiché su un'area più riscaldata si stabilisce una bassa pressione, attorno ad essa si forma una circolazione ciclonica; su un'area raffreddata una circolazione anticiclonica. Così, d'estate, i continenti nella zona temperata diventano sede di aree cicloniche e gli oceani di aree anticicloniche; d'inverno i sistemi s'invertono. Originariamente si riteneva che tutti i cicloni si formassero in questo modo, fossero cioè cicloni a centro caldo; ma ciò è vero solo per cicloni fissi. Il Ferrel dimostrò inoltre che attorno a ogni ciclone si possono formare una o più zone di alta pressione, come fu constatato in cicloni tropicali, e che attorno a una regione fredda ad alta pressione e rotazione anticiclonica, può formarsi una zona di bassa pressione a moto ciclonico, circondata da una zona anticiclonica. Questo sistema fu da lui chiamato ciclone a centro freddo. Ne vedremo un esempio nella circolazione generale dell'atmosfera.
Le equazioni del moto in un'area abbastanza ristretta, perché si possa considerare piana, riferite a un sistema x,y d'assi, di cui quello delle y sia diretto a destra di quello delle x positive sono:
Tenuto conto dell'equazione di continuità
da esse si ricava (De Marchi) derivandole rispettivamente per y e x e sottraendo i risultati
è la rotazione della particella fluida attorno alla verticale verso l'alto. Essa è positiva se nello stesso senso della rotazione terrestre. Ponendo ζ + λ = R, che possiamo chiamare rotazione totale, si dimostra, integrando l'equazione precedente, che R è funzione della sola densità p, e quindi lo è anche ϑ. Se il sistema delle isoterme e delle isobare è conforme, le linee isobariche sono linee di densità e di rotazione totale costanti, e questa è sempre positiva, cioè la rotazione terrestre prevale sempre sulla rotazione idrodinamica, che può essere positiva e negativa. Nel caso di isobare parallele e di angolo di deviazione costante, si dimostra (teorema delle aree) che R è costante. Allora l'equazione precedente si riduce a
cioè una particella d'aria nel suo moto ciclonico si dilata dove ζ è negativa, si condensa dove ζ è positiva. Dallo studio delle distribuzioni delle velocità attorno a molti cicloni degli Stati Uniti (Loomis) risultò l'esistenza, attorno al centro, di parecchie linee di rotazione nulla, che dividono zone di rotazione alternativamente positiva e negativa. Nei cicloni più violenti attorno al centro la ζ è negativa, e quindi il ciclone si accentua; ma se vi sono parecchie linee ζ = 0, nelle zone dove essa è positiva la densità andrà continuamente crescendo fino a formare zone di alta pressione. Ma poiché d/dt = o, le linee di eguale rotazione e isobariche convergono, col moto delle particelle, verso il centro: potrà quindi avvenire che si chiuda attorno a questo il cerchio delle ζ negative, e vi si formi un cerchio di ζ positive, che potrà diventare un centro anticiclonico circondato da una o più zone cicloniche. Lungo una linea isobariea la densità non può diminuire o crescere se non per il crescere o il diminuire della temperatura: in particolare si potrà formare un ciclone a centro caldo, se attorno al centro la ζ è negativa, a centro freddo se è positiva.
10. Moti verticali. - Possiamo distinguere due categorie di movimenti verticali: liberi e obbligati. Movimenti obbligati sono quelli determinati in una corrente orizzontale da un ostacolo che la devia verso l'alto, in particolare da una catena di monti. La corrente, deviata verso l'alto, determina, al superare della cresta, un succhiamento d'aria dal basso lungo il versante opposto; e il vuoto così formato sottovento richiama al basso aria della corrente superiore, chiudendo così un vortice ad asse orizzontale. Vortici analoghi più deboli e in senso opposto possono formarsi anche contro il versante sopravvento, se questo è molto ripido (fig. 11).
Attorno e sopra le regioni montuose è anche maggiore la turbolenza lungo i versanti; e specie al di sopra delle creste, dove il vento è più violento, essa si fa risentire anche a parecchie centinaia di metri al di sopra. In questi rimescolamenti verticali l'aria si avvicina, finché non avviene condensazione, al gradiente termico verticale massimo di 1° per ogni 100 m. di sollevamento. Quindi attorno al rilievo montuoso l'aria è più fredda che al largo di esso. Queste agitazioni e questi sbalzi di temperatura, e quindi di densità e di forza sostentatrice, rappresentano le difficoltà e i pericoli per la traversata d'una regione montuosa in aeroplano ed è specialmente l'aviazione che li ha messi in evidenza.
La deviazione verso l'alto a tutte le altezze, inferiori a quella della catena, s'inizia a distanza notevole, di decine di chilometri per catene alte 2000-3000 m. e più; sul versante settentrionale delle Alpi orientali calcari, alte 2500 m., fu valutata 55 km.: ciò spiega l'ampiezza della zona piovosa sopravvento di una grande catena.
Movimenti verticali liberi sono quelli che si manifestano a distanza, orizzontale o verticale, dai rilievi montuosi. Negli strati inferiori essi sono prodotti specialmente dal diverso riscaldamento del suolo. Sopra un suolo fortemente riscaldato l'aria appare, in tempo calmo, come tremolante: ciò è effetto del diverso potere rifrangente che esercitano sulla luce fili d'aria più calda ascendente e meno calda discendente, nei moti convettivi prodotti dal riscaldamento. A distanza dal suolo, le masse d'aria più calda e meno calda si separano in correnti più distinte, ascendenti le prime al di sopra delle aree di terreno più riscaldato, discendenti le seconde al di sopra delle aree meno riscaldate. Si avrà, p. es., moto ascendente al di sopra di una pianura spoglia di vegetazione, e discendente su una pianura boscosa, o su un fiume; gli aviatori conoscono questi buchi d'aria, che si verificano al di sopra dei corsi d'acqua.
Movimenti verticali ascendenti possono essere prodotti ad ogni altezza dallo stabilirsi di una condizione d'instabilità per cause dinamiche o termiche. Le cause dinamiche possono essere varie, e difficili a constatare quando si generino negli alti strati. Ogni moto ciclonico o anticiclonico, che si formi al contatto fra due correnti d'aria di direzione o di intensità diverse, ogni rapida variazione di velocità, dovuta all'incontro o al superamento di un ostacolo, o ad una rapida variazione o inversione del gradiente, debbono necessariamente determinare movimenti ascendenti o discendenti, come in una corrente d'acqua. Si possono in particolare ammettere rapide espansioni di una corrente d'aria verso l'alto o verso il basso, analoghi al salto di Bidone, noto in idraulica. Il formarsi di onde, dell'ampiezza di decine di metri, e le cui creste sono segnate dalla condensazione di vapore (mare di nubi), è un altro esempio di movimenti verticali dovuti all'azione dinamica del contatto di due masse d'aria di densità e di movimento diversi lungo una superficie orizzontale.
