GRIFFINI, Michelangelo (al secolo Giacinto Gaetano)
Nacque a San Colombano al Lambro il 4 maggio 1731, dal "dottor fisico" Giuseppe e da Armilla Pia Legnani. Dopo studi nel collegio S. Giovanni delle Vigne di Lodi, retto dai barnabiti, a quindici anni chiese di entrare nell'Ordine, cui apparteneva già il fratello maggiore Giovanni Battista (Pio in religione).
Avviato al noviziato di Monza nell'agosto 1746 per la prova canonica, professò i voti solenni il 16 ott. 1747, passando poi al collegio di S. Alessandro in Milano per studiarvi filosofia sotto il p. Ignazio Visconti, futuro generale dell'Ordine. Terminato il corso con una disputa de universa philosophia (20 maggio 1750), che ebbe risonanza, e l'esame finale (3 agosto), dall'ottobre studiò teologia a Bologna, nel collegio S. Paolo, avendo a maestri i padri Celso Somaglia e Alessandro Ughi. Per difetto d'età dovette attendere l'ordinazione sacerdotale fino al 9 marzo 1754, quando già da sei mesi insegnava filosofia nel seminario di Bologna.
Tenne la cattedra sei anni. In filosofia naturale, com'era già tradizione nell'Ordine, era copernicano e newtoniano; insieme coltivò gli studi sacri e per leggere nel testo originale le fonti bibliche e patristiche approfondì ebraico e greco, cui aggiunse il francese, sotto la guida del p. Ughi. La sua passione per lo studio ("vix iterum in hebdomada pedem domo efferre solet") passava agli allievi, le cui dispute pubbliche riuscivano un avvenimento cittadino. Di quel periodo è la sua prima operetta (Salvatoris Corticelli clerici regularis S. Paulli vita), che resta nell'esemplare di dedica al preposito generale Paolo Filippo Premoli (Roma, Arch. storico dei barnabiti, Y.b.33).
Il 3 nov. 1759 passò, nello stesso seminario, alla cattedra pubblica di teologia, disciplina a lui più congeniale; di questo insegnamento restano solo i trattati De Ss. Trinitate e De angelis, raccolti dall'alunno V. Caneti nel 1760-61. Eletto (14 nov. 1760) cancelliere della comunità e custode dell'archivio, ovviò a una grave lacuna storica ricuperando la documentazione degli anni 1743-55 e iniziando gli Acta del seminario, che redasse fino al 22 ag. 1762. Compose anche una dettagliata relazione triennale (1758-61), inviata al capitolo generale. Dei primi mesi del 1762 è anche la prima opera stampata, dedicata al card. Vincenzo Malvezzi arcivescovo di Bologna: la Diatriba adversus Io. Barbeyracium pro Patrum eloquentia in morum institutione tradenda fu distribuita il 19 giugno 1762 nel duomo di Bologna, alla fine della disputa pubblica di un allievo, G. Cuppini. Nella sua traduzione francese annotata delle opere di S. Pufendorf, Jean Barbeyrac aveva espresso un'aspra critica dei Padri della Chiesa e, stizzito per una replica di R. Cellier, in un Traité de la morale des Pères aveva anche criticato il loro stile letterario. Il G. rispose a quest'ultima critica, ripromettendosi di replicare in modo più articolato a tutte le altre; ma non poté farlo perché, trasferito alla penitenzieria di Bologna l'11 dic. 1762 per richiesta dell'arcivescovo, dovette applicarsi ad altri studi.
I penitenzieri barnabiti, oltre al servizio religioso nella loro chiesa di S. Andrea dei Piatesi, dovevano confessare in cattedrale ed erano anche esaminatori sinodali, revisori dei libri per la stampa, confessori e predicatori nei monasteri, giudici in cause matrimoniali o di immunità ecclesiastica, prefetti dei casi di coscienza al clero. S'aggiungevano missioni particolari che l'arcivescovo affidava al rettore della penitenzieria (il G. lo fu dal 7 ag. 1769 al 7 ag. 1774). Ma egli fu occupato soprattutto dalla predicazione ordinaria e straordinaria, come mostrano gli Acta della penitenzieria (talora in un giorno predicò tre quaresimali in tre chiese). Tuttavia riuscì a terminare nel 1772 e a pubblicare l'anno dopo un commento storico-morale alle bolle Sacramentum poenitentiae e Apostolici muneris di papa Lambertini, seguito da uno pratico di 16 casi risolti, ristampato più volte separatamente (Animadversiones in Benedicti XIV binas constitutiones de non absolvendo complice peccati contra sextum Decalogi praeceptum commissi).
