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AMARI, Michele

di Giuseppe PALADINO - Giovanni PEREZ - Giorgio LEVI DELLA VIDA - Enciclopedia Italiana (1929)
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AMARI, Michele

Giuseppe PALADINO
Giovanni PEREZ
Giorgio LEVI DELLA VIDA

Nacque a Palermo, il 7 luglio 1806, da Ferdinando, "libriere della Tavola", ossia contabile al Banco, e da Giulia Venturelli. Trascorse i primi anni in casa dell'avo paterno, avvocato e cancelliere del Protomedicato; indi, morto il nonno, passò presso suo padre, che aveva idee liberali. I maestri dell'A. furono quasi tutti ecclesiastici, ma uno solo di essi, laico, che gli espose l'economia dello Smith, "lo persuase e anche lo infiammò". Michele tendeva alla vita militare, ma la famiglia non era in grado di sostenere molte spese, e il giovane dovette abbracciare una carriera più immediatamente rimunerativa, entrando nei ministeri. Prestò servizio ininterrottamente dal 1820 al 1842 a Palermo e a Napoli, dove fu trasferito per le sue idee non ortodosse. Nel frattempo il padre, coinvolto nella congiura di Salvatore Meccio, era stato condannato e tenuto per dodici anni in carcere. Le tendenze politiche dell'A. erano per l'autonomia della Sicilia. Voleva richiamare in vita la costituzione del 1812, che aveva garentito l'indipendenza dell'isola. Tale orientamento di pensiero appare per la prima volta in un breve scritto, che l'A. pubblicò nel 1835 (in Effemeridi scientifiche e letterarie per la Sicilia, XII, pp. 231-41). In esso, esaminando un'opera allora uscita di Giuseppe Del Re, sostenne che il Regno di Sicilia aveva avuto sempre un'esistenza a sé, e non poteva essere considerato una dipendenza di Napoli. Il concetto dell'indipendenza siciliana è più esplicitamente affermato in un'operetta dal titolo Catechismo politico siciliano, che l'A. scrisse insieme con Giuseppe Ruffo e stampò alla macchia nel 1839, nella quale si trova già il programma politico, caldeggiato per lungo tempo dall'A., della federazione italiana di stati eguali, liberi e sovrani.

Con queste idee nella mente l'A. cominciò ad occuparsi del Vespro, intorno al quale eseguì ricerche prima a Palermo e poi, col permesso del governo, a Napoli. Dalle indagini venne fuori la prima edizione della Storia del Vespro pubblicata a Palermo nel 1842 col titolo Un periodo delle istorie siciliane del secolo XIII. Con quale spirito l'A. scrivesse il libro si può bene immaginare pensando alla materia che aveva per le mani, e al momento in cui gli accadde di trattarla. Argomento dell'opera era la prima manifestazione della lotta per l'indipendenza siciliana e l'A. la scrisse in un momento in cui, essendo stato trasferito da Palermo a Napoli, aveva dovuto abbandonare la città natale, e non sapeva adattarsi a vivere in un ambiente contrario alle sue tendenze. Per tutto ciò il libro assunse il carattere di una battaglia contro il Borbone, carattere che, nonostante le varie rielaborazioni fattene dopo dall'autore, ha conservato e conserva tuttora.

Soltanto la censura palermitana poteva lasciar passare un'opera come quella dell'A., ma essa trovò ostilità nel governo centrale, che, considerando l'indipendenza siciliana dannosa per gl'interessi generali dello stato, tendeva a fondere più saldamente le due parti di cui il regno era composto. L'impiegato, che si era espresso in senso contrario alle direttive del governo, fu quindi sospeso dall'ufficio e invitato a scolparsi in Napoli. Ma l'A. non si presentò e fuggì in Francia.

