Comparativo, metodo
Il metodo comparativo è ormai entrato nel novero dei metodi tradizionalmente usati nelle scienze sociali e comportamentali. Nei libri di testo e nei prospetti dei corsi universitari, dove sono elencati i diversi metodi utilizzati in queste scienze, i metodi comparativi - talvolta definiti anche metodi storico-comparativi - compaiono accanto ai metodi sperimentali, ai metodi statistici o quantitativi e ai metodi etnografici, anche se, nella ricerca empirica, sono usati più spesso i metodi sperimentali (nelle scienze comportamentali) e diversi metodi statistici di analisi di dati aggregati (nelle scienze sociali). (Questo modo di elencare i differenti metodi di ricerca è però approssimativo e, sotto molto aspetti, insoddisfacente; in seguito esporrò un tipo di classificazione più coerente).
Lo studio comparativo trae origine dal fatto che ogni fenomeno sociale - come la lingua, i costumi, le leggi, il comportamento economico, il modo di governare, ecc. - assume forme molto diverse. L'obiettivo dell'analisi comparativa moderna è quello di spiegare in modo sistematico - seguendo i canoni dell'osservazione scientifica, della misurazione e dell'inferenza - le varianti dei fenomeni sociali riscontrabili in unità sociali chiaramente differenti. Ma l'impulso a valutare e spiegare le differenze osservabili tra esseri umani e tra società umane è antico quanto la stessa vita sociale organizzata e affonda le sue radici nei fondamenti della società. Questo impulso, probabilmente, nasce dal fatto che, in ogni società, l'inserimento dei giovani nella vita sociale presuppone l'acquisizione, da parte loro, di determinati comportamenti e stili di vita cui è attribuito un significato morale. Quasi ogni tipo di comportamento umano assume una dimensione sociale e morale all'interno di un gruppo di appartenenza, come la famiglia, il clan, la tribù o la nazione. Qualsiasi comportamento diverso da quello sancito dal gruppo di appartenenza è considerato inevitabilmente una deviazione e una minaccia per la moralità del gruppo e suscita una reazione emotiva che può variare dal disgusto all'ostilità, all'invidia, all'ammirazione o alla semplice curiosità. Fra le ragioni che hanno portato allo sviluppo di un metodo più o meno scientifico di analisi comparativa c'è il desiderio di raggiungere l'imparzialità, ovvero di affrancarsi da tutte le suddette emozioni, eccettuata la curiosità.
È possibile individuare almeno quattro modelli di pensiero comparativo: il modello descrittivo-valutativo, il modello descrittivo-universale, il modello descrittivo-specifico, il modello analitico-comparativo. Descriveremo succintamente le diverse forme che questi modelli hanno assunto storicamente.
1. Il modello descrittivo-valutativo. Questo modello ha una variante positiva e una negativa. La variante positiva è rintracciabile in vari tipi di utopia, quali il quattrocentesco mito spagnolo dell'isola di California, un'isola piena di ricchezze e di belle donne, dove la gente non deve lavorare per vivere (v. Gudde, 1969), o il mito rousseauiano del 'buon selvaggio', o la stessa Utopia di Tommaso Moro. Ciascuna di queste utopie comporta, almeno implicitamente, un confronto con la società in cui vive il suo autore, da lui considerata soffocante, indesiderabile o malvagia. Un'eco delle utopie positive si trova anche in alcune ricerche antropologiche empiriche, per esempio nella descrizione di società primitive sessualmente libere (v. Malinowski, 1929) o non aggressive (v. Hallowell, 1955). Anche la variante negativa è rinvenibile in opere di carattere utopico, come 1984 di Orwell (1949) o Il mondo nuovo di Huxley (1932), nonché nei primi foschi racconti sulle pratiche cannibalistiche, sulla sfrenata lascivia e sul paganesimo nelle società primitive.
2. Il modello descrittivo-universale. Uno degli obiettivi del pensiero religioso e del pensiero filosofico è sempre stato quello di individuare ciò che vi è di universale (invariante) nella specie umana: il peccato, la razionalità, la socialità, l'uso di simboli, la moralità, la tendenza all'errore. Alcuni antropologi moderni hanno seguito la medesima linea di indagine, cercando di individuare fenomeni universali, come il linguaggio, l'istituzione di norme e i tabù dell'aggressività sfrenata e dell'incesto (v. Kluckhohn, 1966). Questo tipo di ricerca non è sempre esclusivamente descrittivo, perché molte teorie, dato un fattore supposto universale, per esempio il tabù dell'incesto, cercano di spiegarne l'universalità postulandone una qualche ragione, come un'avversione istintiva (v. Lowie, 1920), la necessità di contrastare la rivalità e la degenerazione all'interno della famiglia (v. Freud, 1913), o il bisogno di salvaguardare la coerenza della classificazione e delle regole adottate nei sistemi di parentela (v. Davis, 1949). Queste spiegazioni sono spesso insoddisfacenti, dal momento che, essendo le variazioni alquanto limitate o del tutto inesistenti, è difficile stabilire la validità relativa delle diverse spiegazioni avanzate. Inoltre presupporre l'esistenza di universali porta spesso a cercare eventuali 'eccezioni' a questi universali, senza però procedere oltre, fallendo in tal modo l'obiettivo di spiegare la diversità.
3. Il modello descrittivo-specifico. In polemica con la ricerca di universali, alcuni antropologi (per esempio Benedict: v., 1934) hanno sostenuto che ogni società, o cultura, vive secondo uno specifico sistema di opinioni, credenze e valori autonomi, che non può essere giudicato superiore o inferiore ad altri. Leach (v., 1958) definì i dati degli antropologi "sistemi di relazione". Questa prospettiva relativistica, se troppo accentuata, rischia di eliminare totalmente il confronto sistematico tra culture e società differenti, a causa dell'insistenza sull'unicità e la peculiarità delle singole culture.
4. Il modello analitico-comparativo. Questa impostazione, che rappresenta il tratto distintivo degli odierni studi comparativi nel campo delle scienze sociali e comportamentali, dà per scontata l'esistenza, per alcuni fenomeni (modi di pensare, sistemi elettorali, strutture di mercato), di diverse varianti, tenta di formulare concetti e schemi che comprendano e descrivano questi fenomeni e cerca di isolare e controllare le possibili variabili esplicative, onde stabilire la precisa rilevanza causale di ciascuna. (La restante parte dell'articolo sarà dedicata all'esame delle caratteristiche di questa impostazione).
