BIANCHI, Michele
Nato a Belmonte Calabro (Cosenza) il 22 luglio 1883 da Francesco e da Caterina Debonis, seguì il liceo a Cosenza, e si iscrisse alla facoltà di legge di Roma, interrompendo però gli studi per dedicarsi all'attività politica, come redattore dell'Avanti! e come dirigente dell'Unione socialista romana.
In tale veste partecipò allo sciopero dei tipografi romani del marzo-aprile 1903; diede il suo appoggio all'ordine del giorno Susi, di qualche mese dopo, che richiedeva l'espulsione dal partito di Turati per la posizione presa nella questione Ferri-Bettolo; infine sostenne un contraddittorio con G. Borelli su liberalismo e socialismo (Arch. di Stato di Roma,Fondo Prefettura,Gabinetto, b. 480, fasc. "Partito Socialista").
Delegato al congresso socialista di Bologna dell'apr. 1904, aderì alla mozione vittoriosa di E. Ferri e di Arturo Labriola. La dottrina del sindacalismo rivoluzionario, che in questo periodo incominciava a penetrare in Italia, trovò ben presto un alfiere nel B. il quale, a metà del 1905, resosi ormai acuto il contrasto tra la frazione sindacalista e il resto del partito socialista, si dimise dall'Avanti!, allora diretto da Ferri, assieme ad altri redattori, motivando la decisione in un articolo sul Divenire sociale del giugno 1905 che può essere considerato uno dei manifesti fondamentali del sindacalismo italiano.
Col 1º luglio 1905 il B. assunse, per qualche mese, la direzione di Gioventù socialista - organo della Federazione nazionale giovanile socialista, allora controllata da una maggioranza sindacalista - organizzando una vasta campagna antimilitare, per il che fu deferito all'autorità giudiziaria e condannato (Arch. di Stato di Roma,Fondo Questura, fasc. 365, sottof. "Propaganda antimilitarista. Denunzie all'autorità giudiziaria"). Nel dicembre si trasferì a Genova, come segretario della locale camera del lavoro rivoluzionaria e direttore di Lotta socialista.
L'assunzione del B. alla nuova carica coincise con la creazione a Genova di due camere del lavoro, frutto dell'estrema tensione a cui era ormai pervenuta anche all'interno del movimento operaio locale la lotta delle tendenze. In questa situazione il B. svolse sin dall'inizio un'intensa attività giornalistica ed organizzativa per conquistare alla corrente sindacalista l'egemonia sul proletariato locale, e diresse, per tutto il 1906, numerose agitazioni: Lotta socialista divenne uno degli organi più battaglieri della corrente, non privo di spunti originali e di un respiro non esclusivamente locale.
Il B. ebbe una parte di qualche rilievo al congresso socialista di Roma dell'ottobre 1906, dove ribadì i capisaldi del sindacalismo e propose un ordine del giorno antimilitarista, non accolto tuttavia dall'assemblea per motivi procedurali.
Egli denunciò i limiti della politica antimilitarista del partito socialista, rivolta unicamente alla riduzione delle spese improduttive. Soltanto un'agitazione che presentasse il militarismo come il segno tangibile della natura oppressiva dello Stato avrebbe permesso alle masse di acquistare una sempre più salda coscienza dell'assoluta inconciliabilità dei propri obiettivi con quelli degli istituti borghesi.
Come segretario della camera del lavoro di Savona, dove si era trasferito, il B. diresse numerose lotte rivendicative e di protesta locali, alcune coronate da successo. Ebbe inoltre una parte di rilievo nelle vicende che condussero alla scissione dei sindacalisti dal partito socialista, avvenuta prima al congresso giovanile socialista di Bologna nell'aprile 1907, e poi al primo congresso sindacalista tenuto a Ferrara nel luglio dello stesso anno.
A Ferrara si trasferì per qualche mese nel 1907, per riorganizzare le file del movimento sindacale, indebolito dall'arresto di numerosi dirigenti locali in seguito allo sciopero del marzo-giugno nell'Argentano. Partecipò al convegno sindacale di Parma del novembre 1907 - nel quale le organizzazioni economiche sindacaliste deliberarono di non adire alla Confederazione del lavoro - assumendo un atteggiamento centrista tra la tesi favorevole all'entrata in massa nella Confederazione e la tesi diretta alla creazione di un organismo nuovo e distinto da quello confederale. Il suo ordine del giorno infatti prevedeva quest'ultima soluzione soltanto se la Confederazione si fosse rifiutata di convocare, d'accordo con il comitato eletto al convegno, un congresso straordinario incaricato di definire le norme dell'unificazione.