Le cause termiche si riducono quasi esclusivamente allo sviluppo o all'assorbimento di calore per le trasformazioni dell'acqua dall'uno all'altro dei suoi tre stati. Il potere assorbente e irradiante dell'aria è troppo piccolo, perché la radiazione diretta del sole o l'irradiazione, le quali d'altra parte si verificano anche nell'aria circostante, possano determinare in una massa d'aria sensibili differenze di temperatura rispetto all'ambiente. Una massa d'aria, nella quale si condensi del vapore in acqua o in ghiaccio, si riscalda e si dilata, diventa più leggiera e quindi è spinta dalla pressione dell'aria ambiente verso l'alto e, se durante l'ascesa continua la condensazione del vapore, il movimento si accelera. Così si spiega la formazione dei cumuli e dei nembi temporaleschi che rapidamente si elevano per chilometri.
Immaginiamo che si condensi improvvisamente in un chilogrammo d'aria una quantità q di vapore. La massa si dilata dal volume v1 al volume v2, e poiché si mette immediatamente in equilibrio di pressione con l'ambiente, il lavoro di dilatazione è p (v1 − v2). Nello stesso tempo la temperatura varia da T1 • T2. Si ha quindi la relazione (1° principio della termodinamica) cv (T2 − T1 + Ap(v2 − v1) = rq. Ma
dove γ1, γ2 sono i pesi specifici corrispondenti e α il coefficiente di dilatazione. L'equazione quindi si può scrivere (cv/α + ART1) (γ1 − γ2) = γ2 rq. Ora γ1 − γ2 è la forza ascensionale che l'unità di volume risente per la dilatazione; essa le imprimerà l'accelerazione (essendo γ2/g la massa dell'unità di volume)
Per la condensazione di 5 gr. di vapore per mc., che corrisponde a mezzo centimetro di pioggia, si avrebbe dw/dt = 0,53 m/sec2. Con tale accelerazione la massa d'aria si solleverebbe fino a condensazione compiuta, e poi continuerebbe a innalzarsi con moto ritardato, fino a raggiungere lo strato a peso specifico γ2. Poiché nei grandi temporali la pioggia è anche due, tre volte quella supposta, le velocità raggiunte possono essere anche di parecchi metri al secondo.
In un lancio di pallone fatto dal Hergesell durante un temporale si misurò una velocità d'ascesa di 2.38 m./sec., ma noi dobbiamo ritenere che nei cumuli-nembi si verifichino velocità anche maggiori, fino agli 8 m./sec., capaci di mantenere in sospensione (n. 6) e di spezzare le gocce più grosse. Un pallone sorpreso da un temporale in Baviera fu spinto in alto con velocità superiore ai 10 m./sec. (Schmauss). Nello spezzamento delle gocce si separano le elettricità, elettrizzandosi positivamente le goccioline e negativamente l'aria che continua il suo moto di ascesa. Così, secondo Simpson, si spiegano le potenti manifestazioni elettriche dei temporali.
La forza ascensionale, per condensazioni abbastanza abbondanti, è così forte che il moto si svolge in senso verticale, salvo la deviazione prodotta da differenze di velocità orizzontali. La colonna d'aria ascendente comprime e solleva gli strati sovrastanti che, spinti in su, possono condensare il loro vapore al di sopra e a distanza dai cumuli prodotti entro la colonna stessa, in nubi schiacciate, le cappe, che la colonna, continuando nel suo moto ascendente, può attraversare. Così si spiega la forma di nubi temporalesche, a forma di torre attraversata da tettoie orizzontali (fig. 12).
I movimenti discendenti, che debbono necessariamente compensare quelli ascendenti, sono determinati o dal raffreddamento prodotto dall'evaporazione delle gocce e dei ghiacciuoli delle nubi, o dall'afflusso d'aria fredda negli strati superiori, o dal richiamo verso il basso prodotto da movimenti divergenti negli strati sottostanti. Poiché le precipitazioni eliminano una buona parte del vapore, si comprende che i movimenti discendenti per causa termica sono, in generale, meno intensi dei movimenti ascendenti, anche perché ritardati dalla vicinanza della superficie terrestre. Essi si svolgono in direzione obliqua, di preferenza lungo le superhcie isentropiche. Poiché nel discendere l'aria si riscalda, l'umidità relativa diminuisce, cioè l'aria diventa sempre più calda e secca. Il Föhn, vento discendente caratteristico di molte regioni di montagna, abbastanza frequente nelle Alpi, e quasi costante sulle coste orientali della Groenlandia, di cui raddolcisce notevolmente il clima, è prodotto dal rapido richiamo d'aria dalla montagna alla pianura per l'avvicinarsi su questa di un'area di depressione, o, come nel caso della Groenlandia, dal forte raffreddamento dell'aria sul grande altipiano glaciale dal quale essa scivola giù verso la costa.
11. Circolazione generale dell'atmosfera. - La distribuzione della pressione media (annua, estiva e invernale; v. figg. 13, 14) ci dimostra l'esistenza sugli oceani di aree d'alta pressione oscillanti con le stagioni attorno alle latitudini di 30°-40°, e di aree di bassa pressione verso i cerchi polari. Fra le due aree di alta pressione verso l'equatore, attorno al quale la pressione è minore, dominano quindi venti costanti, gli alisei, da NE. a SO. nell'emisfero boreale, da SE. a NO. nell'emisfero australe. Fra le alte pressioni subtropicali e le basse pressioni circumpolari dominano venti da SO. a NE. nell'emisfero boreale, da NO. a SE. nell'australe. II regime dei venti sulle calotte polari è meno noto, ma tutto porta a credere che vi predominino venti di NE. nella calotta artica, dove le condizioni sono però perturbate dalla vicinanza dei grandi continenti, di SE. nella calotta antartica tutta occupata dai ghiacci.
