CORAZZATI, MEZZI
Dalla fine degli anni Quaranta ai giorni nostri, per m.c. si intendono in genere veicoli automobili, armati e protetti, in grado di muoversi più o meno agevolmente sia su rotabili sia fuori strada, e studiati per assolvere specifici compiti sul campo di battaglia.
Per ciò che attiene al sistema di locomozione, tali mezzi possono essere cingolati, semicingolati (molto diffusi durante la seconda guerra mondiale) e ruotati. Questi ultimi (a 2, 3 o 4 assi) sono sempre a trazione integrale.
I cingolati si distinguono in m. c. da combattimento (carri armati, veicoli da trasporto e artiglierie semoventi) e m. c. speciali (carri specializzati, veicoli per il genio e carri gettaponte).
I mezzi ruotati sono quelli destinati all'esplorazione (altrimenti detti 'autoblindo') e quelli da trasporto e/o combattimento. Recentemente sono apparsi inoltre mezzi blindati (termine con il quale vengono indicati correntemente i veicoli c. a ruote) concepiti per la lotta ai carri avversari, grazie al loro potente armamento e alle elevate doti di mobilità su terreno vario da cui sono caratterizzati.
Nell'esercito italiano, ormai a un elevato livello di meccanizzazione (escluse alcune unità alpine), sono anche utilizzati automezzi ordinari armati, in grado di far fuoco da bordo, da fermi o in movimento (per i quali v. autoveicolo: Autoveicoli militari, in questa App.). Tali sono, per es., le autovetture da ricognizione armate di missili controcarro o di mitragliatrici, scudate o meno. Il confine tra questi veicoli e i m.c. propriamente detti è piuttosto labile; basti citare il cannone semovente M110A2 da 203/39, che non offre protezione ai serventi ma solo al pilota e nondimeno viene annoverato fra questi ultimi.
Carri armati. − Il carro armato è, per definizione, un veicolo dotato di cannone od obice, quasi sempre installato in una torretta girevole per 360°, con possibilità di impiegare munizionamento controcarro o ad alto esplosivo (o addirittura missili guidati), fornito di protezione atta a sottrarre l'equipaggio e i suoi più delicati organi meccanici agli effetti dei proietti (anche perforanti o a carica cava) della fanteria e dell'artiglieria da campagna. È inoltre provvisto di organi meccanici idonei a garantirgli costante ed elevata mobilità.
Le sue caratteristiche di armamento, protezione e mobilità si riflettono sul fattore peso, che negli anni Cinquanta e fino agli anni Sessanta veniva assunto come criterio per una distinzione in carri leggeri, medi e pesanti. In seguito, i principali eserciti hanno concentrato il loro interesse su un carro di medio tonnellaggio, definito nella terminologia militare internazionale come MBT (Main Battle Tank, "carro da combattimento di base"), in Francia char de combat, in Germania Kampfpanzer, in Spagna Carro de combate (già Tanque) e in URSS più semplicemente TANK. Sono i mezzi di questa classe che costituiscono attualmente il nerbo di tutti gli eserciti di una certa importanza. Naturalmente, ancora esistono e vengono prodotti, su scala minore e per impieghi particolari, carri leggeri come lo Stingray della Cadillac, destinato alle aviotruppe, prima che l'esercito degli USA vi rinunciasse. Ma, come dimostra questa decisione, gli stati maggiori non ne avvertono la necessità e preferiscono utilizzare, a consumazione, mezzi superati con un minimo di aggiornamento. A questo proposito, ricorderemo il carro leggero M551 Sheridan del 1965 che, sia detto per inciso, fu il primo con un cannone lanciatore da 152 in grado di sparare munizioni convenzionali e missili Shillelagh. Questo mezzo, da 15,8 t, è ancora in dotazione all'82ª Aviotrasportata e ha partecipato alla fine del 1989 all'invasione di Panama. Altrove si mantengono in servizio carri leggeri degli anni Quaranta e Cinquanta (M24 e M41 americani e AMX-13 francesi) appena rimodernati. Si tratta comunque di mezzi utili principalmente per la ricognizione, come pure il britannico Scorpion degli anni Settanta, impiegato con successo nella riconquista delle Falklands, nel 1982.
Oggi un MBT pesa in genere 40÷50 t, è armato di un pezzo ad anima lunga (liscia o rigata), il cui calibro oscilla tra i 100 e i 125 mm, ed è in grado di muoversi a una velocità che su strada può superare i 70 km/h, grazie a potenze installate dell'ordine dei 1000 kW. L'autonomia varia in dipendenza di diversi fattori, ma di regola non è inferiore ai 300 km. Grandi progressi sono stati raggiunti nella progettazione degli scafi e nel perfezionamento degli organi di trasmissione e propulsione; la protezione è migliorata mediante il ricorso a tecnologie avanzate. La sua evoluzione in questi ultimi decenni è stata lenta ma costante e ha avuto la possibilità di riscontri operativi in occasione dei conflitti limitati che hanno coinvolto numerosi paesi.
