Metropoli
Le m. contemporanee sono il punto di arrivo di un'evoluzione millenaria che ha riguardato lo sviluppo storico, sociale e giuridico delle aggregazioni umane. Nella voce città dell'Enciclopedia Italiana (X, p. 472, ripresa anche in questa Appendice) sono delineate le principali tappe che hanno caratterizzato le trasformazioni topografiche, urbanistiche e architettoniche, nonché l'evoluzione degli assetti sociali e giuridici, dei centri urbani, dai primi insediamenti preistorici fino alla città moderna. Nella voce urbanistica (XXXIV, p. 768, ripresa poi sotto il lemma piano regolatore nell'App. II, ii, p. 539) e nei successivi aggiornamenti (App. III, ii, p. 1037; IV, iii, p. 740; V, v, p. 673) è possibile ripercorrere l'evoluzione del pensiero urbanistico fino alle più recenti formulazioni che concepiscono tale disciplina come strumento di progettazione e di indirizzo dei meccanismi che legano le trasformazioni urbane alle dinamiche economiche, politiche e amministrative delle metropoli. Un tema fortemente connesso alla riflessione teorica è rappresentato dai criteri amministrativi e dagli strumenti giuridici per la gestione delle città, il cui profondo e incessante rinnovamento, avviato a partire dal secondo dopoguerra, è illustrato in queste stesse voci con riferimento alle esperienze più importanti. La crescita dimensionale e in termini di popolazione delle m. ha comportato l'emergere di problemi organizzativi e amministrativi sempre più complessi, con i quali ha dovuto confrontarsi la legislazione urbanistica. Nella voce metropolitane, aree (App. V, iii, p. 455) sono analizzati i principali problemi riguardanti la sicurezza e la qualità dell'ambiente urbano (inquinamento, prevenzione degli eventi catastrofici, riqualificazione e recupero dei centri storici, raccolta e trattamento dei rifiuti urbani) nonché le soluzioni giuridiche e amministrative adottate nei vari paesi. Le problematiche relative alla gestione e al controllo urbanistico delle m. sono considerate anche nella voce territorio (App. IV, iii, p. 625, ripresa poi nell'App. V, v, p. 462), in cui si sottolinea la necessità di sottoporre a una politica integrata tutti quegli elementi di assetto territoriale (come la programmazione e il coordinamento delle politiche ambientali, dei beni culturali, naturali e storici, la pianificazione degli insediamenti produttivi e residenziali, la pianificazione rurale e paesaggistica) che altrimenti resterebbero sporadici e frammentari. Sotto un profilo analitico leggermente differente, nella voce geografia urbana (App. V, ii, p. 388) la riflessione teorica, che si sofferma sulla città intesa come entità complessa e unitaria, ha aperto nuovi campi di ricerca che variano dall'organizzazione urbana dello spazio regionale (dove la città è studiata in relazione al tipo di funzioni che svolge sul territorio che vi gravita), alla m. intesa come organizzazione dello spazio economico, fisico e sociale, fino agli studi sulla percezione del paesaggio e dell'ambiente urbani. Affini a questi settori di studio sono anche quelle interpretazioni che vedono la m. contemporanea al centro dei processi di modernizzazione (App. V, iii, p. 525), e cioè come luogo in cui si organizzano e dispiegano le relazioni produttive e organizzative, gli standard di consumo e i modelli culturali che condizionano e dirigono i mutamenti delle società industriali.
