PACHER, Michael
PACHER, Michael. – Nacque presumibilmente a Brunico/Bruneck intorno al 1435.
Non esiste documentazione su luogo e data di nascita; si sa però da numerosi documenti (un regesto recente in M. P. e la sua cerchia, 1998, pp. 307-314) che visse a Brunico, ove tuttora nel corso principale è la casa in cui abitò.
La data di nascita si deduce dalla prima opera conosciuta, il tondo affrescato con il Busto di un angelo in preghiera (Brunico, Museo civico) già chiave di volta della chiesa di S. Nicola a Issengo/Issing (Val Pusteria). Il piccolo dipinto venne commesso a «maister Michel maler», come risulta da un libro di conti (Gruber, 1974) che inizia dal novembre 1459, ove questo tondo è menzionato per secondo. La denominazione di «Maister» parla di un artista già accreditato nella professione. «Maler», come poi sempre, non significa solo pittore, ma anche maestro di policromie, quindi intagliatore. Stilisticamente l’angioletto mostra continuità con la tradizione locale tardogotica di Leonardo da Bressanone, che è stato diffusamente ipotizzato maestro di Pacher (per es. in Madersbacher, 1998). Già lo caratterizza però una quotidiana naturalezza che sarà cifra riconoscibile nelle sue opere giovanili.
Successivo di qualche anno è l’altare ad ante di S. Lorenzo nell’omonima chiesa di San Lorenzo di Pusteria/Sankt Lorenzen im Pustertal presso Brunico. Il complesso era ritenuto tarda opera di bottega fin quando venne rinvenuto (Huter, 1946) un documento del 1507 secondo il quale un sarto aveva destinato una somma per l’altare commissionato a Pacher 44 o 45 anni prima: dunque, nel 1462-63. Oltre alla Madonna col Bambino tuttora in loco, sopravvivono le figure di un S. Michele, oggi nel Bayerisches Nationalmuseum di Monaco, e di un S. Lorenzo, oggi nei depositi del Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum di Innsbruck (tutte poco meno del vero).
L’appartenenza di queste due statue è stata ripetutamente contestata, soprattutto del S. Lorenzo, presentato alla mostra di Novacella/Neustift (1998) come «cerchia di Pacher attorno al 1460» (M. P.e la sua cerchia, 1998, p. 219). Tale definizione è un controsenso, poiché in quell’epoca così precoce non esisteva ancora una ‘cerchia’ dell’artista, che compiva allora le primissime prove. Si deve invece riconoscere nel S. Lorenzo (purtroppo in pessimo stato conservativo), la cui presenza nell’altare era ovviamente imprescindibile, un’opera fondamentale nel percorso di Pacher; ispirato visibilmente al S. Daniele dell’altare del Santo di Padova, esso testimonia del suo viaggio a Padova e della sua attenzione per la plastica donatelliana. Già Panofsky (1927 [1961]) aveva definito l’artista «mezzo italiano» («halb-italienisch»). È stato supposto (Bonsanti, 1974) che potessero appartenere all’altare quattro angeli intagliati a rilievo nell’Österreichische Galerie Belvedere di Vienna (invv. 4994-4997), in atto di sorreggere un drappo e in origine dunque sul fondo di uno scrigno d’altare, che appaiono, pur nella conservazione sofferta, rispondenti allo stile sperimentale dell’attività giovanile di Pacher. Sopravvivono sette degli otto dipinti delle ante: tre Storie della Vergine (uno a Schloss Rychnov, Repubblica Ceca, due a Monaco, Alte Pinakothek) e quattro Storie di s. Lorenzo (due ugualmente a Monaco, due a Vienna, Österreichische Galerie Belvedere). L’ipotesi di Bonsanti (1969), che riconosceva all’altare di S. Lorenzo la Nascita della Vergine di Rychnov, in occasione della mostra a Novacella (1998) esposta ancora come opera del Maestro di Uttenheim sul 1470-80 (Madersbacher, 1998), è stata confermata dai rilievi tecnici eseguiti in occasione della mostra stessa. Il retro combacia difatti con quello del Commiato di s. Lorenzo dal papa oggi a Vienna, trattandosi all’origine di una stessa tavola poi resecata nello spessore. Appartenevano infine all’altare di S. Lorenzo, quali tavole dipinte della predella, i quattro santi (Pietro, Paolo: Vienna, Österreichische Galerie Belvedere; Caterina: Innsbruck, Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum; Barbara: New York, coll. priv.) riconosciuti al complesso da Bonsanti (1974).
