MICHEA (ebraico Mīkhah, abbreviato da mīkhāyāh [cfr. Geremia, XXVI, 18] "chi come Jahvè?"; i Settanta Μ[ε]ιχαίας; la Vulgata Michaeas)
Profeta a cui è attribuito il Libro che nella collezione dei Profeti minori (v. bibbia) occupa il sesto posto secondo la serie del canone ebraico, e il terzo posto secondo la serie dei Settanta.
Del personaggio sappiamo ben poco: era nativo di Moresheth (Ger., XXVI, 18; Michea, I, 1, cfr. I, 14), che era un villaggio non grande presso Eleuteropoli dĭ Palestina ai tempi ancora di S. Girolamo (Prolog. in Mich.), quindi a mezzogiorno di Giuda. Difatti il campo d'azione del ministero di M. fu Gerusalemme e il regno di Giuda. Quanto all'epoca, il citato passo di Geremia assegna come tempo del suo ministero il regno di Ezechia (727-698 a. C.?), mentre il titolo del Libro (Mich., I,1) vi premette anche i due regni di Joatham e Acaz, che perciò riportano l'inizio della sua attività a circa il 750. Altre notizie sicure su M. non abbiamo, salvo ciò che si può estrarre dal suo Libro; quel che di lui racconta lo pseudo-Epifanio (De vitis prophetarum, 13), è destituito di ogni fondamento.
I tempi del ministero di M. segnano un periodo importantissimo nella storia del popolo d' Israele. Dopo il regno di Joatham favorevole al jahvismo, e quello ostilissimo di Acaz, sul trono di Giuda salì Ezechia fedele seguace dei principî d'Isaia; ma, nonostante il suo sincero zelo in favore del jahvismo, i culti sincretistico-idolatrici e il guasto morale che si erano tanto diffusi nel paese sotto il precedente regno di Acaz, non furono estirpati. L'altro regno ebraico, quello d'Israele con Samaria per capitale, era sotto tale aspetto in condizioni assai peggiori del regno di Giuda; oltre di che era politicamente in uno stato di estrema debolezza, sia per i continui cambiamenti di dinastia, sia specialmente per la minaccia sempre più grave dell'Assiria di cui era vassallo. Alleatosi il regno d'Israele con quello di Damasco e rivoltisi ambedue contro il re Acaz di Giuda, costui chiamò in suo aiuto Tiglath-Pileser III (IV) d'Assiria, che, subito intervenuto, distrusse Damasco e devastò il regno d'Israele. Alla morte di Tiglath-Pileser (727) Israele si ribella al successore di lui Salmanasar IV; questi mette l'assedio a Samaria nel 725, la quale cade nelle mani del successore di lui, Sargon, nel 721. Così terminò per sempre il regno d'Israele, mentre su quello di Giuda da sei anni regnava Ezechia. Nel 701 l'assiro Sennacherib invase il regno di Giuda, ma dovette ritirarsi dall'assedio di Gerusalemme con l'esercito decimato (v. isaia). Nel 698 a Ezechia successe il figlio Manasse, implacabile nemico del iahvismo.
Il Libro. - Si può dividere in tre parti, rappresentate dai capitoli I-III; IV-V, e VI-VII.
Nella prima parte viene annunciato il giudizio di Jahvè contro i regni sia di Samaria sia di Gerusalemme. Samaria sarà ridotta a un cumulo di macerie (I, 6, segg.); ma ciò vuol essere per lo scrittore soprattutto un esempio ammonitore per Gerusalemme che gli sta a cuore (I, 9, segg.). Infatti, il resto di questa parte è una requisitoria contro i varî delitti che si commettono in Gerusalemme e nel suo regno, specialmente dai maggiorenti, dai sacerdoti e dai profeti, e che faranno ridurre anche Gerusalemme a un mucchio di macerie. In questa lunga invettiva vi è un solo breve passo (II, 12-13) che sembra di tono consolatorio e pare alludere a un rimpatrio dall'esilio; perciò alcuni critici (Wellhausen, Nowack, Marti), che l'interpretano in tal senso, credono trattarsi di un'aggiunta fatta dopo l'esilio babilonese: altri (van Hoonacker) l'interpreta ancora in tono di minaccia, o crede il passo spostato dal primitivo contesto.
La seconda parte, d'argomento affatto diverso dalla precedente, descrive il trionfo dell'era messianica. Il celebre quadro delle nazioni pagane che s'avviano a Gerusalemme come a luogo di salvezza (IV,1-3) è identico quasi alla lettera con Isaia, II, 2-4; l'identità è stata spiegata dai critici in tutte e tre le maniere possibili: dipendenza d'Isaia da Michea, di questo da quello, e d'ambedue da una fonte comune. In IV, 10 segg. si nomina espressamente l'esilio in Babilonia, attraverso cui la nazione dovrà passare prima del trionfo, e in V, 1 (Vulg. 2) si designa l'oscuro villaggio di Beth-lehen Efrata come patria del futuro messia.
