CAVOUR, Michele Benso marchese di
Nacque a Torino il 39 dic. 1781 dal marchese Giuseppe Filippo e da Josephte-Françoise-Philippine de Sales.
Il padre, primo di sedici fratelli, uomo di non grandi capacità e di debole volontà, aveva condotto la famiglia a gravi dissesti economici. Fu la madre, donna di grandeenergia, a risollevare, attraverso anni di sforzi, le sorti della famiglia, dapprima con la propria dote, poi sostituendosi al marito nell'amministrazione. Le sorti economiche della famiglia furono però nuovamente compromesse dalla crisi scoppiata con la guerra controrivoluzionaria: le contribuzioni richieste dai Francesi, l'abolizione dei diritti feudali, poi l'inflazione la gravarono di debiti.
Intorno alla metà del 1797 il C. entrò nell'esercito sabaudo; quando questo fu incorporato nell'armata francese, si trovò agli ordini del generale Schérer e combatté a Verona il 26 marzo 1799. Nel giugno del 1800, dopo la prima Restaurazione, lo troviamo di nuovo nell'esercito sardo, luogotenente e aiutante di campo del conte Thaon di Revel.; in seguito alla vittoriosa controffensiva francese riparò ad Alessandria. Pochi giorni dopo accompagnò il Thaon di Revel a Genova (dove fu ricevuto dal futuro Vittorio Emanuele I e conobbe l'ammiraglio inglese Keith), quindi a Livorno; si stabilì poi a Firenze con lo zio Uberto detto Franchino fra la fine del luglio 1800 e il maggio 1801.
Datano dal soggiorno livornese e fiorentino le prime manifestazioni di quello che si sarebbe rivelato il temperamento del C.: la curiosità per il nuovo, la ricchezza di interessi, la propensione per gli aspetti pratici delle cose più che per quelli teorici. Discusse pon l'ammiraglio Keith sulle caratteristiche della flotta e dell'esercito inglese, s'interessò ai contrasti anglo-austriaci, mostrò d'aver compreso la novità profonda della guerra rivoluzionaria, cioè il suo carattere popolare e ideologico.
All'inizio del giugno 1801 il C. partì per Ginevra con lo zio, che non voleva tornare a Torino per i suoi sentimenti antigiacobini, peraltro condivisi dal C., e i due giunsero in luglio a Leuk, presso Ginevra. Qui il C. frequentò i più noti ambienti intellettuali ginevrini, tra cui casa Necker e il salotto di madame de Staél, e ne fu positivamente influenzato, sebbene fosse tenuto lontano da troppo ardite avventure intellettuali. dalla sua sempre più marcata propensione per le attività pratiche. Questa propensione lo indusse ad aderire al consiglio della madre, giuntogli in questo periodo, di dedicarsi agli affari. E in questa prospettiva, e occupandosi della ricerca di prestiti con i quali riacquistare i beni dei De Sales a suo tempo confiscati dalle autorità rivoluzionarie, il C. stabilì contatti col mondo finanziario ginevrino, alcuni dei quali destinati ad avere importanza fondamentale pertutta la vita; tali furono ad esempio quelli con fde Sellon e con i De La Rive.
Il consiglio della madre era maturato nell'ambito del nuovo corso dato all'atteggiamento politico ed economico di casa Cavour dal conte Bartolomeo che, sostituendosi di fatto al fratello maggiore Giuseppe Filippo, guidava la famiglia verso un riaccostamento alla nuova realtà caratterizzata dal regime francese. Fra le iniziative più importanti di Bartolomeo vi fu la costituzione della Società pastorale per l'allevamento dei merinos, alla quale il C. fu associato. Anche il matrimonio con Adele de Sellon (17 apr. 1805) rispondeva a considerazioni di convenienza economica (la dote sollevò dai debiti la famiglia), ma si rivelò un'unione assai soddisfacente. Intanto la nuova politica di Bartolomeo, a cui il C. si era adeguato prontamente, dava i suoi frutti: le finanze della famiglia riprendevano a prosperare, e la amicizia con il generale Menou introduceva alla corte del principe Borghese, oltre al C. nominato il 5 apr. 1808 primo ciambellano del principe, lo zio Franchino, la moglie Adele, la sorella di questa, Vittoria, e la madre Philippine: quest'ultime due chiamate al seguito della principessa Paolina. Il 3 dic. 1809, con l'appoggio del conte Tancredi Falletti di Barolo, Philippine ricevette il titolo di contessa, e Vittoria e il C. quello di baroni dell'Impero. Il C. e Bartolomeo si affiliarono alla massoneria napoleonica. Della posizione raggiunta il C. si servì per curare gli interessi della Società pastorale; per l'energia e le capacità che dimostrava inoltre, si acquistò presto la fiducia del principe Borghese.