Dopo un periodo trascorso a Napoli, in qualità di segretario della locale Borsa del lavoro, interrotto da una breve parentesi nel Parmense in occasione del famoso sciopero del 1908 (Arch. Centrale dello Stato,Min. Int., Dir. Gen. P. S., Div. Aff. gen. e ris. (1903-1949),Cat. F1, b. 20), il B. tornò a Ferrara, assumendovi nel maggio 1910 la carica di segretario della camera del lavoro e la direzione del periodico La Scintilla, che mantenne ininterrottamente fino alla metà del 1912.
Con il soggiorno ferrarese del B. coincide uno dei periodi di maggior sviluppo della organizzazione sindacale della zona, grazie alla riunificazione dei socialisti e dei sindacalisti in un unico organo camerale, aderente alla Confederazione generale del lavoro. Convinto assertore dell'unità proletaria locale, egli si prodigò a rinsaldarla anche sul piano politico, costituendo una lista unica tra sindacalisti e socialisti per le elezioni amministrative del 1910. Contemporaneamente, formulava progetti per alleviare la disoccupazione. Tra questi uno, invocante l'intervento statale per l'esecuzione delle bonifiche (La Scintilla, 22 ott. 1910), sollevò critiche da parte dei sindacalisti più ortodossi, fermi alla pregiudiziale antistatale. Fu tra i protagonisti del secondo Congresso sindacalista di Bologna del dicembre 1910, con un ordine del giorno contrario alla pregiudiziale antielettorale, che fu respinto perché ritenuto non rispondente al genuino spirito del sindacalismo; il B. annunciò allora di voler costituire un nuovo organismo, l'Unione sindacalista italiana, estranea all'atteggiamento "anarcoide" che aveva prevalso al congresso (Avanti!, 13-14dic. 1910); l'iniziativa del B., che però non ebbe sviluppo, fu oggetto di un ampio dibattito sulla Scintilla e di un convegno tra numerose organizzazioni economiche del Ferrarese e del Bolognese.
In realtà l'atteggiamento del B. a proposito della questione elettorale rifletteva un ripensamento e un malessere largamente diffusi ormai tra i sindacalisti rivoluzionari, di fronte ai limiti, rivelati dall'esperienza, di un'azione esclusivamente limitata al sindacato. Già in precedenza, sia dalle colonne del proprio giornale (ad esempio, il 18 giugno 1910), sia in occasione di un'inchiesta apparsa su Demolizione di O. Dinale, il B. aveva sostenuto la necessità di costituire un organo politico proletario accanto al sindacato, senza tuttavia chiarire a chi dei due dovesse spettare la guida del movimento.
Nel 1911 diresse le agitazioni nel Ferrarese per la costituzione degli uffici di collocamento e la revisione dei patti colonici, improntando la sua azione a una valutazione realistica dei rapporti di forza, cercando di frenare le manifestazioni più esasperate degli scioperanti, suscettibili di rendere più difficile la via dell'accordo, e deferendo infine la composizione della vertenza a un lodo prefettizio. Da parte sindacalista si rafforzò perciò la critica ai metodi "riforinisti" adoperati dal B. durante l'agitazione (Arch. Centrale dello Stato,Min. Int., Dir. Gen. P. S., Uff. ris. (1911-1915), 1912, pacco 44, fasc. 105). Alla fine del 1911 il B. poteva fare un bilancio nettamente positivo delle forze aderenti alle sue direttive: l'unità tra le varie tendenze e tra le varie categorie del movimento operaio ferrarese aveva resistito alla prova, portando gli aderenti alla camera del lavoro di Ferrara dai 14.000 della fine del 1909 a 34.000. Forte di questo successo, il B. decise la trasformazione della Scintilla da settimanale a quotidiano, imprimendole inoltre un più accentuato carattere di propaganda politica, oltreché economica, in vista dell'attuazione del suffragio universale. Ma l'iniziativa non resse alle difficoltà finanziarie. La pubblicazione quotidiana del giornale durò infatti soltanto dal 21 apr. al 25 ag. 1912.
