PANTANELLA, Michelangelo
(detto Michele). – Nacque ad Arpino (Frosinone) il 17 marzo 1823 da Orazio e Marianna Quadrini.
Le tracce più antiche della famiglia risalgono al Medioevo e si rinvengono nella zona della Campagna, corrispondente alle attuali province di Frosinone e di Latina. In età moderna alcuni membri della famiglia de Cinella-Pantanella ricoprirono incarichi di prestigio nelle istituzioni locali, mentre altri intrapresero attività di commercio di granaglie e di altri generi alimentari.
Pantanella si sposò appena diciottenne, nel 1840, con Angela Maria di Fulco, vedova di Angelo Cavicchia. Si narra che i coniugi partirono da Arpino poco prima del 1848 e che raggiunsero a piedi Roma, ove si stabilirono. Sembra che alla decisione del trasferimento, sollecitato soprattutto dalla moglie, non fosse estranea un’esperienza commerciale fallimentare foriera di strascichi debitori ad Arpino.
Nella capitale i coniugi avviarono una attività ambulante di vendita di pizzette di granturco, nei pressi dell’arco di Settimio Severo e poi presso piazza Montanara (scomparsa dopo gli sbancamenti di età fascista per liberare il Teatro di Marcello).
I coniugi Pantanella scelsero la piazza non per caso: luogo di sosta degli scrivani pubblici e punto di arrivo per i contadini provenienti dalla campagna, era uno dei cuori pulsanti della vita cittadina. La vita di strada non fu priva di difficoltà: durante la fase ambulante della loro attività subirono due furti che fecero loro perdere i pochi risparmi accumulati.
L’occasione per dare una svolta al business familiare fu offerta dallo scarso raccolto di grano avutosi dopo il 1859. I profitti derivanti dalla vendita di sacchi di grano e di fagioli, che i coniugi avevano immagazzinato in tempi migliori, consentirono loro di acquistare un locale, sempre in piazza Montanara, dove avviarono l’attività di un forno per la panificazione.
Nella Roma pontificia la produzione e il commercio del grano era oggetto di forte speculazione da parte di mercanti e gruppi di potere; questi acquistavano dal governo vantaggiose tratte per l’esportazione, facendo incetta di prodotto, che arrivava così in scarse quantità e a caro prezzo sul mercato locale. Con la nascita del Regno d’Italia e la successiva annessione di Roma, la molitura e pastificazione continuarono a essere condizionati dai grandi interessi pubblici e privati che frenarono a lungo l’affermazione di un sano settore industriale capace di produrre innovazione, concorrenza e occupazione. Nonostante tali vincoli, l’industria romana della molitura e della pastificazione, a partire dal 1870, visse un’importante stagione di crescita, beneficiando dell’aumento demografico. Alcune realtà produttive emersero per dimensioni e capacità imprenditoriali, dando luogo – già negli ultimi decenni dell’Ottocento – a una precoce concentrazione industriale e al coinvolgimento finanziario dei principali istituti di credito locali.
Nel 1864 Pantanella, residente in via Bocca della Verità n. 108, poté finalmente acquistare un terreno con fabbricato, giardino e fontana situati in via della Marrana, «presso la Bocca della Verità numero 4 e 5», congiuntamente a un secondo fabbricato con ingresso su via della Greca: il nucleo iniziale del complesso industriale Pantanella.
Dopo l’approvazione delle leggi eversive dell’asse ecclesiastico, molte proprietà immobiliari furono messe in vendita: in un’asta del 1874 Michele si aggiudicò altri tre fabbricati e un giardino in via de’ Cerchi. Giunto a essere proprietario dell’intera area posta tra via Bocca della Verità (oggi piazza Bocca della Verità), via di Santa Sabina (oggi via dell’Ara Massima di Ercole), via della Greca e via dei Cerchi, nel 1878 intraprese la costruzione dello stabilimento, su disegno dell’architetto Pio Scarselli. Dopo tre anni dall’avvio dei lavori, a stabilimento ormai quasi ultimato, un incendio distrusse l’ala adibita alla pastificazione. Nel frattempo, nel 1879, aveva avanzato richiesta al Consiglio comunale per edificare un panificio con dieci forni a vapore, tecnologicamente innovativi, basati sull’invenzione dell’americano Jacok Perkins, poi applicata al settore della panificazione. Fu il sindaco di Roma, Emanuele Ruspoli, ad autorizzare la costruzione del panificio e a lodarlo per le sue doti imprenditoriali.