Si tratta di un vero e proprio ''sistema d'arma'', di complessità tale da richiedere un accurato addestramento tanto dell'equipaggio quanto di coloro che devono assicurarne l'efficienza. L'armamento, sempre dotato di evacuatore di fumo, è passato dai 90 mm del P43 (ultimo carro progettato in Italia prima dell'armistizio) ai 135 mm del Follow-on Soviet Tank, come la NATO battezzò l'ultimo prodotto dell'Est, e che sarebbe in grado di mettere fuori combattimento qualsiasi carro occidentale. Naturalmente questo calibro presuppone il caricamento automatico. Con tali armi, puntamento e tiro richiedono sensori sia per i dati atmosferici che per le temperature della bocca da fuoco (quest'ultima già protetta dal manicotto termico) e delle munizioni. Dal telemetro ottico si è passati a sistemi laser collegati a calcolatori balistici cui fanno capo anche i sensori, mentre sono in esperimento radar a onde millimetriche. Per la visione esterna si ricorre a proiettori Xenon, agli infrarossi e a visori a intensificazione di luce (o, meglio, termici). Tutti i carri sono attrezzati per l'autoannebbiamento, utilizzando tubi − in genere da 76 mm − variamente orientati, singoli o raggruppati in un unico lanciatore. Il munizionamento di bordo è altamente differenziato, a seconda del bersaglio da battere; in genere le riservette comprendono proietti a energia chimica (HEAT-T), a energia cinetica (a scarto di involucro e con penetratore APFSDS), a schiacciamento (HESH), per il tiro controcarri, nonché granate a frammentazione (HE-FRAG), anche stabilizzate. Lo stesso tubo, rigato o liscio, consente talvolta di sparare missili guidati. L'armamento secondario ha visto la scomparsa della mitragliatrice di scafo; resta quella abbinata al cannone (spesso utilizzata per il puntamento ravvicinato con proiettili traccianti), e un'arma a puntamento libero (calibro 7,62÷12,7 mm) sistemata presso la cupola del capocarro per l'impiego contraereo e terrestre.
Per la protezione, si cerca di tenere bassa, in sede di progetto, la sagoma del veicolo, anche se questo è, a sua volta, di pregiudizio per l'osservazione e la condotta del tiro.
Per quanto concerne il metodo di costruzione (inizialmente a piastre saldate per scafo e torretta; con quest'ultima spesso ricavata per fusione), si tende ora a realizzare una struttura cui vengono applicati elementi intercambiabili di corazzatura, come sull'avveniristico modello francese Leclerc. La protezione, dapprima costituita da piastre di acciaio omogeneo (al nichel-cromo-molibdeno) indurito, con durezza Brinell variabile tra 290 e 240, ha subíto una rapida evoluzione. Si fa oggi uso di corazze spaziate, cave, composite e stratificate. Si stanno inoltre diffondendo protezioni supplementari rappresentate da ''mattonelle autodetonanti'' che, colpite da cariche cave, ne deviano il dardo incandescente, e che ricoprono praticamente le parti più esposte e vulnerabili. Esse dovrebbero mettere il carro al riparo dalle armi portatili controcarro della fanteria (lanciarazzi, missili guidati e cannoni senza rinculo) e dai tiri d'artiglieria con bombette e proietti a guida terminale, nonché dall'azione di aerei ed elicotteri cacciacarri. È corrente opinione che i carri così protetti siano pressoché invulnerabili entro i 180° frontali, tenendo altresì presente che la maggior parte dei colpi giunge ad altezze di 1,20÷1,30 m. È ormai generalizzata l'adozione delle grembialature laterali.
Per quanto attiene ai propulsori, inattaccabili con ordigni incendiari, si è raggiunto un rapporto potenza/peso che sfiora i 30 CV/t.
Si profilano due tendenze: la prima favorevole all'impiego di turbine a gas, l'altra a privilegiare ancora potenti motori convenzionali policarburanti, in genere con cilindri a V e turbocompressori. In Italia, per i nuovi mezzi da combattimento, si è scelta una famiglia di propulsori (MTCA) di derivazione commerciale, e, principalmente, un modello a 6 cilindri, per la blindo armata e il VCC (520 CV), e un 12 cilindri, di potenza quasi doppia, per il carro C1. Gli organi di trasmissione hanno anch'essi subito notevoli perfezionamenti, adottando cambi automatici quasi sempre a quattro rapporti avanti e due indietro; altrettando dicasi per le sospensioni, in genere a barre di torsione e ammortizzatori idraulici. Per i cingoli, si punta all'alleggerimento, all'aumento della loro durata e a conformazioni atte a ridurre i danni apportati ai rivestimenti stradali. Notevolmente perfezionati appaiono anche i generatori di energia elettrica, gli impianti per il condizionamento e per il filtraggio dell'aria, quelli automatici antincendio, nonché le stazioni radio veicolari. Qualora l'armamento sia dotato di caricamento automatico, l'equipaggio si riduce a tre membri (capocarro, puntatore, pilota), addestrati fino all'intercambiabilità in caso di bisogno.
Le tendenze per l'immediato futuro indicano da un lato un ripensamento nei confronti dell'eccessiva sofisticazione, specie per semplificare l'istruzione nei paesi dove il personale è prevalentemente di leva. In contrasto con ciò, si vorrebbero mezzi altamente automatizzati, con torrette ridotte al minimo, angoli di tiro maggiori di quelli odierni (tra i -9° e i +15°) e grande impiego di servomeccanismi, anche se questa esigenza è destinata a far aumentare i costi di approvvigionamento, manutenzione e ricambi. Si dovrà limitare l'aumento di calibro (a meno di non riuscire a ridurre ingombri e pesi delle munizioni) e si potranno mantenere le attuali prestazioni in fatto di mobilità, ma con attenzione ai terreni di presumibile impiego. Non pare abbia trovato imitatori la soluzione del motore anteriore adottato per il Tanque Argentino Mediano e per il Merkava, nonostante alcuni indubbi vantaggi, e non sembrano neppure aver incontrato eccessivo favore i sistemi per l'attraversamento di guadi profondi. Si mostra interesse invece per mezzi di costruzione modulare: uno scafo di base, suscettibile di trasformazione, mediante elementi appositamente realizzati, in carro da combattimento, veicolo comando da trasporto, cannone semovente, ecc.
Evoluzione del carro armato nei principali eserciti. − Si usa distinguere i carri del secondo dopoguerra in generazioni: la produzione che precede la prima è quella dei modelli ottenuti perfezionando i carri dell'ultimo periodo della guerra, e poiché Italia, Germania e Giappone (e, in misura minore, la Francia) erano stati costretti a uscire dal mercato, USA, Gran Bretagna e URSS rimasero per circa dieci anni incontrastati arbitri di ogni sviluppo in questo campo.