Incriminato per un articolo ostile alla guerra libica, contro la quale aveva inoltre organizzato agitazioni (Arch. Centrale dello Stato,Min. Int., Dir. Gen. P. S., Uff. ris. (1911-15), 1912, pacco 47), il B. nell'agosto 1912 riparò a Trieste, dove entrò a far parte della redazione del Piccolo. Espulso dalla città alla fine dello stesso anno, tornò a Ferrara per un'amnistia, e qui diresse la Battaglia, un giornale fondato in vista delle elezioni politiche, alle quali si presentò candidato, ma senza successo. Al congresso delle organizzazioni sindacali del Ferrarese, tenuto il 27-28 dic. 1913, dopo che i riformisti avevano deciso di organizzarsi separatamente dai sindacalisti, gli veniva nuovamente offerta la carica di segretario della camera del lavoro sindacalista, che però rifiutò. Trasferitosi a Milano, divenne uno dei dirigenti della locale Unione sindacale, che era aderente all'omonimo organismo nazionale.
Scoppiato il coriffitto europeo, il B., come F. Corridoni e A. De Ambris, si schierò per l'intervento dell'Italia contro gli Imperi centrali, e già nel settembre, visto vano ogni tentativo di allineare su questa posizione l'Unione sindacale italiana, deliberò assieme al grosso del sindacalismo milanese e parmense di staccarsene. Il 5 ottobre il B., - cui tra l'altro sarebbe stata affidata la carica di segretario politico del Fascio rivoluzionario d'azione internazionalista, costituitosi a Milano il 27 dello stesso mese in seguito alla trasformazione del Comitato antineutralista - firmò il "manifesto-appello ai lavoratori d'Italia", che conteneva le ragioni dell'interventismo rivoluzionario.
Il documento, che secondo alcune autorevoli testimonianze fu redatto interamente dal B., dopo aver affermato che la seconda Internazionale si era dimostrata impotente a impedire lo scoppio della conflagrazione, e dopo essersi soffermato a indicare nella distruzione del militarismo austro-prussiano e nella soluzione secondo giustizia dei problemi nazionali le condizioni indispensabili per il trionfo della rivoluzione sociale, invocava l'immediato intervento dell'Italia per rendere più sollecita e decisiva la vittoria dell'Intesa.
Nel dicembre 1914 il Fascio rivoluzionario d'azione intemazionalista si trasformò in Fascio d'azione rivoluzionaria, e il B. fu tra i promotori del congresso nazionale di Milano del 24-26 genn. 1915 allo scopo di coordinare le iniziative dei vari fasci locali. Di fronte agli indugi dell'Italia ad intervenire, firmò il manifesto sulla "tregua" di classe, in cui si minacciava l'"opposizione rivoluzionaria" alla monarchia, se quest'ultima avesse osato tradire le aspirazioni dell'interventismo rivoluzionario. Partecipò alle agitazioni milanesi del 31 marzo per l'immediato intervento e indisse, per l'11 aprile, l'allargamento delle stesse a tutto il territorio nazionale. Dichiarata la guerra, riuscì nonostante la malferma salute ad arruolarsi come volontario, col grado di sottufficiale prima nella fanteria e poi nell'artiglieria. Per impedire uno sgretolamento del fronte interventista, causato e dalla carenza delle direttive di governo e dall'azione neutralista, si riunì a Milano, il 21-22 maggio, un congresso dei Fasci d'azione rivoluzionaria, dal B. promosso. Vi presentò un ordine del giorno, che fu approvato per acclamazione, suscitando però da parte di vari congressisti vivaci critiche per l'assenza di una chiara indicazione su quali dovessero essere i rapporti fra fasci e governo, i cui rispettivi obiettivi di guerra dovevano rimanere nettamente distinti.
La cautela del B. al riguardo rifletteva i primi sintomi di un processo di involuzione politica (del resto comune a buona parte degli interventisti rivoluzionari), dovuto sia al suo distacco dalle masse, sia - specie dopo Caporetto - al timore di indebolire lo sforzo militare; motivi che lo avrebbero spinto via via a far prevalere spunti patriottici su quelli più schiettamente sociali e a confondere la sua propaganda contro il socialismo neutralista con quella delle correnti nazionalistiche. Al termine di questa parabola il B. sarebbe giunto a una concezione molto vicina a quella del produttivismo mussoliniano e, sul piano della politica estera, a posizioni di tipo nazionalistico.