A Parigi fu bene accolto dagli esuli e dai dotti francesi e attese alla seconda edizione della Storia del Vespro, mentre con lo studio dell'arabo veniva preparandosi a scrivere la Storia dei Musulmani. A Parigi l'A. rimase fedele alle idee autonomistiche dei tempi anteriori; più in là della federazione egli non si spinse, sebbene avesse contatti con il Mazzini e ne apprezzasse la personalità e quantunque il suo ardente temperamento di isolano lo conducesse a preferire il metodo mazziniano della insurrezione violenta a quello delle conquiste graduali caldeggiato dal Gioberti. Dell'atteggiamento del suo pensiero in tale epoca fa fede la Introduzione premessa dall'A. al Saggio storico politico sulla costituzione siciliana del Palmieri, che egli pubblicò a Losanna nel 1847.

Quando di lì a poco apparvero i primi segni del movimento rivoluzionario, l'A. sperò che Ferdinando II avrebbe accordato alla Sicilia la sospirata indipendenza, ma, vedendo che il governo costituzionale napoletano non intendeva di concederla, riprese la lotta a oltranza.

Nel corso del 1848-49 l'A. è nel mezzo della scena politica. Deputato al parlamento, ministro delle finanze, rappresentante del governo rivoluzionario a Parigi e a Londra, propugna con la parola, con gli scritti e con l'azione le sue idee, che erano: indipendenza della Sicilia con governo repubblicano, se non si trovasse fuori della casa borbonica un principe disposto ad accettare il trono, e federazione italiana.

Ma gli avvenimenti precipitano subito verso la catastrofe. L'A. torna in Sicilia quando non v'è più nulla da sperare. Capitanare la resistenza contro il volere dei più e secondo le passioni "d'une populace urbaine et rurale fourmillante de galériens", non è possibile. Riparte quindi presto e si salva a Malta e poi a Marsiglia. Pure, all'udire che il popolo palermitano aveva tentato un'estrema disperata riscossa, è preso dal rimorso di avere disertato la causa.

In Francia, a Parigi, mentre attende alla stampa della Storia dei Musulmani, l'A. segue lo sviluppo degli avvenimenti. Il suo carattere combattivo lo indurrebbe a simpatizzare per il Mazzini, ma egli non aderisce al programma del grande. agitatore e rifiuta di entrare nel Comitato nazionale italiano. Pure in quel programma è una cosa che deve prevalere: l'unità italiana, unica soluzione per la quale la indipendenza tradizionale della Sicilia può essere fino a un certo punto dimenticata. Chi farà l'unità d'Italia, strappando la Sicilia ai Borboni, avrà il suo appoggio. L'A. ha ormai superato la pregiudiziale siciliana ed è diventato unitario. Quando infatti il Cavour propose si riconvocasse il Parlamento siciliano del 1812 e del '48, il vecchio sostenitore dell'indipendenza si oppose, poiché un'assemblea così composta "sarebbe mossa da false idee locali anzi che da vasto concetto della nazione italiana". Purtuttavia, dopo aver propugnato da ministro della Dittatura l'annessione immediata al Piemonte, che rappresentava l'Italia, avrebbe desiderato si conservasse alla Sicilia l'autonomia amministrativa, non negata all'isola neppure dai Borboni.

Nel regno d'Italia l'A. fu senatore (dal 20 gennaio 1861) e ministro dell'istruzione pubblica (dall'8 dicembre '62 al 28 settembre '64). Desiderò vivamente lo scioglimento della questione di Roma capitale e auspicò l'avvento di Chiese nazionali, mostrandosi avverso alla conciliazione col papato. Rimane testimonianza della sua attività parlamentare nei discorsi e nelle relazioni sui numerosi progetti di legge presentati da lui come ministro o esaminati come senatore. Fu altresì operoso membro del Consiglio superiore per l'istruzione e di quello per gli archivî. Ma il più e il meglio della sua attività fu dedicato, dopo il '60, agli studî e all'insegnamento, che professò da quell'anno al 1873 nell'Istituto degli studî superiori di Firenze. In quel periodo ripubblicò le due ultime edizioni della Storia del Vespro e attese, insieme con altri lavori minori, ad ampliare e a tradurre la Biblioteca arabo-sicula e a preparare la seconda edizione della Storia dei Musulmani, che però non giunse a portare a compimento.

Morì a Firenze improvvisamente, il 16 luglio 1889, lasciando tre figli che gli erano nati da Luisa Carolina Bouchez. Fu sepolto nella chiesa di San Domenico in Palermo.