All'epoca della guerra in Corea, la classificazione era riferita al peso. Nell'ambito della NATO, i carri leggeri arrivavano a 25 t, i medi a 50 t e i pesanti oltre le 50 t. I criteri dei paesi dell'Europa orientale non differivano granché. Così gli Statunitensi presentarono vari modelli: M41 Walker Bulldog, la serie M46/47/48 Patton, M43; gli Inglesi, il medio Centurion e il pesante Conqueror, mentre i Sovietici schieravano un anfibio leggero (PT-76), un tipo medio (T54/55) e uno pesante (T-10). Si sviluppò quindi una generazione i cui rappresentanti costituirono un ulteriore perfezionamento: l'M60 americano e derivati, il Centurion potenziato, il T-62 e il tipo S svedese, che suscitò inizialmente una notevole attenzione nei confronti del concetto di carro casamatta inaugurato dai Tedeschi − durante la guerra − con i loro cannoni d'assalto. Questi mezzi furono seguiti dalla prima generazione vera e propria, rappresentata dall'AMX-30 francese, dal Leopard tedesco e dal Chieftain inglese, cui vanno aggiunti, sebbene di poco posteriori, il tipo 74 nipponico e il Merkava israeliano. Statunitensi e Tedeschi intanto decidevano di collaborare alla elaborazione di un progetto di carro assai sofisticato, che denominarono MBT70. Questo era caratterizzato da un armamento bivalente (cannone ad anima liscia da 152 mm/missile Shillelagh), mitragliera contraerea da 20 mm (in torretta controrotante), scafo assai profilato, sovrastato da una grossa torretta, e con possibilità di assetto alto e basso, a seconda del terreno. Il carro era dotato di interessanti innovazioni, come il telemetro laser e il collimatore per tiro diurno e notturno. Potenziato da un motore policarburante di 1500 CV, poteva marciare a 70 km/h in entrambe le direzioni, grazie all'eccezionale rapporto di 35 CV/t. Il progetto tuttavia apparve eccessivamente costoso e si ripeté quanto avvenuto in precedenza per l'iniziativa franco-tedesca-italiana del 1957, e cioè la scelta di tipi nazionali. La Repubblica Federale di Germania approfittò delle esperienze con l'MBT70 per creare il Leopard 2, mentre in USA si studiò un veicolo del tutto nuovo: l'M1 Abrams. In Francia si cercò di migliorare l'AMX-30 per poi realizzare un modello di terza generazione, il Leclerc, la cui introduzione è prevista per il 1992. In Gran Bretagna è stato adottato uno sviluppo del Chieftain, denominato Challenger, che viene attualmente aggiornato. È il mezzo più pesante della seconda generazione.
Anche l'M1, il primo carro a turbina del mondo, è stato potenziato nell'armamento e rappresenta, accanto al Challenger e al Leopard, quanto di più potente può oggi allineare la NATO. Per restare nel campo occidentale, ricorderemo che gli Israeliani stanno migliorando ulteriormente il loro Merkava dotandolo delle note corazze reattive e potenziandone l'armamento mediante l'adozione di un cannone da 120 mm. Nell'URSS si è invece preferito realizzare due modelli di seconda generazione, il T-64 e il T-72; entrambi montano un cannone da 125 mm ad anima liscia, con mitragliatrice coassiale oltre alla solita 12,7 mm in torretta. Dotati di moderne apparecchiature di tiro, sono stati soggetti a ripetuti miglioramenti e ultimamente provvisti di corazze relative. L'ultima versione della serie, il T-80, è propulsa da una turbina a gas da 985 CV. Il suo cannone può utilizzare missili in funzione antielicottero.
Giappone, India e Corea hanno in produzione anch'essi carri armati di seconda generazione. Il Brasile ne ha realizzati due modelli sperimentali mentre la Cina, che pure ne sta studiando un prototipo, produce però ancora vecchi derivati del T-54, per quanto notevolmente aggiornati.
Il carro armato nell'esercito italiano. − In Italia, dopo un periodo di 25 anni di pressoché forzata inattività nel settore, inizialmente per imposizione dei vincitori, i quali avevano costretto a chiudere lo stabilimento Ansaldo-Fossati (che in collaborazione con FIAT e Lancia aveva prodotto fino al 1945), si dovette giocoforza ricorrere a residuati di guerra, prevalentemente angloamericani. A partire dal 1951 si iniziò a unificare gradualmente la linea carri medi sul modello M47. Questo mezzo, armato di un cannone 90/50, possedeva buone qualità tattiche, ma presentava l'inconveniente di un'autonomia eccessivamente ridotta. In vista di una sua sostituzione, nel 1965, ci si orientò (anche per motivi di convenienza politico-finanziaria) sul modello M60A1, sempre di costruzione USA, importandone 100 esemplari e costruendone altri 200 su licenza presso la ditta OTO-Melara. Poiché tuttavia questo carro, per la sua eccessiva altezza di sagoma, rendeva difficoltoso il trasporto ferroviario, gli si preferì poco dopo il Leopard 1, importandone un primo lotto e acquistandone la licenza di produzione, purtroppo limitata alle modifiche apportate entro il 1972 (data in cui i primi Leopard italiani uscirono dalle catene di montaggio di La Spezia). I carri ordinati non bastavano tuttavia a equipaggiare, insieme con gli M60A1, tutte le unità esistenti e soltanto nel 1989, riducendo gli organici, si poterono eliminare gli ultimi M47. Restano in servizio gli M60A1 in attesa di poterli sostituire con un modello nazionale. È da rilevare che, nel frattempo, con l'acquisizione di nuove tecnologie apprese grazie alla ripresa dell'attività, si poté realizzare (1980) il primo carro italiano del dopoguerra: il FIAT-OTO OF-40.