Agli anni Sessanta appartengono altresì la tavola assai danneggiata con un Martirio di s. Caterina del Museo diocesano di Bressanone/Brixen, riconosciuta recentemente a Pacher (Bonsanti, 2012), e presumibilmente le due tavolette di Graz (Landesmuseum Joanneum) recanti su una faccia il Martirio e le Esequie di s. Tommaso Beckett, e sull’altra i simboli degli evangelisti Marco e Luca. Assai prossima alla Madonna dell’altare di S. Lorenzo, di cui costituisce quasi una versione ridotta, è la figura intagliata di una Madonna seduta con un grappolo d’uva nel Museo diocesano di Bressanone, non accettabile come ‘cerchia’ di Pacher nel settimo decennio (così inM. P. e la sua cerchia, 1998, p. 221) per le ragioni sopra addotte a proposito del S. Lorenzo di Innsbruck, e dunque raro autografo giovanile pacheriano (Rosenauer, in M. P. und sein Kreis, 1999, p. n.n.; più decisamente Bonsanti, 2012). L’elencazione delle opere della prima attività pacheriana termina con la Madonna col Bambino affrescata nel tondo chiave di volta della cappella Welspergdi Tesido/Taisten, databile documentariamente fra 1470 e 1472 (Weingartner, 1948), da confermare quale amabile autografo del pittore. Inaccettabile riferirla, supponendola della stessa mano, a un Claus documentato autore di una Madonna affrescata all’esterno del duomo di Bolzano (Madersbacher, 1993), che non è comunque necessariamente identificabile con la cosiddetta ‘Madonna Plapper’ ivi esistente, indubbiamente pacheriana ma purtroppo quasi illeggibile.
Il riconoscimento dell’altare di S. Lorenzo come opera giovanile ha offerto un caposaldo imprescindibile per comprendere la formazione dell’artista. Per la componente della scultura, sul ceppo originario sudtirolese agisce potentemente la plastica di Hans Multscher, il grande artista svevo (Ulm) che nel 1458 aveva dotato la parrocchiale di Vipiteno/Sterzing dell’altare ad ante più imponente e stilisticamente avanzato di tutti i territori tedeschi (oggi smontato; le figure intagliate e i dipinti, divisi fra la chiesa e l’adiacente Museo civico). Una S. Caterina nell’Ulmer Museum, acquistata sul mercato, è copia fedele in forma ridotta (caso assai raro) dell’analoga santa grande al vero nell’altare di Vipiteno, e potrebbe essere una primizia di Pacher nell’intaglio (Bonsanti, 2012). La Madonna di S. Lorenzo e il S. Michele di Monaco, di qualità straordinaria, denotano l’opzione di Pacher per un realismo attento, di quotidiana umanità, diverso dalla rigidezza convenzionale di tanto tardogotico tedesco; indubbiamente ha esercitato un influsso determinante la nobile plastica multscheriana, comunque più astratta. L’osservazione di Donatello riscontrata nel S. Lorenzo di Inns- bruck è confermata dai simboli dei due Evangelisti nelle tavolette di Graz, ispirati anch’essi agli analoghi rilievi bronzei dell’altare del Santo a Padova. Ma sono soprattutto i dipinti delle sette tavole, pur con dettagli morfologici che derivano anch’essi da Multscher, a mostrare con evidenza la presa di conoscenza dell’arte rinascimentale dell’Alta Italia, in primo luogo nel centro privilegiato di Padova. La critica ha ben presto riconosciuto l’impossibilità di spiegare lo stile delle pitture pacheriane senza la fondamentale componente italiana, già presente dunque nelle opere del settimo decennio. Si è ipotizzata l’azione delle perdute pitture padovane di Filippo Lippi, ma soprattutto (per esempio Salvini 1935 e 1937) di Mantegna, anche se sarebbe più esatto parlare di cultura degli Eremitani (Su Padova, Puppi 1981). Rosenauer (1997, 1998 passim) ha ampliato il raggio delle possibili esperienze a Ferrara e Firenze, anche se rimane assai ipotetico che Pacher le abbia conosciute direttamente. Dagli Eremitani derivano l’opzione, che Pacher mantenne anche in seguito, per gli arditi scorci di sotto in su, e una conoscenza studiata e meditata (del tutto insolita in ambito tedesco a quest’epoca) della prospettiva rinascimentale italiana, basata sul punto di fuga, la linea d’orizzonte, le rette convergenti, anche se non senza qualche approssimazione. Italiani risultano poi i colori già veneti, l’interesse per i diversi piani di svolgimento dell’azione e la sua scalatura nella profondità, l’attenzione curiosa ai paesaggi, l’eloquenza dimostrativa dei gesti e la concentrazione sull’azione delle figure principali. Già qui si coglie la peculiarità assoluta di Pacher nell’attingere alle culture sia del Nord sia del Sud, creando una sintesi originalissima e realizzando, nella piccola cittadina della sua Pusteria, un concentrato d’Europa.