A ostilità concluse, il B. fu per breve tempo redattore capo del Popolo d'Italia, dove per lo più si occupò di questioni sindacali, insistendo sul problema dell'unificazione dei vari organismi esistenti, da realizzarsi al di fuori di ogni tutela dei partiti, e su quello della precedenza da dare agli obiettivi della ricostruzione e del potenziamento della ricchezza nazionale rispetto a quelli rivendicativi. Presente, come membro del Fascio milanese all'adunata di piazza S. Sepolcro del 23 marzo 1919, dove fu nominato a far parte del comitato centrale dei Fasci di combattimento (il 1º aprile divenne membro della commissione per la propaganda e la stampa), il B. vi prese la parola sempre sul tema sindacale.
Difficile è cogliere in questo periodo l'azione del B. all'interno del fascismo e distinguere gli spunti originali delle sue iniziative politiche. Il 17 luglio, in vista dello sciopero internazionale di protesta contro la presenza delle truppe dell'Intesa in Russia e in Ungheria, fece votare ai Fasci un ordine del giorno di opposizione allo sciopero, e in quegli stessi giorni prese contatto col prefetto di Milano mettendogli a disposizione i Fasci locali per il mantenimento dell'ordine pubblico (Arch. Centrale dello Stato,Min. Int., Dir. Gen. P. S., Div. Aff. gen. e ris., 1919, pacco 60). Ai primi di ottobre fu inviato da Mussolini a Fiume, per dissuadere D'Annunzio dal proposito di intraprendere una marcia all'interno del paese. Fu in questa occasione che D'Annunzio autorizzò Mussolini, attraverso il B., a utilizzare per la campagna elettorale fascista parte dei fondi raccolti per Fiume.
Al primo congresso dei Fasci, tenuto a Firenze ai primi d'ottobre, il B. si fece assertore, per le imminenti elezioni politiche del novembre, di un blocco elettorale di tutto l'interventismo, quello di destra incluso, assumendo così una posizione in contrasto con l'orientamento prevalente nel gruppo dirigente fascista. Tale tesi, rimasta in minoranza, era giustificata secondo il B. dalla situazione dell'Italia post-bellica, dove l'antitesi fra forze patriottiche e forze "antinazionali" aveva sostituito le tradizionali divisioni di classe.
Tra le prese di posizione più rilevanti nel 1920 sono da ricordare gli articoli in occasione dell'occupazione delle fabbriche, dove la recisa condanna delle forme dell'agitazione dei metallurgici si univa al riconoscimento della legittimità di gran parte delle loro richieste: atteggiamento in linea con la tattica mussoliniana di quel momento, volta a premere dall'esterno sull'ala riformista della Confederazione generale del lavoro per staccarla dal partito socialista e a far apparire il fascismo un movimento non antiproletario.
All'assemblea generale del Fascio milanese del 13 ott. 1920, che doveva discutere sulla partecipazione fascista alle elezioni amministrative, il B. si oppose alla tesi astensionista, fatta prevalere dallo stesso Mussolini, e si schierò per l'adesione fascista al "blocco d'ordine". In questa assemblea non risultò eletto nel comitato centrale.
Si preparava intanto la trasformazione del movimento fascista in partito, e il B. vi collaborò attivamente: nell'agosto 1921 partecipò all'istituzione della scuola di propaganda e cultura fascista, e vi tenne la conferenza inaugurale, oltre a varie lezioni. Non tralasciò però le questioni sindacali: particolarmente importanti gli interventi all'assemblea del Fascio milanese del 18 ott. 1921, e due giorni dopo quelli al congresso dei sindacati economici tenuto a Ferrara.
Qui due tesi si contrastavano: la prima, propugnata da Rossoni, invocava la costituzione di sindacati "nazionali" estranei a ogni influenza di partito; la seconda, sostenuta da D. Grandi, ammetteva stretti legami tra sindacati e Fasci, pur senza arrivare ancora all'idea di un'integrazione dei primi nei secondi. L'adesione del B. a questa seconda tesi rispondeva non solo a certe preoccupaziomi politiche (garantire al futuro partito fascista una base di massa e una più stretta vigilanza sui sindacati, la cui azione non sempre rispondeva al principio della collaborazione di classe), ma rientrava altresì in una manovra a largo raggio che avrebbe dovuto facilitare al B. un'opera di mediazione tra Grandi e Mussolini al prossimo congresso di Roma.