Il modello OF-40 Mk 1/2, un carro di prima generazione seppur aggiornato, ebbe un certo successo di esportazione specie come scafo per semovente da 155 mm ed è stato poi utilizzato come base per quello da 76 mm contraereo. In seguito a direttive specifiche emanate dall'autorità militare, si è poi giunti alla definizione dell'Ariete (o C1), veicolo di seconda generazione e di discreto livello, del peso di 51 t e armato con un cannone da 120 mm ad anima liscia e 2 mitragliatrici. Il nuovo carro, che incorpora gran parte delle moderne tendenze, è provvisto di apparati di puntamento diurno e notturno, stabilizzatore, calcolatore di tiro digitale, telemetro laser e, naturalmente, protezione NBC (nucleare, biologica, chimica). Grazie a un motore diesel sovralimentato di 1200 CV e trasmissione idromeccanica con retarder secondario, può raggiungere oltre 60 km/h, godere di un'autonomia superiore a 550 km e superare pendenze del 60%. Sarà costruito da un consorzio FIAT-IVECO/OTO-Melara ed entrerà in servizio nel 1993.
Nel nostro esercito i carri sono impiegati in complessi tattici pluriarma, la cui dosatura in carri viene adattata alle necessità del momento. Sono inquadrati dall'attuale normativa in brigate corazzate o meccanizzate.
Brigata corazzata: è un'unità in cui i carri armati rappresentano l'elemento principale. Il suo impiego, soprattutto nei terreni che consentono di sfruttare la mobilità dei mezzi e la possibilità del fuoco diretto, ne esalta la capacità di manovra e di intervento contro formazioni similari in movimento. Essa comprende organicamente: due battaglioni carri e un battaglione meccanizzato per quanto riguarda la componente da combattimento; unità di supporto al combattimento (un gruppo di artiglieria semovente, un reparto comando e trasmissioni, una compagnia genio guastatori, una compagnia controcarri); unità di supporto logistico (un battaglione logistico e un reparto sanitario) che ne completano la struttura.
Brigata meccanizzata: è unità idonea, per potenza di fuoco e mobilità, a condurre tutte le azioni del combattimento difensivo; possiede una elevata flessibilità d'impiego, in quanto può operare − in relazione alle esigenze del combattimento − sia a bordo dei mezzi sia a piedi, mantenendo pressoché inalterata la propria capacità operativa. Per le sue caratteristiche strutturali è in grado di sviluppare la manovra difensiva in ambienti di pianura e di collina, in terreni accidentati e negli abitati, e di assicurare il mantenimento, quando necessario, di posizioni anche per tempi prolungati, conferendo in tal modo alla difesa la capacità di resistenza richiesta dalla situazione. Si differenzia dalla precedente per la componente di combattimento (3 battaglioni meccanizzati e un battaglione carri).
Dette brigate sono in genere riunite in corpi d'armata, e nel caso integrate da supporti tattici e logistici.
Impiego bellico del carro armato. − La guerra di Corea (1950-53) fu la prima, dopo il grande conflitto mondiale, in cui si registrò un certo impiego di m. corazzati.
Per le brigate carri T-34/85 dei Nordcoreani era stato relativamente facile irrompere al di là del 38° parallelo e travolgere le deboli forze sudcoreane. Nemmeno il tempestivo intervento americano con una cinquantina di M24 leggeri di stanza in Giappone, con il compito di costituire una prima barriera mobile, riuscì a fermarli. Solo dopo la ritirata su Fusan, sopraggiunsero alcuni M26 insieme con alcuni Sherman M4A3E8 e quindi, direttamente da oltreoceano, alcuni battaglioni di carri medi, tra i quali uno dei nuovi M46 Patton. La parità fu raggiunta, anche grazie all'intervento dei Centurion britannici, ma per tutta la durata delle operazioni, i carri armati svolsero prevalentemente funzione di appoggio alla fanteria, anche per le caratteristiche morfologiche del terreno. Non si era ancora spento del tutto il focolaio coreano che si scatenò in Indocina un altro conflitto, dal quale i Francesi uscirono sconfitti, sia per errori strategici che per penuria di m. c., compresi gli anfibi. Si aprì quindi la crisi algerina, presto trasformatasi in sanguinosa guerriglia, nella quale i Francesi fecero largo impiego di autoblindo, dalle vecchie Greyhound alle nuove Ferret inglesi e alle potenti EBR 75. La campagna, vinta militarmente, portò nondimeno all'indipendenza del Territorio d'Oltremare.
Ben più grave, per la vastità delle forze coinvolte, fu invece la spedizione anglo-franco-israeliana del 1956, in risposta alla nazionalizzazione del Canale di Suez. Sebbene interrotta da una minaccia d'intervento sovietico, ebbe il tempo di dimostrare come le giovani brigate corazzate d'Israele avessero raggiunto, con mezzi relativamente modesti, capacità tali da poter svolgere, con successo, geniali azioni manovrate. Approfittando del difficile momento politico, l'Ungheria cercò di liberarsi dal giogo sovietico, ma, dopo un breve momento di euforia, i Russi − dapprima ritiratisi − attaccarono concentricamente il paese, facendo largo uso di m. c. anche di nuovo modello e sbaragliando gli insorti e i pochi reparti dell'esercito magiaro che li appoggiavano. Per la prima volta nel dopoguerra, si ebbe occasione di combattere in grossi centri abitati e di verificare (come aveva giustamente scritto il generale Chuikov, il difensore di Stalingrado) che in tali circostanze dovevano operare, al massimo, gruppi di 3÷5 carri accompagnati ognuno da un plotone fucilieri: l'impiego in massa era infatti poco agevole laddove rovine e macerie rendevano difficile il movimento. Non sempre queste norme vennero rispettate, di ciò ci si era già accorti nel 1945 a Berlino; la conferma si sarebbe avuta in Libano, dove la situazione era aggravata dalla diffusione delle armi controcarro individuali, con proietti a carica cava. A Budapest, invece, per averle trascurate, i Sovietici andarono incontro a gravi perdite. Ricorderemo comunque che in quella occasione si videro per la prima volta i T-54 con cannone da 100 mm, in parte già dotati di apparecchiature a raggi IR e di snorkel.