Senza dubbio le trasformazioni macroscopiche più evidenti che hanno interessato le m. a partire dal secondo dopoguerra sono legate alle differenti dinamiche demografiche riguardanti i paesi industrializzati, da un lato, e i paesi in via di sviluppo, dall'altro. Circa i primi, il fenomeno della crescita urbana, particolarmente intenso fino alla prima metà del sec. 20°, ha subìto un forte ridimensionamento a partire dagli anni Sessanta e Settanta, fino a tradursi nelle nuove fenomenologie della controurbanizzazione e della disurbanizzazione (v. urbanizzazione: Urbanizzazione e controurbanizzazione, in questa Appendice). Un'analisi della specifica realtà italiana inerente a tali tendenze è illustrata nella voce popolazione: Distribuzione della popolazione (App. V, iv, p. 196), in cui, con il supporto di dati empirici, viene evidenziato il fenomeno di inversione dei flussi migratori nel corso degli anni Ottanta. Con riferimento invece ai processi tumultuosi della crescita urbana nei paesi in via di sviluppo, si vedano le voci popolazione nell'App. IV (iii, p. 35) e in questa Appendice, e demografia nell'App. V (i, p. 809), in cui si prende in esame la dinamica delle migrazioni dalle aree rurali a quelle urbane e si analizzano le conseguenze drammatiche sulla qualità della vita urbana (povertà, disoccupazione, inquinamento). *
Dall'urbanesimo all'urbanizzazione: il processo di sviluppo metropolitano
L'evoluzione del fenomeno urbano, nell'arco del 20° secolo, si è incentrata - in ogni parte del mondo, pur se con modalità notevolmente differenti nei vari areali geografici - su grandi poli, generalmente definiti metropoli. Dal significato originario (città-madre di un insediamento e, successivamente, capitale di una regione o di uno Stato), il termine è passato a indicare, in geografia come in urbanistica, un grande centro con funzioni terziarie superiori e con un'area di influenza estesa a spazi regionali vasti, quando non addirittura continentali o planetari.
Il concetto di m. e la fenomenologia che ne deriva coinvolgono, pertanto, l'intero processo di sviluppo urbano, nell'ambito del quale vanno preliminarmente distinte due fasi tipologiche ancora oggi bene individuabili, nei diversi contesti geografici, in dipendenza dai fattori fisici e, soprattutto, socioeconomici che li caratterizzano: quella dell'urbanesimo, come forma centripeta, e quella dell'urbanizzazione, come forma diffusiva.
L'urbanesimo si lega, nelle diverse epoche, a situazioni geografiche ed economiche totalmente differenti: l'elemento motore delle migrazioni dalle aree rurali, con insediamento estensivo, verso nuclei di concentrazione (le città) è comunque rappresentato da momenti rivoluzionari nell'assetto territoriale e produttivo.
Intorno alla metà del 20° secolo, quando le città 'milionarie' si avvicinavano al centinaio, la sostituzione del petrolio al carbone, come fonte di energia primaria, e l'esplosione dell'uso dell'automobile trasformavano, nei paesi avanzati, il modello insediativo della popolazione e delle attività economiche, dando luogo al progressivo decentramento delle residenze e delle unità produttive. In altri termini, si avviava la diffusione delle funzioni urbane sul territorio: il centro delle grandi agglomerazioni metropolitane vedeva invertirsi i flussi migratori, ora in uscita e diretti verso le 'corone' periurbane, con la conseguente perdita di peso demografico, in termini sia relativi che assoluti, da parte delle città 'centrali' e la crescita di quelle medie e piccole. Addirittura, dagli anni Settanta, veniva introdotto nella letteratura scientifica il termine controurbanizzazione, per indicare appunto la tendenza alla deconcentrazione urbana.
In realtà, il processo si è evoluto, a partire proprio dall'agglomerazione monocentrica, con il distacco di nuclei residenziali e produttivi (le 'città satelliti' o le 'città nuove', particolarmente in Gran Bretagna e in Francia), che hanno assunto progressivamente caratteri di autonomia, o con la crescita di centri preesistenti, dapprima assorbiti nell'area di attrazione metropolitana e successivamente in grado di riaffermare la propria individualità funzionale, e pertanto di stabilire rapporti non più di dipendenza ma di reciproca interazione con la città centrale. È, questo, il fenomeno della conurbazione, che, estendendosi su scala geografica più ampia, ha dato luogo alla formazione di una rete di città gerarchicamente ordinate (regione urbanizzata), in grado di distribuire capillarmente i servizi sul territorio, selezionando gli spostamenti di popolazione in base al rango dei servizi medesimi.