La Restaurazione portò alla famiglia Cavour nuove difficoltà e nuovi danni: i legami intrattenuti col passato regime perduravano con l'incarico che il principe Borghese, partendo, aveva affidato al C., di procuratore e amministratore dei suoi beni, incarico che lo oppose alla corte sarda nella controversia sorta fra i Savoia e il Borghese a proposito della tenuta di Lucedio. I Cavour erano guardati con sospetto e accusati di massonismo. Con le patenti del 17 sett. 1816, che ordinavano la risoluzione entro il 1818 dei fitti superiori a 10.000 franchi, la Società pastorale dovette abbandonare la tenuta della Mandria, dove teneva il gregge di merinos, e fu costretta allo scioglimento (30 giugno 1822) con un passivo che gravò sui Cavour per L. 100.000. Il C. tentò ancora lungamente di salvare l'allevamento, ricorrendo più volte al governo con proposte e richieste di appoggi e sovvenzioni. Si avviava orma i a diventare l'erede di Philippine e di Bartolomeo nella guida della famiglia. Dietro il suo esempio, i Cavour compirono un pubblico ritorno nel seno della Chiesa: il C. fece due pubbliche ritrattazioni del proprio passato massonico; e con l'appoggio del marchese d'Osmond, ambasciatore francese, e del cavaliere di Saluzzo, i Cavour furono ammessi fra i frequentatori del principe di Carignano. Entro qualche anno la corte dava segno di avere restituito la fiducia ai Cavour: nel 1819 il C. fu nominato consigliere di Chieri e (31 dicembre) membro del Decurionato di Torino.
Durante i moti del 1821, con una completa estraneità alle idee rivoluzionarie, il C. rinsaldò la fiducia di cui casa, Cavour godeva; grazie all'opera di mediazione che compì a fianco del ministro di Russia conte Mocenigo, e che fruttò un compromesso, peraltro fallito, con i ribelli, e all'altra, compiuta come delegato del Corpo decurionale, e che ottenne la consegna della cittadella, seppe mantenere una posizione di equidistanza che gli permise in seguito di rimanere a fianco di Carlo Alberto, compromesso nei moti, e di rinsaldare quest'amicizia, che sarebbe durata a lungo. Intanto, attraverso un altro influente amico, il segretario all'Interno Roget de Cholex, stabiliva rapporti anche con Carlo Felice. Fu confermato membro del Decurionato, nominato (1823) direttore della Casa di correzione, membro della Camera di agricoltura e commercio e della Società di agricoltura (1826).
Intanto si era adoperato per riassestare le finanze familiari stringendo e ampliando diverse relazioni d'affari, soprattutto con gli ambienti finanziari ginevrini; ma in questo campo la principale operazione fu, nel 1818, l'acquisto delle cascine di Leri e Montarucco, per un totale di 925 ettari costati L. 853.114, che decise di amministrare direttamente, applicando sistemi moderni di coltivazione descritti in un opuscolo, Mémoire sur la terre de Léry (1827). Nel 1824 prese parte alla realizzazione della prima linea di navigazione a vapore sui laghi Maggiore e di Como, impresa a cui rimase legato per tutta la vita. Intorno al 1827 iniziava però per il C. un periodo di stanchezza e depressione, che doveva trovare, una continuazione e una conferma nei dubbi e nelle ansietà generate in lui dalla rivoluzione del 1830. Coincide con questa fase, e forse ne è in parte la spiegazione, un acuirsi della sollecitudine verso il figlio Camillo, che si avvia a dar le prime prove, di sé. Il C. aveva già ottenuto per lui da Carlo Alberto precise promesse circa l'avvenire; in questi anni.si mostra anche, più attento verso il figlio, proteggendolo dai sospetti della polizia che lo sorvegliava come sovversivo, ottenendogli, mentre assumeva il nuovo incarico di sindaco nell'amministrazione di Torino (1833 e 1834), la nomina a sindaco di Grinzane (1832), dove il giovane ebbe anche il compito di amministrare i beni che vi possedevano i Clermont-Tonnerre, parenti dei Cavour. Propose poi a Camillo, per stimolare la sua intelligenza e il suo interesse, un'indagine sulla mendicità e il pauperismo nel Regno, richiesta dal governo inglese, inchiesta che Camillo compì nel 1834; il C. la fece allora seguire da un'altra proposta di studio sul problema della carità legale.
