Papà, mi regali un drone?
Queste macchine volanti nate per scopi militari stanno conoscendo un boom imprevisto in ambito privato e commerciale: dotati di strumenti sempre più precisi e di alimentazione sempre più efficiente, diventeranno presto una nuova realtà della nostra vita quotidiana. Anche come giocattoli.
I droni commerciali non fanno paura come quelli militari. Sono generalmente più piccoli, non trasportano armi e non provocano direttamente vittime. In ogni caso, averne davanti uno, sospeso, sibilante, che ti guarda dritto mette davvero in soggezione. Negli ultimi 4 anni, le tecnologie legate ai sistemi APR (Aeromobile a pilotaggio remoto) hanno conosciuto uno sviluppo senza precedenti. Tutto merito della crescita nell’ambito della sensoristica, che ha permesso di installare nei veivoli ‘occhi’ sempre più precisi e strumenti per la stabilizzazione in volo. La maggior potenza di trasmissione dati delle reti di telecomunicazione mobili ha infine aggiunto il tassello che mancava per l’introduzione sul mercato di prototipi funzionanti. Il limite resta quello legato al sistema di alimentazione, e nei laboratori si sta cercando il giusto compromesso tra dimensioni e peso della batteria ed efficienza energetica. A ogni modo queste macchine volanti nate in ambito militare stanno indossando abiti civili in svariati settori commerciali. Quelli destinati a usi professionali di solito sono droni del costo di circa 5000 euro, pesanti da 3 a 10 kg e dotati di GPS e videocamera in HD. In Europa sono nate moltissime aziende, fra cui la francese Parrot, che è sinonimo di drone per il mercato consumer: è lei che ha portato in Italia l’AR drone, un quadricottero di plastica e metallo che si comanda con lo smartphone. Anche nel nostro paese assistiamo a un passaggio di consegne dal settore aeronautico, ma senza dubbio la patria del drone è l’America. Là si registra un vero e proprio boom di startup. Il primo in ordine di tempo a cedere al fascino del drone è stato Chris Anderson, il carismatico direttore di Wired che nel 2009 ha deciso di lasciare la rivista per dedicarsi a tempo pieno alla sua 3D Robotics. La corsa per addomesticare i droni alla vita quotidiana sta generando parecchia attenzione e non solo nei media: PricewaterhouseCoopers e l’associazione americana di venture capital ha calcolato che l’anno scorso gli investitori professionali hanno raddoppiato le operazioni di finanziamento nei primi mesi dell’anno (40 milioni di dollari).
Anche in Italia qualche startupper ha fiutato il business: AeroDron, per esempio, è ‘accelerata’ in b-ventures e offre servizi professionali di riprese aeree a bassa quota e ad alta precisione per attività di analisi, tutela, prevenzione e salvaguardia del territorio. Tuttavia è bene tenere conto delle proporzioni. Quello dei cosiddetti Unmanned aerial vehicles (UAV) civili resta un mercato marginale: Business intelligence ha calcolato che tra una decina di anni i droni civili raggiungeranno il 12% di un mercato miliardario destinato a generare nei prossimi 3 anni 70.000 nuovi posti di lavoro negli Stati Uniti (i dati sono forniti dall’Association for unmanned vehicle systems internal). Eppure, per quanto residuale (rispetto a quello militare), i droni ‘buoni’ stanno già creando infiniti grattacapi non solo su un piano logistico e di traffico aereo – nei nostri cieli volano poco meno di 500 droni a cui sono affidati, per esempio, compiti di sorveglianza e monitoraggio in ambito civile e militare – ma anche e soprattutto sul fronte della privacy. In Italia siamo partiti prima di tutti a dettare le regole (creando subito non poca confusione): dal 30 aprile 2014, infatti, l’Italia è tra le prime nazioni ad avere un Regolamento sui mezzi aerei a pilotaggio remoto che cerca di fare ordine. La prima distinzione fatta dall’ENAC (Ente nazionale aviazione civile), autore del testo, è tra i radiomodelli e i SAPR, i Sistemi aeromobili a pilotaggio remoto, vale a dire i droni veri e propri: i primi, usati solo per scopi ricreativi e sportivi, possono essere usati liberamente, come accadeva prima, mentre i secondi solo in caso di «operazioni specializzate». Non è quindi la macchina a fare la differenza ma l’uso che se ne fa, se per gioco o per lavoro. A giugno, invece, l’amministrazione federale dell’aviazione civile degli USA ha concesso la prima licenza per l’uso commerciale di un velivolo senza pilota nel paese. Nei prossimi anni gli enti regolatori si sono ripromessi di mettere a punto una normativa comune, ma nel frattempo c’è anche chi sta ragionando su usi spericolati e visionari dei droni: Amazon starebbe sperimentando l’utilizzo di una flotta di quadricotteri guidati a distanza per il trasporto di confezioni di dimensioni ridotte (un video lo testimonia, ma per ora sembra un progetto destinato restare dentro i laboratori) e Mark Zuckerberg quando ha annunciato di voler connettere a Internet tutto il globo (il fantomatico progetto internet.org da 2 miliardi di dollari) ha anche rivelato che per sconfiggere il digital divide è al lavoro su un particolare tipo di drone alimentato a energia solare.
Amazon prime air
Jeff Bezos ha dichiarato che Amazon, l’azienda di commercio on-line da lui fondata, sta sperimentando un rivoluzionario sistema di spedizione della merce chiamato Amazon prime air e basato sull’uso di droni elettrici a 8 rotori chiamati Octocopter. Se le leggi federali statunitensi lo consentiranno, potrebbe iniziare il suo servizio entro i prossimi 4 o 5 anni. I droni trasporteranno i pacchi in piccole scatole consegnate davanti alla casa del cliente per mezzo della localizzazione tramite GPS. I velivoli consegneranno merce di peso non superiore a 2,5 kg, statisticamente l’86% degli acquisti effettuati per Amazon dai propri clienti. L’uso di questa tecnologia permetterà di consegnare il prodotto in un raggio di 15 km dal magazzino entro soli 30 minuti dalla ricezione dell’ordine. In più sarebbe anche molto più ecologico in termini di emissioni inquinanti.
«La connettività è un diritto dell’uomo»
Mark Zuckerberg, fondatore e amministratore delegato di Facebook, porta avanti l’organizzazione Internet.org, l’ambizioso obiettivo di garantire a tutto il globo la piena connettività a Internet, attraverso l’impegno collaborativo del social network e 6 grandi aziende di telefonia (Samsung, Ericsson, Nokia, MediaTek, Opera Software, Qualcomm). Il progetto, lanciato nel 2013, è accompagnato dal motto di Zuckerberg che è: «La connettività è un diritto dell’uomo», e in questa visione globale rientra anche la recente acquisizione da parte di Facebook di WhatsApp. Spina dorsale di questo avveniristico sistema di connettività a elevata velocità di trasmissione dei dati sono droni alimentati a energia solare, che garantirebbero la copertura a terra del segnale volando a una quota di circa 20 km agganciati a una rete di satelliti.