Massima espressione del processo di urbanizzazione è la megalopoli, termine coniato da J. Gottmann, all'inizio degli anni Sessanta, per il Nord-Est degli Stati Uniti e che trova rispondenza, oggi, in altre grandi regioni urbanizzate degli stessi Stati Uniti (San Francisco-Los Angeles), dell'Europa occidentale (Inghilterra centro-meridionale; Ruhr e Bacino Renano, in Germania; Randstad Holland, nei Paesi Bassi; Pianura Padana, in Italia), del Giappone (fascia costiera sud-orientale dell'isola di Honshu, fra Tokyo e Kobe).
Solo le grandi città del Terzo Mondo hanno continuato a espandersi in forma agglomerativa: qui, infatti, la mancata o debole industrializzazione e gli effetti della decolonizzazione hanno esaltato il ruolo delle capitali politiche, con i loro immensi apparati pubblici e con funzioni terziarie banali e ripetitive, le quali, tuttavia, hanno finito col rappresentare l'unico sbocco per l'imponente esodo rurale. Accade, così, che tra le maggiori m. mondiali, dal punto di vista della quantità di popolazione, figurino, alla fine degli anni Novanta, Città di Messico e San Paolo del Brasile, Il Cairo e Shanghai, Bombay e Calcutta. Spiccatamente monocentrica è risultata la crescita urbana anche nei paesi emergenti (per es., di Sŏul, nella Corea del Sud) e in quelli a lungo soggetti a regimi dirigisti (evidente il caso di Mosca, circondata da un ampio 'vuoto' urbano).
Nei paesi maggiormente arretrati, in particolare, si sono venuti accentuando i caratteri negativi dell'urbanesimo, da tempo superati in quelli a economia industriale e terziaria 'matura': enormi masse di diseredati e sottoccupati, infatti, hanno concentrato nelle aree urbane i più gravi problemi del sottosviluppo, peggiorando le condizioni di vita rispetto alle stesse aree di provenienza dei flussi migratori e segnando squilibri socioterritoriali ad altissimo rischio per le intere compagini statali di appartenenza.
È evidente che, in tali casi, si può parlare di m. - come, invero, spesso accade nella pubblicistica e persino in letteratura - solo dal punto di vista della quantità di popolazione, ma non certo di rango delle funzioni propriamente qualificanti la condizione metropolitana. Tali funzioni devono possedere, innanzitutto, carattere innovativo e potenzialità generatrici di ordine spaziale (Scaramellini 1990), inteso come modificazione significativa di assetti macroregionali. Esse, dunque, vanno ben oltre la gerarchizzazione delle reti insediative propria della geografia urbana 'classica', a partire dalla teoria delle località centrali. Non si tratta, in altre parole, di individuare una 'piramide' di poli terziari in grado di coprire il territorio senza lasciarvi spazi interstiziali non serviti: la m. può bene interagire con altre in uno spazio fisicamente non contiguo e tuttavia profondamente connesso da flussi di relazioni immateriali, di alto valore strategico, come, per es., le decisioni politiche e finanziarie, la ricerca scientifica e tecnologica, l'organizzazione produttiva o il controllo ambientale.
Appare corretto affermare, alla luce di queste ultime considerazioni, che non esistono una dimensione demografica, una configurazione urbanistica e neppure una posizione geografica univocamente definibili come metropolitane; e se tale definizione può rendersi necessaria dal punto di vista amministrativo, statistico o pianificatorio, ciò non esclude la continua modificazione degli equilibri interni e delle capacità relazionali che determinano la reciproca interferenza tra poli e sistemi metropolitani, anche in dipendenza dagli assetti geopolitici: si pensi, per es., alla rete mondiale delle borse valori e agli effetti proiettati, su di essa, dai cicli congiunturali dell'economia statunitense piuttosto che dalla liberalizzazione dei mercati nei paesi ex comunisti o dal cambiamento di status di una 'piazza' finanziaria come Hong Kong.
