GUACCI, Michelangelo
Nacque a Trani il 14 marzo 1910, figlio primogenito di Giovanni e Isabella Laurora, triestina. Ebbe due fratelli: Antonio (1912-95), che fu scultore, architetto e professore presso la facoltà di ingegneria dell'Università di Trieste, e Nicola.
Nel 1919 i genitori si trasferirono a Trieste, dove avviarono un'azienda commerciale di mescita di vino. Terminate le scuole dell'obbligo, il G. frequentò l'istituto commerciale interrompendo gli studi nel 1926 per impiegarsi presso la Banca d'Italia. Lasciato il lavoro per motivi di salute, s'iscrisse al liceo scientifico. Quindi, nel 1932, passò alla facoltà di economia e commercio, dove si laureò nel 1937 con una tesi sui banchieri fiorentini del Trecento. All'esordio degli anni Trenta iniziò a dedicarsi alla pittura. L'affermazione artistica avvenne alle mostre dei Littoriali dell'arte, dove i suoi lavori furono prontamente notati da S. Benco e U. Apollonio (1932-39). All'università strinse, inoltre, profonda e duratura amicizia con E. Zenari, con il quale condivise le prime esperienze espositive e da cui apprese la tecnica della pittura a olio.
Le opere di quegli anni mostravano una libera sperimentazione di diversi registri linguistici, senza esclusioni per tendenze artistiche, generi o tecniche, che andavano dal monotipo (Uomini e cavallo, Cavallino) all'affresco (Cristo deriso, I cavalieri, Il poeta, esposti alle mostre universitarie, e Scena agreste, eseguito su commissione nel 1939 nell'atrio di una casa, andati tutti distrutti). Nel 1934 S. Benco segnalò un disegno del 1931 di ubicazione ignota "dominato ancora dal decorativismo secessionista"; ma già il grande quadro a olio con Madonna del 1935 manifestava interesse per l'arte rinascimentale (ripr. in Gioseffi, 1971, fig. 52). I lavori del biennio 1938-39, di minori dimensioni, alternavano, invece, una sintassi geometrica con linguaggi di matrice neoespressionista (Mondana, 1938; Sul carro, 1939; Maschere, 1939).
Inseritosi presto nell'ambiente artistico della giovane pittura triestina, nel 1935 il G. espose per la prima volta alla IX Mostra d'arte del Sindacato interprovinciale fascista di belle arti della Venezia Giulia, dove era presente con alcune sculture anche il fratello Antonio. Alla stessa manifestazione continuò a esporre negli anni successivi (1938, 1940, 1942).
Nel 1937 fu riassunto dalla Banca d'Italia e, nel 1939, assegnato all'ufficio contabilità della filiale di Fiume. Nell'ottobre 1940 venne trasferito alla succursale di Bergamo dove rimase tredici anni. In questo stesso anno sposò Anna Ilias da cui ebbe due figlie, Isabella (nel 1945) e Mariella (nel 1949). Il periodo bergamasco fu difficile per il G.: il lavoro in banca a lui poco congeniale, la guerra e il dopoguerra, l'impatto con l'ambiente artistico locale significarono un rallentamento dell'attività creativa ed espositiva. Poche le opere prodotte in quegli anni e, per lo più, di scarsa soddisfazione per il pittore, nonostante l'aggiornamento di quadri come Ultime notizie, di matrice neoespressionista, esposto alla XVI Mostra del Sindacato interprovinciale (1942), o dei lavori incentrati sui temi delle Giostre e degli Ombrelli (1948), che registravano la pronta ricezione delle novità messe a disposizione dalla divulgazione culturale e dalle esposizioni della Biennale di Venezia, dedicata, proprio nel 1948, alla riscoperta di A. Renoir e degli impressionisti francesi: senza contare il fatto che il G., eletto nel 1951 presidente del Sindacato bancari delle provincie lombarde, aveva occasione di recarsi mensilmente a Roma.
Nel dicembre 1952 ottenne di tornare a Trieste. Nonostante il manifestarsi dei primi sintomi di una malattia cardiaca (1953), il G. conobbe un periodo di fervida attività, in cui rivisitò il classicismo arcaizzante del Novecento italiano, ma anche i valori di libertà grafica e coloristica dell'astrattismo. Non aderì, però, alle proposte dell'avanguardia, forse perché sentiva "la necessità di salvare le parvenze di un mondo reale noto (il mondo piccolo-borghese dei salotti, delle cerimonie famigliari, del circo, dei suonatori) al fine di esercitare su di esso, per mezzo dell'ironia che sfiora il grottesco, quella dissacrazione che lo intacca e, in sostanza, lo nega" (Zenari, 1971, p. 41). Riprese a esporre, prima, con saltuarie apparizioni in mostre collettive anche a Firenze e a Roma poi, insieme con l'amico Zenari, divenuto nel frattempo scultore, allestì a Trieste una mostra di grafica alla galleria Parovel (1958) e un'altra di opere di carattere sacro alla galleria dei Rettori (1961). Una serie di personali riportò l'artista all'attenzione del pubblico e della critica, prima fra tutte quella allestita nel 1957 presso la sala comunale d'arte di Trieste, che raggruppava le opere più significative prodotte fino a quel momento. Seguirono altre personali: presso la galleria del Tergesteo (aprile 1958), il bar Moncenisio (marzo 1960) e la galleria Nerea di Udine (novembre 1962).