Sull'emisfero australe, in gran parte oceanico, l'alta pressione subtropicale forma una zona continua d'inverno e interrotta d'estate solo dal protendersi attraverso di essa dei continenti americano, africano e asio-australiano, che, riscaldandosi, diventano sede di pressione minore. La zona circumpolare di bassa pressione vi è pure continua e accentuatissima. Tutto perciò porta a credere che, se la superficie terrestre fosse tutta coperta dal mare, ogni emisfero, boreale e australe, sarebbe diviso in quattro zone continue di pressione: due di bassa, equatoriale e circumpolare, e due di alta, subtropicale e polare, obbedendo i venti da esse generati alla legge di Buys Ballot. Poiché la causa prima della circolazione atmosferica è la differenza di temperatura fra l'equatore e i poli, esse devono oscillare col mutare delle stagioni fra i due emisferi, portandosi più verso nord durante l'estate boreale, più verso sud durante l'estate australe.
La circolazione reale sui due emisferi si può spiegare come la sovrapposizione, su questa circolazione generale, delle circolazioni speciali che si formano nelle due stagioni sui continenti, ciclonica nell'estate, anticiclonica nell'invermo. Data la grande estensione dei continenti sull'emisfero boreale, quest'azione perturbatrice della circolazione generale vi è assai più accentuata che nell'australe. La circolazione reale è spiegata, quando lo sia la circolazione generale. Con il Ferrel possiamo considerare questa su ogni emisfero come un ciclone a centro freddo, con calotta polare fredda anticiclonica, circondata da due zone cicloniche, separate da una zona di alta pressione nelle latitudini subtropicali.
Una teoria rigorosa della circolazione generale dell'atmosfera non si può costruire, perché non si conoscono le condizioni negli strati più alti, che certamente hanno un riflesso sulle condizioni della troposfera. Poiché tuttavia sembra che non vi sia scambio d'aria tra questa e la stratosfera sovrastante (il pino delle ceneri e dei vapori vulcanici si schiaccia e si distende entro la tropopausa), possiamo considerare a parte la circolazione troposferica. Corrispondono alla distribuzione termica sulla superficie terrestre la formazione di una zona di bassa pressione equatoriale e di una calotta d'alta pressione polare. Meno facile a spiegarsi è la formazione dell'anello subtropicale d'alta pressione e dell'anello circumpolare di bassa pressione. L'analogia con un ciclone a centro freddo non basta a darne ragione, perché si deve tener conto anche dei movimenti che i moti superficiali determinano negli strati sovrastanti. L'afflusso degli alisei verso la zona calda equatoriale deve in particolare determinare su questa un flusso ascensionale d'aria che, a una certa altezza, si deve riversare verso le latitudini superiori, al di sopra degli alisei (controalisei). Ma, come gli alisei nel loro moto da nord a sud (boreali) o da sud a nord (australi) sono deviati verso ovest, così i controalisei in direzione opposta sono deviati verso est. Osserviamo che un movimento verso est significa una rotazione, Ω, attorno all'asse terrestre, più rapida di quella terrestre, e, poiché deve conservarsi costante, per legge meccanica, il momento di rotazione (Ωr2) di ogni unità di massa d'aria, nel controaliseo col diminuire del raggio r del parallelo dovrà crescere più rapidamente la velocità angolare Ω di rotazione, cioè la velocità del vento verso est. Risulta che, se l'aria parte dall'equatore in calma, arriverebbe a 10° lat. con la velocità di 14,18 m./sec., a 28° lat. con velocità 57,63, a 30° lat. con velocità 133,65 m./sec., velocità quest'ultime che assolutamente non si verificano in nessun punto dell'atmosfera. Secondo il Helmholtz, l'esistenza di correnti sovrapposte in direzione e di velocità molto diverse è condizione d'instabilità, dovendosi necessariamente determinare moti verticali di rimescolamento. Inoltre, a questo rapido aumento di velocità rotatoria corrisponde anche un rapido aumento della forza centrifuga nel piano del parallelo, la quale tende a risospingere l'aria verso sud. Per queste due ragioni, il controaliseo non può continuare verso nord, ma dovrà addensarsi e iniziare la discesa verso terra, determinando così una zona di alta pressione con moto discendente; questo alimenta le correnti alisee da un lato e le correnti di sud-ovest dall'altro, le quali ultime si possono considerare come il prolungamento del controaliseo stesso verso nord. Tra la zona anticiclonica subtropicale e la calotta anticiclonica polare si crea necessariamente la zona di depressione circumpolare.
La circolazione in un piano meridiano è rappresentata con sufficiente approssimazione nella fig. 15 nella quale sono indicate le linee V = 0 di componente verticale nulla, di cui l'una è la superficie terrestre, l'altra il limite della troposfera, e le linee N = 0, che separano le regioni dove il moto ha componente verso nord da quelle ove ha componente verso sud. La figura è la rappresentazione delle equazioni del moto e in particolare del teorema delle aree che si può scrivere
dove N, V, W sono le componenti del moto verso sud (vento di nord), verso l'alto, e verso est (vento di ovest), k il coefficiente d'attrito; ϑ, η le componenti della rotazione idrodinamica attorno alla verticale e alla orizzontale verso sud. Dalla figura risulta che, al di sopra dei venti inferiori di sud-ovest, dominano venti di nord-ovest discendenti, i quali contribuiscono con i controalisei ad alimentare l'area subtropicale di alta pressione e si spingono, come ha constatato il Hergesell nell'Atlantico, al di sopra degli alisei per un certo tratto e fino a una certa altezza, e che gli stessi venti inferiori di sud-ovest della zona temperata si spingono fino a una certa altezza al di sopra dei venti di nord-est della calotta polare. Naturalmente la figura rappresenta le condizioni sull'emisfero boreale; sull'australe la circolazione sarebbe simmetrica a questa, e in particolare i venti di nord-ovest della zona temperata si spingerebbero al di sopra dei venti di sud-est della calotta polare, il che pare confermato dall'osservazione dei venti superiori sul continente antartico.
12. Circolazioni particolari. - Come si disse, la circolazione generale è perturbata dalla presenza dei continenti, attorno ai quali si determinano in ogni stagione circolazioni proprie, e che rappresentano, anche indipendentemente da ciò, un ostacolo alla circolazione stessa. Inoltre trattandosi di movimenti di masse così grandiose è naturale che si formino movimenti irregolari di turbolenza, di ondosità e di vorticosità, favoriti anche dalla condensazione del vapore ed evaporazione delle gocce d'acqua. Finalmente non si può prescindere dalle influenze della stratosfera, nella quale si possono determinare variazioni di pressione che si ripercuotono sulla troposfera sottostante. Si comprende quindi come sia difficile spiegare, e tanto meno prevedere, tutte le possibili evoluzioni di uno stesso tipo isobarico e delle forme di tempo che le accompagnano.