Insegnamenti si ricavarono anche dalle operazioni nel Sinai, dove gli Israeliani avevano dimostrato, pur con materiali scadenti, ottime capacità tattiche, rapidità di decisione e attitudine alla cooperazione interarmi. E fu su quelle esperienze che essi costruirono, in soli dieci anni, un'armata meccanizzata e ben più potente, tale da stroncare in breve tempo la prevista rivincita di Nasser. Sebbene impegnato su più fronti, l'esercito israeliano del 1967, grazie a una efficace preparazione aerea e conseguente superiorità, fu in grado di penetrare nel Sinai con le sue brigate di Centurion, Supersherman ed M48 accompagnate da relativi semoventi, riuscendo a raggiungere vittoriosamente il Nilo. Analoghi successi, sebbene più lenti, si ottennero sul fronte siriano nonostante le difficoltà del terreno, che costringevano i carri a itinerari obbligati. Più facile peraltro fu la sconfitta dei carri giordani. Si assistette, nella battaglia del deserto, al ripetersi di quanto già visto nelle pianure dell'Est oltre vent'anni prima: il classico concetto difensivo sovietico di fronte alla versione israeliana della guerra-lampo di Guderian.
Dal 1961 al 1975 un'altra verifica attendeva però il ruolo delle forze corazzate: il Vietnam. Qui si replicò, con altri mezzi, ma ben più tragicamente, il copione francese. L'ambiente favorì, per certi aspetti, l'impiego del carro M113, un piccolo cingolato con caratteristiche anfibie che, nonostante tutti i suoi limiti, apparve il mezzo ideale per quel teatro (e non solo per quello, com'è provato dalla sua enorme diffusione a tutt'oggi). Gli MBT impiegati nel Sud Est asiatico (M48 americani − anche lanciafiamme − e Centurion australiani) non si dimostrarono altrettanto idonei all'impiego nella giungla; meglio si comportarono i tipi più leggeri (M41, semoventi binati da 40 mm ed M551), pur se si registrò l'utilizzazione di semoventi di medio e di grosso calibro. Assolutamente sporadico fu l'intervento di carri nordvietnamiti (pochi tra PT-76 anfibi e T-54). Utilissime per la scorta convogli furono le poche autoblindo Commando.
Ma gli anni Settanta dovevano registrare anche il tentativo, quasi riuscito, di una rivincita araba sugli Israeliani. Nel 1973, colti incredibilmente di sorpresa, questi ultimi si trovarono temporaneamente privi della superiorità aerea di cui avevano sempre goduto e in condizioni di alquanta arretratezza in fatto di carri in rapporto alle esigenze di difesa del Nilo (Linea Bar-Lev), e per di più, alla mercé di una nuova efficacissima arma: il missile guidato controcarro Sagger. Per la seconda volta ci fu quindi chi presagì la scomparsa del carro armato dal campo di battaglia. Solo un'accurata organizzazione e un comando di elevata capacità, oltre al rapido ripianamento delle perdite, poterono evitare la disfatta, consentire una graduale ripresa dell'iniziativa e raggiungere nuovamente il Nilo, aggirando ingenti forze avversarie. Il successo fu più costoso e il divario tecnologico − nonostante l'arrivo degli M60A1, dei gettaponte M48, ecc. - apparve meno evidente.
Più recentemente due altri gravi conflitti hanno coinvolto il Medio Oriente, dando occasione a nuove riflessioni sull'efficacia delle truppe corazzate. È il caso della guerra nel Libano, anche se l'azione di alleggerimento delle frontiere settentrionali promossa da Israele è stata foriera di insegnamenti tecnici più che tattici. Come già accennato, l'impiego di carri negli abitati è ormai assolutamente sconsigliabile, a meno di particolari precauzioni. La distribuzione di mezzi di difesa controcarro a quasi tutti i combattenti ha fatto sì che si escogitassero protezioni più efficaci a ridurre gli effetti delle cariche cave. Carri troppo ingombranti si muovono con difficoltà, possono restare facilmente imbottigliati e nemmeno la fanteria d'accompagnamento può tutelarne la sicurezza. Migliori sono i mezzi leggeri e veloci (come l'italiano VCC-1) e le blindo italiane e francesi.
Il lungo e sanguinoso conflitto Iran-'Irāq (1980-88), pur se combattuto con tutta la gamma di armi disponibili, esclusa la nucleare, e con l'impiego di materiali piuttosto moderni, non ha portato che al ristabilimento dello status quo. Entrambi i contendenti non hanno saputo far buon uso dei carri: dopo un breve accenno a operazioni manovrate, si è passati a una guerra di posizione. Rari sono stati gli scontri di carri, scarse si sono dimostrate le qualità dei comandanti e l'addestramento delle truppe. Si è avvertita la mancanza di un chiaro disegno strategico inquadrato in una realistica visione d'insieme. Si potrebbe, infine, dire altrettanto della guerra civile in Afghānistān, nonostante il gravoso impegno da parte dei Sovietici. Anche se per questi ultimi l'intervento ha rappresentato una occasione ideale per la sperimentazione di nuove armi e tattiche contro un nemico armato in modo non convenzionale, gli unici insegnamenti che possono averne tratto nel campo specifico sono stati l'adozione di protezioni distanziate a ferro di cavallo per le torrette dei carri e l'espediente di proteggere le colonne di rifornimenti mediante mezzi blindati a 2 e a 8 assi.