L'Amari arabista. - L'A. aveva cominciato a studiar l'arabo a Parigi, nel 1842, con l'intento preciso di ricostruire di sulle fonti la storia dei musulmani di Sicilia quale antecedente di quella del Vespro e quale necessaria introduzione a una piena intelligenza dell'intera storia della sua isola natia dal Medioevo ai nostri giorni. Avendo ordinato a tale intento ogni suo studio nel campo dell'arabismo, la sua preparazione (anche perché iniziata in età già adulta e compiuta in mezzo a strettezze economiche e a cure di ogni sorta) non fu mai perfetta dal punto di vista del rigoroso metodo filologico; è tuttavia mirabile la rapidità con la quale l'A. si mise in grado di poter raccogliere, valutare e interpretare un materiale amplissimo, disperso in opere svariate, la più parte manoscritte e spesso di difficile lettura, materiale non limitato alla storia in senso stretto, ma comprendente ogni monumento letterario che avesse una pur lontana relazione con la Sicilia o fosse uscito dalla penna di scrittori arabi di Sicilia. E infatti uno dei primi prodotti dell'attività dell'A. come arabista fu la traduzione di un'opera di carattere letterario, la raccolta di sentenze e di aneddoti morali del siciliano Ibn Ẓafir (v.), ch'egli pubblicò col titolo Solvan el-Mota' ossiano i Conforti politici (Firenze 1851). Essa era stata preceduta, fin dal 1845, dall'edizione e traduzione annotata della descrizione di Palermo di Ibn Ḥawqal (v.), primo saggio di quella che fu la massima opera arabistica dell'Amari, documentazione completa della Storia dei Musulmani di Sicilia, la Biblioteca arabo-sicula (Lipsia 1857, 1875, 1877 [testo]; Torino 1881-82, 1887 [traduzione]), che fu stampata nel testo arabo a spese della Società orientale tedesca (Deutsche Morgenländische Gesellschaft) e alla quale il Fleischer, la massima autorità di quel tempo negli studî arabi, dedicò amorevoli cure per l'emendazione di luoghi difficili, mostrando così in quanta stima tenesse l'opera dell'A., al quale del resto non mancarono, allora e poi, attestati di onore da parte di studiosi e di accademie dell'estero. Durante il suo soggiorno a Parigi, l'A. ebbe il posto di conservatore dei manoscritti arabi della Biblioteca Imperiale (ora Nazionale) e in tale ufficio compilò, nel 1857, una "Bibliografia primitiva del Corano", soltanto parzialmente pubblicata da H. Derenbourg (in Centenario Amari, I, pp. 1-22), saggio quasi unico della sua opera di arabista estranea alla Sicilia e all'Italia.

La Storia dei Musulmani di Sicilia, di cui il primo volume uscì a Firenze nel 1854 e il terzo e ultimo nel 1872, dopo il ritorno dell'A. "nell'Italia unita e libera" (III, 895), è un'opera grandiosa e vigorosa, preparata con scrupolo e pazienza di erudito, concepita e scritta con genialità di storico di prim'ordine. Piccoli errori di fatto sono stati corretti e lacune non gravi nella documentazione sono state colmate dallo stesso A., che fino all'estremo della vita lavorò a una seconda edizione (ora di prossima pubblicazione); il disegno generale, i giudizî storici, il quadro della Sicilia musulmana nella sua funzione rispetto alla storia generale dell'isola conservano ancor oggi un valore inalterato.