Nel 1883, a Torino, era nata l’Associazione nazionale fra i mugnai, che nel suo Terzo congresso annuale (con oltre settanta mugnai provenienti da tutta Italia), scelse Roma come sede e offrì a Pantanella la presidenza; tre anni dopo, nel 1891, fu anche eletto membro del consiglio direttivo dell’Associazione, che tuttavia andò perdendo presto rilievo nella rappresentanza degli interessi padronali del settore, fino a sciogliersi nel 1896. Sin dal 1882, inoltre, Pantanella fu socio del Pio sodalizio dei fornai italiani in Roma, la confraternita dei fornari (ancora oggi avente sede nella Chiesa di S. Maria di Loreto).
La posizione dell’imprenditore nel panorama economico romano e il prestigio della ditta presso le istituzioni e i consumatori raggiunsero il loro apice nella seconda metà degli anni Ottanta: nel ruolo dei contribuenti per l’anno 1889, redatto dal ministero delle Finanze per registrare i redditi di ricchezza mobile superiore a 10.000 lire, vi erano 24 banchieri, 15 appaltatori, 12 proprietari o gestori di fornaci per laterizi, 11 mercanti di campagna e poi albergatori, grossisti, tipografi, fino a giungere all’industriale Michele Pantanella, unico esponente del mondo produttivo romano.
Un altro drammatico episodio doveva però sconvolgere l’azienda dell’anziano imprenditore nel 1892: la sera del 6 febbraio un nuovo incendio divampò nello stabilimento ai Cerchi, e nonostante l’intervento dei pompieri i danni furono ingenti. Sul luogo accorsero cittadini e autorità, tra cui lo stesso re Umberto I, che donò 3000 lire a Pantanella per contribuire alla ricostruzione degli edifici distrutti, in particolare nel fabbricato centrale. L’incendio segnò l’inizio di una parabola discendente per la famiglia e la ditta.
Ma a infliggere un colpo ferale alla ditta Pantanella fu lo scandalo della Banca Romana, scoppiato nel 1892, e che – si narra – costò a Pantanella la cifra di 4 milioni di lire contanti.
Negli ultimi decenni dell’Ottocento il settore molitorio e pastario della capitale aveva conosciuto una forte concentrazione, in cui la Società molini e magazzini generali, nata nel 1882 su iniziativa del Banco di Roma, aveva svolto un ruolo da protagonista, assorbendo una serie di società molitorie minori romane e napoletane – la Società dei molini del Tevere con stabilimento sulla via Flaminia e le napoletane ditta Bodmer & C. e ditta Pasquale Orsini – ed entrando presto in contatto con la ditta Pantanella, sua principale concorrente.
L’interesse del Banco di Roma a investire nel settore molitorio della capitale – coerentemente con la strategia di acquisizione di partecipazioni industriali in settori cruciali del servizio pubblico e dell’approvvigionamento cittadino – aveva spinto a un tentativo di accordo con Michele, subito dopo il primo incendio occorso allo stabilimento appena costruito, nel 1881. Le pretese dell’imprenditore furono però reputate esagerate dal Banco di Roma, e in tutti i casi distanti dall’effettivo apporto in beni recato dalla ditta alla nuova società che il Banco aveva in animo di costituire.
Dopo questo infruttuoso tentativo, il Banco di Roma aveva rivolto le proprie attenzioni verso il secondo stabilimento molitorio della capitale, situato fuori Porta Maggiore e appartenente alla Ditta Ducco e Valle, con la quale nel 1882 concluse un accordo: esso prevedeva l’acquisto della fabbrica da parte del Banco e la partecipazione minoritaria degli ex proprietari alla neonata Società molini e magazzini generali. Nel CdA della Società sedevano azionisti e amministratori del Banco, rappresentanti il gotha della finanza latifondista, altoborghese e aristocratica romana.