Permane, alle soglie del 3° millennio, un interrogativo di fondo: se le funzioni e i rapporti metropolitani rappresentino l'evoluzione di quelli già sperimentati nel passato e che hanno costituito la storia della città o se, piuttosto, non si tratti di fenomeni 'rivoluzionari', che hanno totalmente modificato la quantità e, ancor più, la qualità delle funzioni urbane tradizionali. La risposta è, forse, nella possibilità che si realizzi il modello di ecumenopoli, come 'città globale', ipotizzato da studiosi di varie discipline sociali e basato sull'effettiva convergenza regionale dell'intero pianeta: un'ipotesi, allo stato attuale, imperscrutabile.
Metropoli, regioni centrali e ciclo di vita urbano
La perdita di popolazione registrata dai 'nuclei' metropolitani, a partire dalla seconda metà del 20° secolo e dai paesi più avanzati, ha dato luogo a diverse interpretazioni, anche alla luce del rallentamento di tale tendenza verificatosi, dagli anni Ottanta, ancora una volta negli Stati Uniti e nell'Europa occidentale, che dell'urbanizzazione rappresentano il cuore e, in qualche modo, il 'laboratorio'.
Gli scenari disegnati sono sostanzialmente tre: fenomeno di breve periodo, cui dovrebbe seguire una ripresa della concentrazione metropolitana; ristrutturazione regionale, con caratteri selettivi; deconcentrazione urbana (Frey 1988).
Per il primo scenario, il declino delle aree metropolitane e la crescita di quelle periferiche sarebbe da attribuire alla concomitanza di situazioni demografiche ed economiche verificatesi, in particolare, negli anni Settanta: la crisi energetica, con le sue ripercussioni sull'industria di base; la conseguente deindustrializzazione di alcune aree metropolitane a forte concentrazione produttiva nei settori maggiormente colpiti (per es., Pittsburgh, per la siderurgia, e Detroit, per l'industria automobilistica); il passaggio delle generazioni del baby boom all'età dell'istruzione superiore, con la proliferazione - nel caso statunitense - dei college, importante fattore di urbanizzazione delle aree non metropolitane; infine, lo spostamento delle attività di tempo libero verso gli spazi rurali, con il massiccio coinvolgimento di una numerosa popolazione anziana uscita, nello stesso periodo, dal mercato del lavoro. Si sarebbe trattato, pertanto, di una temporanea distorsione del modello di urbanizzazione, destinato a riprendere le sue tendenze di lungo periodo, ivi compresa la dominanza delle metropoli.
La tesi della ristrutturazione regionale si basa su alcuni presupposti comuni alla precedente, soprattutto per quanto riguarda i processi di segmentazione e rilocalizzazione produttiva, che vedono emergere sistemi locali autopropulsivi con industrializzazione diffusa. Tuttavia, essa sostiene la ripresa della concentrazione in quelle aree che sapranno esprimere funzioni tipicamente metropolitane, ovvero decisionali e innovative, mentre le aree incapaci di riconvertire la propria struttura economica verso il terziario avanzato sarebbero destinate al declino. Si delinea, in tal modo, una nuova gerarchia urbana, ancora dominata dalle m. 'quaternarie' e in cui trovano prospettive di avanzamento le aree urbanizzate minori funzionalmente emergenti.
Il terzo scenario, infine, vede la deconcentrazione metropolitana come rottura degli schemi classici di urbanizzazione. La crescente flessibilità degli spazi residenziali e produttivi - grazie ai progressi delle comunicazioni, materiali e non - spingerebbe i flussi di popolazione e di attività economica sempre più verso i livelli 'bassi' della gerarchia urbana preesistente, e ciò segnerebbe una tendenza di lungo periodo contraria allo sviluppo metropolitano.