In linea di principio qualunque atteggiamento, comportamento, manufatto, invenzione o istituzione sociale può essere analizzato tramite il metodo comparativo. Skocpol e Somers (v., 1980) hanno recentemente sostenuto che il metodo comparativo si presta particolarmente bene all'analisi di fenomeni macroscopici come gli Stati, i sistemi economici e i sistemi di classi; viceversa chi scrive ritiene sbagliato presupporre che esista un campo di ricerca preferenziale o imporre limiti di indagine a questo metodo. Un esame della letteratura degli ultimi decenni sull'analisi comparativa sistematica rivela l'estrema varietà dei fenomeni messi a confronto: l'immaginario individuale (attraverso i test proiettivi), i sogni, le posizioni politiche, la partecipazione alla vita della comunità, la struttura familiare, le credenze religiose, i sistemi di mercato e i regimi politici. Analogamente, l'uso del metodo comparativo si estende a tutte le discipline comprese nell'ambito delle scienze sociali e comportamentali - la psicologia, l'antropologia, la storia, l'economia, le scienze politiche, la geografia - e ad altre branche specialistiche quale la scienza dell'organizzazione (management science). Il metodo dell'analisi comparativa ha pertanto un vasto campo di applicazione e si rivela utile in tutti i settori delle scienze umane.
L'assunto fondamentale della teoria evoluzionistica classica, che ha dominato le scienze sociali nella seconda metà del XIX secolo, è la concezione secondo cui la civilizzazione sarebbe progredita attraverso una serie di stadi, passando da uno stato arretrato a uno avanzato. Secondo Morgan (v., 1877), per esempio, la società sarebbe passata attraverso una sequenza naturale e necessaria di stadi, scandita principalmente dalla comparsa di invenzioni. Secondo questa concezione lo stato selvaggio più primitivo si estende dalla comparsa della razza umana fino all'epoca in cui gli uomini hanno cominciato a trarre sostentamento dalla pesca; lo stato selvaggio intermedio ha inizio con l'introduzione della pesca come mezzo di sostentamento e con l'uso del fuoco; il passaggio allo stato selvaggio più progredito avviene con l'invenzione dell'arco e della freccia; l'evoluzione procede poi attraverso tre stadi di barbarie fino a giungere allo stato di civiltà, che ha inizio con l'invenzione dell'alfabeto scritto. La successione dei progressi tecnologici è andata di pari passo con una serie di mutamenti graduali riguardanti la religione, l'architettura, la proprietà, la parentela e altre istituzioni sociali.
Dal punto di vista dell'analisi comparativa possono essere fatte due osservazioni a proposito di questo schema evoluzionistico che postula la regolarità e la linearità dei mutamenti: in primo luogo le diverse società sono confrontate sulla base del livello di progresso raggiunto lungo un continuum che va da uno stato selvaggio primordiale alla civiltà matura, valutati secondo il grado di sviluppo tecnologico e la forma delle diverse istituzioni sociali; in secondo luogo all'interno di questo schema vengono concentrati lo studio comparativo delle società e lo studio del mutamento sociale, onde, per esempio, la società degli Aborigeni australiani e quella degli Indiani del Nord America del XIX secolo potrebbero essere confrontate con le società occidentali avanzate, partendo dal presupposto che si siano fermate a uno stadio precedente dell'evoluzione.
Per alcuni aspetti la teoria marxista può essere considerata una specie di teoria evoluzionistica classica, in quanto Marx postulò l'esistenza di un preciso numero di stadi di sviluppo (antico, asiatico, feudale, capitalistico, socialista) e di un insieme, altrettanto definito, di meccanismi responsabili della transizione da uno stadio all'altro (v. Marx, 1857-1858); inoltre Engels (v., 1884) nella sua opera sulla famiglia e sullo Stato si riferì esplicitamente e abbondantemente allo schema evoluzionistico di Morgan. Sotto questo aspetto le osservazioni fatte a proposito della teoria evoluzionistica classica possono essere estese al pensiero di Marx, con la differenza che i suoi parametri di comparazione erano le forze produttive e i rapporti di produzione presenti in ciascuno stadio di sviluppo. In altri suoi lavori di indagine empirica, tuttavia, Marx riconobbe che alcune società (per esempio gli Stati Uniti) potevano non rientrare perfettamente nel modello evoluzionistico, che ogni nazione avanzata, come la Francia e la Germania (v. Marx, 1875; v. Engels, 1851-1852), possedeva una combinazione unica di forze economiche e di classe e che il capitalismo maturo poteva attecchire in società meno progredite come la Cina e l'India (v. Marx, 1853), alterando così il previsto ritmo dello sviluppo evolutivo. Trockij (v., 1932), infine, nella sua teoria dello "sviluppo combinato" sostenne che società come quella russa, nella loro evoluzione, potevano saltare la fase di completo sviluppo di uno stadio. Questi esempi rivelano che Marx e alcuni dei suoi seguaci furono inclini ad abbandonare le ipotesi della regolarità e dell'unilinearità del mutamento e tentarono di spiegare le deviazioni da tali ipotesi facendo ricorso a fattori storicamente definiti; in questo modo le loro analisi comparative risultarono assai più sofisticate della maggior parte delle teorie evoluzionistiche classiche.
Una delle correnti di pensiero responsabili dell'abbandono della teoria evoluzionistica all'inizio del XX secolo fu la teoria diffusionistica classica. La teoria evoluzionistica spiegava la comparsa di un fattore culturale (o di un'istituzione) col fatto che la società era 'pronta' ad accoglierlo, cioè che si trovava nella 'giusta posizione' lungo la linea dello sviluppo. In contrasto con questo punto di vista la teoria diffusionistica si propose di dimostrare che molti fattori culturali non si sono sviluppati indipendentemente in differenti civiltà, ma sono stati trasmessi da una cultura all'altra, spesso attraverso notevoli distanze. Furono quindi condotti studi molto accurati che dimostrarono come i miti, i calendari, gli stili di abbigliamento, la coltivazione del mais, ecc. avessero viaggiato per il mondo seguendo complicati itinerari.Benché apprezzabile come correttivo della teoria evoluzionistica, anche il diffusionismo finiva per ridursi a un'analisi comparativa limitata, circoscritta alla sola incidenza dei fattori sociali. I diffusionisti teorici ed empirici raramente si domandavano per quali motivi alcuni fattori si fossero diffusi e altri no, in che modo questi fattori venissero modificati una volta inseriti in un nuovo contesto culturale, o quali nuovi mutamenti interni fossero indotti dai fattori importati, sebbene un pensatore come Lowie (v., 1937) fosse conscio di questi problemi. In breve, i diffusionisti indagarono in misura assai ridotta i diversi contesti sociali della cultura in cui un determinato fattore aveva avuto origine e di quella che lo aveva importato, e pertanto si trovarono sprovvisti di strumenti adeguati a intraprendere un'analisi comparativa di queste culture.