Un problema lungamente discusso è il rapporto fra Pacher e il Maestro di Uttenheim (in Valle Aurina/Ahrntal), pittore che gli si dimostra costantemente prossimo. Studiosi austriaci (a partire da Pächt 1929, 1931, e ultimamente Madersbacher, 1998 e 2007) hanno sostenuto la priorità e l’influsso dell’anonimo maestrosu Pacher, per ragioni stilistiche e in un caso dendrocronologiche (ricerca tecnica, comunque, tutta da confermare); nella sua opera sono state identificate però precise ripetizioni di figure pacheriane (ultimamente Bonsanti, 2012) e non sembra possibile capovolgere il rapporto dare-avere fra l’artista maggiore e il minore.
L’anno 1471 fu determinante. Il 27 maggio Pacher ricevette l’incarico dell’altare maggiore della chiesa di Gries (oggi periferia di Bolzano); il 13 dicembre di quello di St. Wolfgang nella parrocchiale di Sankt Wolfgang im Salzkammergut sulle rive del Wolfgangsee; evidentemente l’altare di S. Lorenzo lo aveva segnalato oltre i confini. Probabilmente terminò il primo entro i quattro anni previsti, se il secondo, oltre alla firma «per magistrum Michaelem pacher de Prawneck», reca la data 1481. Il contratto per Gries, perduto post 1894, è però conosciuto in trascrizioni (Rasmo, 1969). Enumerava dettagliatamente le figure da eseguire; Pacher doveva conformarsi all’altare della parrocchiale di Bolzano, commissionato nel 1421 a Hans von Judenburg. Sopravvivono a Gries soltanto lo scrigno, contenente a figura intera l’Incoronazione della Vergine con Gesù e l’Eterno, i ss. Michele e Erasmo, e sei angioletti; inoltre la Madonna col Bambino dall’alzata, e due rilievi a intaglio delle ante (Annunciazione, Adorazione dei magi). Gli angeli dipinti sul fondo sono estranei a Pacher.
Pur nell’attuale incompletezza, l’altare di Gries mostra un riconoscibile ampliamento di esperienze. Difficilmente precisabile nei dettagli, ma assai probabile, la conoscenza con la grande plastica tedesca ed europea a integrare quella italiana; a Multscher e alla Svevia (ove per es. Egg, 1970, presuppone un viaggio nella seconda metà degli anni Sessanta) si aggiunge verosimilmente il contatto con Niclas Gerhaert di Leida che nel suo viaggio trionfale in orizzontale attraverso l’Europa aveva lasciato a Costanza il coro a intaglio del duomo e, a Nördlingen, il gruppo della Crocifissione che gli viene oggi unanimemente riconosciuto. Si può pensare quindi a un viaggio di Pacher in Baviera, in Svevia e nel Bodenseegebiet, forse fino a Strasburgo (Schädler, 1998); anche se non si può escludere che queste esperienze fossero avvenute già nel periodo più propriamente formativo, esse sembrano meglio ipotizzabili dopo l’altare di S. Lorenzo.