Se la campagna del 1973 aveva rivalutato il ruolo del carro armato, la sua validità è stata decisamente confermata con la Guerra del Golfo, durante l'operazione Desert Storm del 1991 in Medio Oriente. Qui i m.c., dopo oltre un mese di martellamento aereo, terrestre e navale, e quindi favoriti dal dominio dell'aria, hanno liberato in sole 100 ore l'intero Kuwait raggiungendo con manovra aggirante e velocissima l'Eufrate, senza invischiarsi in combattimenti in zone abitate. L'occasione ha messo in evidenza l'enorme superiorità della tecnologia carrista occidentale rispetto al materiale sovietico di cui ha fatto maldestro uso il nemico. Tra i carri si sono distinti l'MlA1 e il Challenger, mentre ottimi si sono dimostrati anche i mezzi Bradley e LAV della fanteria meccanizzata e dei Marines. Gli ostacoli campali sono stati facilmente superati da un assortimento di carri guastatori, sminatori, porta-fascine, gettaponte, ecc. Anche le blindo-cannone francesi hanno dato ottima prova.
Artiglierie semoventi. − I progressi registrati in questi ultimi anni possono essere così sintetizzati: passaggio dall'adozione di scafi derivati da carri armati a veicoli appositamente studiati e in grado di offrire una certa protezione agli equipaggi, almeno per i calibri non superiori a 155 mm; adozione di scafi ruotati, integralmente protetti e di disegno originale, come il Dana cecoslovacco da 155 mm su telaio a quattro assi e il G-6 da 155 mm sudafricano, su telaio a tre assi, tutti motori, ecc.; unificazione dei calibri, in genere intorno ai 150 mm e ai 200 mm, pur se esistono in URSS interessanti realizzazioni di calibro superiore (mortai da 240 mm).
Inizialmente, le artiglierie autopropulse equipaggiarono unicamente le forze della NATO. Soltanto a partire dagli anni Settanta l'uso sistematico di semoventi cominciò a estendersi all'artiglieria sovietica, con l'entrata in servizio di scafi armati con bocche da fuoco del calibro già in uso nell'artiglieria da campagna (122 M-74 e 152 M-73). In seguito, apparvero un piccolo semovente da 120 mm (destinato alle aviotruppe) e complessi di maggiore potenza, sprovvisti di protezione per i serventi e nettamente superiori, sotto alcuni aspetti, a quelli dell'Alleanza atlantica. Ricordiamo, a questo proposito, il 152 mm prolungato e il poderoso pezzo da 203 mm (SO-203), che vanta il primato della bocca da fuoco e dello scafo più lunghi nella sua categoria. Negli eserciti occidentali, eliminati ben presto i residuati bellici, si adottarono materiali di produzione nordamericana. Gran Bretagna e Francia, invece, la prima con il suo Abbot da 105 mm (1965), oggi in via di sostituzione con il modernissimo VSEL AS90 da 155 mm, l'altra dapprima con un 105 mm e un 155 mm di vecchia concezione e poi con l'ottimo 155 mm GCT su scafo AMX-30 (1981), conservarono una certa autonomia. L'Italia, nel 1981, finalmente produsse un 155/A1 su scafo OF-40 (il Palmaria), destinato all'esportazione e che non fu omologato dall'esercito, il quale gli preferì, più economicamente, una versione prolungata dell'M109, come del resto si era fatto negli Stati Uniti. Un ambizioso progetto di semovente da 155 mm (SP 70), sviluppato in ambito italo-anglo-tedesco, è stato recentemente abbandonato per l'eccessivo costo. La Germania sta oggi allestendo un suo modello da 155/52.
Per i modelli più pesanti, dapprima si utilizzò un mastodontico 203/25 (l'M55), ben presto scartato in favore di un tipo montato su di uno scafo più leggero e aviotrasportabile, atto a ricevere le nuove bocche da fuoco da 175/60 M107 e da 203/25 mm M110. Recentemente (1988) diversi eserciti (compreso l'esercito italiano, che l'aveva adottato nel 1964) ne hanno sostituito l'armamento col nuovo 209/39 mm (M110A2).
Caratteristiche comuni a questi materiali sono: adozione del freno di bocca, elevata celerità di tiro (grazie al caricamento automatico), possibilità di tiro nel 2° arco (oltre i +45°), sofisticati congegni di puntamento e navigazione indipendenti, rapida messa in batteria, forti aumenti di gittata e infine possibilità di montare sovrastrutture adatte ai servizi di batteria (comando, rifornimento, soccorso e difesa ravvicinata). Particolarmente interessanti sono i prodotti di paesi emergenti, come i semoventi cinesi NORINCO da 152 mm e quelli di nazioni minori, come il semovente svedese Bandkanon 155 1 A, a caricamento automatico, e quelli israeliani SOLTAM. Sin dai primi anni Cinquanta i maggiori eserciti hanno iniziato a provvedersi di semoventi controaerei. In questo campo, per un certo periodo, l'URSS è stata all'avanguardia, inizialmente con il 57 mm binato (ZSU-57-2, a punteria ottica), rimpiazzato a partire dal 1966 dall'eccellente ZSU-23 mm quadrinato, provvisto di un sistema di punteria, comprendente radar, alzo, calcolatore e stabilizzatore, che lo rendeva letale entro i 200÷2500 m. Ultimamente, gli si è affiancato il 2S6, un semovente contraerei con armamento più potente, armato con due mitragliere da 30 mm e 4 missili SA-19. In Occidente, fidando su di una supposta superiorità aerea, inizialmente si sottovalutò la minaccia, almeno fino al 1971, quando gli Stati Uniti riuscirono a escogitare qualcosa di analogo, e cioè il Vulcan (20 mm), su scafo M113. Tuttavia, e contemporaneamente, in Germania si andava progettando il Gepard, su scafo Leopard 1, armato di un complesso binato Oerlikon da 35 mm a punteria radar, successivamente perfezionato e che equipaggia attualmente le unità corazzate contraeree tedesche, belghe e olandesi. Anche l'Italia ne ha proposto una versione analoga sullo scafo del Palmaria, che non ha avuto fortuna, come invece sembra si stia verificando per il semovente contraereo da 76 mm Otomatic, sempre sullo stesso scafo. L'esercito italiano ha invece omologato il sistema quadrinato SIDAM 25 mm a puntamento optronico, telemetro laser e calcolatore. Numerosissimi sono stati i prototipi realizzati in questa specialità, compresi i semoventi contraerei missilistici (v. missile, in questa App.).