Tocqueville non si considerava né un teorico né un analista comparativo, ma le sue due opere principali (v. Tocqueville, 1835-1840 e 1856) consistono in un confronto sistematico tra Francia e Stati Uniti, mentre le sue osservazioni su altri paesi, come l'Inghilterra, la Germania e l'Algeria coloniale, estendono la portata di quel metodo comparativo e in effetti contengono molte intuizioni metodologiche che sono alla base dell'attuale analisi comparativa. Confrontando la Francia del XVIII secolo e l'America repubblicana, Tocqueville mise in luce le differenze tra i due paesi riguardo all'istituzionalizzazione dell'uguaglianza, le differenze tra il pensiero rivoluzionario francese e il pragmatismo americano, l'accentramento e l'instabilità della società francese e il decentramento e la stabilità della società americana. (Nel linguaggio contemporaneo queste osservazioni sarebbero definite le 'variabili dipendenti' di Tocqueville). Tocqueville attribuì queste diversità a un gran numero di differenze tra i due paesi, tra cui i fattori geografici, le guerre combattute dalle due nazioni, il fatto che in Francia la spinta verso l'uguaglianza si fosse sovrapposta a una tradizione aristocratica mentre in America era nata 'pura', il fatto che l'America avesse una tradizione protestante 'decentrata', mentre la Francia aveva una tradizione cattolica 'avvolgente', e così via (queste sono le 'variabili indipendenti' di Tocqueville).
Dal punto di vista delle strategie comparative alcune delle spiegazioni di Tocqueville presentano un carattere decisamente 'moderno'. A proposito dei motivi per cui gli Inglesi e gli Americani si comportano in maniera così differente gli uni nei riguardi degli altri quando sono all'estero (gli Inglesi sono distaccati, gli Americani invece amichevoli), Tocqueville sostenne che era impossibile spiegare questa differenza in base all'origine, alla razza, alla lingua e ai costumi, perché sotto questi aspetti le due società si assomigliavano molto; la differenza, aggiunse quindi, dipendeva dalla 'condizione sociale' (ossia dalla struttura delle classi sociali) dei due paesi. Se vogliamo tradurre questa strategia in termini moderni, possiamo dire che Tocqueville tentava di 'mantenere costanti' i primi fattori per poter sostenere una spiegazione - che egli preferiva - basata sul secondo.
Nel suo primo lavoro Durkheim (v., 1895) delineò una versione radicalmente positivistica della sociologia, nella quale i fatti sociali erano considerati fenomeni oggettivi, materia specifica di studio scientifico, indipendentemente dal significato psicologico che potevano avere per gli individui. Coerentemente con questa impostazione metodologica, Durkheim considerava le 'leggi' sociologiche come relazioni causali intercorrenti regolarmente tra fatti sociali differenti, a prescindere dal contesto sociale. Da questa impostazione discendeva il principio metodologico secondo cui la maniera migliore per scoprire le leggi sociologiche consiste nello studio della forza delle correlazioni tra fenomeni; Durkheim sostenne inoltre che la variazione concomitante, o correlazione, costituiva il miglior metodo di prova e che la validità di una legge veniva tanto più dimostrata quanto maggiore era il numero dei casi comparati che presentavano le stesse correlazioni. Nei suoi studi comparativi Durkheim (v., 1895, 1897 e 1912) fece largo uso del metodo di correlazione, pur rendendolo in molti modi meno rigoroso nelle sue dimostrazioni empiriche. Per esempio, nella sua ormai classica dimostrazione della correlazione esistente tra fede religiosa (protestante, cattolica) e tasso di suicidi, Durkheim si sforzò di escludere la condizione di minoranza come causa determinante, confrontando situazioni nelle quali i diversi gruppi religiosi si trovavano in condizione ora maggioritaria ora minoritaria; nell'interpretare le correlazioni, poi, egli fece ricorso a differenti variabili 'contestuali' - come il livello di sviluppo delle società messe a confronto - per spiegare evidenti discrepanze tra le correlazioni stesse; inoltre, sempre a fini interpretativi, egli postulò con molta disinvoltura connessioni che in realtà non emergevano empiricamente dai risultati in suo possesso. Esiste, in breve, una notevole discrepanza tra il programma ufficiale di Durkheim concernente l'analisi comparativa e le strategie di comparazione che egli effettivamente utilizzò nei suoi lavori. D'altronde questa attenuazione della sua ortodossia positivistica gli consentì di raggiungere un maggior grado di sensibilità e di profondità nei suoi studi comparativi.
Nella sua sintesi sociologica, del tutto originale, Max Weber seguì un percorso tracciato con molto equilibrio fra le tre tradizioni intellettuali dominanti nella sua epoca: la teoria evoluzionistica classica, la scuola storica tedesca e il positivismo sociale.
Le rigide leggi di sviluppo della teoria evoluzionistica classica furono da Weber scartate perché astratte, speculative e irrealistiche; egli continuò tuttavia a essere interessato all'individuazione e alla dimostrazione di regolarità nei fenomeni sociali.
La scuola storica tedesca si trovava in una fase di radicale storicismo, in base al quale si riteneva che ogni epoca storica rivelasse un Geist peculiare, uno spirito dei tempi specifico e non confrontabile con quello di altri periodi; questa posizione lasciava prevedere l'avversione per la comparazione manifestata in seguito dall'antropologia relativistica. Weber rifiutò questa tradizione di pensiero, ritenendo che non permettesse di sviluppare una scienza generale della società.Il positivismo sociale, esemplificato dalla tradizione economica anglosassone ma compatibile anche con l'impostazione metodologica di Durkheim, fu respinto da Weber in quanto, a suo parere, esso trascurava la dimensione del significato soggettivo nell'azione sociale, mentre proprio questa dimensione, secondo Weber, rappresentava la caratteristica distintiva dell'azione sociale. L'adozione di questo punto di vista portò tuttavia Weber su posizioni fenomenologiche, cioè ad attribuire alle azioni dei diversi individui un tale grado di unicità da rendere impossibili i paragoni.
Confrontando queste tradizioni di pensiero Weber elaborò un'innovazione metodologica - il 'tipo ideale' - che teneva conto di tutti e tre gli indirizzi, ma mirava a evitarne i 'trabocchetti'. Il tipo ideale (di cui il protestantesimo ascetico costituisce l'esempio più immediato) è una costruzione teorica, in parte induttiva in parte deduttiva, che sintetizza ciò che è generale o tipico degli universi di significato di un insieme di individui; questo concetto permise a Weber di conservare l'elemento di significato soggettivo nell'azione sociale e, nello stesso tempo, di predicare, dei significati, un qualcosa che li rendeva confrontabili gli uni con gli altri.