A Gries, il gruppo centrale dell’Incoronazione della Vergine, ordinato ma schematico e disposto sostanzialmente parallelo al piano, non mostra ancora la monumentalità di St. Wolfgang, ma testimonia comunque la facilità con cui l’artista già colloca ordinatamente le figure entro la scatola dello scrigno. Il S. Erasmo è fortemente caratterizzato in senso realistico, anticipando il noto S. Benedetto di St. Wolfgang; mentre i due rilievi sono d’impronta tardogotica più dichiaratamente tedesca.
L’altare maggiore della parrocchiale di St. Wolfgang, scenograficamente adagiata sulle rive del lago salisburghese, è invece ancora straordinariamente completo nella struttura, anche se le policromie sono state in massima parte rinnovate in epoca barocca (sulle questioni tecniche e conservative, i begli studi di Koller - Wibiral,1981; Koller, 1998, 1999). L’impressione è di un’opera eccezionalmente integra, tuttora in grado di trasmettere energicamente una potente identità. Alto più di undici metri e largo sei e mezzo, l’altare dovette essere abbassato segando le cimase al momento dell’installazione. Il contratto, ritrovato nel 1912 (Zibermayr, 1912), si conserva ancora nell’Archivio di Stato di Linz. È leggermente meno dettagliato di quello di Gries, anche perché può riferirsi a un «ausczug und visierung», un alzato e un progetto, che Pacher aveva fornito al committente Benedikt, abate del convento del Mondsee. Le varie componenti dell’altare, realizzate a Brunico, raggiunsero via terra Hall, di lì, sul corso dell’Inn, Braunau, e infine Sankt Wolfgang navigando il Mondsee.
Impossibile fornire qui una descrizione accurata del complesso, ricchissimo di figure intagliate e dipinte (v. assai bene Kahsnitz, 2005). Le ante sono doppie; prevedono quindi un aspetto ‘tutto aperto’, in cui si osserva lo scrigno con le figure intagliate; uno mediano, con visibili otto tavole dipinte; uno tutto chiuso, con quattro tavole dipinte, e visibili ai lati le due figure a intaglio dei Ss. Floriano e Giorgio, gli Schreinwächter, i guardiani dello scrigno. Al posto delle tre figure centrali di Gries, sono qui soltanto il Cristo benedicente e la Vergine inginocchiata; accanto a loro i Ss. Volfango e Benedetto (ritratto dell’abate committente); e quattordici angioletti in varie attitudini. Altre figure minori sono intagliate nelle cornici; con le parti architettoniche e decorative, costituiscono una specie di enciclopedia dell’intaglio ligneo. Le quattro pitture interne raffigurano la Natività, la Presentazione al tempio, la Circoncisione, la Morte della Vergine; le otto mediane, Storie della vita di Cristo; le quattro esterne (visibili ad altare chiuso) Storie di s. Volfango. Nella predella, l’Adorazione dei magi a intaglio, e i dipinti: Visitazione e Fuga in Egitto all’interno, e i quattro Padri della Chiesa all’esterno.
Esiste sostanziale consenso sull’alta qualità delle figure intagliate entro lo scrigno e delle quattro pitture interne; appena meno sostenute le quattro al loro esterno e quelle della predella;presumibilmente con partecipazione di collaboratori le numerose figure a intaglio dell’alzata; le otto pitture delle ante esterne (sul davanti e sul retro), sicuramente eseguite su disegno di Michael da Friedrich Pacher.Artista, quest’ultimo, che collaborò a St. Wolfgang e nell’esecuzione materiale della maggior parte dei dipinti murali progettati da Michael(volta della sacrestia dell’abbazia di Novacella; volta della chiesa dell’abbazia di St. Paul im Lavanttal in Carinzia; esterno della collegiata di San Candido/Innichen; affreschi autografi di Michaelsono soltantoi citatitondi di Issengo e Tesidoe, per quanto è possibile riconoscere, alcune parti del tabernacolo di Monguelfo/Welsberg, forse dell’ottavo decennio, semidistrutto da un’inondazione nel 1882 e abbondantemente ridipinto; v. Rasmo, 1969, p. 225). Friedrich avrebbe avuto poi una sua riconoscibile attività autonoma. È incerto se fosse parente di Michael; sembra però che la sua famiglia provenisse dalla zona di Bressanone, prima ch’egli prendesse residenza a Brunico, di cui fu autorevole cittadino.
