Micene e le altre citta degli Achei
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La riscoperta di Micene ad opera di Heinrich Schliemann ha riportato alla luce una delle più fiorenti civiltà del Tardo Bronzo, la cui memoria si era conservata solo nell’epos omerico. Preceduta da una lunga fase di preparazione all’ombra della potenza minoica, di cui le tombe a circolo di Micene sono testimonianza, tra la fine del XV e gli inizi del XIV secolo a.C. la Grecia continentale conosce l’esplosione di una cultura artistica originale, legata al sistema amministrativo centralizzato e alle funzioni cerimoniali che hanno luogo nelle cittadelle fortificate, nonché alla celebrazione dei defunti di rango mediante un repertorio di temi che attesta l’esistenza di un’ideologia eroica.
“La posizione di Micene è così ben descritta da Omero: ‘in Argo nutrice di cavalli’ perché essa sorge all’estremità settentrionale della piana di Argo, racchiusa tra le due imponenti cime del monte Euoea, da cui controllava la parte superiore della grande pianura e un importante valico. […] L’acropoli è circondata da mura ciclopiche, alte dai 13 ai 35 piedi e di uno spessore medio di 16 piedi; il loro circuito esiste ancora, ma dovettero essere chiaramente molto più alte”. Con queste parole Heinrich Schliemann, in occasione del suo primo viaggio in Argolide nel 1868, descrive il colpo d’occhio sulle possenti fortificazioni che dominano un’altura a nord-ovest della pianura argiva. Guidato dalla fede nei testi di Omero e di Pausania – autore di una guida ai luoghi memorabili della Grecia classica redatta nel II secolo –, Schliemann identifica le rovine con Micene, la “città saldamente costruita”, capitale del regno di Agamennone.
Qualche anno dopo la scoperta di Troia, nel 1876 Schliemann torna a Micene con il proposito di riportare alla luce le tombe dei principi achei immortalati da Omero.
A circa un centinaio di metri dalla Porta dei Leoni, sulla terrazza sottostante, rinviene un complesso di tombe a fossa entro un recinto circolare in muratura che viene oggi denominato Circolo funerario A. Le tombe ospitano inumazioni di guerrieri e, in una delle più grandi, una donna sepolta con due bambini. I corredi restituiscono un vero tesoro di vasi e ornamenti in metallo prezioso, tra cui la celebre maschera funeraria in oro massiccio ribattezzata subito Maschera di Agamennone. Schliemann ritiene infatti che le deposizioni siano tutte tra loro coeve e riferibili ad un unico, violento evento che egli identifica, Omero e Pausania alla mano, con l’eccidio di Agamennone e del suo seguito per mano di Egisto.
Oggi sappiamo che quelle tombe precedono di circa 300 anni l’affermazione del sistema palatino a cui è legato il mito di Agamennone; tuttavia proprio la loro pubblicazione ha consentito la riscoperta di una delle più fiorenti civiltà del Bronzo Finale sorte nel Mediterraneo, che proprio da Schliemann ha ricevuto il nome di micenea.
Nella tradizione di studi successiva è invalsa la consuetudine di suddividere l’età del Bronzo della Grecia continentale nelle tre grandi fasi individuate da Arthur Evans per la civiltà minoica: il periodo, che complessivamente viene definito Elladico per distinguerlo dall’età del Bronzo insulare, si articola dunque in Antico Elladico, Medio Elladico e Tardo Elladico. Quest’ultima fase, che corrisponde all’ascesa e al declino della civiltà palaziale, viene ulteriormente suddivisa in periodi (I, II, III con i sottoperiodi A, B, C) sulla base dell’evoluzione degli stili ceramici e delle fasi edilizie dei palazzi. Questa periodizzazione è stata poi tradotta in termini di cronologia assoluta grazie alla presenza di manufatti micenei nei contesti datati dell’Egitto e del Vicino Oriente.
L’affermazione della civiltà micenea viene preparata, secondo le attuali ricostruzioni, da un lungo periodo di transizione (dal Medio al Tardo Elladico II: XVIII-XV sec. a.C.) durante il quale nascono abitati fortificati ed emergono forme di differenziazione sociale basate sull’accumulo di ricchezze. La testimonianza più vistosa di questa trasformazione sono i complessi funerari delle tombe a fossa in cui le modalità di deposizione rivelano l’enfatizzazione dei legami familiari, mentre la ricchezza del corredo sottolinea un prestigio sociale legato alle funzioni militari (in particolare all’uso del carro da guerra), ma anche alla capacità di gestire scambi commerciali a lungo raggio, legati al traffico di risorse preziose come l’oro e l’avorio.
