Baio, Michele
Forma italianizzata del nome del teologo Michel de Bay (Mélin, Hainaut, 1513 - Lovanio 1589). Studiò e insegnò a Lovanio, divenendovi magister in teologia (1550), professore di Sacra Scrittura (1551), cancelliere dell’università (1575). Nel 1563 B. fu, con J. Hessels, inviato come regio teologo al Concilio di Trento. In teologia propugnò, con il suo amico Hessels, il metodo positivo e quindi un ritorno della speculazione teologica alle fonti bibliche e patristiche. Particolarmente discussa dai contemporanei è stata la dottrina di B. sulla libertà e la grazia: sviluppando motivi già presenti nelle opere antipelagiane di Agostino, B. concepiva la natura umana prima del peccato di Adamo come natura integra in cui – costitutivamente – è presente lo Spirito Santo, sicché l’uomo era ‘naturalmente’ istruito nella legge divina e a essa spontaneamente obbediva. A questa natura ‘integra’, B. contrapponeva la natura decaduta, fuori del suo stato proprio; il male è assenza di quei beni appartenenti costitutivamente alla natura dell’uomo (è ripreso così il concetto di natura, proprio della tradizione patristica, soprattutto greca, in cui i ‘doni’ dello Spirito non si aggiungono alla ‘natura’ ma sono di questa costitutivi). Sicché i doni che l’uomo riceverà per l’incarnazione di Cristo non sono propriamente ‘soprannaturali’ (nel senso che questo termine assumerà nella scolastica aristotelica) perché restituiscono all’anima ciò che era proprio della sua natura e che egli aveva perduto col peccato originale. Conseguenza della caduta di Adamo è la perdita della libertà nel senso che l’uomo non può volere nulla di moralmente buono: solo per la redenzione è reso capace di azioni meritorie e quindi è soltanto la grazia che rende l’uomo capace di meritare la vita eterna. Le dottrine di B. provocarono polemiche e condanne: nel 1560 la Sorbona condannò 18 tesi caratteristiche della ‘scuola baiana’; successivamente Pio V condannò 76 (secondo altro computo 79) proposizioni di B. e dei suoi scolari (bolla Ex omnibus afflictionibus, 1567), condanna confermata, nonostante l’apologia presentata da B., nel 1569 e reiterata da Gregorio XIII (Provisionis nostrae, 1580). B. si sottomise ogni volta.