Il tipo ideale, in quanto categoria generale, fornì un insieme di categorie di comparazione per l'analisi; inoltre, stabilendo relazioni regolari tra tipi ideali, Weber mise a punto uno strumento per individuare le regolarità e le tendenze generali nella società, senza dover necessariamente enunciare leggi del tutto generali.Weber applicò le proprie strategie comparative a numerosi argomenti, tra cui i sistemi economici, l'urbanizzazione, il diritto e i tipi di autorità, ma il suo lavoro più impegnativo fu lo studio comparativo delle religioni. Egli era interessato soprattutto ai diversi modi in cui le tradizioni religiose affrontavano alcuni problemi esistenziali fondamentali (la morte, la giustizia) e razionalizzavano le soluzioni trovate. La sua analisi lo portò ad attribuire all'impulso religioso, una volta razionalizzato, un potere di conservazione e, nello stesso tempo, di trasformazione. Questa tesi costituisce il punto nodale della sua analisi delle principali tradizioni religiose. Nel suo lavoro Weber utilizzò strategie comparative sofisticate, escludendo sistematicamente fattori quali la popolazione, la tecnologia, i metalli preziosi e altri elementi meno importanti della dinamica religiosa, in quanto condivisi da società che si erano evolute in modi assai differenti dal punto di vista socioculturale. Egli si preoccupò nel contempo di dimostrare come l'impulso religioso non fosse l'unico elemento di conservazione o di trasformazione, ma agisse unitamente ad altri elementi quali l'evoluzione giuridica, l'amministrazione formale e lo sviluppo dello Stato (v. Weber, 1923).
L'analisi comparativa moderna è giunta a permeare una gamma di campi di indagine inimmaginabile per gli studiosi classici citati e ha beneficiato dello sviluppo di sofisticate tecniche statistiche, di misurazione, di progettazione delle ricerche e di costruzione di modelli matematici. Nelle linee essenziali, tuttavia, le impostazioni generali elaborate dai maestri del passato sopravvivono ancora oggi e sono divenute, a loro volta, 'minitradizioni'. Se prendiamo in esame l'intera gamma degli studi comparativi contemporanei, possiamo distinguere tre diversi indirizzi: l'analisi 'configurazionale' (v. Verba, 1969) o 'idiotipica' (v. Grimshaw, 1973), l'analisi delle correlazioni tra indici aggregati relativi al comportamento sociale o alle istituzioni sociali e un tipo di analisi che può essere collocato in posizione intermedia fra i due indirizzi precedenti.
1. L'analisi configurazionale sottolinea principalmente la configurazione peculiare degli elementi sociali e culturali di un determinato contesto sociale e quindi riprende lo stile di indagine elaborato dalla scuola storica tedesca e dall'antropologia relativistica: gli studi contemporanei, però, raramente sono accompagnati dalle polemiche che quelle scuole suscitarono. Questo stile di indagine si riscontra soprattutto negli studi etnografici e negli 'studi d'area' (contrapposti agli studi comparativi sistematici). Un buon esempio empirico di questo indirizzo è l'acuta analisi di Geertz (v., 1973) della configurazione delle forze sociali, culturali e psicologiche che modellano le regole del combattimento rituale tra galli nell'isola di Bali.
2. L'analisi delle correlazioni tra indici aggregati relativi al comportamento sociale o alle istituzioni sociali comprende tradizioni di ricerca variamente definite - transculturali, transocietarie, transnazionali - a seconda dell'aspetto - antropologico, sociologico, politico - preso in considerazione. Un esempio di questo tipo di ricerca è il tentativo di individuare fattori correlati all'instabilità politica mettendo in relazione misure di stabilità-instabilità, da una parte, con misure riguardanti il livello di ricchezza, il grado di istruzione, lo sviluppo delle comunicazioni e il tipo di sistema politico, dall'altra. Questi studi si basano, tendenzialmente, su misure standard (per esempio del livello di reddito, della durata degli studi, del 'tasso di ribellione') rilevate o messe a punto esaminando tipi assai diversi di società, e in genere non tengono conto dei contesti sociali e culturali specifici nei quali questi indici sono stati rilevati. Questi studi ricordano le strategie comparative applicate alle correlazioni di Durkheim, benché i lavori contemporanei ispirati a questa prospettiva non siano condizionati dal manifesto metodologico, ampiamente articolato, elaborato dal sociologo francese.
3. L'analisi 'intermedia' tra i due indirizzi appena descritti consiste in un confronto tra differenti costellazioni di forze comuni (per esempio conflitti di classe, strategie amministrative e politiche, ecc.) rilevate in un numero limitato di paesi, confronto teso a individuare le differenti permutazioni e combinazioni di queste forze. L'espressione 'analisi configurazionale comparativa', benché poco elegante, coglie perfettamente lo stile di questi studi; questa linea di indagine ricorda inoltre le strategie applicate da Tocqueville e da Weber nei loro studi comparativi. Esempi moderni di questi lavori di carattere intermedio sono l'analisi di sistemi democratici e totalitari fatta da Moore (v., 1966) e lo studio del ruolo dello Stato nelle epoche rivoluzionarie di Skocpol (v., 1979).
Ciascuno di questi stili di indagine ha i suoi fautori e i suoi critici, meriti e punti deboli; ciascuno di essi riveste un ruolo importante e ben definito nella ricerca contemporanea, e la sfida che gli studiosi si trovano ora ad affrontare sembra consistere nell'ideare uno strumento metodologico per sintetizzare o integrare i diversi contributi forniti dai tre indirizzi.
Come accennato, l'analisi comparativa, in generale, ha lo scopo di fornire spiegazioni adeguate di fenomeni ritenuti problematici, utilizzando il metodo scientifico che consiste nell'isolare alcuni presunti fattori esplicativi - controllando nel contempo altri fattori possibili -, poi nello stabilire il preciso ruolo causale (e l'importanza) di differenti fattori sociali e, infine, nell'inserire l'insieme dei fattori individuati in uno schema teorico coerente. Considerato sotto questo aspetto, tuttavia, il metodo comparativo è difficilmente distinguibile dall'indagine scientifica in generale; per tale motivo è necessario descriverne le differenze specifiche rispetto ad altri metodi di ricerca. I principali metodi di indagine applicati nelle scienze sociali sono: il metodo sperimentale, il metodo statistico, la descrizione comparativa sistematica, o metodo comparativo propriamente detto, l'analisi dei casi devianti e infine l'uso di ipotesi semplificate e l'esperimento mentale.