Tuttavia notevoli risultati si ottennero anche in questo campo. Nella grande molteplicità di forme che può presentare il sistema delle linee isobariche si possono distinguere (Abercromby) sei tipi fondamentali (fig. 16): 1. ciclone, isobare chiuse attorno a un minimo di pressione; 2. anticiclone, isobare chiuse attorno a un massimo di pressione; 3. pendio, isobare approssimativamente rettilinee e parallele; 4. sella, striscia di bassa pressione fra due anticicloni; 5. istmo, striscia di alta pressione fra due cicloni; 6. pressione livellata, isobare molto spaziate ad andamento non ben definito. Tipo derivato dal ciclone si può dire la saccatura, un'espansione della bassa pressione, chiusa da isobare a angolo acuto (saccatura a V) o tondeggianti, fino a costituire un centro secondario di bassa pressione, come un satellite del centro principale del ciclone (ciclone secondario). Così pure tipo derivato dall'anticiclone è il cuneo o promontorio, espansione dell'alta pressione principale, chiusa da isobare generalmente tondeggianti fino a costituire un anticiclone secondario.
Tipi fondamentali sono il ciclone e l'anticiclone, perché i tipi 3, 4, 5 si possono considerare come particolari da essi dipendenti, e il 6 è un tipo amorfo, generalmente di breve durata.
Si hanno cicloni e anticicloni che possono dirsi fissi, come quelli che si formano alternativamente sui continenti e sugli oceani per l'alternarsi delle stagioni, e cicloni e anticicloni mobili. È da questi che dipendono principalmente le variazioni irregolari del tempo; di regola un ciclone porta brutto tempo, un anticiclone porta bel tempo. Nel primo infatti vi è afflusso d'aria e quindi moto ascendente, che porta alla formazione di nubi e di pioggia: nel secondo vi è moto discendente per il quale l'aria diventa più calda e più secca e si ha il cielo sereno. Nelle regioni a inverno freddo il cielo sereno determina nella lunga notte una forte irradiazione del suolo, e quindi un forte raffreddamento degli strati inferiori anche con formazione di nebbia: l'aria calda discendente si distende al di sopra, determinando inversione di temperatura. Quindi l'anticiclone determina presso terra d'estate, a giorno lungo e notte breve, tempo molto caldo, d'inverno tempo molto freddo e nebbioso.
La distribuzione delle nubi e delle piogge e il loro carattere attorno a un ciclone dipende dai movimenti dell'aria; e reciprocamente i caratteri stessi dànno indizio di tali movimenti. Dalle osservazioni di H. H. Hildebrandsson in Norvegia risulta che sul lato nord di un ciclone, dove dominano i venti da est, vi è di regola uno strato basso e continuo di nubi, che segna il limite della turbolenza creata dai venti stessi rasente il suolo; di sopra, come dimostrano anche ascensioni aerostatiche, domina il cielo sereno, prova della componente verticale discendente indotta nella corrente da est dalla rotazione terrestre. Formazioni di nubi a varie altezze, fino ai cirri, si riscontrano invece prevalentemente nei quadranti di sud e di est, il che è prova di un moto ascendente fino a grandi altezze. Un ciclone è quindi generalmente precorso da cirri. Sul lato sudovest è frequente la formazione di una saccatura con formazione di temporali.
La genesi di un ciclone può essere varia: nei tropici essi sono di regola limitati ai periodi d'inversione dei monsoni, quando cioè il monsone di terra non è ancora cessato in tutta la sua estensione, entro la quale s'insinuano monsoni di mare, o viceversa. I cicloni allora sono vortici prodotti al contatto di correnti contrarie, quando la corrente proveniente è a ovest di quella proveniente da sud (nell'emisfero boreale). Allora infatti la forza deviatrice della rotazione terrestre tende ad allontanarle formando depressione fra di esse; in posizione reciproca contraria le correnti generano alte pressioni.
Un fenomeno analogo si può verificare anche nelle zone temperate per l'incontro di correnti tropicali con correnti polari, e a tale causa si attribuisce attualmente l'origine dei cicloni mobili.
Già nella prima metà del sec. XIX, H. W. Dove aveva spiegato la successione dei fenomeni del tempo nell'Europa centrale come dovuta al succedersi alternato di correnti equatoriali e polari, che si manifesterebbe come una rotazione del vento col sole, cioè da E. per S. e O. a N. Con la costruzione delle carte del tempo, col tracciamento delle isobare e delle frecce indicatrici del vento, si vide che questa rotazione si spiegava più spontaneamente col passaggio di un centro ciclonico a nord dell'Europa centrale, la quale veniva con ciò ad essere percorsa prima dai venti di E. del lato orientale del ciclone, poi da quelli di SE., S., SO., O., N. dei lati meridionali e occidentali. Il meccanismo del ciclone s'interpretò quindi esclusivamente come quello definito dalle teorie di Ferrel e di Guldberg-Mohn, essendo considerato in ogni istante il ciclone come fisso, e generato sia dal riscaldamento della superficie, comunicato alla colonna d'aria sovrastante, sia alla condensazione del vapore nella colonna stessa, perché l'aria convergente negli strati inferiori era costretta a salire.
La discussione, fatta verso il 1880 da J. Hann, delle temperature d'alta montagna sul margine settentrionale delle Alpi, dimostrò che, al disopra della regione centrale ciclonica, dominava invece aria più fredda dell'aria circostante, e già nel 1876, cioè contemporaneamente alla memoria di Guldberg-Mohn, W. Köppen costruiva le traiettorie delle particelle d'aria, ben distinte dalle linee di flusso istantanee quali appaiono da una carta del tempo in forma di spirali.