Gli esempi più monumentali di tombe a fossa provengono dai circoli funerari di Micene. Il più antico, il cosiddetto Circolo B, al di fuori della cinta muraria occidentale, risulta in uso tra il 1650 e il 1550 a.C. Esso comprende 26 tombe racchiuse all’interno di un recinto murario, alcune delle quali multiple e corrispondenti a gruppi familiari. I corredi sono caratterizzati da una ricchezza crescente: accanto ai vasi di fabbrica locale compaiono quelli di importazione che rivelano influenze minoiche, nonché manufatti in argento e oro tra cui diademi e un primo esemplare di maschera funeraria.
Intorno alla metà del XVI secolo a.C. si datano le prime deposizioni del Circolo A, in uso fino al 1400 a.C. ca. Le tombe hanno dimensioni maggiori rispetto a quelle del sepolcreto più antico e le deposizioni appaiono più ricche e articolate: nei corredi maschili compaiono intere panoplie comprendenti finimenti da cavallo e armi da parata, tra cui spiccano i pugnali decorati ad agemina (ovvero con intarsi di metallo di vario colore ribattuti su incassi appositamente realizzati sulla lama) con scene ispirate al mondo della natura, di probabile influenza minoica.
Le tombe più recenti ospitano un’impressionante quantità di oggetti preziosi, selezionati per assolvere ad una precisa funzione simbolica: è il caso della celebre maschera d’oro che copriva il volto del capo militare della tomba V, il cosiddetto Agamennone, e del “sudario” d’oro che avvolgeva il bambino deposto nella tomba III, una pratica che lascia presupporre l’esistenza di credenze di tipo escatologico. La ricchezza delle tombe del Circolo A e il fatto che esse, in un momento successivo, siano state volutamente incluse all’interno delle fortificazioni dell’acropoli, avvalora l’ipotesi che gli individui in esse sepolti costituiscano i membri di un ristretto gruppo di potere che, in seguito, gli stessi signori di Micene considereranno i fondatori del sistema palatino.
Tra la fine del XV secolo a.C. e gli inizi del successivo si realizza il salto di qualità della civiltà micenea: a dimostrarlo è la stessa produzione artigianale, che si emancipa progressivamente dalla dipendenza dai modelli della vicina Creta per elaborare un proprio linguaggio che comincia ad essere esportato in tutto l’Egeo e oltre. Esemplari ancora sporadici di ceramica micenea giungono infatti, già in questa fase, fino alle coste della penisola anatolica e dell’Italia.
Da un punto di vista politico si assiste alla nascita di vere e proprie compagini statali su scala regionale, il cui centro direzionale sono i palazzi che nascono e si espandono nel corso del XIV secolo a.C., segno dell’affermazione di un’autorità stabile e centralizzata sui piccoli potentati locali: oltre a Micene e a Tirinto in Argolide, sono noti i regni di Pilo in Messenia – che la tradizione collega al mitico Nestore –, di Tebe in Beozia e di Atene in Attica. L’area di estensione della civiltà micenea abbraccia ora buona parte della penisola greca fino alla Tessaglia e include le Cicladi, complice il crollo della potenza minoica; benché oggi si preferisca pensare all’esistenza di regni micenei indipendenti anziché ad un’unica compagine politica con a capo un centro dominante (come lascerebbe supporre il ruolo leader che, nell’epica, riveste Agamennone all’interno del contingente acheo) è innegabile l’omogeneità culturale e artistica dei vari centri, in particolare nell’organizzazione delle strutture palaziali.
Tutti i palazzi fin qui indagati, infatti, rispondono ad un modello comune che si basa su una serie di apprestamenti architettonici ricorrenti, con l’avvertenza che la nostra conoscenza delle cittadelle micenee è spesso limitata alla loro ultima fase di vita (TE IIIB2 – TE IIIC: XIII-XII sec. a.C.) che ha obliterato le precedenti.
Il nucleo centrale della residenza regale è il megaron, un’unità architettonica composta da una sequenza assiale di ambienti (portichetto, vestibolo e grande sala rettangolare con focolare centrale) attestata nella Grecia continentale già dalla media età del Bronzo, quando appare ideologicamente connotata come residenza del capo. Cuore del megaron è la sala del focolare, provvista a Pilo, Micene e Tirinto di un trono ligneo poggiante su uno zoccolo in muratura addossato al centro della parete destra.