L’altare di St. Wolfgang, pur nelle alternanze di qualità meramente esecutiva, costituisce uno dei capolavori del Quattrocento europeo ed è la principale origine della fama di Michael Pacher. L’artista crea nello scrigno uno spazio straordinariamente complesso, nel quale le scalature nella profondità si articolano in un gioco movimentato di relazioni, e ai parallelismi di Gries si sostituiscono esplorazioni omnidirezionali con prevalenza di linee diagonali. In e da quest’opera, l’altare ad ante tedesco diviene integralmente non più coacervo di singole parti ma sistema e organismo. Così pure, nelle quattro pitture che maggiormente recano l’impronta del genio sudtirolese (quelle più interne, visibili nell’aspetto di tutto aperto), ma anche in tutte le altre comunque disegnate da lui, Pacher offre un esempio d’intelligenza prospettica che nessun altro artista tedesco avrebbe conosciuto prima di Dürer. A questo straordinario risultato contribuisce un allargamento significativo delle esperienze italiane, ottenuto grazie a un contatto diretto con la Lombardia e Milano; sono state riconosciute nell’altare di St. Wolfgang precise riprese dagli affreschi di Vincenzo Foppa in S. Eustorgio (Bonsanti, 1990, 2012), importanti, quest’ultimi, indipendentemente dalle singole figure repertoriate, per offrire un impianto prospettico meno arduo e più vivibile rispetto al Mantegna, come pure gli effetti di una luce di quotidiano realismo. Contemporaneamente appaiono anche ravvisabili imprestiti dall’arte tedesca, in particolare le incisioni del Maestro E.S., e fiamminga, in maniera difficilmente precisabile (Hugo van der Goes, Aelbert van Ouwater), ma che potrebbe al limite far pensare a un contatto diretto a seguito di un viaggio nei Paesi Bassi.
Probabilmente situabile in un momento mediano fra Gries e St. Wolfgang è il dipinto su tavola con una Incoronazione della Vergine all’Alte Pinakothek di Monaco, opera di qualità notevolissima e frequentemente fraintesa, se incomprensibilmente riferita al Maestro di Uttenheim da Rasmo (1969), fino alla mostradi Novacella del 1998(Madersbacher, 1998).
Nello stesso anno 1481 in cui terminò l’altare di St. Wolfgang, è documentato un viaggio a cavallo di Pacher a Bolzano in relazione con l’incarico per l’altare di S. Michele nella parrocchiale. L’opera è perduta, ma da una descrizione seicentesca (in Rasmo, 1969) si sa che conteneva una statua della Vergine fra i ss. Michele e Martino. È stato proposto (Bonsanti, 1973) che la Vergine sia identificabile in una figura grande al vero di straordinaria qualità (una delle sole cinque esistenti, con San Lorenzo, Gries, Sankt Wolfgang, Salisburgo), sorprendentemente trascurata dalla letteratura pacheriana, già in collezione salisburghese, venduta presso il Dorotheum di Vienna nel 1937, della quale più niente si è saputo. In questi primi anni Ottanta sembra verosimile collocare il capolavoro di Pacher nella pittura, l’altare dei Padri della Chiesa già nella chiesa del convento di Novacella e oggi nell’Alte Pinakothek di Monaco. I documenti (Hempel, 1931) informano che era stato commissionato dal prevosto Leonard Pacher, in carica a Novacella dal 1467 al 1482 (morto nel 1484); il coro della chiesa, del resto, fu consacrato nel 1485, data che converrebbe all’altare.
La tavola dipinta centrale contiene i Ss. Agostino e Gregorio, mentre i Ss. Girolamo e Ambrogio sono sui battenti laterali incernierati, che chiudendosi mostravano quattro scene dalla Vita di s. Agostino (secondol’Ordine di appartenenza dell’abbazia di Novacella), successivamente separate e oggi esposte accanto alla faccia anteriore. La raffigurazione dei quattro Padri risponde a una concezione affatto unitaria, basata su un solo impianto prospettico centrale, assolutamente senza paralleli a quest’epoca nell’arte tedesca. Il pavimento fortemente scorciato può offrire indicazioni sull’altezza originaria della mensa; la prospettiva in Pacher è stata indagata da Madersbacher (1999 e 2010) e Pesce (2011), sebbene del primo studioso siano da respingere le conclusioni attributive raggiunte in base a tali studi. Madersbacher ritiene (1998 e 2007) che la cronologia risponda a un momento relativamente giovanile, di poco successivo all’altare di S. Lorenzo e precedente quello di Gries; Goldberg (1979) aveva ipotizzato che le due Storie di s. Tommaso Becket di Graz costituissero la predella, il che, seppure non escluso, pare improbabile per considerazioni di scala delle figure (pensate per essere fruite da vicino) e cronologiche. L’altare dei Padri in ogni caso sembra difficilmente databile se non in un momento ampiamente maturo, e appare il massimo raggiungimento di Pacher nella pittura.
