BONICELLI, Michelangelo
Nato nel 1569, entrò nell'Ordine dei minori osservanti. Era "lettore di theologia" nel convento di S. Francesco della Vigna a Venezia, quando la contesa dell'interdetto lo collocò in una posizione di rottura con Roma. forse sproporzionata rispetto alla sua modesta personalità. Fu uno dei "teologi" della Repubblica col compito di sostenere la perfetta ortodossia degli atti di questa, per quanto condannati da Roma - e, come tale, sottoscrisse il Protesto del doge del 6 maggio 1606 contro il breve pontificio del 17 aprile; ed apparve tra i sette firmatari del Trattato dell'Interdetto della Santità di papa Paulo V…, e, successivamente, fra i cinque interpellati per un Consulto intorno ai modi di levar la censura, ambedue, in realtà, opera solamente del Sarpi.
Esclusivamente del B. sono invece due brevi scritture, una sull'alienazione dei beni laici agli ecclesiastici e sul diritto d'edificare chiese, l'altra sui rimedi adottabili nei confronti delle offese a Venezia contenute nel monitorio pontificio. Scritti di limitato rilievo, malgrado l'esibita varietà di citazioni, sincera v'è, tuttavia, e incondizionata l'adesione alla prassi della Signoria. Convinte inoltre le ripetizioni delle più vigorose affermazioni sarpiane: la scomunica, se invalida, è "voce sola priva di effetto", quella che colpisce Venezia è "nulla" in quanto "il giudicato non è in alcuna maniera sottoposto alla giurisdittione del giudicante". Ché "l'autorità" dogale di far leggi "deriva immediatamente da Dio", cui solo va riconosciuta l'investitura del dominio temporale: al principe pertanto spetta stabilire le leggi che più gli paiono convenienti. La legge "civile" e "laica" è d'altronde agevolmente distinguibile dalla canonica, mirando l'una alla "conservatione della pace e all'utilità publica", l'altra all'"acquisto della vita eterna". Illecita la concentrazione d'ogni autorità nel papa - al quale, inoltre, è superiore il concilio -, specie perché solo "alla chiesa universale è stato promesso il spirito santo e non a' particolari"; tant'è vero che "il spirito santo abbandonò i profeti istessi et gli privò di lume dell'intelligenza per quanto gli piacque" - evidente, a questo punto, come il B. stia pensando agli incauti furori di Paolo V - "ma non mai il corpo di tutti i fideli", in cui rientra, appunto, la devota Repubblica veneta.
Quando fra' Paolo da Sulmona (zoccolante giunto a Venezia al seguito dell'ambasciatore straordinario spagnolo Francesco de Castro, con l'intenzione di indurre i francescani veneziani all'obbedienza a Roma) rinfacciò al B. la sottoscrizione al Protesto e gli prospettò le pene infernali che lo attendevano per la persistenza in un errore tanto scandaloso (tutti potevano vedere il nome del B. "sotto li cedoloni affissi"), questi replicava fermamente non essere colpa rispettare le disposizioni del "suo Principe in cosa buona, havendo da lui il pane, stando nella sua città, conoscendolo di rettissima et christianissima intentione". E, ad evitare mene da parte del petulante frate, non esitò a denunciarlo, il 21 nov. 1606, al Consiglio dei dieci. Quietatasi ufficialmente il 21 apr. 1607 la contesa col pontefice, il Senato, in implicita polemica con la Curia bramosa di vendicarsi dei "falsi teologi" che avevano fornito la loro dottrina alla Signoria, deliberava per questi, a soli due giorni di distanza, una pensione annua; e al B. furono assegnati 150 ducati, come al suo confratello Bernardo Giordano (altri 200 ducati annui furono stanziati per lui e per gli altri sei teologi nel gennaio 1609). S'era comunque concluso, per il B., il periodo più dignitoso della sua esistenza: si stenta poi a riconoscere nel frate pacioso e titubante raffiguratoci dal nunzio Gessi ("è huomo di buon tempo, che ha per fine il mangiare et bevere bene, et si dice che attende alle femine"), tutto preso inoltre da beghe conventuali - in discordia anche col Giordano di lui più autorevole, e. perciò, più pericoloso agli occhi di Roma - il fermo difensore della Serenissima ch'era stato. E se l'appoggio di Niccolò Contarini gli ottenne, per la quaresima del 1608, "il pulpito di S. Lorenzo", innocue e irrilevanti risultarono le sue prediche - come sottolineava il Gessi, il 1º marzo di quell'anno, al card. Borghese - seguite peraltro da "pochissimi uditori".
Né più le lettere del Gessi, dopo il 1609, accenneranno al Bonicelli. Il nunzio successivo lo nominerà solo in occasione della sua prossima fine: "fra Michelangelo de' minori osservanti, uno de' sette teologi della Repubblica al tempo dell'Interdetto - scriveva mons. G. B. Agucchi il 7 sett. 1624 - sta moribondo. È stato huomo - proseguiva confermando, a 15 anni di distanza, l'opinione del Gessi - più inclinato alla vita dissoluta che alla falsa dottrina. Ha atteso a tirar lo stipendio publico et a godere, e non si è curato d'altro, e non parlava male co' suoi frati delle cose di Roma".
Il B. morì l'8 sett. 1624, "da febre".
Fonti e Bibl.: Le due scritture del B. in Archivio di Stato di Venezia, Consultori in iure, f.2; Ibid., Provveditori alla Sanità (Necrologi), 853, 8 sett. 1624; Per la storia del componimento della tesa tra la repubbl. veneta e Paolo V. Documenti, a cura di C. P. De Magistris, Torino 1941, p. 354; Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, Dispaccidel nunzio a Venezia alla Segreteria di Stato, 38 a, cc. 136r, 155r, 204v, 336r, 342r, 412rv; 44, c. 653v; P. Sarpi, Istoriadell'Interdetto e altri scritti editi einediti, a cura di G. Gambarin, III, Bari 1940, pp. 1, 207; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, III, Venezia 1830, p. 250; IV, ibid. 1834, pp. 434, 439; E. Cornet, Paolo V e la repubblica veneta: giornale dal 22 ott. 1605 al 9 giugno 1607, Vienna 1859, pp.73, 255; Id., Paolo V e la repubblica di Venezia. Nuova serie di documenti (1605-1607), in Arch. veneto, V (1873), p. 265; R. Putelli, Il ducaVincenzo I Gonzaga e l'interdetto di Paolo V aVenezia, in Nuovo archivio veneto, XXII (1911), pp.187 s.; G. A. Sbaraglia, Supplementum etcastigatio ad scriptores trium ordinum S. Francisci, II, Romae1921, p. 249; P. Savio, Per l'epistolario di Paolo Sarpi, in Aevum, X (1936), pp. 46 s.; XI (1937), pp. 49, 53.