La congiuntura economica negativa attraversata dalla capitale a partire dal 1887 complicò il quadro all’interno del quale si trovavano ad agire la Ditta Pantanella da una parte, e la Società molini e magazzini generali dall’altra. Quest’ultima, inoltre, era afflitta dagli interessi passivi maturati acquistando scorte di cereali a credito e dal calo vertiginoso nella quotazione delle proprie azioni. Nella prima metà degli anni Novanta dell’Ottocento le due società continuarono a fronteggiarsi, sempre più propense, tuttavia, a trovare un punto di incontro. Le trattative furono condotte da Giuseppe Novi, direttore e gerente della ditta Pantanella, e da Ernesto Pacelli, consigliere d’amministrazione della Società dei molini e magazzini generali. La nuova compagine societaria, denominata Società molini e pastificio Pantanella, si riunì in assemblea generale straordinaria il 7 settembre 1896. L’elenco degli azionisti e delle loro quote mostrava in posizione dominante i Pacelli, la Banca Romana in liquidazione e il Banco di Roma; Michele Pantanella era assente e suo figlio Tommaso (1847-1900) aveva una partecipazione minoritaria di appena 200 azioni, sedendo tuttavia nel CdA.
Nelle intenzioni dei proprietari la creazione del nuovo soggetto societario doveva portare alla soluzione di un problema fondamentale: sgravare le due società dal passivo che le affliggeva, apportando nuovo capitale e svincolando l’azienda dai noti istituti creditori.
A proposito di questi ultimi, il principale creditore della Società molini e magazzini generali era il Banco di Roma, che sottoscrisse una parte cospicua del nuovo capitale compensando così il suo credito. Per la ditta Pantanella, il cardinale Mario Mocenni, incaricato della Commissione cardinalizia amministratrice della Santa Sede, accettò l’estinzione del debito contratto da Pantanella in cambio di azioni del valore di mezzo milione di lire. La Banca Romana in liquidazione, infine, principale creditore della ditta, approvò la cessione del suo credito alla nuova società in via di costituzione. Nella Relazione della Commissione liquidatrice al Consiglio superiore della Banca d’Italia si legge che Pantanella aveva una forte esposizione nei confronti della Banca Romana, garantita da una ipoteca sullo stabilimento e su altri immobili di sua proprietà.
Pantanella fece in tempo ad assistere alla fusione, in realtà un vero assorbimento della propria ditta da parte della Società molini e magazzini generali, e alla nascita della Società molini e pastificio Pantanella, con residenza in piazza dei Cerchi, che manteneva il suo cognome solo per fregiarsi di un marchio diffuso e popolare.
Pantanella morì presumibilmente a Roma nel dicembre del 1897.
Il futuro della Società molini e pastificio Pantanella avrebbe goduto di maggior fortuna, andando a occupare una posizione di rilievo nel panorama dell’industria molitoria e pastaria nazionale. Allo scoppio della Grande Guerra il personale dipendente ammontava a 1100 unità; negli anni Trenta la produzione fu trasferita nello stabilimento di via Casilina, ancora oggi visibile e vivo nella memoria della città anche se destinato, dopo anni di degrado, ad altro uso.
Fonti e Bibl.: Le carte private, utilizzate da Enrica Serinaldi nel saggio sotto citato, sono in possesso di un parente di un ex dipendente Pantanella, attualmente irreperibile.
Terzo Congresso dei Mugnai Italiani tenutosi a Roma nei giorni 23 e 24 novembre 1886, in Il giornale dei mugnai, V (1886), 11, pp. 121, 135 s.; Il Messaggero, 11 febbraio 1900; L. De Rosa, Storia del Banco di Roma, Roma 1982, p. 39; E. Serinaldi, Molitura e pastificazione a Roma. La “Pantanella” 1865-1914, in Innovazione tecnologica ed industria in Italia. Cinque realtà emblematiche, a cura di D. Brignone, Roma 1993, pp. 127-171; Mulino Pantanella. Il recupero di una archeologia industriale romana, a cura di F. Amendolagine, Venezia 1996, p. 15; P. Toscano, Le origini del capitalismo industriale nel Lazio. Imprese e imprenditori a Roma dall’Unità alla Seconda guerra mondiale, Cassino 2002, pp. 75-79, 116 s.; V. Vidotto, Roma contemporanea, Bari-Roma 2006, pp. 60, 99.