Alcuni documenti del 1484 (Spatzenegger, 1869) si riferiscono alla commissione a Pacher dell’altar maggiore della parrocchiale (successivamente chiesa dei Francescani) di Salisburgo, confermandone la fama raggiunta. La somma prevista era eccezionalmente alta, 3300 fiorini (quello di St. Wolfgang ne era costati 1200); l’altezza è stata calcolata (Demus, 1954) a più di 16 metri. L’altare, definito «pervetustum et ruinosum», fu demolito nel 1709; rimangono la figura a intaglio della Vergine, ancora in loco al centro dell’altare di Johann Bernhard Fischer von Erlach; la sola testa del Bambino (Salisburgo, chiesa dei Francescani; Koller, 1999, fig. 15); due tavole frammentarie a Vienna, Österreichische Galerie Belvedere, con una Flagellazione di Cristo e uno Sposalizio della Vergine; un’altra (oggi ugualmente a Vienna) diversamente frammentaria rinvenuta nel 1951 a Salisburgo smontando un armadio di sagrestia (Hoppe, 1954), che reca la scena veterotestamentaria di Giuseppe gettato nel pozzo; forse un altro frammento con una Testa di s. Anna (Vienna, coll. privata); e un frammento di una Fuga in Egitto nel Kunstmuseumdi Basilea (dalla predella?). Un tentativo di ricostruzione è stato operato da Demus (1954). Dal 1496 Pacher è documentato a Salisburgo (Spatzenegger, 1869), dove aveva certamente trasportato le singole parti eseguite a Brunico, da installare nella complessa carpenteria eseguita in loco, non del tutto terminata al momento della morte nel 1498.
La figura della Vergine inserita nell’altare barocco è nobile ma dolcemente umana, sulla linea delle precedenti dell’artista. I dipinti casualmente superstiti, fortemente frammentari, mostrano un clima psicologico più irrequieto e uno stile più tormentato, che progressivamente vanno a caratterizzare gli ultimi vent’anni del percorso dell’artista; un’evoluzione frequentemente incompresa dalla critica. Nel Matrimonio della Vergine è presente l’ispirazione a un’incisione di Israel van Meckenem. L’altare di Salisburgo doveva offrire per l’arte tedesca una specie d’insuperabile punto d’arrivo nella tipologia degli altari ad ante, per le dimensioni madornali – Andergassen (1998, p. 66) parla di «megalomania» – la ricchezza del quadro culturale e la complessità del programma iconografico.
A Salisburgo Pacher ricevette altresì (documenti del 1496, 1498; Fischer, 1907)l’incarico di un altare per St. Michael am Aschhof, la chiesa del cimitero dell’abbazia di St. Peter. È stato dimostrato (Bonsanti, 1984) ch’esso è da identificare con un complesso che reca al centro una tavola con lo Sposalizio di s. Caterina oggi nel Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid e ai lati due battenti con otto figure di Santi, oggi nella Österreichische Galerie Belvedere di Vienna. La tavola centrale e uno dei santi, S.Maurizio (Bonsanti, 1969), sono tardissime opere autografe di Michael, gli altri sette sono opera di Marx Reichlich. Questa constatazione consente l’identificazione con l’altare di St. Michael am Aschhof, essendo stato pubblicato (Bonsanti, 1984) un trascurato documento del 1498 che è in un libro di conti dell’abbazia, secondo cui furono pagati 40 Gulden a Pacher «per se viginti et post obitum suum» (ibid., p. 284), il che risponde esattamente alla circostanza di un altare eseguito per metà da Pacher e terminato da altri dopo la sua morte (20 fiorini per lui, 20 evidentemente per qualcun altro). All’ultimissimo periodo salisburghese appartiene anche un piccolo complesso costituito da un Angelo annunciante (Salisburgo, abbazia di St. Peter) e due tavole di ambiente benedettino, in coll. private a New York e Vienna (Bonsanti, 1969), da considerare ammirevoli pitture autografe; e una piccola Madonna a intaglio (Glasenbach presso Salisburgo, convento delle Orsoline; Demus, 1957).