Fu, probabilmente, a contatto con Zenari che il G. sviluppò il suo interesse per le tecniche di riproduzione grafica, dal monotipo alla linoleumgrafia, dalla puntasecca all'acquaforte.
Al periodo compreso tra la seconda metà degli anni Cinquanta e la prima metà dei Sessanta risale anche la realizzazione di diverse illustrazioni per libri che, però, non furono pubblicate (Cavaliere e donna al balcone, I fantasmi dell'"Isola" di Giani Stuparich, Angelica, Ricordi di Angelica, Strega, Cerbero). Questo interesse per la grafica, precocemente testimoniato da un acquerello del 1943 intitolato Illustrazione per favola (ubicazione ignota), costituì, intorno al 1960, un elemento linguistico importante per il raggiungimento della maturità espressiva del G., basata proprio sulla dialettica tra pittura e viluppo segnico.
Nel 1962, su invito del pittore E. Devetta, fu tra i fondatori della galleria La Bora di via Malcanton a Trieste, gestita da un gruppo di artisti e inaugurata nel giugno 1963. Nel 1964, a causa delle condizioni di salute, il G. chiese il pensionamento anticipato. Da quel momento si dedicò a tempo pieno alla pittura, realizzando una produzione varia nella scelta dei soggetti come nelle tecniche, che fu presentata nello stesso anno in una serie di mostre personali tenute a Treviso alla galleria Di Barbara (marzo); a Gorizia alla galleria Pro Loco (settembre); a Trieste alla galleria Alcione (luglio) e nella sala comunale, dove vennero esposte circa trenta opere (novembre).
I lavori mettevano in scena personaggi e situazioni della minuta cronaca quotidiana: orchestrali e saltimbanchi, giovani sposi e signore al caffè, ma anche vescovi, angeli e guerrieri mutuati dal patrimonio iconico tradizionale. Patrimonio che il G. accolse sempre quale repertorio di motivi per il proprio favolistico immaginario, come testimonia l'Omaggio a Botticelli del 1966.
Negli ultimi due anni di febbrile attività (1966-67), costretto a lunghe degenze a letto, il G. usò soprattutto l'acquerello e il disegno a penna acquerellato. Abbandonò i procedimenti operativi consueti, caratterizzati da ripetuti interventi e modifiche in corso d'opera, e optò per una scrittura rarefatta e cifrata e una esecuzione di getto, in cui gli elementi astratti, come punti e macchie, assumevano un significato autonomo.
Nel 1966 fu eletto presidente del Sindacato pittori e scultori del Friuli Venezia Giulia, carica da cui si dimise l'anno dopo, e in luglio entrò a far parte del curatorio del Civico Museo Revoltella in qualità di tesoriere. Durante il 1967 tornò a dipingere saltuariamente a olio, realizzando anche opere di un certo impegno come il grande Bacco dipinto su faesite. Allestì ancora una mostra personale alla triestina galleria Rossoni (marzo) e, all'inizio di ottobre, inviò due opere, Gruppo nuziale e Pagliaccio con flauto, alla XVIII Biennale d'arte triveneta di Padova, manifestazione cui partecipava sin dal 1963.
Il G. morì a Trieste il 17 ott. 1967, mentre preparava una nuova personale alla galleria Torbandena.
A un anno dalla scomparsa il Civico Museo Revoltella e il Comune di Trieste commemorarono il pittore con un'importante retrospettiva a palazzo Costanzi, che riuniva sessanta dipinti a olio e una ventina di disegni del periodo 1948-67. Contemporaneamente la rivista Le Arti gli dedicava un numero monografico speciale con testimonianze biografiche e saggi critici di Zenari, G. Montenero, D. Gioseffi e altri. Una nuova retrospettiva si tenne nel 1970 a Venezia nella sala napoleonica del Museo Correr.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. privato Isabella Guacci; necr. in Il Gazzettino (Venezia), 18 ott. 1967; S. Benco, La mostra d'arte universitaria a Sistiana, in Il Piccolo, 31 luglio 1934; G. Marussi, Mostra postuma di M. G., in XVIII Biennale d'arte triveneta, Padova 1969, pp. n.n.; Retrospettiva a Venezia di M. G., in L'Eco di Bergamo, 9 nov. 1970; P. Rizzi, Lettere a Venezia, in Le Arti, XX (1970), 12, p. 55; M. G. 1909-1967, a cura di D. Gioseffi, Trieste 1971 (con bibl.); E. Zenari, Nota aggiuntiva, ibid., pp. 35-43; I. Guacci, Cataloghi e indici bio-bibliografici, ibid., pp. 181-200; F. Bertogna, M. G.: un artista in banca, in Riv. del personale della Banca d'Italia, 1976, pp. 22-24; C.H. Martelli, Artisti triestini del Novecento, Trieste 1979, pp. 105 s.; A. Cairoli, G., in Trieste oggi, 1° dic. 1992; Id., Diz. degli artisti di Trieste, dell'Isontino, dell'Istria e della Dalmazia, Trieste 1996, s.v.; E. Crispolti - M. Masan Dan - D. De Angelis, Arte e Stato. Le esposizioni sindacali nelle Tre Venezie (1927-1944) (catal.), Trieste 1997, p. 254; M. Accerboni, G. dolce poesia del grottesco, in Il Piccolo, 17 ott. 1997; I. Guacci, A trent'anni dalla morte di M. G., ibid.