Solo nel 1903 lo Shaw riprese l'argomento e mise in evidenza il fatto che, per effetto del movimento del ciclone, fra le correnti da sud del lato meridionale e quelle da ovest del lato occidentale si genera una linea di discontinuità lungo la quale le correnti stesse devono accavallarsi, insinuandosi la corrente fredda da O. sotto la corrente calda da S. La teoria del vortice a spirale veniva quindi a essere in difetto tanto nella genesi che nello sviluppo cinematico. Durante la guerra mondiale, la scuola meteorologica norvegese, sotto l'impulso di V. Bjerknes, emise una teoria che si riallaccia a quelle di Dove e di Shaw; in essa la formazione dei cicloni si connette alla circolazione generale dell'atmosfera, e in particolare, per i mari settentrionali, al contatto dei venti di SO. della zona temperata (NO. nell'emisfero australe) coi venti di NE. (SE. nell'emisfero australe) emananti dalla calotta polare di alta pressione. Come si vede nella fig. 15, sulla calotta polare d'aria fredda si estendono i venti caldi di SO. lungo una superficie di discontinuità; questa incide sulla superficie terrestre lungo una linea, che segna sulla superficie stessa un rapido salto di temperatura e di venti. Questa linea, che è facile in generale segnalare su una carta del tempo, fu detta dal Bjerknes fronte polare. Essa non è però fissa: si comprende che, per cause molteplici, l'aria fredda possa spingersi in alcune zone verso sud, in altre ritirarsi verso nord. Secondo il Bjerknes, tali oscillazioni del fronte polare sarebbero dovute a onde che si formano sulla superficie di discontinuità: dove la superficie si eleva, il fronte si avanza verso sud; dove si abbassa, il fronte si ritira verso nord: le traiettorie descritte dalle particelle in questo moto ondoso, in un piano non verticale, ma inclinato, presso terra si presenterebbero come movimenti ciclonici attorno a un centro che è presso a poco al vertice dell'ansa di ritiro verso nord del fronte polare. Nell'ansa stessa si è insinuato il vento di SO. , che batte contro il cuneo d'aria fredda sul davanti e scivola al di sopra di esso lungo una superficie di discontinuità. Questa è pochissimo inclinata, di una frazione di grado, sul terreno, ma a distanza di centinaia di chilometri si trova elevata di 1, 2, 4 e più km. In questo moto ascendente si formano varî tipi di nubi fino ai cirri precorritori del ciclone. Questa parte del fronte polare fu detta dal Berknes fronte caldo. Dal lato posteriore dell'ansa un cuneo d'aria fredda si trova a contatto coll'aria calda e s'insinua sotto di essa, come dimostrò lo Shaw, obbligandola a sollevarsi e a condensare il proprio vapore in una zona ristretta a forma di cumuli e cumuli nembi. Questo tratto posteriore del fronte fu detto fronte freddo (figg. 17, 18); su di esso sono frequenti i temporali. Ambedue i fronti sono trasportati verso est, il caldo dalla corrente calda di SO. che lo spinge, il freddo dallo stesso moto della corrente e dalla spinta dell'aria fredda a pressione maggiore. Il movimento del fronte freddo è perciò più rapido di quello del fronte caldo: essi si avvicinano fino a chiudere l'ansa, e a ristringere e sollevare l'aria calda, che così rimane prigioniera (fig. 19), finché il ciclone scompare e si ricostituisce un fronte polare a sud del precedente.
In questo può ripetersi il processo, ricostituendosi un nuovo ciclone più a sud del precedente e così via via fino al margine dell'area subtropicale d'alta pressione.
A questa teoria, che ebbe sviluppi teorici di dettaglio da V. e I. Bjerknes, Stolberg, Bergeron e altri, e sulla quale si basa ora il servizio di presagi di parecchi paesi settentrionali, furono opposte varie obiezioni. Si osservava anzitutto che non era dimostrata l'esistenza di strati di discontinuità prolungantisi fino ai limiti della troposfera, ai quali certamente si estende la perturbazione, come prova l'abbassamento della tropopausa al di sopra delle aree cicloniche. Non pareva sufficiente la risposta che, più che da vere inversioni di temperatura, la vicinanza di corpi d'aria calda e d'aria fredda dev'essere segnalata da una diminuzione del gradiente termico, perché anche di ciò non si era data una prova abbastanza estesa. Questa fu data da L. Venturelli. Avendo determinato sui dati di molti lanci internazionali di palloni sonda la temperatura media per ciascun lancio ai diversi livelli, fino a 7000 m., la Venturelli constatò come in generale le temperature superiori alla media erano, in ogni strato e per strati contigui sovrapposti, tutte da un lato, e le inferiori tutte dall'altro lato di una superficie che possiamo dire di discontinuità, ad andamento più o meno regolare, e intersecante la superficie terrestre, sotto angolo molto piccolo, lungo una linea o striscia che si può dire un fronte. Non è però sempre evidente il legame di questi fronti e delle relative superficie di discontinuità coi centri ciclonici, dai quali talora appaiono indipendenti, e l'andamento delle superficie di contatto è spesso assai diverso da quello voluto dalla teoria. Un'altra difficoltà della teoria norvegese è quella di ammettere la formazione sulla superficie polare di discontinuità di onde della lunghezza e dell'ampiezza di migliaia di chilometri, corrispondenti alle dimensioni dei cicloni. Inoltre nella teoria si ammette che l'origine dei cicloni sia sempre negli strati inferiori della troposfera, per differenze di pressione e di temperatura e per velocità iniziali di vento, che non sembrano giustificare la creazione di un sistema energetico di una potenza e di una estensione orizzontale e verticale, quale spesso si verifica nei grandi cicloni della zona temperata. Il Bigelow dedusse, da molte migliaia di osservazioni negli Stati Uniti, i movimenti ciclonici a varie altezze, sottraendo dal movimento effettivo dei venti quella componente che rappresenta il flusso generale della corrente da ovest a est, espressione della circolazione generale. Constatò così che le circolazioni cicloniche si estendono anche oltre i 10 km. d'altezza, con un massimo a 3000 m. (fig. 20). Perfino lo strato d'ozono, che recenti misure internazionali hanno determinato a circa 40 km. d'altezza nella stratosfera, manifesta variazioni dipendenti dalla distribuzione della pressione alla superficie terrestre e concordi con essa. Gli studî di H. von Ficker, di C. Fabris e dello Stuve porterebbero ad ammettere la formazione di correnti, di onde e di aree di depressione originatesi negli strati superiori dell'atmosfera, anche nella stratosfera, dove la distribuzione media della temperatura è l'inversa di quella presso terra, essendo minima all'equatore e massima al polo, cosicché ivi le correnti polari sono calde, e le equatoriali fredde. Un altro problema è finalmente quello del trasporto dei cicloni, che avviene spesso con velocità di 50, 60 km. all'ora, superiore alla velocità media delle correnti aeree in cui si generano. In particolare poi la traiettoria dei cicloni tropicali, diretta a O. e poi piegante a parabola verso E. (fig. 21), che si propagano, ampliandosi, nelle zone temperate, sembra dipendere, più che dagli alisei inferiori, dai controalisei superiori e i cicloni che hanno questa origine appaiono indipendenti dalle deformazioni del fronte polare, che sarebbe più effetto che causa di esse. Gli studî della scuola norvegese hanno tuttavia segnato un grande progresso nella comprensione dei fenomeni atmosferici e, almeno per le regioni settentrionali, nei metodi di previsione del tempo, in quanto definiscono l'evoluzione fisiologica dei cicloni della zona temperata, spiegando la distribuzione e i diversi caratteri delle nubi e delle precipitazioni nelle varie parti della tempesta.