Veicoli corazzati da trasporto e combattimento. − Sono i mezzi destinati al trasporto truppe sul campo di battaglia, che assicurano a esse almeno la protezione dai proiettili delle armi automatiche e dalle schegge di granate. In particolare, nelle unità corazzate, permettono alla fanteria meccanizzata di agire sugli stessi terreni e all'immediato seguito dei carri. È quindi opportuno che ne eguaglino le doti di mobilità.
Eredi dei semicingolati statunitensi e tedeschi della seconda guerra mondiale − oggi sono cingolati o ruotati (pur se non manca qualche esempio di semicingolato, come il BMS-1 cileno, del 1983, rimasto comunque prototipo) − e dei veicoli ricavati con l'eliminazione di alcune sovrastrutture da scafi dei carri normali, questi mezzi hanno avuto un enorme sviluppo nel secondo dopoguerra.
I primi modelli sono stati concepiti negli Stati Uniti, a partire dal 1951, cominciando dall'M75, un cingolato a cielo coperto in grado di trasportare 10 uomini, con accesso posteriore. Seguì nel 1954 un tipo perfezionato (M59) e nel 1960 il noto M113, evoluzione dello stesso concetto. In particolare, questo modello fu tra i primi ad avere delle capacità anfibie. Naturalmente si ebbero anche mezzi equivalenti su scafi ruotati, pur se la preferenza cadde sui cingolati affinché le fanterie potessero accompagnare i carri su qualsiasi terreno. Era tuttavia in discussione quale dovesse essere il loro ruolo, se limitato al trasporto in condizioni di relativa sicurezza o se i trasportati potessero anche combattere da bordo, smontando all'occorrenza per risolvere il combattimento alla maniera tradizionale. Gli Anglo-americani, sviluppando i suddetti veicoli, sposarono il concetto del ''tassì da battaglia'', mentre i Tedeschi, nella seconda guerra mondiale precursori della fanteria meccanizzata, scelsero la seconda soluzione con il loro Schützenpanzer (il notissimo Marder, in servizio dal 1971 e ora ancora migliorato). La conferma della bontà di questo concetto fu confortata dalle esperienze vietnamite, ove i cingolati M113 dovettero montare scudi di protezione per i mitraglieri. Mano a mano che tutti gli eserciti vi si adeguavano, a seconda delle loro possibilità, comparvero numerosissime versioni modificate, tra cui ricordiamo quella dell'OTO-Melara (Infantry Armored Fighting Vehicle, veicolo corazzato per il combattimento della fanteria, ufficialmente VCC-1). Parallelamente, anche in Italia, se ne studiavano di ruotati, più leggeri e veloci, pur se meno adatti alla marcia fuoristrada (Fiat-Iveco Puma, 4 × 4 o 6 × 6). La tendenza attuale è stata inaugurata dal cingolato sovietico BMP-1, del 1967, per 8 uomini, primo ad avere armamento doppio in torretta (cannone con mitragliatrice abbinata più rampa per missile guidato) con caratteristiche anfibie, ma piuttosto vulnerabile. L'Italia ha ora in produzione il modello VCC-80, di elevatissime prestazioni (peso 21 t, cannone da 25 con mitragliatrice abbinata e missile, mobilità pari al nuovo carro C1). In Gran Bretagna se ne è sviluppato un modello simile, oltre a una famiglia di veicoli leggeri che hanno soppiantato determinati tipi di autoblindo.
Autoblindo. − L'autoblindo già aveva avuto un enorme sviluppo nella seconda guerra mondiale, specie da parte angloamericana, in tutte le sue forme: dalle vetture scudate Dingo e Humber inglesi e Lince italiana alle mastodontiche T18 americana e Marmon Herrington MK 6 sudafricana, per passare attraverso le leggere a due assi (più due ruote di appoggio), come le SPA-Ansaldo italiane e l'analogo prototipo tedesco del 1943 con motore Tatra. L'armamento variava dal mitragliatore cal. 7,7 mm alla mitragliera 20 mm, ai cannoni (dai 37 ai 75 mm). In particolare avevano impressionato i modelli germanici a otto ruote, che potevano montare, in alternativa, un 20 mm, un 50 mm o un 75 mm (corto o lungo).
Gli sviluppi avevano così visto consolidarsi una impostazione tecnicamente diversa della macchina, anche allo scopo di adeguarla ai compiti, molto più impegnativi di quelli sino allora previsti (ricognizione), ora allargati alla presa di contatto, pur se nella esplorazione ravvicinata il combattimento è sempre il mezzo e non lo scopo.
