MICHELANGELO di Domenico
MICHELANGELO di Domenico (Michelangelo Naccherino). – Nacque a Firenze il 6 marzo 1550 da Domenico di Michele, merciaio del «popolo» di S. Lucia. La presenza del nome di M. nel registro dei battezzati di S. Giovanni Evangelista (Maresca di Serracapriola, p. 27) ha definitivamente smentito l’ipotesi di una sua origine napoletana, favorita dalla falsa notizia diffusa da De Dominici che egli fosse stato allievo dello scultore A. Caccavello. Il nome tramandato dalle fonti, nonché dalle firme sovente apposte dallo scultore stesso sulle proprie opere, è quello di M. Naccherino (o Nacherino), in cui si è voluto cogliere un riferimento a un’attività del padre o di altro familiare come suonatore di nacchere (ibid.), o anche un’allusione a una statura mediocre (dal toscano «nachero», nano; Parronchi, 1965, p. 14).
La formazione artistica di M. ebbe luogo a Firenze, ove egli figura tra i membri dell’Accademia del disegno già nel 1568 e poi fino al 1573 (Kuhlemann, p. 18). A Napoli nel 1589 M. nel denunziare al S. Uffizio come «mal christiano» Giambologna, dichiarò di essere stato suo discepolo per dieci anni (Amabile). Tale episodio ha indubbiamente rafforzato l’immagine di M. artista devoto, se non addirittura bigotto, suggerita dalle sue stesse opere. Un documento del 1565 dimostrerebbe tuttavia che egli a quel tempo era a bottega presso Vincenzo de’ Rossi (Parronchi, 1965, p. 14), attraverso il quale M. si ricollegò all’ambiente culturale del «formalismo michelangiolesco» (Catalano, 1985, p. 124) ben rappresentato da B. Bandinelli, frequentemente segnalato dalla critica come punto di riferimento per la sua opera.
Non resta alcuna traccia della prima attività di M. a Firenze: perduto il S. Matteo che nel 1571 si trovava nella cappella di S. Luca presso la Ss. Annunziata (Kuhlemann, n. C.1), sono stati riconosciuti in sette piccole teste di cera (Firenze, collezione privata) i resti di un presepe eseguito per S. Maria Novella entro il 1573 (Parronchi, 1965).
Il 1573 è l’anno della partenza di M. per Napoli, città ove egli visse e lavorò fino alla morte, lasciandovi numerose opere.
Gli studi più recenti hanno ridimensionato il catalogo delle sculture di M., espungendone – in seguito a nuove scoperte documentarie o in base a considerazioni stilistiche – quelle a lui attribuite dalle fonti sulla base di analogie piuttosto generiche. La prima opera documentata del periodo napoletano si trova in realtà a Palermo: si tratta della fontana Pretoria, iniziata dallo scultore fiorentino Francesco Camilliani entro il 1553 per una villa di don Pedro de Toledo a Firenze, venduta dal figlio di questo al Senato palermitano nel 1573 e sistemata nella sede attuale da C. Camilliani, figlio di Francesco, e dallo stesso M., che tra il 1574 e il 1576 prese parte al suo completamento scolpendo e firmando due statue raffiguranti una Divinità fluviale e una Nereide (Kuhlemann, n. A.1). Non è peraltro certo che M. si fosse recato a Palermo in quell’occasione; pur mantenendo anche in seguito rapporti con committenti siciliani (in particolare messinesi), è infatti verosimile che le sue opere fossero giunte sull’isola via mare da Napoli (Bilardo; ma cfr. Catalano, 1985, p. 126).
