Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Michael Praetorius è una delle figure più significative della cultura musicale tedesca, nel passaggio tra Rinascimento e barocco. A un’intensa attività di compositore, rilevante per la musica sacra così come per quella strumentale, affianca il lavoro teorico che si concretizza principalmente nei tre volumi del Syntagma musicum, opera tuttora preziosa per le illustrazioni di strumenti musicali di cui è corredata.
Michael Praetorius – il cui cognome tedesco Schultheiss, o Schultze (letteralmente “sindaco”) è latinizzato prendendo spunto dal vocabolo corrispondente praetor - nasce a Creuzburg, in Turingia, nel 1571 (alcune fonti fanno però risalire la nascita al 1569). Figlio di un pastore che ha studiato con Lutero e Melantone, unisce a una solida educazione religiosa uno spirito di studioso vivace e interessato alle diverse culture europee. La sua versatilità in campo musicale, negli aspetti pratici così come in quelli teorici, nasce da una passione che egli coltiva, inizialmente, come autodidatta, non avendo ricevuto una formazione specifica in questo settore.
Praetorius intraprende i suoi primi studi a Torgau, nella scuola ove il padre aveva collaborato, in qualità di maestro, con Johannes Walter, “primo Kantor del protestantesimo tedesco”. Dopo un periodo trascorso alla scuola latina di Zerbst, appena adolescente si iscrive all’università di Francoforte sull’Oder dove il fratello Andreas, professore di teologia, provvede al suo mantenimento; alla morte di questi, si guadagna da vivere come organista nella Marienkirche, chiesa parrocchiale e cappella universitaria.
Nel 1589 Praetorius comincia la sua carriera vera e propria, che lo porterà a toccare i più importanti centri della Germania del nord e dell’est, in qualità di organista, compositore e maestro di cappella. Già nel 1596, egli figura tra i più famosi organisti tedeschi convocati, per la consacrazione dell’organo della cappella ducale di Gröningen, da Heinrich Julius di Brunswick, al servizio del quale rimarrà per diversi anni. Nel 1602, dopo aver visitato Ratisbona e Praga, si stabilisce a Wolfenbüttel, ove due anni dopo riceve la nomina di Kapellmeister.
Alla morte del suo signore, Praetorius si trasferisce per alcuni anni a Dresda, dove conosce Heinrich Schütz ed esercita la professione di maestro di cappella a Naumburg a partire dal 1614. Dopo alcuni anni di pausa riprende i suoi spostamenti attraverso la Germania: nel 1616 è ad Halle an der Saale, nel 1617 a Sondershausen, dove ha il compito di riorganizzare la cappella di corte, nel 1618 a Magdeburgo con l’incarico, insieme a Schütz e a Samuel Scheidt, di allestire i concerti presso il duomo, nel 1619 è a Lipsia e a Norimberga, nel 1620 a Kassel e poi di nuovo a Wolfenbüttel, dove muore a cinquant’anni d’età.
Lo spirito della Riforma incide profondamente sulla produzione di Praetorius, che con la sua opera si impegna a dare un indirizzo formale all’espressione musicale protestante. Pur tenendo fede alle sue radici luterane, egli tuttavia accoglie nei suoi lavori influenze di stili compositivi in uso nei paesi cattolici, e soprattutto in Italia. La sua impresa più considerevole, esempio significativo della sua notevole voracità stilistica, è costituita dai 15 volumi delle Musae Sioniae (1605-10), una raccolta di 1200 brani basata sull’elaborazione polifonica di melodie liturgiche, soprattutto inni.
La produzione sacra di Praetorius è un’esplorazione sistematica delle tecniche compositive in uso nel repertorio. All’inizio della carriera è molto forte l’entusiasmo per il madrigale italiano, specialmente nell’interpretazione che ne avevano dato Orlando di Lasso e Luca Marenzio; ma tutta italiana è anche la tecnica dei cori alternati – usata da Adrian Willaert nella cappella musicale di San Marco a Venezia – che Praetorius conosce probabilmente attraverso Schütz.
Proseguendo nella sua carriera Praetorius abbandonerà gli intenti emulativi per dedicarsi sempre di più alla creazione di un corpus espressamente concepito per la liturgia protestante. La parte più rilevante delle sue composizioni è costituita dall’elaborazione di inni, in latino o nei vari dialetti tedeschi: con la sua imponente operazione di raccolta Praetorius mette in salvo un patrimonio estremamente interessante per lo studio del repertorio innografico.