I cicloni nelle latitudini medie si muovono generalmente da SO. a NE. nell'emisfero boreale, da NO. a SE. nell'australe. Si era sperato di potere perciò stabilire una previsione sicura dell'arrivo di cicloni in Europa telegrafando dall'America. Nel fatto il cammino percorso può essere molto variabile, tra limiti vasti di latitudine; alcuni cicloni possono spegnersi, altri nascere lungo il cammino e con l'avvicinarsi ai continenti possono trovare nelle catene di monti causa di deviazione. Dallo studio delle traiettorie di molti cicloni attraverso l'Europa occidentale, W. J. van Bebber ricavò l'unita rappresentazione (fig. 22) delle traiettorie prevalenti, la quale conferma le influenze accennate.
Gli anticicloni mobili sono spesso forme necessariamente associate ai cicloni. Non si possono ammettere moti ascendenti senza corrispettivi moti discendenti. Anzi, come dimostrò il Margules, l'energia dei moti ciclonici non si può ricercare che nella trasformazione dell'energia potenziale di grandi masse d'aria, il cui centro di gravità si abbassa. Secondo lo Stuve, in base al materiale aerologico della stazione sperimentale di Lindenberg, la circolazione dell'aria nella zona fra due cicloni si svolgerebbe secondo lo schema rappresentato dalla fig. 23. Da essa appare che la massa fredda anticiclonica determinerebbe nella corrente dominante da ovest movimenti analoghi a quelli generati da un rilievo montuoso: cioè due vortici in senso opposto sopravento e sottovento, con moti ascendenti e discendenti entro la massa stessa. Questa che costituisce un istmo fra due cicloni si chiude spesso in un vero anticiclone, perché vi contrastano correnti opposte che la forza deviatrice della rotazione terrestre tende ad accostare. Aree di alta pressione possono formarsi contro catene montuose battute da una corrente d'aria. Così spesso un promontorio di alta pressione si forma a nord delle Alpi per il rigurgito da esse creato nelle correnti occidentali: più raramente si forma a sud in un cuneo entro la Valle del Po, quando da alte pressioni sui Balcani derivano venti da est. In questo caso, le alte pressioni invece di portare bel tempo determinano piogge, perché in esse dominano moti ascendenti per superare l'ostacolo. Anticicloni mobili, che d'inverno portano onde di freddo, si verificano nelle regioni ampiamente pianeggianti, come la Russia e l'America Settentrionale. Anche in Australia essi si presentano come oscillazioni dell'area subtropicale d'alta pressione, e sono i determinanti principali del tempo, aggravando la siccità dominante.
13. Temporali. - Temporale è una violenta e passeggiera perturbazione atmosferica contraddistinta da un rapido aumento di intensità e da una repentina variazione di direzione del vento; da un rapido abbassamento di temperatura; da una rapida variazione nei caratteri della precipitazione, che assumono forma di piovaschi repentini e talvolta di veri nubifragi spesso con grandine; da un rapido aumento, passeggiero o permanente, di pressione e, generalmente, da forti manifestazioni elettriche. Le piogge repentine non possono essere dovute che a un movimento ascendente verticale dell'aria, il quale è dimostrato dal formarsi di cumuli torreggianti, prova di un'abbondante condensazione del vapore. Condizione per determinare questi fatti è uno stato d'instabilità dell'aria, cioè una rapida diminuzione verticale di temperatura. Essa si può stabilire nei mesi estivi e nelle ore più calde, in condizioni di tranquillità d'aria, corrispondente a una pressione livellata; o quando si trovano a contatto una massa d'aria caldo-umida e una massa d'aria fredda, e questa s'insinua sotto di quella sollevandola, condizione che si verifica lungo il fronte freddo di un ciclone. Per ciò si distinguono temporali di caldo e temporali ciclonici. I primi si verificano nei mesi estivi, i secondi sono più frequenti nei mesi invernali, perché in questi sono più frequenti i cicloni, essendo più accentuato il dislivello di temperatura dalle regioni tropicali alle polari, e quindi più violente le correnti d'aria fra di esse.
Secondo esperienze di W. Schmidt, la penetrazione dell'aria fredda sotto la calda non avverrebbe lungo una superficie di discontinuità poco inclinata sul suolo, ma in massa compatta, anzi con un rigonfiamento frontale e una superficie di fronte quasi verticale, che spiegherebbe un più rapido sollevamento dell'aria calda, sollevamento che verrebbe fortemente accelerato dalla condensazione del vapore. Però il processo può svolgersi anche diversamente. Secondo il Simpson, carattere preminente è la forte corrente presso terra richiamata dalla regione antistante verso il fronte del temporale, in direzione cioè opposta alla direzione di propagazione di questo, e che non si può spiegare se non ammettendo una striscia di bassa pressione davanti al fronte. Nel caso del fronte polare essa si spiega per la vicinanza del vento di sud e del vento di nord nella posizione favorevole al loro distaccarsi per effetto della rotazione terrestre: ma Ciro Ferrari (1882) constatò l'esistenza di questa bassa pressione anche nei cicloni della valle del Po. Il rapido aumento di pressione è generalmente attribuito al raffreddamento prodotto negli strati inferiori dalle precipitazioni di pioggia e grandine molto fredde, e dalla loro evaporazione, ma esso si verifica anche nel caso di temporali asciutti o poco piovosi, e nel caso dei temporali del fronte freddo si mantiene anche dopo la pioggia. L. De Marchi considera perciò il temporale come un'onda di alta pressione, che presso terra richiama aria anche dal davanti, come l'onda di mare che si accosta alla spiaggia. Essa si propaga per elasticità, e al suo passaggio si spande anche verso l'alto formando il cumulo-nembo e precipitazioni abbondanti, che raffreddano fortemente gli strati d'aria sottostanti, anche, anzi specialmente, se evaporano prima di arrivare al suolo. Si ha quindi un'onda elastica che, contrariamente a ciò che avviene in un'onda sonora, è raffreddata nella fase di condensamento, e perciò ha una velocità di propagazione notevolmente inferiore. Il Helmholtz considerava invece il temporale come un'onda di gravità propagantesi sulla superficie di contatto fra uno strato d'aria fredda presso terra e uno strato d'aria calda sovrastante. Queste onde avrebbero lunghezze di parecchi chilometri e, per la piccola differenza di densità fra i due strati, ampiezze suffieienti a spiegare la formazione dei cumuli per sollevamento. Queste teorie che considerano i temporali come fenomeni d'onda parrebbero meglio rispondenti al caso di temporali a variazione passeggiera di pressione, segnalati dai cosiddetti barogrammi a naso, quando cioè la curva barografica registra al passaggio del temporale una punta all'insù, mentre nei temporali a variazione barica permanente si ha un barogramma a gradino. Alla prima categoria appartengono i temporali di caldo, alla seconda i temporali ciclonici; ma è notevole il fatto che anche in questo caso il fronte freddo si spezza di frequente sul davanti in strisce alternate di aria calda e fredda, vere onde, con formazioni di temporali successivi.