Il 27 giugno 1835 fu nominato vicario e sovrintendente generale di politica e polizia della città di Torino, e in tale, carica si adoprò in occasione dell'epidemia di colera di quell'anno, dimostrando ancora una volta la sua capacità di lavoro e il suo spirito organizzativo. Il 30 giugno era stato nominato gentiluomo di camera onorario. Colse l'occasione offertagli dal nuovo impegno di vicario di polizia per liberarsi del peso - che tale era diventato per lui dell'amministrazione di Leri, che affidò a Can-millo. Verso la fine dell'anno seguente acquistò, intestandola al figlió minore, la tenuta del Torrone, vicino a Leri, di 269 ettari. Nella sua qualità di vicario il C. si occupò di diverse iniziative, nelle quali ricevette spesso la collaborazione del figlio: l'illuminazione a gas della città, i progetti per l'asfaltatura delle strade, ed altre. Un'ultima prova di intelligente affetto per il figlio la diede quando questi, nell'ottobre del 1840 in un'incauta speculazione alla Borsa di Parigi, perdette una cospicua somma. Lo scambio di lettere seguitone tra padre e figlio testimonia la fiducia diCamillo nel padre e la tenerezza, e anche la serena fermezza con la quale quest'ultimo sapeva valutare sia l'imprudenza del figlio, sia - al di là della "sottise" che aveva commesso - le grandi qualità che riconosceva in lui. Il 17 giugno 1847 il C. lasciava il proprio incarico di vicario di polizia. Il 5 febbr. 1848, con un parere che ebbe molto rilievo, si pronunciò nel Collegio dei decurioni a favore della richiesta di una costituzione. Morì a Torino il 15 giugno 1850.
Rappresentante della classe degli aristocratici piemontesi vissuti fra il vecchio mondo, assolutistico-feudale e il nuovo Piemonte liberale e costituzionale, classe vitale e attiva, spregiudicata e a suo modo altoborghese, vera protagonista di. un'epoca cruciale della stona non solo piemontese, ma italiana, il C. rivela la sua apertura moderna, oltre che nell'attenzione, meno razionale che intuitiva, per il benessere spirituale dei figli, nell'energia, tenacia, coraggio e lungimiranza con cui si occupò della costruzione della fortuna familiare, nella varietà e vastità degli interessi nel campo degli affari e del lavoro, che si manifesta anche nei diversi opuscoli da lui composti su vari argomenti: l'allevamento, le innovazioni tecniche e i nuovi modi di gestione in agricoltura.
Fonti e Bibl.: C. Cavour, Lettere edite ed ined. raccolte ed illustrate da L. Chiala, Torino 1884-87, I-V, passim; Id., Diario ined. con note autobiogr., a cura di D. Berti, Roma 1888, pp. 72, 103, 127 s. 130; Id., Epistol., a cura della Comm. naz. per la pubblicazione dei carteggi del conte di Cavour, I-III, Bologna 1962-68, ad Indices; F. Predari, I primi vagiti della libertà ital. in Piemonte, Milano 1861, pp. 26-37; A. Manno, Il patriziato subalpino, II,Firenze 1906, p. 245; F. Ruffini, La giovinezza del conte di Cavour, I, Torino 1912, passim; Id., I giansenisti piemontesi e la conversione della madre di Cavour, Torino 1929, pp. 97, 119, 124, 133 ss.; F. Boyer, Les Benso de Cavour et Napoléon, in Revue des études ital., I(1936), pp. 29, 31 s., 283; Id., La famille Bens de Cavour et le régine napoléonien, in Revue hist., CLXXXV(1939), pp. 332, 338, 340; N. Rodolico, Carlo Alberto..., Firenze 1943, pp. 375 s.; A. Omodeo, L'opera politica del conte di Cavour, Firenze 1945, I, p. 25; L. Bulferetti, L'econ. del Piemonte nel periodo napoleonico, in Rass. stor. del Risorg., XLIV (1957), pp. 315-328; L. Bulferetti-R. Luraghi, Agricoltura, industria e commercio in Piemonte dal 1790 al 1814, Torino 1966, pp. 184-187; Id., I Piemontesi più ricchi negli ultimi cento anni dell'assolutismo sabaudo, in Studi storici in on. di G. Volpe, Firenze 1958, I, pp. 89-90; F. Sirugo, Ricerche sulla storia del Piemonte industriale prima della Unità, I, Contributo alla conoscenza dell'ambiente familiare di Camillo Cavour (con lettere di M. C.), in Annali dell'Istituto Giangiacomo Feltrinelli, II(1959), pp. 633, 635 ss., 639; R. Romeo, Cavour e il suo tempo, I-II, Bari 1969-1977, ad Indices.