La struttura palaziale meglio conservata e più accuratamente documentata è quella di Pilo, grazie agli scavi diretti da Carl Blegen nella prima metà del Novecento. Qui una lunga sequenza di ambienti conduce alla sala del trono mediante un percorso obbligato che sembra riferibile ad un preciso cerimoniale. Immaginiamo un ospite di riguardo che, oltrepassato il doppio propileo a sud, dopo aver superato una serie di vani che ospitano il corpo di guardia, si trovi nel cortile porticato. A questo punto, attraversato un sistema portichetto-vestibolo, fa il suo ingresso nella sala del trono; qui la sua attenzione verrà attratta dal grande focolare circolare che occupa il centro della sala, circondato da colonne di legno stuccate e dipinte. Volgendosi a destra, il nostro ideale visitatore si troverà al cospetto del sovrano seduto in trono.
L’impressione dell’insieme doveva essere accresciuta dalle fastose decorazioni dei pavimenti e delle pareti, di cui a noi sono giunti purtroppo solo alcuni frustuli. A Pilo già nel vestibolo il visitatore era accolto da un affresco raffigurante un enorme toro al centro di un corteo di dignitari e inservienti che trasportano il necessario per una cerimonia. Nella sala centrale, la parete alle spalle del trono era decorata da una complessa megalografia: la ricomposizione dei frammenti consente di ricostruire al centro una figura eminente, probabilmente il sovrano stesso, seduto su una roccia e intento a suonare la lira; intorno si svolge un banchetto cerimoniale: coppie di uomini seduti su scranni attorno a tavolini a tre piedi sollevano coppe da vino, mentre su una mensa è apparecchiata la carcassa di un toro. Completavano la decorazione delle pareti alcune figure di animali araldici, grifi e leoni.
La documentazione archeologica, sia pur frammentaria, consente un suggestivo accostamento alla descrizione del palazzo di Pilo tramandataci da Omero, quando Telemaco si reca in visita presso Nestore in cerca di notizie del proprio padre (Odissea III, vv. 31 ss., trad. R. Calzecchi Onesti): “Giunsero all’adunananza e alle sedi dei Pilii, là dove Nestore sedeva con i figli, e intorno i compagni, preparando il banchetto, pezzi di carne arrostivano, altri infilzavano. Come videro gli ospiti, in folla mossero incontro e li salutavano, li invitavano a sedere. Per primo Pisistrato, il figlio di Nestore, accorso prese entrambi per mano, li fece sedere al banchetto su morbide pelli di pecora […] e fece loro parte dei visceri e il vino versava in coppa d’oro; e si volse a offrirla a Pallade Atena, la figlia di Zeus egioco […]”.
La decorazione della sala del trono di Pilo sembra dunque rispondere ad un preciso programma, idoneo alle molteplici funzioni del palazzo: centro di emanazione del potere politico, luogo deputato all’accoglienza degli ospiti, fulcro delle cerimonie religiose della cui correttezza il sovrano è garante.
Alle operazioni cerimoniali si assommano, nel palazzo, quelle economiche: a Pilo la sala del trono è infatti attorniata da una sequenza di ambienti con funzioni utilitarie, da cui è separata solo da uno stretto corridoio. I numerosi frammenti di vasi e i grossi pithoi rinvenuti in alcuni di essi rivelano che si tratta delle dispense, mentre due piccoli ambienti prossimi all’ingresso hanno restituito una grande quantità di tavolette iscritte in lineare B che costituivano l’archivio di palazzo. Un edificio separato dal complesso principale, sul lato nord-est, ha restituito tracce di attività metallurgiche: si tratta verosimilmente dell’officina dei fabbri che producevano armi e utensili in metallo sotto la supervisione dell’autorità centrale.
Il palazzo occupa una posizione eminente all’interno della cittadella fortificata, la quale ospita le residenze dei funzionari e gli edifici cultuali; ai piedi dell’acropoli si sviluppa la città bassa. A Micene, la cinta muraria viene ampliata e ristrutturata intorno alla metà del XIII secolo a.C. per includere le antiche tombe del Circolo A; in questa occasione viene messa in posa, in corrispondenza dell’accesso da ovest, la monumentale Porta dei Leoni. Essa prende il nome dal rilievo che decora il triangolo di scarico, raffigurante due leoni oggi acefali che poggiano le zampe anteriori su due altari, al di sopra dei quali si innalza una colonna con cornicione. Il rilievo, che non ha confronti in Grecia e per il quale si è supposta un’influenza ittita, è stato interpretato come rappresentazione simbolica del potere regale attraverso gli animali profilattici posti a guardia del palazzo, di cui la colonna sarebbe una rappresentazione sintetica.
Fuori dalla cinta muraria, lungo i principali assi viari di accesso alla cittadella, si dispongono le sepolture, tra cui spiccano le monumentali tholoi. Esse si compongono di tre elementi strutturali: il dromos, il lungo corridoio fiancheggiato da due muri di contenimento costruiti in grossi blocchi di pietra, che dà accesso, attraverso uno stretto vano di raccordo, alla camera funeraria vera e propria. Quest’ultima, a pianta circolare, è costituita da filari di blocchi di calcare progressivamente sporgenti l’uno sull’altro in modo da costituire una pseudo cupola di forma ogivale, successivamente ricoperta all’esterno da un tumulo di terra. Si tratta di tombe di famiglia, periodicamente riaperte per deporvi i nuovi defunti e il loro corredo.