Tali ipotesi, a ben vedere, ripercorrono le fasi del cosiddetto ciclo di vita urbano, ovvero: urbanizzazione, con la crescita del nucleo centrale; suburbanizzazione, con la crescita della corona e dell'area metropolitana; disurbanizzazione, con la perdita di peso demografico da parte di tutte e tre le componenti. A questo punto, peraltro, la teoria del ciclo di vita prevede una quarta fase, definita riurbanizzazione, nella quale tornerebbero a crescere il nucleo (gentrification: v. urbanistica, App. V, v, p. 674) e l'area nel suo complesso. Probabilmente, la ripresa andrà misurata in base a parametri non solo demografici, ma principalmente funzionali, per di più estesi a scala regionale: l'integrazione delle regioni 'centrali' diverrà, dunque, più importante e significativa della dimensione di una singola metropoli.
Le grandi metropoli mondiali
Il dato aggregato della popolazione urbana mondiale - fatte salve le considerazioni metodologiche svolte in precedenza circa i differenti modelli di sviluppo - reca, per l'anno 2000, la cifra di 3 miliardi di unità, pari al 50% del totale; un'ulteriore proiezione al 2020 eleva l'incidenza sulla popolazione totale al 60%, il doppio del 1950. Dunque, dal punto di vista strettamente quantitativo, l'era della concentrazione metropolitana appare pienamente in atto, tanto più dove si consideri che, all'inizio del 21° secolo, il 10% di tale popolazione urbana verrà a gravare su una ventina di agglomerazioni con oltre 10 milioni di abitanti ciascuna, per la quasi totalità ricadenti in paesi ancora oggi in ritardo o, al più, in via di sviluppo. Si pensi, per confronto, che all'inizio del 20° secolo solo quattro agglomerazioni (Londra, New York, Parigi e Berlino) superavano i 2 milioni di abitanti e un'altra dozzina (Chicago, Vienna, Tokyo, San Pietroburgo, Filadelfia, Manchester, Birmingham, Mosca, Pechino, Calcutta, Boston e Glasgow) il milione, ed erano per la gran parte europee.
Ancora più impressionanti sono i differenziali dei tassi di crescita della popolazione urbana a scala continentale: mentre, infatti, per il ventennio 1980-2000, essi sono stimati al 30% per l'Europa e l'America Settentrionale, al 25% per il Giappone e a meno del 40% per l'ex Unione Sovietica, si valuta quasi un raddoppio per l'America Latina e la Cina (+95%), un aumento del 140% per il subcontinente indiano e addirittura del 180% per l'Africa tropicale: quest'ultima, come caso limite, passerebbe da 30 milioni di individui urbanizzati nel 1960 a quasi 235 milioni nel 2000.
Città di Messico si troverebbe ad aprire la graduatoria mondiale, all'inizio del secolo 21°, con 31 milioni di abitanti, seguita da San Paolo con 26 milioni e, dopo le megalopoli giapponese (24 milioni) e statunitense di Nord-Est (23 milioni), da Shanghai, Pechino, Rio de Janeiro, Calcutta, Bombay e Djakarta, tutte con oltre 16 milioni di abitanti; e ancora, dopo Los Angeles (14 milioni), da Il Cairo, Madras, Manila, Buenos Aires, Bangkok, Karāchī, Delhi e Bogotà.
Certamente, le rilevazioni statistiche non possono definirsi omogenee, nello spazio come nel tempo: i singoli paesi, infatti, adottano criteri differenti per definire le città e le aree metropolitane. Queste ultime, in particolare, corrispondono talora a divisioni amministrative, ma più spesso ad aggregazioni di unità minori, generalmente secondo il criterio della contiguità e dunque, specie nei paesi del Terzo Mondo, dell'espansione agglomerativa a macchia d'olio. È anche vero che, nei paesi sviluppati, il processo di urbanizzazione (in senso diffusivo) è talmente avanzato da avere creato, in aree vaste, un continuum insediativo all'interno del quale i confini della singola città o area metropolitana sfumano; mentre la quantità di popolazione urbanizzata (generalmente oltre il 75% della totale) fa sì che i tassi di crescita corrispondano, di fatto, a quelli del movimento demografico globale e risultino, pertanto, assai contenuti.