Fin dai primi anni del soggiorno napoletano di M. è possibile ricostruire la sua attività grazie a una serie piuttosto nutrita di opere firmate e di documenti: al 1578 risale la convenzione con gli esecutori testamentari di Pietro Melendes, in base alla quale M. si impegnava a eseguire l’altare con una Madonna delle Grazie, tuttora esistente nella chiesa di S. Giovanni a Carbonara (Kuhlemann, n. A.2); dieci anni dopo, nel 1588, assunse l’incarico di scolpire il Sepolcro di Alfonso Sanchez de Luna alla Ss. Annunziata (ibid., n. A.3). Poco più tardo (1590-96) è il Monumento funebre di Fabrizio Pignatelli (morto nel 1577) in S. Maria Materdomini, chiesa fondata dallo stesso Pignatelli, gran maestro dell’Ordine di Malta (ibid., n. A.4).
La statua in bronzo del defunto – a figura intera, inginocchiato e in atteggiamento di intensa devozione – fu terminata solo nel 1607, fatto che attesta la scarsa dimestichezza delle maestranze napoletane con la fusione del bronzo, assai più comune a Firenze (Maresca di Serracapriola, p. 105; Borrelli, p. 142; Catalano, 1985, p. 125).
Con questo monumento M. inaugurò una tipologia destinata a riscuotere vasto successo nel secolo successivo (Nava Cellini, p. 784; Catalano, 1984, p. 222; Wittkower). Il ritratto ben dimostra le caratteristiche tipiche dell’arte di M.: la persistenza della matrice manieristica unita a una tendenza sentimentalistica ed espressionistica che lo avvicina ai ritratti di El Greco (Borrelli, p. 143); l’«indubbio e un po’ uggioso pietismo di base […] elevato in valori di monumentalità solenne e di vera interiorità» e il «senso di cupa religiosità» (Nava Cellini, p. 784) che impiantano lo spirito della Controriforma su schemi di tipo toscano.
Opera molto lodata è il Crocifisso marmoreo oggi in S. Carlo all’Arena, firmato ed eseguito nel 1599 per la chiesa dello Spirito Santo, danneggiato da un incendio nel 1923 (Kuhlemann, n. A.7).
Parallelamente alle opere di soggetto sacro e alla scultura funeraria, M. continuò a praticare un genere più decorativo ottenendo commissioni da parte dei viceré di Napoli: fin dal 1581 riceveva un salario in qualità di scultore della cappella di Palazzo (ibid., pp. 40, 256); tra il 1594 e il 1596 eseguiva statue per il palazzo di don Pedro Alvarez a Pozzuoli e altre per una fontana nel giardino del figlio di questo, don Luis de Toledo (ibid., nn. C.10, C.11); tra il 1600 e il 1601 lavorava insieme con P. Bernini alla fontana di Nettuno, eretta su disegno di D. Fontana davanti all’arsenale, poi rimaneggiata e attualmente collocata in via Medina (ibid., n. A.8); si devono invece alla collaborazione con l’allievo napoletano T. Montani le sculture che ornano la fontana di S. Lucia (oggi nella villa comunale), realizzata tra il 1606 e il 1609 per il viceré Juan Alonso Pimentel de Herrera, conte di Benavente (ibid., n. A.16). L’autografia della Fontana dell’Immacolatella – la cui attribuzione a M. e a P. Bernini, tramandata dalla letteratura periegetica, non è confortata da alcun supporto documentario – è stata recentemente messa in dubbio, avanzando l’ipotesi che si tratti di un’opera di G. D’Auria (ibid., n. D.8).
In questi anni M. si trovò più volte a lavorare accanto al conterraneo P. Bernini, suo unico vero rivale nel campo della scultura sulla scena partenopea a cavallo tra i due secoli, promotore di uno stile più mosso e inquieto, proiettato con maggior de;cisione verso il barocco (Nava Cellini, p. 783): stabilmente presente a Napoli dal 1596 al 1605, Bernini eseguì per esempio, entro il 1601, due Virtù sulla facciata della cappella del Monte di pietà, sormontate dalla Pietà di M. (Kuhlemann, n. A.9). Affiancato da due statue di Bernini è anche il S. Andrea bronzeo della cripta del duomo di Amalfi, fuso entro il 1604; come nel caso del già citato monumento di F. Pignatelli e della doppia effigie di S. Matteo nella cripta del duomo di Salerno, firmata e datata 1606, si tratta di una novità assoluta per il contesto napoletano, precedente importante per i bronzi barocchi che decorano la cappella del Tesoro di S. Gennaro in duomo, cui non a caso lavorò anche Montani (Ferrari, p. 148; Catalano, 1985, p. 125).