Nella terza parte si tiene come una disputa fra Jahvè e il suo popolo, al quale Dio rinfaccia l'ingratitudine mostrata in cambio dei benefici ricevuti, che vengono ricordati desunti dalla storia israelitica (VI,1-5); l'epoca a cui si riferisce questa parte è di somma corruzione morale (VII,1-6), anzi si è voluto vedere in VI, 7 un'allusione alla pratica di sacrifici umani. Nell'ultimo tratto (VII, 7 segg.) la città è presentata come già devastata ed abbattuta (VII, 8), ma anche fiduciosa nell'aiuto di Jahvè, che l'ha punita giustamente e che ricostruirà le sue mura (VII, 11): si promette quindi un'era di pace e di prosperità.
Parecchie questioni, analoghe a quelle mosse circa il libro del contemporaneo Isaia (v.), sono state fatte dai critici anche sull'autenticità delle varie parti di Michea.
Sui capitoli I-III non sono stati sollevati serî dubbî, salvo il già rilevato passo II, 12-13. Il guasto religioso e morale in essi denunciato è ritenuto esser quello dei tempi di Acaz dal minor numero di studiosi, mentre i più credono trattarsi dei tempi di Ezechia, sotto il quale - nonostante il suo fervore per il) javismo - le conseguenze del regime di Acaz si facevano grandemente sentire, specialmente nei suoi primi anni e avanti la caduta di Samaria.
Invece i capitoli IV-V, d'argomento messianico, sono dal più dei critici negati, in tutto o in parte, a Michea; alcuni (Nowack) gli conservano tutt'al più qualche versetto, ad es. IV, 9 seg., 14; V, 9-13; i più moderati (van Hoonacker) si limitano a negargli passi quali IV, 10; V, 4-5 (Vulg. 5-6), ove l'esilio in Babilonia è espressamente nominato e descritto. Le ragioni di questo giudizio, ad es. secondo il Nowack, sono: la mancanza di collegamento logico fra questi due capitoli consolatorî e i tre precedenti minacciosi; il carattere spezzettato e sconnesso del contenuto; l'immaturità dei tempi di Michea per i concetti ivi espressi e che si sarebbero formati solo più tardi (ad es. IV, 11-13 accuserebbero l'epoca di Ezechiele, XXXVIII, seg.) o che gli sarebbero estranei per altri motivi (ad es. IV, 6-8; V,1, segg.). Ma la principale ragione che muove i critici a negare l'autenticità di questa parte è l'accennata menzione dell'esilio in Babilonia, che accadde più d'un secolo dopo i tempi di Michea: e anche ciò trova un parallelo nella critica di Isaia, ov'è nominato Ciro liberatore da quell'esilio.
Forti dubbî, ma da minor numero di studiosi, sono stati sollevati contro l'autenticità dei capitoli VI-VII, e specialmente contro il tratto finale VII, 7 segg., che generalmente è considerato dei tempi dell'esilio. Le ragioni sono analoghe a quelle addotte contro i capitoli IV-V. Nei colori foschi con cui è dipinta qui la contemporanea corruzione morale, alcuni critici hanno scorto un indizio che il primo tratto di questa parte si riporti ai tempi del re Manasse.
Tuttavia altri studiosi, specie cattolici, non trovano convincenti queste ragioni, e qualcuno (van Hoonacker), pur mettendosi sullo stesso terreno, apporta in contrario altre osservazioni e ne conclude attribuendo a Michea la massima parte del libro.
Lo stile di M. è vivido e a scatti, diverso dalla pura semplicità di Amos e dalla concisione commatica di Osea, e raggiunge talvolta altezze drammatiche (I, 3, segg., 8 segg.; III, 8 segg., ecc.).
Nel Nuovo Testamento Michea, V, 1 (Vulg., 2) è citato come testimonio messianico in Matteo, II, 6 (Giov., VII, 42); cfr. anche Michea, VII, 6, con Matteo, X, 35.
Bibl.: Oltre ai commentarî e a tutti i profeti minori (per cui v. bibbia), L. Reinke, Der Prophet Micha, Giessen 1874; V. Ryssel, Untersuchungen über die Textgestalt und die Echtheit des Buches Micha, Lipsia 1887; H.J. Elhorst, De Prophetie van Micha, Arnhem 1891; T.K. Cheyne, Micah with notes and introd., 3ª ed., Londra 1902; I.M.P. Smith, Micah (Intern. Crit. Comm.), Edimburgo 1912; A. Bruno, Micha und der Herrscher aus der Vorzeit, Lipsia 1923; A. Posner, Das Buch des Proph. Michah, Francoforte s. M. 1924; C.W. Wade, Micah, Obadiah, Joel and Jonah (Westminster Comm.), Londra 1925; J. Lindblom, Micha, Helsinki 1929.