Al di là della dimensione demografica, in ogni caso, le grandi m. mondiali sono le capitali delle maggiori potenze economiche, le sedi delle imprese multinazionali, delle attività finanziarie e delle organizzazioni intergovernative, i luoghi simbolici delle culture e delle religioni. Così, accanto a New York, Londra, Tokyo, valori metropolitani significativi sono espressi da città relativamente piccole, come Francoforte sul Meno, la cui borsa valori risale al 1585, o Ginevra, a lungo crocevia della geopolitica mondiale, o Strasburgo, sede del Parlamento europeo, o Lussemburgo, con la sua poderosa concentrazione bancaria.
Certamente, la stratificazione delle funzioni e il radicamento di una 'cultura metropolitana' appaiono più profondi nelle grandi capitali politiche, e particolarmente in quelle che hanno giocato un ruolo determinante nella formazione di grandi Stati unitari, a loro volta protagonisti dell'organizzazione di vasti spazi planetari: da Parigi, Londra e Madrid a Pechino, Tokyo e Mosca. Anche in questi casi, storia e geografia hanno interagito in maniera profondamente differente nel determinare influenze che vanno dalla conquista del territorio al prestigio culturale e alla potenza economica. Così, mentre permangono areali direttamente riconducibili alla grande espansione coloniale (francese in Africa, britannica nell'America anglosassone, spagnola nell'America Latina), i modelli urbani cinese e giapponese risentono del peso delle due grandi città 'imperiali', divenute capitali politiche in epoca relativamente recente e tuttavia motrici di grandi flussi pionieri, nel caso di Pechino, ed economico-finanziari, nel caso di Tokyo. La prima trova oggi nuovi impulsi di crescita nel processo di liberalizzazione economica; la seconda mantiene una posizione di leadership, almeno per il versante asiatico, nell'area pacifica. A sua volta Mosca, trovatasi al vertice di una compagine statale multinazionale troppo vasta ed eterogenea, tenuta insieme da un regime dirigista alla lunga indebolitosi fino alla dissoluzione dell'Unione Sovietica, vede nel recupero dell'integrazione territoriale e produttiva della Federazione Russa l'unica possibilità di battere la concorrenza riemergente di San Pietroburgo e di conseguire una posizione di rilievo fra le grandi m. mondiali. Situazione in cui si trova, per altri versi, la stessa Parigi, cui il centralismo dello Stato francese ha imposto una crescita squilibrante nei confronti dell'intero territorio nazionale e che deve cogliere l'opportunità dell'unificazione europea per mantenere - in qualche misura ridistribuendola - la propria immensa potenzialità direzionale.
La rete metropolitana mondiale, tuttavia, si è andata sempre più decisamente fondando sulle 'capitali economiche', in molti casi non coincidenti con quelle politiche. A parte il caso della federazione statunitense, dove i ruoli sono tenuti istituzionalmente distinti (così pure, ma per motivi geopolitici, in quella tedesca, dove ora Berlino si accinge a riassumere una funzione unificante), in altri sono stati la storia economica o il processo di sviluppo regionale a determinare la prevalenza di centri metropolitani diversi: così per Zurigo, in Svizzera, o per Milano, in Italia; ma per la stessa Francoforte, in Germania, dove all'antica tradizione borsistica si unisce una posizione geografica invidiabile per nodalità delle comunicazioni terrestri, fluviali e aeree (terzo scalo europeo per volume di traffico, collegato a ben 200 città in tutto il mondo).