Nel rispetto della piena comprensione del testo sacro, così come pretende l’ideale protestante, gli inni vengono armonizzati secondo diverse procedure. Talora Praetorius si rivolge all’antica tradizione della scuola fiamminga, ponendo il cantus firmus al tenore, o facendolo passare via via a tutte le voci secondo procedimenti imitativi; oppure colloca la melodia principale all’acuto, secondo una tecnica innovativa che anticipa lo stile del preludio a corale tipico dei compositori tedeschi tardobarocchi.
Negli anni della maturità, l’interesse di Praetorius per la forma del concerto è documentata dalle composizioni che egli inserisce nelle opere teoriche, trattazioni che, a differenza di quanto si potrebbe credere, hanno stretti agganci con la pratica musicale. Per l’autore, infatti, esse possono essere principalmente intese come sussidio ai maestri di cappella che vogliano sperimentare, anche con un piccolo organico, la tecnica dei cori alternati o l’introduzione degli strumenti nella polifonia sacra.
In questa sua vocazione alla diffusione del sapere musicale (o meglio, del fare, visto che tutto il suo lavoro ha una connotazione fortemente artigianale) si colloca la singolarità di Praetorius, uno dei pochi compositori che cerca sempre di coniugare con sincero fervore l’universo della sperimentazione a quello della didattica.
Non bisogna trascurare il grande interesse che Praetorius, egli stesso organista, dedica agli strumenti e alla loro letteratura.
Se la morte non lo avesse colto prematuramente avrebbe portato a compimento un’opera dedicata alla musica strumentale, le Musae Aoniae, che sarebbe stata il corrispettivo profano delle Musae Sioniae.
Di questo progetto vede la luce solo la quinta delle otto parti progettate, Terpsichore (1612), un’antologia, la più completa del periodo, di circa 500 danze a 4 e 5 voci – alcune delle quali raggruppate in suites – prese in buona parte dal repertorio del maestro di ballo francese Antoine Emeraud.
Praetorius espone il progetto delle Musae Eoniae nella sua principale opera teorica, il Syntagma musicum: alla raccolta di danze francesi avrebbe dovuto seguire un volume, Euterpe, dedicato alla musica italiana e inglese. Lo stesso autore afferma di avere il materiale quasi pronto per la stampa: sfortunatamente, però, gran parte dei manoscritti di Praetorius è andata perduta.
È solo nel 1613, con gli Urania, che Praetorius comincia a occuparsi di teoria e pedagogia della musica: in questa prima raccolta egli propone brani a 2, 3 e 4 cori, per dare alcuni esempi di prassi esecutiva secondo lo stile veneziano.
La sua opera maggiore resta tuttavia il Syntagma musicum (1614-19), la più importante enciclopedia musicale del periodo, ancor oggi fonte di informazioni utilissime per lo studio della musica di quell’epoca. Questo lavoro avrebbe dovuto comprendere quattro parti, ma Praetorius riesce a completarne soltanto tre: la prima, in due volumi, si propone di studiare e spiegare l’evoluzione della tecnica compositiva nella musica sacra e profana, in un excursus che prende le mosse dai padri della Chiesa sino ad arrivare a teorici relativamente recenti, tra i quali l’italiano Gioseffo Zarlino. Anche la terza parte è d’impostazione teorica e contiene una descrizione delle forme musicali, spiegazioni più tecniche sulla musica mensurale, sulla terminologia musicale e infine la prassi esecutiva; in essa sono riportate le traduzioni e i commenti delle prefazioni alle raccolte musicali di Ludovico Viadana, Piero Strozzi, Agostino Agazzari e Giovanni Maria Artusi.
Ma è la seconda parte dell’opera, De organographia (1619), a essere conosciuta come uno dei più validi contributi del passato all’organologia (termine coniato da Praetorius), ovvero allo studio delle qualità acustiche e strutturali degli strumenti musicali. Un anno dopo la pubblicazione del volume, ne esce una sorta di integrazione illustrata, il Theatrum instrumentorum seu Sciagraphia, una raccolta di xilografie spesso riprodotte negli studi organologici, che raffigurano gli strumenti di tradizione colta e popolare raggruppati per famiglie.