I due apostoli bronzei di Amalfi e di Salerno erano stati commissionati dal re Filippo III nel 1601. I rapporti di M. con la corte spagnola furono in effetti sempre costanti: indubbiamente favoriti dai legami politici tra Napoli e la penisola iberica, essi sembrano trovare un’ulteriore ragione di successo nel senso di austera religiosità che informa le sue opere, perfettamente rispondenti ai canoni della Controriforma. Al 1607 risale il ritratto bronzeo di don García de Barrionuevo, commissionato dal figlio Bernardino, marchese di Cusano, e conservato in S. Ginés a Madrid (Estella Marcos, p. 443). Firmato, e compiuto entro il 1613, è il monumento funebre in marmo del nobile messinese Annibale Cesareo nella napoletana chiesa di S. Maria della Pazienza, da lui fondata e perciò denominata Cesarea (Kuhlemann, n. A.20). In questo stesso torno di anni si intensificarono i contatti di M. con committenti calabresi e siciliani: è stata identificata con il S. Francesco conservato nell’omonima chiesa di Tropea la «statua di marmo gentile» pagata a M. nel 1610 da Federico Porzio, vicario generale della diocesi di Messina (Migliorato, 2008); un documento di pagamento consente di datare al 1616 l’Immacolata Concezione in S. Francesco a Stilo (Id., 2000); considerazioni stilistiche suggeriscono un’esecuzione più o meno contemporanea per il S. Giovanni collocato sulla facciata di S. Giovanni Battista a Catanzaro e forse eseguito con l’aiuto di Montani (Musella Guida).
Le vicende relative all’ultima fase di attività di M. possono essere ricostruite attraverso il carteggio che lo tenne in contatto con la corte medicea tra il 1616 e il 1618. In quegli anni egli tentò di riallacciare i rapporti con la propria città natale, proponendo al granduca Cosimo II diverse sculture in marmo in una lettera da lui scritta nel 1616: tra queste figurava il gruppo con Adamo ed Eva, unica opera (firmata) di M. presente a Firenze, ove fu collocata in una grotta del giardino di Boboli (Kuhlemann, n. A.26); il Cristo alla colonna e la Madonna col Bambino, che nella lettera M. dice richiesti dal viceré per il re di Spagna, sono verosimilmente identificabili con due sculture eseguite tra il 1613 e il 1614 e oggi conservate rispettivamente a Madrid nel Museo Lázaro Galdiano e a El Pito presso Cudillero, nelle Asturie (benché un’altra versione firmata del Cristo sia stata ritrovata nella chiesa dei Ss. Quirico e Lucia a Montelupo; Parronchi, 1980, p. 42). Lo stesso carteggio attesta che M. si recò a Firenze per un breve periodo nel 1617. Al suo ritorno lo colse un’infermità che gli rese difficile portare a termine le opere già iniziate. Nel 1618 fece testamento per la seconda volta (il primo testamento risale al 1616). A partire da questi anni la sua produzione si ridusse progressivamente.
Morì a Napoli nel febbraio del 1622, senza lasciare eredi.
Nel 1624 la vedova Delia Vitale vendeva ai monaci della certosa di S. Martino alcune sculture in marmo, una delle quali identificabile con il Cristo risorto collocato nel chiostro della certosa, citato in una lettera scritta da M. nel 1617 (Kuhlemann, n. A.30). Non ha avuto seguito la proposta di riconoscere nel «gruppo di marmi che fanno tre statue», citato nell’atto di vendita del 1624, la Madonna col Bambino e s. Giovannino conservata nella stessa certosa, proposta che ha suggerito un’attribuzione a M. (Parronchi, 1980, pp. 44 s.) oggi definitivamente abbandonata in favore di quella a P. Bernini (H.-U. Kessler, Pietro Bernini (1562-1629), München 2005, n. A19). Altrettanto dubbia è l’ipotesi che due sculture del gruppo citato da M. nella stessa lettera del 1617 come «tempo, verità e bugia» siano state rilavorate, quasi un secolo e mezzo più tardi, da A. Corradini e F. Queirolo per ricavarne la Pudicizia e il Disinganno della cappella Sansevero (Parronchi, 1981; Kuhlemann, n. C.21).