1. Il metodo sperimentale riproduce la fenomenologia da studiare e procede a una manipolazione dei dati. La forma principale di questo metodo, nell'ambito delle scienze sociali e comportamentali, consiste nel costituire due insiemi di gruppi che condividono un certo numero di caratteristiche (il che consente di 'controllare' queste caratteristiche mantenendole costanti), nell'attivare nel gruppo soggetto all'esperimento, e non nel gruppo di controllo, una o più variabili previamente isolate, e nel valutare l'effetto delle variabili attivate. Questo metodo è impiegato soprattutto in psicologia, ma gli esperimenti sul campo e l'osservazione di particolari comunità o regioni, protratta nel tempo, sono metodiche abbastanza simili all'esperimento di laboratorio.
2. Il metodo statistico comporta l'elaborazione concettuale di dati comunque raccolti. Utilizzando diversi metodi di raggruppamento, come la correlazione parziale, la correlazione multipla, i campioni accoppiati e l'analisi di percorso, i ricercatori sono in grado di mantenere costanti diversi possibili fattori causali e quindi di valutare l'effetto di uno o più fattori lasciati variare.
3. Quando il numero dei casi è troppo piccolo per consentire un'elaborazione statistica, il metodo statistico può essere sostituito con un metodo un po' meno affidabile: la descrizione comparativa sistematica, o metodo comparativo propriamente detto. Un esempio di questo metodo è la strategia attuata da Durkheim, consistente nel mantenere costante, per quanto possibile, la condizione di minoranza, onde poter stimare l'influsso specifico di una fede religiosa sul tasso di suicidi; un altro esempio è l'elaborazione sistematica cui Weber sottopose determinati fattori che si riteneva influissero sulle trasformazioni della società. Esempi contemporanei sono le ricerche (v. Wilensky, 1974; v. Pryor, 1968) tese a individuare i fattori che determinano le somiglianze e le differenze fra i sistemi assistenziali delle società industriali avanzate.
4. Quando si individua una correlazione generale e stretta, cui però alcuni casi non si conformano, spesso i ricercatori isolano i casi che fanno eccezione, per cercare di determinare rispetto a quali variabili essi differiscano dalla norma generale: in ciò consiste l'analisi dei casi devianti (v. Kendall e Lazarsfeld, 1950). Lo scopo di questo procedimento è individuare le variabili che tendono a 'neutralizzare' le variabili dimostratesi operative nella maggioranza dei casi; in genere questo lavoro prelude alla progettazione di nuovi studi tesi a isolare e valutare l'importanza del fattore o dei fattori che si presume 'soverchino' i fattori presi in considerazione nello studio correlazionale originario.
5. Le metodologie basate sull'assunzione di ipotesi semplificate e sul ricorso a esperimenti mentali, pur perseguendo gli stessi fini delle metodologie appena descritte, impiegano strumenti concettuali anziché empirici per tenere sotto controllo le variabili potenziali e quindi cercare di isolare l'effetto di una singola variabile. Nella famosa strategia praticata dagli studiosi di analisi economica (la strategia del ceteris paribus) fattori notoriamente variabili, per esempio i gusti personali o una struttura istituzionale, sono supposti costanti, per poter stimare con precisione l'effetto di mutamenti dei prezzi e della produzione sul livello delle transazioni di mercato. Per mantenere costanti gli 'altri fattori' si fa ricorso a ipotesi euristiche anziché a un'analisi della situazione o a una manipolazione statistica di dati empirici. Analogamente l'esperimento mentale, o argomentazione controfattuale, consiste nel confrontare mentalmente una situazione con quella che avrebbe potuto determinarsi se un certo evento (per esempio una guerra o un assassinio politico) non si fosse verificato o un dato fattore sociale non fosse stato presente. Anche questa strategia è volta a stabilire l'importanza di un determinato fattore precisando quali differenze nello sviluppo di una situazione data avrebbe comportato l'assenza di quel fattore.
Questa rassegna delle strategie di ricerca evidenzia non soltanto la collocazione del metodo comparativo rispetto agli altri metodi usati nelle scienze sociali, ma anche il fatto che l'espressione 'metodi comparativi', come viene correntemente usata nelle scienze sociali e comportamentali, non è appropriata. Tutte le strategie di ricerca menzionate comportano un qualche tipo di confronto fra casi che manifestano una certa variazione, anche se il confronto è effettuato tramite un costrutto euristico o immaginando la situazione empirica. Nelle scienze sociali tutte le analisi implicano confronti, espliciti o impliciti (v. Durkheim, 1895; v. Swanson, 1971). La differenza fra i metodi di ricerca descritti consiste nel modo in cui si genera la variazione empirica da analizzare e nei vincoli metodologici che condizionano e limitano l'efficacia delle deduzioni tratte. Sarebbe pertanto meglio chiamare 'descrizione comparativa sistematica' quello che nel presente articolo - e nella letteratura in genere - è definito 'metodo comparativo', sottolineandone sempre la sostanziale connessione con tutti gli altri metodi di ricerca empirica in uso nelle scienze comportamentali e sociali.
Passiamo ora a esaminare più approfonditamente alcuni specifici problemi metodologici che il tipo di analisi comparativa considerato in questo articolo deve risolvere; indicheremo anche alcuni dei modi in cui si è cercato di affrontarli.
Nell'analisi comparativa occorre sempre specificare le unità 'portatrici' del tipo di comportamento o di attributo di cui si vuole analizzare la variazione. L'individuo costituisce la più comune unità di analisi e buona parte degli studi nel campo delle scienze sociali e comportamentali riguarda la spiegazione di variazioni del comportamento, degli atteggiamenti o di qualche altra caratteristica, rilevate in una popolazione o in un campione di persone. Si possono tuttavia prendere come unità di analisi anche gruppi, organizzazioni, movimenti sociali, istituzioni o altro: di tutte queste unità è possibile studiare sistematicamente, con un metodo comparativo, le variazioni. Le unità di analisi scelte più comunemente nel tipo di studio comparativo qui esaminato sono culture, società o nazioni, cioè gli oggetti di cui si occupano l'antropologia, la sociologia e le scienze politiche.