Altre opere di Pacher, di cui spesso non è facile determinare la cronologia, sono: un Re dell’Antico Testamento e una Vergine addolorata (quest’ultima sicuramente tarda) nel Bode Museum di Berlino; una tavola dipinta con un S. Floriano e un S. Antonio abate (frammentario) nel Museo civico di Bolzano (Rasmo, 1976); due dipinti con S. Sebastiano e s. Barbara nel Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum di Innsbruck (Bonsanti, 1969; opere tarde, di alta qualità); l’unico ritratto esistente eseguito da Pacher, realizzato in assenza del soggetto e raffigurante Maria di Borgogna, prima moglie dell’imperatore Massimiliano d’Asburgo (Svizzera, coll. priv.: Bonsanti 1983); la tavola tarda con S. Barbara nellaÖsterreichische Galerie Belvedere di Vienna; la miniaturistica tavoletta della National Gallery di Londra con la Vergine fra s. Michele e un santo vescovo, splendido autografo della fine anni Ottanta - inizio anni Novanta, ove è evidente il prototipo iconografico della Pala Bottigella di Foppa (Bonsanti, 1990); una piccola Madonna col Bambino a intaglio, opera tarda, e un angioletto (Bonsanti, 1970 e 1971), in collezioni private; un discusso S. Michele, intagliato a tutto tondo (Roma, Museo nazionale del Palazzo di Venezia; Benesch, 1956).
Morì a Salisburgo fra il 7 luglio e il 24 agosto 1498 (Wolfsgruber, 1969, p. 130; Bonsanti, 1974, p. 41 n. 16).
Alla notizia della morte di Pacher, si recò subito a Salisburgo per sistemare gli affari in sospeso il genero Kaspar Newhauser, giudice a Chiusa/Clausen, marito di Margarethe, figlia di Michael e della moglie Ottilie. Il 10 dicembre 1502 lo stesso Newhauser, per conto della propria figlia a nome Margarethe (come la madre), ricevette il saldo dell’altare di Salisburgo. È da menzionare qui che Michael ebbe anche un figlio, Hans (o Johannes), artista anch’egli, citato per la prima volta come «Pacher» nel 1490 e come «Maler» nel 1498 a Brunico (Rasmo, 1969, pp. 245 s.; M. P. e la sua cerchia, 1998, pp. 313 s.). Nel 1512 Hans era già morto, ed ebbe termine allora una controversia ereditaria fra Newhauser e Anna, figlia di Hans. È stato compiuto il tentativo, per primo da Rasmo (1969), di riferire a Hans un gruppo di opere che rappresentano invece testimonianze, spesso eccelse, della tarda attività di Michael. Hans ha finito per divenire diffusamente un nome di comodo cui attribuire tutte le opere di Michael che la critica non ha saputo riconoscere al Pacher maggiore, per difetto di comprensione del suo percorso artistico; in realtà Hans rimane un nome senza opere, come innumerevoli altri artisti a noi noti solo dai documenti, parenti di altri di loro maggiori. Si noti che Hans non accompagnò il padre a Salisburgo, essendo in quel periodo documentato a Brunico, e che dopo la morte di Michael a recarsi nella città austriaca fu il genero Newhauser. È quindi cosa certa che Hans non partecipò alle imprese del padre a Salisburgo; nel complesso di St. Michael am Aschhof questa funzione fu assunta dall’altro artista sudtirolese Marx Reichlich, formatosi in Pusteria presso Friedrich Pacher e residente a Salisburgo dal 1494.
L’arte di Pacher rimase un fenomeno sostanzialmente isolato, ma non è escluso che il perduto altare di Salisburgo abbia esercitato un influsso sui pittori della Scuola del Danubio, come Albrecht Altdorfer e Wolf Huber.
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