Oltre al citato Montani fu allievo di M. lo scultore carrarese G. Finelli; questi nel 1618 viveva in casa di M. (Maresca di Serracapriola, p. 120), ma dopo la morte del suo maestro si trasferì a Roma per entrare nella bottega di G.L. Bernini, il cui stile influenzò le opere da lui eseguite, dopo il ritorno a Napoli, ben più di quello di Michelangelo.
Fonti e Bibl.: B. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani (1743), a cura di F. Sricchia Santoro - A. Zezza, Napoli 2003, pp. 691-693; L. Amabile, Due artisti ed uno scienziato. Gian Bologna, Jacomo Svanenburch e Marco Aurelio Severino nel S.to Officio napoletano, Napoli 1890, pp. 12-17; A. Maresca di Serracapriola, M. Naccherino scultore fiorentino allievo di Giambologna. Sua vita, sue opere, opere del suo aiuto Tomaso Montani e del principale suo allievo Giuliano Finelli, Napoli 1924; A. Parronchi, Resti del presepe di S. Maria Novella, in Antichità viva, IV (1965), pp. 9-28; A. Bilardo, Qualche precisazione sulla presunta attività siciliana di M. Naccherino (con due documenti inediti), in Archivio storico messinese, LXIX-LXXI (1969-1971), pp. 229-246; A. Nava Cellini, La scultura dal 1610 al 1656, in Storia di Napoli, V, 2, Napoli 1972, pp. 783-785; A. Parronchi, Sculture e progetti di M. Nacherino, in Prospettiva, 1980, n. 20, pp. 34-46; Id., Su un progetto di M. Nacherino, ibid., 1981, n. 25, pp. 14-24; O. Ferrari, I grandi momenti della scultura e della decorazione plastica, in Civiltà del Seicento a Napoli (catal.), a cura di R. Causa - G. Galasso, II, Napoli 1984, pp. 139, 141-145, 148; M.I. Catalano, ibid., pp. 219-223; Id., Scultori toscani a Napoli alla fine del Cinquecento. Considerazioni e problemi, in Storia dell’arte, LIV (1985), pp. 123-127; G.G. Borrelli, Note per uno studio sulla tipologia della scultura funeraria a Napoli nel Seicento, ibid., pp. 141-143; R. Wittkower, Arte e architettura in Italia: 1600-1750, Torino 1993, p. 112; S. Musella Guida, M. Naccherino e il S. Giovanni marmoreo di Catanzaro, in Magna Graecia, XXIX (1994), pp. 21-23; M. Kuhlemann, M. Naccherino. Skulptur zwischen Florenz und Neapel um 1600, Münster 1999; A. Migliorato, Tra Messina e Napoli: la scultura del Cinquecento in Calabria da Giovan Battista Mazzolo a Pietro Bernini, Messina 2000, pp. 100-102; M.M. Estella Marcos, La importación de esculturas italianas. Obras en España del taller de los della Porta, de Giambologna y del Naccherino, in El modelo italiano en las artes plásticas de la península ibérica durante el Renacimiento, a cura di M.J. Redondo Cantera, Valladolid 2004, pp. 442 s.; A. Migliorato, Per Federico Porzio, committente messinese di M. Nacherino: un’opera perduta ed una restituzione, in Percorsi di conoscenza e tutela. Studi in onore di Michele d’Elia, a cura di F. Abbate, Pozzuoli 2008, pp. 181-191; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXV, pp. 320 s. (s.v. Naccherino, Michelangelo).