Uno dei presupposti impliciti nella scelta delle unità di analisi - comprese le culture, le società e le nazioni - è che queste unità abbiano in comune una o più caratteristiche fondamentali e siano definite proprio in base a quelle caratteristiche. Per esempio una società, secondo la maggior parte delle definizioni correnti (v. Marsh, 1967), è caratterizzata da una collocazione spaziale in un territorio, dal fatto di crescere soprattutto attraverso la riproduzione sessuale, da una certa omogeneità culturale e da un certo grado di integrità politica. Basare su queste caratteristiche la definizione di società significa affermare che le unità scelte per l'analisi hanno in comune tali caratteristiche, ovvero non variano rispetto a esse. Questa affermazione, però, non è sempre giustificata. Per esempio sussumere sotto lo stesso concetto di 'società' società indipendenti e società colonizzate significherebbe accomunare unità che variano rispetto al criterio dell'integrità politica. Non tener conto di questo fatto equivale a trascurare importanti tipi di variazione che possono di fatto alterare il risultato dell'analisi comparativa. Lo stesso genere di problema si presenta quando si tratta di scegliere culture o nazioni, in quanto anche queste possono variare rispetto alle caratteristiche ipotizzate come comuni. In breve, uno degli oneri dello studioso che si serve del metodo comparativo è quello di assicurarsi che le unità di analisi prescelte condividano realmente le caratteristiche definitorie ipotizzate come comuni.
La maggior parte degli studi che pretendono di essere esaustivi si fonda esplicitamente o implicitamente sul fatto che il numero totale delle unità da prendere in considerazione è finito (si tratti della popolazione mondiale, della popolazione di un determinato paese, di comunità all'interno di una nazione, delle industrie dell'acciaio in Europa). Molti studi, invece, non prendono in esame la popolazione totale, bensì un suo sottoinsieme, un campione scelto secondo precisi criteri in modo che risulti 'rappresentativo' della popolazione nel suo complesso; ciò permette di estendere all'intera popolazione le conclusioni raggiunte a proposito del campione. Lo studio comparativo di culture, società e nazioni va incontro ad alcune difficoltà specifiche al momento di individuare l'universo e il campione.
1. Come determinare l'universo nel caso di unità sociali estese quali nazioni o società? Una soluzione pragmatica consiste nel cercare di compilare un catalogo completo, considerando, per esempio, come società ogni unità sociale che sia stata ammessa come membro delle Nazioni Unite, o tutte quelle unità sociali che presentino un'integrità territoriale e politica sufficiente a permettere loro, per esempio, di effettuare periodicamente un censimento della popolazione. Alcuni studiosi adottano questa impostazione, che però presenta un ovvio inconveniente: le unità definite in tal modo come società sono così diverse l'una dall'altra, in termini di popolazione, dimensioni, struttura politica e autosufficienza, da essere, di fatto, incomparabili. Inoltre queste strategie peccano per mancanza di completezza, in quanto trascurano, per esempio, società un tempo esistenti e ora scomparse.
Un'altra impostazione consiste nel prendere in considerazione una 'sottopopolazione' costituita da gruppi di società o di nazioni, quali le 'società industriali avanzate', i 'paesi di recente industrializzazione', il 'Terzo Mondo', o i 'paesi socialisti e comunisti', effettuando così un raggruppamento in base a caratteristiche comuni e distinguendole da altre società o nazioni, in modo da avere una popolazione costituita da unità omogenee. Questa strategia solleva meno problemi di eterogeneità interna di quanti ne susciti la pretesa di effettuare un'analisi esaustiva, ma non li elimina completamente. Ogni tanto gli studiosi hanno tentato di fissare dei criteri sistematici e analitici in base ai quali decidere se includere o meno un'unità sociale in una data analisi - Naroll (v., 1968), per esempio, ha proposto la nozione di 'unità culturale', intesa come "insieme di persone che parlano una stessa specifica lingua e che appartengono allo stesso Stato o allo stesso gruppo" -, ma tali tentativi non si sono rivelati né convincenti né duraturi. L'unica soluzione attualmente praticabile del problema della caratterizzazione di un universo è di ordine empirico e consiste nell'includere nella ricerca anche lo studio delle caratteristiche delle popolazioni da prendere in esame, in modo da essere sicuri che le unità scelte per l'analisi abbiano effettivamente in comune le caratteristiche postulate.
2. La scelta del campione. Se le caratteristiche di un particolare universo prescelto non sono note, ogni tentativo di determinare un campione sistematico rappresentativo di quell'universo è destinato a fallire. Per l'impossibilità pratica di ottenere un campione virtualmente rappresentativo, diviene inoltre difficile, se non addirittura impossibile, applicare tecniche statistiche standard all'analisi delle differenze tra le unità che compongono il campione (per esempio tecniche che si fondano su ipotesi circa la distribuzione prevista dei valori). A causa di queste enormi difficoltà, il miglior modo di procedere per individuare i casi da studiare non consiste nel seguire i dettami ideali della metodologia statistica, bensì nel selezionare e nel definire le unità in relazione agli scopi dell'indagine, cioè alla natura degli interrogativi posti dalla ricerca, per cui la popolazione o il campione di nazioni, di società o di culture da studiare può variare da ricerca a ricerca.
3. Il problema di Galton. Uno dei presupposti generali dello studio di campioni di individui o di unità sociali è che questi non siano tra loro legati da relazioni causali, ossia che nessuno di essi abbia influenzato le caratteristiche o il comportamento di un altro. Ciò che rende imprescindibile questa condizione è il fatto che la ricerca mira a individuare correlazioni fra caratteristiche; se le correlazioni fossero determinate da un'influenza reciproca, questa influenza invaliderebbe la possibilità di concludere che le caratteristiche correlate siano state determinate all'interno delle unità da una causa indipendente. Questo problema dell'indipendenza causale fu sollevato dallo statistico Francis Galton nel 1899 a proposito di uno studio di Tylor su certe correlazioni riscontrabili in molte culture ("social adhesions") fra tratti culturali e sociali differenti. Galton avanzò l'ipotesi che queste correlazioni potessero essere il prodotto dell'acquisizione e della diffusione di tratti caratteristici e che pertanto non rivelassero alcuna relazione causale o funzionale tra tali tratti (all'interno delle società). (Non sembra un caso fortuito che il problema statistico di Galton sia stato formulato proprio nell'epoca in cui sia il diffusionismo sia il funzionalismo classico cominciavano a essere riconosciuti come precisi indirizzi di pensiero).