Nel 1773 la soppressione della Compagnia di Gesù coinvolse il G. nella delicata sostituzione dei gesuiti nei loro ministeri. Prima di pubblicare la bolla Dominus ac Redemptor (21 luglio 1773) Clemente XIV ne aveva informato l'arcivescovo card. Malvezzi, pregandolo di attuare la successione in modo indolore. L'arcivescovo pensò per questo ai barnabiti, incaricando il G. di contattare le autorità dell'Ordine, che dapprima esitarono ma infine dovettero accettare. A lui spettò l'esecuzione, assai difficile specialmente avanti la pubblicazione della bolla; ma col 1° nov. 1773, dopo mesi di comprensibile sbandamento e resistenze, l'attività venne ripresa nelle tre case ex gesuitiche: collegio S. Francesco Saverio o dei nobili, collegio S. Luigi o dei cittadini, collegio S. Lucia. Quest'ultima opera, la più complessa anche perché comportava l'assistenza spirituale a ben otto congregazioni laicali che accoglievano il fior fiore della città, fu affidata al G. e ai confratelli della penitenzieria, sino a che vi fu stabilita una regolare comunità, di cui egli fu nominato preposito (7 ag. 1774).
Iniziò poi il periodo più intenso della vita del G., rimasto in S. Lucia fino alla morte. Superata un'infermità durata ben 16 mesi, nel 1778 pose mano alla biografia dell'udinese G.M. Percoto, missionario in Birmania e suo compagno di studi. Aiutato da p. Angelo Cortenovis, rettore del collegio di Udine, che gli fornì notizie della famiglia e della giovinezza dello scomparso, e disponendo d'una copiosa silloge milanese di lettere di missionari, nel 1781 stampò a Udine la Vita di mons. Giovanni M. Percotodella Congregazione di S. Paolo, missionario ne' Regni di Ava e Pegù, vicario apostolico e vescovo massulense, lavoro rigoroso, lodato dai recensori e ancora valido.
Alla morte del p. Pietro Brocchieri (dicembre 1784) il G. gli succedette nella cattedra di teologia morale, che tenne fino alla morte. La ripresa dell'insegnamento universitario caratterizzò la sua produzione successiva. Nel 1788 pubblicò gli Atti del sinodo di Bologna, cui aveva partecipato con nove confratelli (Synodus dioecesana Bononiensis… celebrata diebus II, III et IV septembris anni MDCCLXXXVIII). Per gli alunni pubblicò in latino due tomi di censure su proposizioni condannate in materia morale (Plurium a S. Sede apostolica damnatarum propositionum moralium ex praeiactis theologiae principiis deprompta censura…, Bononiae 1791-92: si tratta, nonostante il titolo modesto, d'un vero trattato di teologia morale). Seguirono due volumi di Lezioni morali sopra le quattro virtù cardinali (ibid. 1793).
Col penetrare in Italia delle idee e poi delle forze rivoluzionarie francesi, la produzione del G. tornò alla polemica. Nello stesso 1793 stampò a Bologna sotto pseudonimo le Brevi riflessioni di Eufrasio Lisimaco su il libro della riforma d'Italia, critica dell'opera di C.A. Pilati Di una riforma d'Italia, ossia dei mezzi di riformare i più cattivi costumi e le più perniciose leggi d'Italia (Venezia 1767, più volte ristampata), aspra critica al clero italiano e proposta di radicali riforme illuministico-regaliste. In toni equilibrati il G. riconobbe le deficienze della Chiesa, sostenendo però che le proposte di Pilati erano peggiori dei mali da guarire. Apparvero pure anonimi la Lettera d'Ireneo a Filalete in cui si esamina se sia lecito o no il giuramento civico che si esige dalla Repubblica Cisalpina (Bologna 1798) e un libretto privo di data topica e cronica (Un amico della verità alle sacre vergini racchiuse nei chiostri di Bologna e sua diocesi), commissionato al G. dal card. A. Gioannetti per replicare a pressioni esercitate sulle monache di clausura per indurle a lasciare l'abito.