Costituitosi il Partito nazionale fascista nel novembre 1921, il B. fu eletto membro del comitato centrale, e quindi, come uomo di fiducia di Mussolini, segretario generale e membro della commissione incaricata di elaborare il programma-statuto del partito.
La nomina fu accettata dagli oppositori interni di Mussolini, anche perché era considerato "malgrado la sua cultura libraria... figura di non grande rilievo" (Rocca, p. 99). Al B. furono affiancati quattro vicesegretari, A. Starace. P. Teruzzi. A. Bastianini e A. Marinelli: veniva così costituita la cosiddetta "oligarchia" del partito, caratterizzata dalla tendenza del nuovo organo ad avocare a sé gran parte delle funzioni dirigenti, evitando il concorso e il controllo da parte degli altri organi del partito. A facilitare questo processo contribuì, nei primi tempi, la quasi totale estraneità di Mussolini ai problemi organizzativi, la cui soluzione preferì far dipendere quasi esclusivamente dal Bianchi. Tra i membri dell'oligarchia si sarebbe così costituita ben presto una fitta rete di interessi e complicità che spesso si sarebbero sovrapposti agli interessi più generali del fascismo.
Al convegno sindacale fascista di Bologna del 24-26 genn. 1922 (che diede origine alla Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali) il B. riuscì a far prevalere la tesi che considerava lavoratori a egual titolo tutti coloro che svolgevano un'attività produttiva - sia datori sia salariati - e subordinava gli interessi delle singole categorie "al superiore interesse nazionale". La tesi servì a mettere in minoranza quella di Rossoni sull'autonomia dei sindacati; si stabilì infatti che, se ai sindacati fascisti potevano aderire lavoratori non iscritti al partito, i loro dirigenti dovevano essere scelti tra i tesserati fascisti.
L'attività del B. come dirigente del partito è anche contraddistinta, in questo periodo, da una sottile politica mediatrice, tale da permettergli all'interno di fondare il proprio potere personale sia sull'appoggio dell'ala intransigente, sia su quello della corrente moderata, "parlamentare". Così, mentre da un lato egli cercò di sottoporre le manifestazioni periferiche dello squadrismo a un più severo controllo del centro, costituendo (19 nov. 1921) un ispettorato centrale delle squadre di combattimento; dall'altro, di fronte alla minaccia di provvedimenti governativi contro le squadre, estese a tutti i tesserati la qualifica di membri delle squadre, ponendo così il governo di fronte alla scelta tra lo scioglimento del partito o la rinuncia ai provvedimenti.
Interveniva anche nelle questioni che si dibattevano nel partito e nel paese, sempre assumendo posizioni di centro: in un'intervista al Tempo, dell'11 apr. 1922, giustificava l'esistenza all'interno del partito di atteggiamenti e temperamenti diversi con una "democrazia fascista" intesa come aspetto di una società nazionale; nel dibattito sull'eventuale scioglimento anticipato della Camera e sulla riforma del sistema elettorale, interveniva indicendo comizi e propugnando le tesi dello scioglimento e della riforma, di quest'ultima però non precisandone la direzione e limitandosi a prospettarne due soluzioni (scrutinio di lista maggioritario, provinciale o interprovinciale, con rappresentanza proporzionale per le minoranze; collegio unico a rappresentanza proporzionale), solo escludendo il sistema uninominale che avrebbe tra l'altro rafforzato il potere personale dei ras fascisti.
Altro argomento dibattuto era quello dei rapporti con i gruppi e i partiti di destra, e con i nazionalisti in particolare: rispetto a questi - i cui rapporti con il fascismo definì "artificiosi" - il B. tenne a sottolineare l'autonomia delle posizioni e delle decisioni dei fascisti e del loro gruppo parlamentare, e fu tra coloro che tendevano a diversificare l'ostilità del fascismo verso il partito socialista da quella più scopertamente reazionaria e antiproletaria dei nazionalisti.