Sebbene sia ormai una vecchia questione, il problema di Galton non è stato risolto. Anzi, l'intera questione dell'influenza e della diffusione internazionali è divenuta più rilevante dal momento che la diffusione della tecnologia attraverso la competizione internazionale e quella della cultura attraverso i mass media e altri mezzi di comunicazione hanno subito una notevole accelerazione in questo secolo e le nazioni sono divenute più permeabili e interdipendenti attraverso l'internazionalizzazione del commercio, della produzione, della finanza e dell'influenza politica. Secondo due recenti teorie sullo sviluppo delle società (v. Cardoso e Faletto, 1969; v. Wallerstein, 1976) le teorie dello sviluppo endogeno (che implicano correlazioni tra precondizioni psicologiche e istituzionali interne e modelli di sviluppo) sono prive di fondamento a causa della penetrazione del capitale internazionale e della politica internazionale nelle nazioni; tali teorie ripropongono il problema di Galton in forma estrema e mettono radicalmente in discussione i presupposti di indipendenza dei casi nell'analisi correlazionale.
Alcuni studiosi (v. Naroll, 1966; v. McNett e Kirk, 1965) hanno affrontato direttamente il problema di Galton e hanno elaborato metodi sistematici per garantire la casualità della scelta e per ridurre gli effetti della diffusione attraverso il controllo di fattori quale la vicinanza geografica. Altri autori (v. Swanson, 1960) hanno adottato soluzioni meno formali e più immediatamente praticabili, come assicurarsi che le società studiate vivessero in zone remote della terra e molto lontane l'una dall'altra, riducendo così al minimo la possibilità di diffusione da una società all'altra di tratti religiosi e di altre caratteristiche. Un'altra strategia, forse ancora più realistica, soprattutto nell'epoca attuale, consiste nel rinunciare alla classica ricerca di semplici correlazioni tra caratteristiche all'interno delle società e nel considerare sistematicamente la diffusione e l'influenza internazionali come variabili operative che concorrono a spiegare gli specifici modelli di sviluppo e le peculiari caratteristiche istituzionali del gruppo di società prese in considerazione. Adottando questa strategia si rinuncia alla precisione quantitativa dell'analisi correlazionale standard, ma si evitano anche gli insolubili problemi logici inerenti all'applicazione del metodo correlazionale a culture, società e nazioni.
4. Il problema 'pochi casi, molte variabili'. Nei punti precedenti abbiamo messo in luce come il tentativo di applicare tecniche statistiche standard alla comparazione di grandi unità sociali sollevi gravi problemi, dovuti in gran parte al fatto che non si conosce l'esatta natura delle popolazioni di tali unità. Un'altra difficoltà è costituita dal fatto che per ciascuna categoria data di tali unità - per esempio i paesi di recente industrializzazione - vi è un limitato numero di entità nazionali che rientrano nella categoria. Così, nel caso citato dei paesi di recente industrializzazione è probabile che lo studioso non riesca a raggiungere la dozzina di unità: Messico, Brasile, Argentina, Corea del Sud, Taiwan, Singapore e forse paesi come l'Irlanda, la Spagna e il Portogallo e alcuni paesi dell'Europa orientale. Le domande che solitamente ci si pone a proposito di questi paesi riguardano i livelli e i modelli di sviluppo economico e sociale. Per poter formulare spiegazioni in merito, lo studioso deve prendere in considerazione un gran numero di fattori, quali le caratteristiche del sistema sociale e del conflitto di classe, i fattori culturali, il tipo di sistema politico, oltre a un certo numero di fattori esogeni concernenti la posizione economica e politica del paese in esame sulla scena internazionale. Operare su pochi casi con molte variabili comporta due specifici problemi metodologici: 1) l'impossibilità di applicare i test di associazione statistici, i quali richiedono un elevato numero di casi perché le stime della probabilità di associazione siano attendibili; 2) la difficoltà di 'controllare' un numero di variabili sufficiente ad accertare che una data associazione sia autentica e non l'effetto secondario di un'altra serie di cause.
I comparatisti hanno elaborato tre strategie affini per affrontare questi problemi metodologici. La prima è nota come 'comparazione a coppie'. In uno studio comparativo sulla violenza nelle comunità, Lieberson e Silverman (v., 1965) scelsero un campione di circa cinquanta città americane nelle quali si erano verificati episodi di violenza razziale nei decenni precedenti. Per individuare gli elementi correlati col manifestarsi della violenza (ovvero le sue presumibili cause) Lieberson e Silverman scelsero cinquanta città simili alle precedenti per popolazione, posizione geografica e consistenza delle minoranze etniche, nelle quali, però, non si erano avuti episodi di violenza razziale. Grazie a questo procedimento fu possibile considerare 'sotto controllo' i fattori elencati, in quanto le città accoppiate si assomigliavano da questi punti di vista, e studiare in quale misura i due gruppi di città differissero l'uno dall'altro sotto altri aspetti: per esempio il numero di funzionari eletti appartenenti alla minoranza, la percentuale di persone del gruppo di minoranza reclutate nella polizia, le differenze di condizione professionale tra maggioranza e minoranza, e così via. Lo stesso metodo potrebbe essere applicato, sebbene non in misura così estesa, all'analisi delle ex colonie che hanno goduto di una relativa stabilità e di quelle che si sono dimostrate politicamente instabili.
Una strategia strettamente connessa alla precedente è quella che Eggan (v., 1966) ha definito "metodo della comparazione controllata" e che altri autori chiamano "confronto tra casi vicini". Eggan, un antropologo, sosteneva che dopo aver effettuato uno studio comparativo delle strutture basate sulla suddivisione in due 'metà' (moiety structures) delle tribù australiane, sarebbe stato assai proficuo passare a esaminare le analoghe strutture delle tribù indiane stanziate in quella che ora è la California meridionale, le quali assomigliavano sotto molti aspetti socioculturali alle tribù australiane. Scopo di tale indagine sarebbe stato, secondo Eggan, quello di concentrarsi sulle differenze intercorrenti tra società molto simili l'una all'altra, sforzandosi perciò di 'mantenere costanti' gli aspetti somiglianti; l'analisi avrebbe poi potuto essere estesa ad altre società che presentassero differenze progressivamente maggiori. (Mezzo secolo prima Durkheim aveva ammonito di non indugiare in "ricerche dispersive su ogni possibile tipo di società" evitando quindi "confronti sommari e disordinati"; egli sosteneva che gli studi comparativi dovessero essere concentrati su tipi di società chiaramente determinati (v. Durkheim, 1912). Secondo questo tipo di strategia i confronti andrebbero fatti solo tra società che abbiano in comune la lingua e le tradizioni giuridiche e culturali (Inghilterra, Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda), tra società che si assomiglino dal punto di vista delle caratteristiche geografiche (Inghilterra, Giappone), tra società con esperienze coloniali analoghe (Fiji, Tahiti, Polinesia francese e Samoa orientali), e così via. L'obiettivo del 'confronto tra casi vicini' è esattamente identico a quello della 'comparazione a coppie': ridurre il numero e la complessità dei possibili fattori operativi.