Sempre meno, dunque, i grandi poli finanziari, sedi delle maggiori imprese multinazionali, guardano ai rapporti intraregionali o nazionali, privilegiando la globalizzazione del mercato dei capitali. E se i luoghi mitici della finanza internazionale restano Manhattan o la City londinese - dove la rendita fondiaria ha espulso la popolazione residente, lasciando spazio, nella prima, ai ghetti degli immigrati di colore, negli edifici abbandonati - proprio l'unificazione del sistema, attraverso gli strumenti telematici, ha permesso l'inserimento, fra le m. di portata mondiale, di centri emergenti quali Hong Kong o Singapore, dal supporto territoriale assai fragile e tuttavia capaci di influenzare l'intera rete, come la tempesta finanziaria scatenatasi nell'autunno del 1997 ha drammaticamente mostrato. La morfologia urbana ha particolarmente risentito, in questi casi, dell'altissima densità di popolazione e, ancor più, della spasmodica intensità dei valori fondiari, con abnormi tensioni del mercato immobiliare, alla base - in particolare per Hong Kong - delle stesse crisi borsistiche.
Resta il problema delle agglomerazioni esplose 'a fungo' nei paesi in via di sviluppo - ivi compresi i cosiddetti NIC (Newly Industrialized Countries: v. urbanistica, App. V, v, p. 677) - o sottosviluppati, per le quali è stata coniata la definizione di megapoli, a indicare le dimensioni gigantesche, cui non corrispondono peraltro la dotazione funzionale e l'organizzazione spaziale propria delle megalopoli. Forme di transizione sono rappresentate, per es., da Casablanca (Dār al-Baydā᾽), capitale economica del Marocco e porta aperta alla modernizzazione del paese, o Johannesburg - dalle antiche tradizioni industriali, uniche nel continente africano - che nella conurbazione con Soweto ha trovato un poderoso bacino di manodopera a basso costo, ora da riconvertire e integrare a seguito dell'abolizione delle leggi razziali in Sudafrica.
Caratteristica comune alle megapoli è l'espansione a macchia d'olio, alimentata dai continui flussi migratori provenienti dalle aree rurali, che si scaricano su immense periferie, molto spesso precarie dal punto di vista sia edilizio (bidonvilles, favelas), sia infrastrutturale: a Città di Messico interi quartieri sono privi di acquedotto e vengono malamente riforniti da autocisterne, mentre gli scarichi industriali e il traffico veicolare rendono l'aria irrespirabile e incidenti in sé banali - come l'esplosione di una centrale di distribuzione del gas, nel novembre del 1984 - innescano reazioni a catena tali da devastare intere sezioni dell'area urbana (in quel caso, si trattò della periferia settentrionale) ad altissima densità.
L'inquinamento ambientale assume dimensioni preoccupanti anche in m. europee (valga, per tutti, il caso di Atene) e dei paesi di nuova industrializzazione: fenomeno già avvenuto - e in un primo tempo sottovalutato - nelle grandi aree urbane dei paesi sviluppati, dove tuttavia, grazie all'innovazione tecnologica e al decentramento delle residenze e delle attività produttive, la situazione può dirsi notevolmente migliorata, mentre appare in continuo peggioramento là dove l'organizzazione economica e territoriale non offre alternative alla continua centralizzazione sia della popolazione che delle attività. È questo il caso delle megapoli africane e latino-americane, in cui la dipendenza commerciale e il dilagare della precarietà di vita favoriscono la diffusione dei traffici illeciti e della criminalità organizzata, in un quadro complessivo di totale degradazione.
L'assetto metropolitano in Italia
Sull'organizzazione metropolitana del territorio italiano pesa, evidentemente, il profondo dualismo tra una rete urbana diffusa e policentrica, nel Centro-Nord, e una serie di strutture monocentriche, poggiate su poche città costiere, nel Mezzogiorno continentale e insulare. Mentre, dunque, nella prima grande circoscrizione è possibile individuare una 'megalopoli padana' e una serie di sistemi urbani integrati (tosco-ligure, veneto, emiliano-romagnolo e, pur di minori dimensioni, umbro-marchigiano-abruzzese), nella seconda solo le aree intorno a Bari e Catania manifestano, da alcuni decenni, tendenze organizzative di tipo metropolitano.