Nel 1800 inviò a Milano un corso di esercizi spirituali, in 34 meditazioni. I confratelli lo trovarono così ben fatto da darlo subito alle stampe in due eleganti tometti (Ritiro spirituale di alcuni giorni per gli chierici regolari di S. Paolo detti barnabiti). L'ultima fatica letteraria del G. (Saggio di alcune greche composizioni ad uso dei giovani che nelle lettere e nella pietà sono diretti dai padri chierici regolari di S. Paolo detti barnabiti… illustrate con alcune annotazioni, Bologna 1803) fu riservata agli alunni delle scuole di S. Lucia, ai quali aveva già dedicato un gioiello bibliografico in 32° (Il mese di maggio consagrato ad onore di Maria Vergine dagli scolari che studiano nelle scuole di S. Lucia di Bologna sotto la direzione del padri barnabiti), che donò personalmente a ciascun alunno il 1° maggio 1792. Ad altri inediti recensiti da Boffito (pp. 291 s.) occorre aggiungere una Relazione del G. al capitolo generale del 1761, le Regulae pro studiis moderandis depromptae ex veteribus nostris et hisce temporibus accommodatae e circa trenta lettere date e ricevute in anni diversi (Roma, Arch. storico dei barnabiti, Acta triennalia, XV, cc. 277r-284v; S.79, cc. 26r-27v; Y.e.36), oltre a un lungo elogio latino del p. Salvatore Berlucchi (Bologna, Archivio del Collegio S. Luigi, Atti penitenzieria, 28 apr. 1768).
Il G. era consapevole che il suo stile non aveva lo smalto di quello di tanti confratelli, e se ne consolava con la frase di s. Girolamo a papa Damaso: "Multo melius est vera rustice, quam falsa diserte proferre". Il suo stile era però tutt'altro che rustico: usava termini propri, quasi tecnici, anche se rari o desueti, e il discorso era stringato, denso ma chiaro, con frequenti citazioni anche in greco. Badava alla sostanza, quasi estendendo ai libri il linguaggio tenuto in cattedra. Erudizione e cultura gli furono riconosciute da molti fin dai primi anni d'insegnamento. Nel febbraio 1759 dette anche lezioni di anatomia a un laureando in medicina e nel 1761, con p. F. Toselli, partecipò a dispute pubbliche di anatomia; dottori dell'Università bolognese sottoposero a entrambi i propri lavori prima di pubblicarli. Nel 1760 preparò al battesimo, nella sua lingua, un soldato greco e nel 1778 ebbe lunghe conversazioni in greco con l'erudito tedesco Otto Cruenbach, che, iniziate come esercizio linguistico, indussero poi costui a entrare nella Chiesa cattolica.
Schivo per natura e per amore dello studio, il G. dovette accettare cariche importanti nell'Ordine. Fu più volte superiore locale (la sua gestione fu citata a modello); partecipò a parecchi capitoli provinciali e, ben sei volte, ai capitoli generali, nei quali fu spesso eletto tra i moderatori dei lavori. Dal 16 maggio 1800 al giugno 1804 fu preposito della provincia toscana, che includeva l'Emilia, il che gli permise di insegnare la teologia morale fino al maggio 1808.