Tornato in patria, dove gli studî arabistici, e quelli orientalistici in genere, erano in grande abbandono e decadenza, l'A., mentre proseguì, pur attraverso le occupazioni dell'uomo pubblico, la sua opera di scienziato, si dedicò coll'entusiasmo e con la tenacia che gli erano proprî a ridare serietà e dignità all'orientalismo italiano. Frutto della sua attività personale furono ampie indagini su ogni sorta di documenti arabi riguardanti la Sicilia (manoscritti, iscrizioni, monete) e in genere la storia d'Italia: la pubblicazione, traduzione e illustrazione dei diplomi arabi dell'Archivio di stato di Firenze (Firenze 1863, 1867) e di documenti relativi alla storia di Genova (in Atti della Società ligure di storia patria, V, 1873), e in genere lo studio dei rapporti delle repubbliche marinare e degli altri stati italiani coi regni arabi della opposta sponda del Mediterraneo, cui l'A. dedicò numerose monografie. Di quanto riguarda la storia della Sicilia nel periodo arabo nulla trascurò che potesse farla meglio conoscere: mentre intraprendeva e conduceva innanzi la raccolta delle iscrizioni (Le epigrafi arabiche di Sicilia trascritte, tradotte e illustrate, Palermo 1875, 1879, 1885), rimasta incompiuta, e attendeva con cura minuziosa alla seconda edizione dei Musulmani, dava impulso agli studî arabi e orientali in Italia, così nella veste di ministro e di uomo pubblico come in quella di professore e di accademico. Alla sua iniziativa, e in parte alla sua collaborazione, sono dovute alcune edizioni di testi importanti curate dal suo discepolo C. Schiaparelli e alcuni lavori interessanti la Sicilia di B. Lagùmima e di altri; per suo diretto intervento furono istituiti o rinnovati gli insegnamenti dell'arabo e di altre discipline orientalistiche in varie università italiane. Nel campo degli studî arabi, come in ogni altro della sua attività, l'A. dimostrò le sue eccezionali qualità non solo dell'intelletto ma dell'animo: onestà, dirittura, costanza, disinteresse.

Bibl.: O. Tommasini, La vita e le opere di M. A., in Atti Acc. dei Lincei, s. 4ª (Scienze morali), VI, i, 1889, pp. 340-76; A. D'Ancona, Cartegio di M. A. racc. e postillato coll'Elogio di Lui letto nell'Accademia della Crusca, Torino 1896-1907, voll. 3; Centenario della nascita di M. A., Palermo 1910, voll. 2, con una biografia di G. B. Siragusa e una diligente bibliografia compilata da G. Salvo-Cozzo; B. Marcolongo, Le idee politiche di M. A., in Archivio stor. sicil., XXXVI (1911), pp. 190-240; G. B. Siragusa, Un carteggio inedito di M. A., in Nuova Antologia, i maggio 1915; A. Stern, Lettera di M. A. al ministro Guizot, in Il Risorgim. Ital., V (1912), pp. 325-28. Sull'A. arabista si veda H. Derenbourg, Opuscules d'un arabisant, Parigi 1905, pp. 87-242.

Vedi anche
Celestino Schiaparèlli Arabista (Savigliano 1841 - Roma 1919), fratello di Giovanni Virginio, discepolo di M. Amari, prof. di arabo nell'Istituto di studî superiori di Firenze (1873-74), poi all'univ. di Roma (1875-1916). Bibliotecario dell'Accademia dei Lincei. Opere principali: Vocabulista in arabico (1871); L'Italia descritta ... detto il Buono Guglièlmo II re di Sicilia Figlio (1153-1189) di Guglielmo I, gli successe nel 1166; dopo aver aderito alla Lega lombarda (1176) stipulò una tregua con l'imperatore Federico I Barbarossa (1177). Sostenitore dell'avvio della terza crociata (1189-92), morì senza eredi, lasciando il trono alla zia Costanza di Altavilla, moglie del ... Costanza regina d'Aragona Figlia (1247-1302) di Manfredi poi re di Sicilia, sposò (1262) Pietro III d'Aragona. Fu reggente, nell'assenza del marito per la guerra del Vespro; rimasta vedova (1285), dopo la morte del figlio Alfonso III (1291), vestì l'abito delle clarisse. Invano s'adoperò poi affinché gli altri due figli, Giacomo ... Giuseppe La Farina Uomo politico e storico (Messina 1815 - Torino 1863). Repubblicano, prese parte, in Sicilia, ai moti del 1837 e alla rivoluzione del 1848. Esule in Francia e poi a Torino, aderì (1856) alla monarchia e fu collaboratore di Cavour. Inviato (1860) in Sicilia per promuoverne l'annessione al Piemonte, fu ...
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