Sulla formazione della grandine, v. sopra. Quanto all'origine delle manifestazioni elettriche non abbiamo ancora una teoria assodata; tra le molte ideate abbiamo già accennato a quella del Simpson, secondo la quale una corrente ascendente di velocità eguale o superiore agli 8 m./sec. arresta la caduta delle gocce anche più grosse e le spezza, e avviene allora una separazione di elettricità fra le goccioline così prodotte, e che vengono elettrizzate positivamente, e l'aria che rimane elettrizzata negativamente e che si solleva più in alto.
14. Previsione del tempo. - La previsione delle vicende atmosferiche, che tanta influenza hanno sulla vita fisica ed economica, fu un miraggio sempre presente e che parve sempre raggiungibile, presso tutti i popoli, in qualunque grado di civiltà. Anche attualmente esso è considerato dagl'incompetenti come l'unico scopo della meteorologia; mentre scopo principale della scienza è di spiegare, non di prevedere i fenomeni. La previsione è tanto più difficile quanto più complesse e non sempre determinabili sono le circostanze determinatrici, com'è il caso appunto dei fenomeni che si svolgono in un campo in gran parte inesplorato e inesplorabile come l'atmosfera. Tuttavia lo studio dei caratteri meteorologici dei varî tipi isobarici, segnatamente dei cicloni e degli anticicloni, delle leggi della loro evoluzione e dei loro spostamenti, ha permesso in questi ultimi decennî di prevedere, almeno con un grado abbastanza elevato di probabilità, il tempo che farà, a scadenza non molto lunga, che raramente supera le 24 ore.
Quando tutti i fenomeni della natura si attribuivano a enti soprannaturali, divinità, genî, spiriti, in immediato per quanto invisibile contatto con l'umanità, si ammetteva la possibilità che essi potessero preannunciare o direttamente con segnali sensibili o per mezzo di intermediarî umani (sacerdoti, profeti, maghi, ecc.) fenomeni atmosferici straordinarî, mandati spesso a castigo della peccaminosa umanità. Una tale credenza si mantenne durante tutti i secoli successivi, e si mantiene tuttora, non soltanto in mezzo ai ceti meno colti, fornendo la base di previsioni agli almanacchi popolari, benché nessuno studio metodico ne abbia dato conferma.
Questa influenza fu estesa anche agli altri corpi celesti, specialmente ai pianeti, la cui reciproca posizione nel cielo varia continuamente e dà luogo a combinazioni diverse, tra essi e con le stelle fisse, a ciascuna delle quali si dava significato di presagio buono o cattivo, anche nel campo dei fenomeni meteorologici. L'astrometeorologia era un capitolo dell'astrologia, le cui origini risalgono alla civiltà assira e che non si può dire tuttora interamente tramontata. L'esperienza di agricoltori, pastori e marinai ha messo in evidenza nei varî paesi certi fenomeni che molto spesso precorrono ad altri. È noto come l'uomo dei campi e dei mari sappia spesso trarre dalla sua osservazione e dalla tradizione locale previsioni abbastanza sicure delle possibili variazioni di tempo. Molto spesso esse sono formulate in proverbî, valevoli soltanto per il luogo d'origine. Le cause di queste correlazioni di fenomeni rimanevano ignote; solo lo sviluppo della meteorologia e soprattutto l'osservazione sincrona del barometro in numerose stazioni, e la possibilità di rapido confronto per mezzo del telegrafo elettrico, permise di dare all'empirismo meteorologico una base scientifica generale. S'erano già fatti in alcuni stati tentativi col telegrafo ottico per comunicare i dati meteorologici a una stazione centrale e nel 1851 si pubblicava in Inghilterra la prima carta del tempo sui dati di 30 stazioni collegate dal telegrafo elettrico. In essa erano segnate con frecce le direzioni dei venti, e accanto al nome delle stazioni i dati del barometro e i caratteri del tempo (c., cloudy, nuvoloso; r., rain, pioggia). L'impulso principale a un'organizzazione meteorologica internazionale fu dato da un uragano violentissimo che il 14 novembre 1854 danneggiò fortemente le flotte francesi e inglesi raccolte nel Mar Nero per la guerra di Crimea. L'astronomo Leverrier segnalò come sarebbe stato possibile preannunciare l'arrivo della burrasca, che proveniva al Mar Nero da ovest, e propose un vasto programma di collaborazione nazionale e internazionale. I varî stati organizzarono i proprî servizî meteorologici anche a servizio di presagi, che si coordinarono poi in servizî internazionali, in base a norme comuni di osservazione e di comunicazioni telegrafiche secondo un cifrario convenzionale. Una commissione meteorologica internazionale con periodiche riunioni, fissa, adattandole ai progressi della scienza, le norme stesse. Recentemente le comunicazioni sono state accelerate dall'applicazione della radiotelegrafia, che permette a uffici a ciò addetti nei varî stati (in Italia il Servizio presagi del Ministero dell'aeronautica) di compilare immediatamente, dopo le osservazioni fatte in tutte le stazioni della rete internazionale, la carta del tempo, cioè la carta delle isobare e delle isoterme, con segni convenzionali per indicare i caratteri del tempo (venti, inferiori e superiori, stato del cielo, pioggia, neve, nebbia, ecc.). In base a questa carta e a quelle di giorni od ore precedenti si tenta il presagio (v. presagi).