Nel contesto europeo, secondo alcune classificazioni recenti (Il fenomeno urbano in Italia, 1992, pp. 18-19), Milano occupa il secondo rango, dopo Londra e Parigi, e viene definita, insieme a quest'ultima e a Francoforte, "città globale direzionale completa"; Roma, nonostante la sua valenza di 'città direzionale pura', si trova al terzo rango; Torino al quarto; Genova, Bologna, Firenze e Napoli al quinto.
Le città appena nominate e le zone comprendenti i rispettivi comuni sono state riconosciute come aree metropolitane ai sensi dell'art. 17 della l. 142 dell'8 giugno 1990 (v. metropolitane, aree, App. V, iii, p. 456), insieme a Venezia, Bari e, sulla base degli statuti speciali delle regioni Sicilia e Sardegna, a Palermo, Catania e Cagliari. Gli artt. 18-21 della citata legge determinano la struttura amministrativa delle aree metropolitane e le relative competenze (pianificazione territoriale; viabilità, traffico e trasporti; tutela e valorizzazione dei beni culturali e dell'ambiente; difesa del suolo, tutela idrogeologica, tutela e valorizzazione delle risorse idriche, smaltimento dei rifiuti; raccolta e distribuzione delle acque e delle fonti energetiche; servizi per lo sviluppo economico e grande distribuzione commerciale; servizi di area vasta nei settori della sanità, della scuola e formazione professionale e degli altri servizi urbani di livello metropolitano), con ciò individuando la nuova figura della città metropolitana.
Entro un anno dall'entrata in vigore della legge le regioni avrebbero dovuto provvedere, sentiti i comuni e le province interessati, alla delimitazione di ciascuna area, e, nei diciotto mesi successivi, al riordino delle circoscrizioni territoriali, riservandosi il governo la delega a provvedervi, con propri decreti legislativi, in caso di inadempienza degli enti regionali. Di fatto, solo la Liguria ha provveduto tempestivamente alla definizione dell'area genovese, seguita a notevole distanza dal Veneto e dall'Emilia-Romagna per quelle veneziana e bolognese.
Il limite di fondo della l. 142/1990, per questa parte, sta nell'avere individuato le potenziali aree metropolitane sulla base della dimensione demografica dei capoluoghi e non dell'effettiva dotazione funzionale, per la quale numerosi altri sistemi urbani avrebbero avuto pari o maggiore titolo a essere ricompresi nel novero: così, quelli centrati su Bergamo-Brescia, Verona, Trieste, Pisa-Livorno, Ancona, Pescara-Chieti, Salerno, Messina-Reggio Calabria, tutti dotati, fra l'altro, di sedi universitarie; e, più in generale, le regioni urbanizzate policentriche, integrate da flussi importanti di mobilità e servizi, riconoscibili anche nell'aggregazione di sistemi locali a elevata specializzazione produttiva e terziaria (per fare alcuni esempi: la riviera romagnola, il sistema tosco-umbro fra Arezzo e Perugia, quello marchigiano e, nel Sud, quello salentino).
La sostanziale inapplicazione della l. 142 - cui peraltro sono state apportate modifiche con la successiva l. 265 del 3 agosto 1999 - denota, pertanto, l'esigenza di una profonda rivisitazione della problematica metropolitana nel nostro paese, in funzione non di presunti equilibri politico-amministrativi, ma di un sostanziale adeguamento della maglia territoriale alle radicali innovazioni del sistema produttivo e relazionale, anche nel quadro dei nuovi rapporti internazionali e della posizione strategica, di cerniera, che l'Italia si trova a occupare fra Europa occidentale, Europa orientale e regione mediterranea.
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