L'ultimo periodo della sua vita fu reso difficile dalle avverse condizioni sociali e religiose. Le prime avvisaglie si ebbero nel 1792, quando ospitò un buon numero di confratelli e sacerdoti fuggiti dalla Francia. Dall'entrata delle truppe francesi in Bologna (19 giugno 1796) la situazione si aggravò: imposizione del giuramento di fedeltà al Senato repubblicano (22 giugno), consegna degli argenti di casa e chiesa (26 giugno), soppressione delle comunità religiose (11 marzo 1797), sequestro di metà collegio e della parte più preziosa della biblioteca (7 aprile), imposizione dell'inventario di tutta la suppellettile (6 novembre), divieto di predicazione nelle chiese (19 dicembre), consegna dell'elenco di tutti i religiosi, compresi gli ospiti che il governo aveva espulso dai loro collegi (agosto 1798). La cacciata dei Francesi da Bologna (30 giugno 1799) segnò un effimero periodo di euforia, ma al loro ritorno (28 giugno 1800) spoliazioni e soprusi ripresero. Il G. si adoperò per la serenità comune con l'opera e la penna, e soprattutto non allentò l'attività della scuola che, almeno per il momento, era riuscito a salvare.
Nel 1804, per un cedimento della salute, cessò le lezioni morali dal pulpito, ma curò l'istruzione religiosa dei giovani della scuola fino al luglio 1807 e l'insegnamento pubblico della teologia morale fino al maggio 1808. Morì a Bologna il 20 marzo 1809.
Quattro mesi dopo, il clero bolognese e gli ex alunni lo onorarono con un solenne rito funebre in S. Maria della Vita. Un suo importante profilo biografico, scritto da p. Stanislao Tomba, futuro vescovo di Forlì, è conservato inedito a Bologna (Arch. del Collegio S. Luigi, Acta Coll. S. Luciae, I, cc. 123-127).
Fonti e Bibl.: Bologna, Arch. del Collegio S. Luigi, Acta capituli S. Andreae, 1762-72; Acta Coll. S. Andreae poenitentiariae, 1762-74; Acta Coll. S. Luciae, I, cc. 19-127; Cartella Percoto, f. 4; Ibid., Arch. generale arcivescovile, Liber ordinationum ab anno 1747 ad annum 1759 (H. 429), 27 maggio 1752, 16 giugno 1753, 9 marzo 1754; Milano, Arch. di S. Alessandro in Zebedia, Acta Collegii, 20 maggio, 3 ag., 3 ott. 1750; Roma, Arch. stor. dei barnabiti, Acta capitulorum generalium, S.72, c. 14v; S.73, cc. 9v, 14v; S.79, cc. 1v, 2v, 9v, 10r, 13v-14r, 26r-27v; S.80, c. 36v; S.81, cc. 1v, 2v; S.83, cc. 6v, 20r; S.84, cc. 3r-4r; Acta Collegii S. Pauli Bononiae, VIII/2, cc. 212v, 214v, 215rv, 216r; Acta praepositi generalis, R. 13, cc. 58r, 62v; R.14, cc. 13, 48, 70, 77, 78, 100, 195, 209, 224; Acta procuratoris generalis, vol. 10, c. 391; Acta provinciae Tusciae, vol. 11/2, cc. 82r, 126r-127v; Acta Seminarii Bononiensis, vol. 19, cc. 12v-15v, 37r; Acta triennalia Collegiorum, XV, cc. 254v, 266r-267v, 274v-276v, 277r-284v, 288r; Epistolario dei generali, s. II, vol. 50, cc. 1r, 2v, 33r, 260r, 262r; vol. 52, cc. 93r, 170rv; vol. 53, cc. 4v, 25v, 70v, 91rv, 123v, 164v, 167v; vol. 55, c. 92v; GG.69 (Tractatus de Trinitate et deangelis); Y.e.33 (Notizie storiche e letterarie); Y.e.36 (lettere); San Colombano al Lambro, Arch. parrocchiale, Liber baptizatorum, 5 maggio 1731; [I.A. Scandellari], Della vita e delle opere del padre don Michel'Angiolo G., Bologna 1809; O.M. Premoli, Storia dei barnabiti dal 1700 al 1825, Roma 1925, ad ind.; G. Boffito, Scrittori barnabiti, II, Firenze 1933, pp. 287-292; L. Levati - F. Sala, Menologio dei barnabiti, III, Genova 1933, pp. 208-210.