Il complesso più numeroso di tombe a tholos è quello identificato nei pressi di Micene: sfortunatamente esse furono depredate già in antico, cosicché nulla sappiamo dei loro occupanti (i nomi di Tholos di Egisto o di Clitennestra e di Tesoro di Atreo con cui vengono convenzionalmente indicate costituiscono un suggestivo quanto infondato richiamo alla storia mitica della città). Le impressionanti proporzioni con cui oggi la tholos detta di Atreo accoglie il visitatore conservano appena uno sbiadito ricordo del suo splendore originario: una ricomposizione ideale dei frammenti dispersi o perduti della sua decorazione consente di ricostruire un prospetto decorato da semicolonne in marmi colorati e da lastre a rilievo, due delle quali (oggi al British Museum) raffigurano tori cozzanti di matrice minoica; la volta (alta più di 13 m per un diametro massimo di circa 15 m) era ornata da rosette in bronzo applicate. L’elevato impegno tecnico di queste costruzioni, che presuppongono un largo impiego di manodopera, lascia supporre che fossero destinate a personaggi d’eccezione, probabilmente ai membri della famiglia regnante o ai più alti dignitari.
Salvo poche eccezioni, in tutte le sepolture micenee i defunti vengono inumati e i cadaveri deposti sulla nuda terra o in un sarcofago ligneo. Un complesso di documenti consente però di far luce su alcuni aspetti dell’ideologia della morte in età micenea: si tratta di un gruppo di sarcofagi in terracotta (larnakes) prodotti a Tanagra, in Beozia, nel XIII secolo a.C., nella fase finale del periodo dei palazzi. Le casse recano una decorazione figurata che mette in scena vari momenti del rituale funerario secondo schemi che ritorneranno, pressoché inalterati, nell’arte di età geometrica (IX-VIII sec. a.C.): protagoniste sono le donne, rappresentate nell’atto di esprimere il compianto mediante una forma ritualizzata e schematizzata di automutilazione o in piedi accanto al letto funebre su cui giace il defunto nelle scene di prothesis. Scene di duelli e di caccia, tra cui anche una tauromachia, potrebbero intendersi come rappresentazioni realistiche di giochi funebri o, come è stato suggerito, potrebbero fornire l’indizio dell’esistenza di un linguaggio simbolico che innalzi il defunto in una sfera eroica.
Tra la fine del XIV e gli inizi del XIII secolo a.C. i signori di Micene e Tirinto mettono in atto un notevole sforzo economico e organizzativo per dotare le cittadelle di nuovi sistemi difensivi e di riserve idriche supplementari, indizio di un clima di insicurezza. Di lì a qualche decennio, intorno al 1200 a.C., una serie di eventi distruttivi colpisce a più riprese i palazzi micenei, causando il crollo delle strutture fortificate. La devastazione è tale da indurre ad escludere che essa sia imputabile ad un unico evento: bisogna piuttosto pensare ad un concorso di fattori, senza rifiutare in toto le interpretazioni tradizionali che fanno risalire la caduta dei palazzi ora a eventi sismici, ora ad invasioni di popoli stranieri o a conflitti interni legati all’ascesa di nuovi gruppi dominanti.
La visione tradizionale che interpretava il crollo dei palazzi come una frattura netta a cui sarebbe seguito un periodo di crisi e di regresso va oggi sfumata alla luce delle più recenti indagini e della rilettura dei dati dei vecchi scavi: se i grandi palazzi appaiono in rovina o parzialmente riutilizzati per scopi utilitari, alcuni abitati, soprattutto nelle aree interne e periferiche, presentano una continuità di vita e nella produzione artigianale che presuppone l’esistenza di un’élite con funzioni di coordinamento politico. Il Cratere dei Guerrieri (seconda metà del XII sec. a.C.) decorato con una doppia teoria di soldati armati di scudo circolare, rinvenuto da Schliemann tra le rovine di una casa di Micene, testimonia infatti l’esistenza di una classe di individui che si riconoscono in un’ideologia guerresca e nella prassi conviviale.
Una nuova ondata di distruzioni alla fine del XII secolo a.C. mette fine alla continuità di vita dei siti micenei, inaugurando una fase di generale declino e impoverimento della cultura materiale. L’assetto sociale e la fisionomia culturale che ne emergerà alle soglie dell’età del Ferro appartengono di fatto alla storia greca.