CAMBIASO, Michelangelo
Nacque a Genova il 21 sett. 1738 da Francesco Gaetano e da Maria Caterina Tassorello, maschio terzogenito dopo Giovan Battista e Carlo. Ascritto il 2 sett. 1754 al Libro d'oro della nobiltà genovese, venne inviato a studiare a Roma, al Collegio Romano, con l'intenzione di fargli intraprendere la carriera ecclesiastica, alla quale in effetti si preparò coscienziosamente e con entusiasmo. Oltre alle lettere italiane e alla filosofia, si dedicò allo studio di diverse lingue, della fisica e soprattutto del diritto civile e di quello ecclesiastico. Andava intanto raccogliendo una ricca biblioteca personale, che in seguito arricchì di molti e preziosi codici.
Furono per il C. anni di formazione veramente importanti, soprattutto perché a Roma egli entrò in rapporti di grande amicizia con Scipione de' Ricci (suo condiscepolo presso i gesuiti), il quale mantenne negli anni grande stima per lui (ancora il 20 sett. 1806 il Ricci scriveva del C. al Grégoire: "C'est un homme très reservé qui a été en cour de Rome et qui connaît les affaires"). A Roma rafforzò anche l'amicizia con un giovane nobile genovese, Gerolamo Durazzo, cui in seguito, a Genova, sarebbe stato spesso vicino nell'attività politica e insieme al quale si sarebbe legato di grande familiarità con l'abate Vincenzo Palmieri. Dagli anni romani, insomma, il C. derivò una profonda stima per i giansenisti, anche se egli giansenista non fu mai, e in loro aiuto cercò, in diverse occasioni, di far valere la propria autorità.
Laureato in utroque iure alla Sapienza, il C. a Roma entrò in prelatura: nel 1766 era protonotario apostolico partecipante e vicario di S. Maria in Cosmedin; ma le sue ambizioni si appuntavano verso la carriera diplomatica. Nel 1767 fu nominato vicelegato a Ravenna, ove, per la morte del cardinale Oddi, si trovò a reggere la legazione come prolegato, mostrando eccellenti doti di amministratore soprattutto nel curare gli interessi commerciali della città e nel far eseguire lavori di manutenzione del porto. Dopoché nel 1769 egli cessò da tale carica, Clemente XIV meditava la sua nomina alla delicata nunziatura di Napoli, ma improvvisamente il C. interruppe la carriera prelatizia e ritornò in patria. La decisione fu causata dal fatto che i due fratelli maggiori non avevano figli e quindi a lui ormai spettava il dovere di sposarsi per assicurare unadiscendenza alla famiglia.
Rientrato a Genova probabilmente nel 1770, il C. entrava nell'Accademia Arcadica, riallacciava le amicizie romane e gianseniste, assisteva nel 1772 all'incoronazione ducale dello zio Giovanni Battista, in onore del quale compose un sonetto che entrò a far parte del Serto poetico offerto dalla colonia arcadica al doge, e di lì a poco ne sposò una figlia, sua prima cugina, Geronima Pellegrina. Da questo matrimonio, che doveva aumentare la potenza dei Cambiaso e dal quale si sperava l'agognata discendenza, nacque invece un'unica figlia che premorì ai genitori. Dal 1770 al 1780 il C. non ricoprì cariche di particolare importanza: intelligente, ricco, influente, viaggiò e frequentò, con altri nobili, tra cui l'amico Gerolamo Durazzo, Luca Giustiniani (destinato a divenire un acceso democratico e antigesuita), Brancaleone D'Oria e molti membri della nobiltà, il circolo giansenista stretto intorno al Molinelli, comprendente anche il Palmieri, F. Calcagno, G. Copello e N. Curotti; sotto tale influenza si formò una mentalità sempre piùradicalmente giurisdizionalista, mantenendo contatti epistolari con lo stesso Scipione de' Ricci. Ma questi rapporti, piuttosto radi, si mantennero su un piano di generica, reciproca stima e amicizia.
Il C. d'altronde aveva cominciato a ricoprire cariche elevate, per ottenere le quali un certo grado di opportunismo politico e la propria sincera vocazione di moderato sconsigliavano un troppo stretto legame con quell'ambiente che, dopo il sinodo di Pistoia, ma soprattutto dopo il 1789, era divenuto sospetto ai più decisi conservatori. Il C., che aveva già meritato la generale riconoscenza in due occasioni (una prima volta per aver scongiurato il pericolo di una carestia provvedendo ad un tempestivo approvvigionamento di grano e, in seguito, per aver fatto costruire a sue spese un ampio ponte sul Polcevera, lungo la strada che era stata iniziata dallo zio Giovanni Battista), incominciò la carriera politica essendo più volte addetto alla Giunta di commercio. In tale carica, negli anni tra il 1786 e il 1788, cercò di favorire la creazione della Banca di sconto, e di renderla strumento di potere economico del governo: la sua famiglia, nell'elenco dei primi sottoscrittori, fu quella che si accaparrò il maggior numero di azioni, precisamente trenta. Nel 1785 il C. era stato eletto alla importante carica di sindacatore supremo; poi nel 1789 venne messo a capo della Giunta di giurisdizione; quindi, nel 1791, fu di nuovo sindacatore supremo. In questi anni venne anche chiamato più volte a far parte dell'Inquisizione di Stato. Infine, nel settembre 1791, in tempi difficilissimi, mentre anche a Genova gli ambasciatori francesi, il Sémonville prima, il Tilly poi, si adoperavano per far trionfare le idee rivoluzionarie, il C. venne eletto doge, con 198 voti su 323 godendo del favore degli stessi reazionari filogesuiti, cui era inviso l'altro candidato, il Giustiniani.