Pertanto: alto numero di ruote motrici e direttrici, sospensioni indipendenti, sufficiente altezza dal suolo dello scafo, buona protezione, motore posteriore e armamento di torretta in grado di impegnare anche i carri armati avversari. Nel periodo in esame, a partire dal 1965, il mezzo blindato è tornato prepotentemente alla ribalta. A suo favore giocano la minore rumorosità, il minor affaticamento dell'equipaggio, un peso inferiore a quello di un carro tradizionale e soprattutto la minore vulnerabilità dei suoi organi di rotolamento. Infatti una o due ruote danneggiate non arrestano la marcia di un ruotato con più di due assi, mentre la semplice rottura del perno di un cingolo può immobilizzare un carro MBT, peraltro di gran lunga più costoso. Bastano poi assi molto ravvicinati per consentire una buona mobilità fuori strada; ulteriori vantaggi sono rappresentati dalla elevata velocità su rotabili e dalla possibilità di disporre della doppia guida, che permette il disimpegno in retromarcia in caso di necessità.
Naturalmente, in determinate circostanze si evidenziano i vantaggi del carro armato: migliori caratteristiche di galleggiabilità su terreni cedevoli (fango, sabbia, neve) e possibilità di disporre di maggiore protezione e di armamento più potente. Ciò in quanto il cingolo può meglio ripartire sul terreno il peso del veicolo e permettere il movimento in condizioni altrimenti proibitive.
Veicoli per ordine pubblico. − A parte gli adattamenti di circostanza (come nel caso delle AR 59/76 blindate, impiegate in Italia dalle Forze dell'Ordine), negli anni Settanta si sono manifestate due tendenze: la prima a favore di speciali automezzi protetti con carrozzeria in acciaio e vetri antiproiettili, veloci, maneggevoli e a prova di bottiglie incendiarie e di colpi di arma da fuoco: si basano su autotelai commerciali 4x2, assomigliano a piccoli autobus e sono dotati di feritoie e portello superiore per il lancio di artifizi. La seconda prevede invece normali veicoli autoprotetti 4x4, a cielo coperto, sempre provvisti di feritoie e portelli, come il modello VM 90 blindato, della IVECO. A queste due principali categorie possono aggiungersi mezzi assai elaborati, come l'inglese AMAC (Armored Mobile Anti-riot Control Unit, con attrezzature molto sofisticate), nonché quelli escogitati nell'Africa australe (Ingwe e Casspir, per es.), rustici ed efficientissimi veicoli, mezzi di derivazione commerciale ma realizzati con particolari accorgimenti atti a proteggere i trasportati dalle mine mediante scafi a V e molto sollevati da terra, dotati di buona protezione, elevata visibilità e facilità di accesso. Si ricordi che alcuni veicoli blindati adattati per l'ordine pubblico sono provvisti di lama di sbancamento per la rimozione di barricate.
Corazzati speciali. − I m.c. speciali sono quelli dotati di apparecchiature, congegni e attrezzature che permettono l'assolvimento di alcuni compiti particolari. Sono privi di armamento, a parte quello destinato all'autodifesa. Comprendono, essenzialmente: carri per il genio (con lama apripista, trivella, gru, verricello e scarificatore, come il carro pioniere Leopard dell'esercito italiano; in Germania è ora in distribuzione una seconda versione − Dachs, "tasso" − caratterizzata da un escavatore con braccio telescopico); carri recupero pesanti e leggeri, naturalmente dotati di gru e verricello, vomere e attrezzature per riparazioni, magazzino ricambi, ecc. (ne esistono anche modelli ruotati); carri gettaponte, atti al gittamento di un ponte, del tipo a scorrimento orizzontale (come il tipo d'assalto Biber, "castoro", anch'esso in dotazione all'esercito italiano). Altri ponti d'assalto sono quelli a travata. Il tipo a forbice (come l'M60 AVLB, statunitense), è considerato eccessivamente visibile. La lunghezza va dai 20 m in poi (fino a 40 m nel tipo sovietico TMM).
Altri carri speciali sono: carri sminatori (a frulli, ad aratro, a vipera, ecc.), per l'apertura di varchi nei campi minati, nonché veicoli analoghi per aprire lo schieramento di ostacoli minati; mezzi per assicurare l'azione di comando (carri comando, carri radio, carri con apparecchiature di sorveglianza del campo di battaglia); cacciacarri, espressamente studiati per combattere i carri avversari, come lo Jagdpanzer Kanone tedesco, del 1965, armato con un pezzo da 90/50 oggi sostituito da un lanciamissili TOW e ribattezzato Jaguar. Ne esistono diversi modelli, anche di costruzione italiana (OTO-Melara: VCC-1 con TOW del 1984 e l'OTO C.13 TUA); carri armati lanciafiamme (per es., M48, americano, e TO-55, sovietico), ecc. Vedi tav. f.t.
Bibl.: E. Gifuni, Ordinamento delle truppe corazzate nel nuovo E. I., in Rivista Militare, 6 (1947); L. Forlenza, Nuove e vecchie armi dell'Esercito Italiano, ibid. 8-9 (1948); Taschenbuch der Panzer (1954), - (1983), Monaco di Baviera, 1954 ss.; R. M. Ogorkiewicz, I corazzati, Roma 1964; Design and development of fighting vehicles, Londra 1968; N. Pignato, Atlante mondiale dei mezzi corazzati, vol. 4°, Parma 1974 (vol. 2°, ivi 1983); Id., Il blindato del futuro sarà ruotato o cingolato?, in Difesa Oggi, luglio 1987; Id., Dalla Brigata Corazzata alla ... Brigata Corazzata, in Rivista Italiana Difesa, 11 (1988); Stato Maggiore Esercito, Monteromano 1988; N. Pignato, I carri della quarta generazione, ibid., 6 (1989); Id., Dalla Libia al Libano, Taranto 1989; A. Donnari, Carri, Roma 1989; Janes's Armour & Artillery 1989/90, Coulsdon (Surrey) 1989; N. Pignato, Artiglieria, ieri, oggi e domani, in Difesa Oggi, 2 (1990). Le principali riviste militari italiane ed estere (Armor, International Defense Review, Soldat und Technik, ecc.) riportano frequentemente articoli sulla tecnica e l'impiego dei corazzati.