La terza strategia di indagine consiste nell'aumentare il numero dei casi da studiare aggiungendo ai confronti tra sistemi comparazioni all'interno dei singoli sistemi. Un esempio classico di applicazione di questo metodo è lo studio comparativo, effettuato da Durkheim (v., 1897), delle differenze nel tasso di suicidi tra personale militare e personale civile. Il confronto principale, ripetuto in diverse società, riguardava i due gruppi suddetti che erano i più numerosi: in ogni caso risultò che la percentuale di suicidi tra i militari era più elevata. Per corroborare questo risultato Durkheim estese i confronti a coppie di sottogruppi di militari (ufficiali-soldati semplici, volontari-coscritti, veterani-reclute), trovando nella totalità dei casi che fra le persone più legate alla cultura militare i tassi di suicidi erano più elevati. Un altro esempio può essere l'integrazione dello studio comparativo dello sviluppo dell'istruzione elementare in Gran Bretagna e negli Stati Uniti nel XIX secolo (comparazione tra sistemi) con lo studio delle differenze regionali tra i sistemi di istruzione elementare in vigore nelle due nazioni (Inghilterra, Galles, Scozia, Irlanda nel Regno Unito; New England, Stati del medio Atlantico e Stati del Sud negli Stati Uniti). In questo modo non solo si aumenta il numero dei casi da analizzare, ma si scopre anche che esistono maggiori affinità tra sottosistemi appartenenti alle due diverse nazioni (Scozia-New England; Inghilterra-Stati del Sud) che non fra sottosistemi appartenenti alla stessa nazione. Sebbene aumentando in tal modo il numero dei casi da prendere in considerazione si vada incontro a notevoli difficoltà al momento di confrontare i risultati ottenuti a differenti livelli di sistema, tuttavia questa strategia fornisce una base migliore per lo studio di associazioni e di relazioni causali, grazie al maggior numero di casi analizzati.
Il problema della comparabilità delle osservazioni è un problema generale delle scienze sociali e comportamentali. Il tipico sondaggio d'opinione si fonda sul presupposto che le risposte a domande prefissate fornite da un campione numeroso siano tra loro confrontabili e che pertanto possano essere sottoposte ad analisi statistica e della distribuzione. Vi è tuttavia chi ha sostenuto che questa presunta comparabilità sia in realtà forzata e falsa, perché ogni risposta è in effetti inserita in un complesso contesto di significati e simboli peculiari di ogni singolo individuo; quindi le risposte risultano simili in quanto relative a una stessa domanda obbligata, ma in realtà non sono confrontabili tra loro. Questo problema generale della comparabilità, che si manifesta in forma particolarmente evidente nello studio comparativo di unità sociali chiaramente dissimili, si presenta sia a livello empirico sia a livello concettuale.
1. A livello empirico il problema della comparabilità consiste nel fatto che osservazioni o misurazioni, apparentemente simili, eseguite in società diverse non hanno il medesimo significato; pertanto le osservazioni fatte nei due contesti non possono essere tra loro confrontate. Il reddito pro capite, misurato in dollari o in equivalenti del dollaro, rilevato in una nazione avanzata sarà sopravvalutato rispetto a quello rilevato in un paese meno sviluppato, in quanto una società avanzata è più dominata dal mercato e più 'monetizzata' di un paese meno sviluppato: di conseguenza nella prima una percentuale maggiore di transazioni economiche implica l'uso del denaro. Il voto in una democrazia in cui la partecipazione al voto sia libera è differente dal voto in una democrazia nella quale la partecipazione al voto sia obbligatoria, ed entrambi differiscono dal voto in un paese totalitario nel quale non vi sia alcuna effettiva alternativa di scelta elettorale. Le risposte a un sondaggio d'opinione fornite in un paese dove queste indagini costituiscono una consuetudine sono diverse da quelle date in un paese nel quale il sondaggio d'opinione sia sconosciuto e nel quale è probabile che l'intervistatore venga visto come un intruso sospetto. I confronti tra fenomeni più complessi, quali la partecipazione politica, i riti religiosi e la struttura familiare, presentano difficoltà ancora maggiori.
In diversi settori delle scienze sociali e comportamentali gli studiosi hanno escogitato vari metodi per superare il problema della comparabilità: a) sistemi per integrare con stime plausibili i dati disponibili su particolari fenomeni, come il lavoro non retribuito nel settore agricolo o le transazioni economiche che non comportano l'uso di denaro; b) criteri per correggere la tendenza a sottostimare la numerosità della popolazione in società dotate di sistemi di censimento rudimentali; c) strumenti di misurazione 'indipendenti dal linguaggio', come i test proiettivi utilizzati in psicologia per suscitare risposte affettive e di altro genere non influenzate dal contesto linguistico; d) metodi per rendere confrontabili le domande dei questionari usati per i sondaggi, attraverso complessi metodi di traduzione e ritraduzione. Przeworski e Teune (v., 1971) hanno avanzato una proposta più radicale; secondo questi autori, in alcune analisi comparative si deve abbandonare la ricerca di misurazioni equivalenti (comparabili) ed elaborare, invece, misurazioni differenti che prendano in considerazione il contesto sociale raggiungendo così una maggiore equivalenza di significato, non colta da misurazioni equivalenti. Essi hanno sostenuto, per esempio, che la partecipazione politica negli Stati Uniti e in Polonia, dove esistono sistemi politici e canali di espressione politica assai differenti, dovrebbe essere descritta utilizzando parametri di comportamento completamente differenti in modo da rendere maggiormente comparabili i due fenomeni.
2. A livello concettuale il problema della comparabilità si riduce al problema di sostituire concetti manifestamente 'legati a un tipo di cultura', con concetti la cui presenza sia stata riscontrata nelle differenti società sottoposte ad analisi. Concetti come 'famiglia nucleare' e 'pubblica amministrazione' possono rivelarsi insoddisfacenti dal punto di vista della comparazione, in quanto tendono a comprendere fenomeni familiari e amministrativi che sono più tipici delle società avanzate che di quelle meno evolute. Concetti come 'rete di parentela' e 'personale amministrativo' sono più ampi e quindi preferibili in un'analisi comparativa. I concetti che meglio si adattano a essere impiegati in un'analisi comparativa sono tuttavia normalmente più generali di quelli legati a una cultura specifica, e il ricercatore, quando utilizza categorie più generali, deve fare attenzione ai procedimenti attraverso i quali vengono individuati nei diversi sistemi gli indicatori specifici del caso generale: questo costituisce di per sé un formidabile problema della ricerca. (V. anche Classificazioni, tipologie, tassonomie; Metodo e tecniche nelle scienze sociali).
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