I presagi sono basati principalmente sui principî teorici dominanti riguardo all'origine e all'evoluzione dei tipi isobarici, principalmente dei cicloni. Abbiamo visto nell'esposizione precedente come questi principî siano andati modificandosi dalla metà del secolo scorso. Rimane sempre fermo, per le previsioni in Europa, che la grande maggioranza delle aree cicloniche proviene da ovest, cioè dall'Atlantico, e si può dire che le diverse teorie portano soltanto a conseguenze diverse sulla distribuzione delle nubi e delle piogge. Sia considerato il ciclone soprattutto come vortice o come fenomeno di contatto fra masse d'aria calda e masse d'aria fredda, non ne è sempre facilmente assegnabile il processo evolutivo: il cammino del vortice nel primo caso; il tracciamento, il trasporto e la trasformazione delle fronti nel secondo. Nell'un caso e nell'altro l'influenza di correnti superiori, della struttura orografica e del diverso riscaldamento e raffreddamento regionale della superficie terrestre e di altre cause inafferrabili, può sconvolgere ogni previsione. Perciò il fenomeno fu studiato anche sotto punti di vista che sembrano indipendenti dalla teoria e fondati principalmente sull'osservazione empirica dei fatti: tali furono il metodo Guilbert, basato sull'osservazione dei venti, il metodo Schereschewsky e Wehrlé, basato sull'osservazione delle nubi, e quello di F. Vercelli basato sull'analisi armonica delle ondulazioni barografiche. Il Guilbert pone per principio che ad ogni gradiente corrisponde di regola, come s'è visto, una data forza di vento: una depressione si riempie se dà origine a venti più forti, si accentua se dà origine a venti più deboli; venti forti arrestano o respingono la depressione e determinano aumento di pressione alla loro struttura. L'esperienza ha dimostrato la difficoltà d'applicazione di questi principî alla previsione. Schereschewsky e Wehrlé avrebbero constatato che le nubi formano un sistema, si seguono con una successione costante. Il corpo di nubi dense con pioggia è preceduto per un certo tratto da un fronte di cielo poco coperto, a nubi alte, che si fa sempre più coperto, e a nubi basse attorno al corpo; ed è seguito per lunga tratta da una coda (traine), di cielo in generale non molto coperto e a nubi alte, con piovaschi e sereni sporadici. I sistemi di nubi si susseguono con intervalli di tempo sereno soleggiato e calmo. La successione dei fenomeni del tempo in una stazione è determinato dal passaggio su di essa o lateralmente ad essa di questi sistemi di nubi e di questi intervalli, e perciò l'osservazione delle nubi alte del fronte può dare il pronostico del tempo che seguirà. Secondo gli autori la formazione di questi sistemi di nubi, più che alle aree cicloniche, si collegherebbe alle aree di più forte e rapida variazione di pressione, la cui posizione si determina costruendo le linee isallobariche, di cui aveva già dimostrata l'importanza verso il 1900 il meteorologo svedese Nils Ekholm. Queste linee congiungono i punti nei quali, in un intervallo di poche ore, la pressione è variata in più o in meno, del medesimo numero di mm. di mercurio. Il corpo di nubi di regola accompagna il nucleo di abbassamento, la coda il nucleo d'innalzamento della pressione. Il servizio meteorologico francese si basa su questa teoria per la formazione dei presagi.
Il Vercelli applicò alle curve barografiche il sistema di analisi applicato allo studio dei mareogrammi. Egli dimostrò che esse si possono considerare il risultato della sovrapposizione di due, tre o più onde sinusoidali di periodi determinati. Tra i periodi che si presentano con maggiore frequenza sarebbero quelli di 2, 3, 4 1/3, 8, 16 giorni e di circa 32 giorni; meno frequenti quelli di 6 e 14 giorni. Constatato quali di queste onde si rilevano dal barogramma di un certo intervallo di tempo, e ammettendo che esse si mantengano, pur diminuendo d'ampiezza per smorzamento, per un certo tempo, si può costruire la curva barografica che si verificherà in uno o più giorni successivi. Ma altri autori trovano per regioni diverse periodi diversi. Non si è potuto quindi istituire alcun sistema internazionale di previsione del tempo su questa base.
Come si vede, la previsione del tempo non ha trovato finora un fondamento teorico sicuro e generalmente accolto, e ciò si comprende, data la complessità del problema. La lunga esperienza può creare nell'osservatore attento delle carte del tempo una specie d'intuito sulle possibili sue mutazioni, intuito a base scientifica come quella del clinico che prevede il decorso di una malattia, pur non sapendone definire rigorosamente le cause.
Bibl.: E. E. Schmid, Lehrbuch der Meteorologie, Lipsia 1860; H. Mohn, Elementi di meteorologia, versione ital. di D. Ragona con note e aggiunte, Torino 1878; A. Sprung, Lehrbuch der Meteorologie, Amburgo 1885; W. J. van Bebber, Handbuch der ausübenden Witterungskunde, voll. 2, Stoccarda 1885-85; A. Angot, Traité élémentaire de météorologie, Parigi 1899; H. Hildebrandsson e L. Teisserenc de Bort, Les bases de la météorologie dynamique, voll. 2, Parigi 1907; R. Abercromby, Weather, Londra 1907; A. Wegener, Thermodynamik der Atmosphäre, Lipsia 1911; L. De Marchi, Meteorologia generale, 3ª ed., Milano 1920; F. Exner, Lehrbuch der dynamischen Meteorologie, 2ª ed., Lipsia 1925; N. Shaw, Manual of meteorology, I-IV, Cambridge 1926-31; J. Hann e R. Süring, Lehrbuch der Meteorologie, 4ª ed., Lipsia 1926; W. J. Hymphreys, Physic of the Air, Filadelfia 1920; T. Alippi, Previsione del tempo, Bologna 1930; W. Ferrel, Meteorological Researches, Washington 1856; Mohn e Guldberg, Recherches sur les mouvements de l'atmosphère, Stoccolma 1877-78; H. Helmholtz, Über atmosphärische Bewegungen, in Sitzb. Akad. Berlin, 1888-89; Margoūlis, Über die Energie der Stürme, in Jahrb. k. k. Zentralanstalt f. Mat. u. Geodyn., Vienna 1903. - Per la numerosa bibliografia di V. Bjerknes e della sua scuola sulla teoria dei cicloni e la previsione del tempo, v. C. Fabris, Teorie moderne su l'origine e su la struttura dei cicloni, Pisa 1931; L. De Marchi, Memorie scientifiche 1883-1932, Padova 1932. Le riviste meteorologiche più notevoli sono: Meteorologische Zeitschrift; Beiträge zur Physik der freien Atmosphäre; Monthly Weather Review; La Météorologie; Quarterly Journal of the R. Meteor. Society; The Meteorological Magazine; Annali dell'Ufficio Presagi.