E la scelta fu veramente felice dal momento che il C., per unanime giudizio degli storici a lui contemporanei, anche di diverse tendenze politiche, durante il suo dogato riuscì a mantenere, con un atteggiamento aperto e moderato, una relativa tranquillità sociale e politica all'interno, e soprattutto una preziosa neutralità, proclamata solennemente il 1º giugno 1792, nei confronti della Francia. Il suo atteggiamento appare tanto più sollecito per il bene dello Stato e personalmente disinteressato in quanto, poco prima del 1790, il C. con altri familiari aveva avuto modo di acquistare vaste terre in Normandia, affidandone l'amministrazione al Belleville, ex segretario di Turgot. Tra l'agosto e il dicembre del 1792 il ministro degli Esteri francese, Lebrun, incaricò proprio il Belleville di chiedere a Genova un prestito di 20milioni e il permesso di occupare il porto di Savona, per garantire il territorio genovese da una ipotetica occupazione degli Austro-sardi. Ma il C. e il Senato genovese riuscirono a eludere la richiesta, sempre richiamandosi alla necessità di conservare la neutralità.
Il C. terminò il suo dogato il 3 sett. 1793, e volle compiere un popolare atto di beneficenza, girando al secondo Banco delle compere di S. Giorgio a libera disposizione del Collegio camerale 20.000lire, affinché fossero impiegate nel restauro delle carceri pubbliche. Quindi, con le nuove nomine del 1794, fu subito eletto preside della Giunta di marina.
In quell'anno la promulgazione della bolla Auctorem fidei (28ag. 1794), che condannava il sinodo pistoiese e con esso tutta la dottrina giansenista, suscitò contrasti molto aspri all'interno del governo: contro la decisione del Senato che ne permetteva l'introduzione nello Stato, il vescovo di Noli, Benedetto Solari, oppose un reciso rifiuto alla sua accettazione e pubblicazione. Tra i nobili genovesi si creò una nuova frattura: da una parte si schierarono i conservatori filogesuiti, dall'altra il C. con gli amici filogiansenisti Gerolamo Durazzo, Luca Giustiniani e Brancaleone D'Oria. La controversia si concluse con una soluzione di compromesso, cioè decidendo che il documento papale potesse essere affisso soltanto in sacrestia.
Il C. ritornò alla ribalta nel 1797, dopo la violenta rivolta antioligarchica del 21maggio, subito soffocata con numerosi arresti di insorti: alla richiesta dell'ambasciatore Faypoult di scarcerare i francesi catturati il Senato si oppose anche per l'acceso discorso che il C., con tutta la sua autorità di ex doge, aveva pronunciato al Minor Consiglio esponendo i motivi di dignità, opportunità e sicurezza che imponevano di respingere tale richiesta. Subito dopo però, di fronte all'altrettanto decisa reazione del Faypoult che, adirato, minacciò di lasciare subito Genova per raggiungere il Bonaparte, fu proprio il C. che si recò a placare l'ambasciatore persuadendolo a fermarsi. Ma gli avvenimenti precipitavano: il 27 maggio una richiesta perentoria di scarcerazione venne intimata da Napoleone stesso, che pretese anche la punizione degli antifrancesi e la trasformazione immediata del governo. Il Senato non poté che obbedire, e il 2 giugno furono inviati a Montebello il C., Luigi Carbonara e Gerolamo Serra, perché si accordassero con il generale corso sulle riforme da apportare alla costituzione: il C., come più anziano, ebbe l'incarico di esporre il punto di vista del governo genovese; ma la missione fu costretta ad accettare senza discussioni la convenzione imposta da parte francese (5-6 giugno). Pur mantenendo ancora formalmente l'autonomia, l'antica Repubblica oligarchica di Genova ebbe fine e il 14 giugno entrò in carica un governo provvisorio. Il C. aderì alla nuova situazione politica con animo sincero e si avvicinò anzi al partito del Corvetto, del Ruzza e del Carbonara: tuttavia, confidandosi con l'amico Palmieri, manifestava rincrescimento "per l'entusiasmo irriflessivo di molti" e consonanza d'idee sulla necessità "di non frammischiare le idee politiche e i sistemi di governo coll'evangelio", perché questo "si può e si deve osservare sotto tutti i governi" (Codignola, II, p. 522). Mentre l'amico Gerolamo Durazzo il 16 sett. 1797 veniva arrestato con molti altri nobili, il C. non subì alcuna angheria dal governo provvisorio, neppure sotto forma di imposizione pecuniaria; anzi fu inserito nell'elenco dei candidati alla Commissione legislativa della città e delle tre podestarie. Tuttavia, negli ultimi mesi del 1797, il C. preferì ritirarsi in campagna con la moglie, le due cognate e un fratello, con la giustificazione della morte dell'altro fratello, avvenuta il 22 ottobre, e della necessità di riposo per le proprie crisi di gotta. In seguito si trasferì con la moglie ai Bagni di Lucca, donde ritornò il 23 ag. 1798 per assumere la carica tra i municipalisti cui era stato eletto nel luglio.
Nel novembre 1799 l'incalzare dei coalizzati costrinse la Repubblica a decretare lo stato d'assedio: abolito il Direttorio, venne istituita una commissione governativa costituita da quindici membri, tra i quali il C. stesso; egli ne uscì tuttavia nel successivo febbraio quando, giunto a Genova a dirigere le operazioni il generale Massena, venne avanzata dai Francesi la richiesta di un nuovo prestito di tre milioni di lire. Infatti, poiché i commissari non lo concessero facendo presente la situazione della città, oppressa dalla fame, essi furono costretti tutti a dimettersi. Dopo la resa del 4 giugno 1800, e la precaria reggenza provvisoria seguita all'occupazione austriaca, con la vittoria di Marengo le sorti di Genova furono di nuovo nelle mani del Bonaparte; il C. e Girolamo Serra vennero inviati per la seconda volta presso di lui, con Giacomo Saettone, recando un memoriale di istruzioni che, per quanto coincidessero in parte con i propositi del primo console, non potevano essere da lui accettati come limitatrici della sua volontà; al Bonaparte, cui interessava soprattutto sapere se la Repubblica ligure fosse disposta ad unirsi alla Cisalpina, il C. e i compagni risposero evasivamente. Tornato a Genova ormai evacuata dagli Austriaci, il C., con Corvetto e Ruzza, rimise in funzione ancora per una decina di giorni la vecchia Commissione di governo; ma con l'arrivo dell'inviato straordinario francese Dejean (26 giugno), i membri di essa vennero sostituiti con altri più graditi al primo console. Il C. tuttavia venne nominato maire di Genova, ricoprendo tale carica fino al 1805, anche dopo l'annessione di Genova all'Impero. Anzi proprio nell'esercizio di tale ufficio egli, il 30 giugno 1805, accolse alla porta di S. Tommaso Napoleone imperatore, gli presentò le chiavi della città e pronunciò un adulatorio discorso di rito. Alla sua partenza, Napoleone nominò il C. comandante della Legion d'onore e lo chiamò quindi a far parte del Senato francese, sostituendogli come sindaco Agostino Pareto. Dopo aver trascorso a Parigi quasi due anni, nel novembre 1807 il C. ritornò a Genova, dove veniva raggiunto dalla nomina a conte dell'Impero il 28 genn. 1809 e dalla successiva decorazione della Gran Croce della Riunione. Il C. morì a Genova il 14 marzo 1813 e fu sepolto nella tomba di famiglia in S. Siro.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Genova, Diversorum Collegi, filza 377, atto 24.1.1792; Ibid., Governo Provvisorio, filze 492, 613; Genova, Civica Biblioteca Berio, F. Ant. Gen. D 1: Serto poetico tessuto dagli Arcadi della Colonia Ligustica..., p. 221 (testo a stampa); Gazzetta di Genova, 1813, n. 22, p. 89; Carteggi di giansenisti liguri, a cura di E. Codignola, Firenze 1941-1942, ad Indicem;C. Spreti, Memorie intorno i dominj e governi della città di Ravenna, Faenza 1822, p. 63; L. Grillo, Elogi di liguriillustri, IV, Genova 1846, Append., p. 346; G. Gaggiero, Compendio delle storie di Genova, Genova 1851, p. 78; G. F. De Ferrari, Storia della nobiltà di Genova, estr. dal Giorn. araldico, XXV(1898), nn. 2-7, p. 51; F. Donaver, La storia della Repubblica di Genova, II, Genova 1913, p. 393; L. Levati, I dogi di Genova dal 1771 al 1797 e vita genovese, IV, Genova 1916, pp. 55-62; V. Vitale, Onofrio Scassi e la vita genovese del suo tempo, Genova 1932, passim;Id., Breviario della storia di Genova, I, Genova 1955, pp. 458, 471, 479, 481 s., 489, 513, 516 s., 520, 529, 533 s.; D. G. Martini-D. Gori, La Liguria e la sua anima, Genova 1967, pp. 417, 423, 438 s.