Nella primavera-estate del 1922 lo scatenarsi delle violenze squadriste in tutto il paese trovò il B. in prima linea: così il 29 maggio, in occasione delle manifestazioni fasciste bolognesi contro il prefetto, ordinava il passaggio dei poteri dai direttori dei Fasci locali ai Comitati d'azione e annunciava il proprio trasferimento a Bologna "fino a lotta ultimata". Proclamato dall'Alleanza del lavoro lo sciopero "legalitario" per il 1º agosto, il B. inviava a tutte le federazioni una circolare "riservata, leggere e distruggere" che ordinava la mobilitazione delle squadre e la loro entrata in azione se lo sciopero non fosse cessato entro quarantotto ore, informando inoltre di persona il governo (Taddei e Facta) dei propositi fascisti. Nonostante che l'Alleanza proclamasse la cessazione dello sciopero entro il 2 agosto, il B. ordinava l'entrata in azione delle squadre smobilitandole solo il 9 agosto, con la raccomandazione di occultare armi e munizioni per impedirne l'eventuale sequestro. Alla riunione del comitato centrale e della direzione, del gruppo parlamentare fascista e della presidenza della Confederazione delle corporazioni del 13 agosto, il B. prospettava l'alternativa tra presa del potere con nuove elezioni o per via extralegale, dichiarandosi, con Balbo e Farinacci, favorevole all'ultima soluzione. Nel caso di nuove elezioni, pur affermandosi contrario a intese con i partiti di destra, faceva prevalere, con Balbo, per ragioni tattiche, un ordine del giorno di carattere sostanzialmente interlocutorio. Un altro ordine del giorno, suo e di Balbo, demandava a un comando supremo - composto da I. Balbo, E. De Bono, C. M. De Vecchi -l'organizzazione militare fascista.
Il B. svolse un compito di primo piano nella preparazione della "marcia su Roma". Da una parte, fu sua cura organizzare più saldamente il partito e allargarne l'influenza anche nelle regioni meridionali; dall'altra, funzionò da "spalla" di Mussolini nei contatti con le varie forze politiche, con Facta in particolare.
In realtà il B. cercò di indirizzare più decisamente gli avvenimenti verso uno sbocco insurrezionale, che nei suoi piani avrebbe dovuto garantire tutto il potere a Mussolini senza scomode alleanze con la vecchia classe dirigente, da cui lo separava il suo passato di sindacalista rivoluzionario, nonché gettare le basi per la realizzazione di uno Stato fascista profondamente diverso da quello liberale. In questo quadro, le trattative politiche erano per il B. un mero espediente, all'ombra del quale portare avanti la preparazione della marcia.
Nominato, in quanto segretario del partito, membro del "quadrumvirato", partecipò il 24 ottobre alla riunione dell'hotel Vesuvio di Napoli, dove furono concordate le ultime misure. Tornato a Roma, si adoperò per sventare manovre parlamentari e incertezze da parte fascista tali da pregiudicare l'attuazione dei piani. Il 27 ottobre si trasferì a Perugia, al quartier generale fascista. Incaricato Mussolini, il giorno 29, di formare il nuovo governo, come molti altri fascisti intransigenti il B. protestò contro i criteri che avevano presieduto alla formazione del nuovo gabinetto, giungendo sino a presentare le dimissioni, non accettate, da segretario del partito. Egli lamentava la presenza di molti elementi della vecchia classe politica nel nuovo ministero, che lo rendeva inadatto ad attuare la trasformazione fascista dello Stato. Nel quadro di queste preoccupazioni va vista, tra l'altro, la sua opposizione alle trattative di Mussolini con alcuni dirigenti della Confederazione generale del lavoro per una loro partecipazione al governo.
Il 4 novembre il B. assumeva la carica di segretario generale al ministero degli Interni. Lasciava perciò la segreteria del partito, che il 1º genn. 1923 venne riformata e divisa in due: una politica (B., Bastianini e Sansanelli) e un'altra amministrativa (Marinelli e A. Dudan); in pratica la direzione della segreteria fu assunta da Sansanelli. La sua immediata preoccupazione, una volta investito della nuova carica, fu di crearsi in Calabria una solida base di potere personale, con la nomina a prefetti locali di suoi fedeli, tra cui A. Guerresi (Arch. Centrale dello Stato,Carte M. B. (1923-25), b. 1).
Come membro del Gran Consiglio, il B. fece parte di una commissione incaricata di elaborare la nuova legge elettorale, il cui progetto fu presentato e approvato il 25 aprile dal Gran Consiglio (21 voti favorevoli, 2 contrari e 1 astenuto) contro quello di Farinacci.
Il B., con precedenti prese di posizioni, aveva cercato di allargare la questione insistendo sulla necessità di abbinare alla riforma elettorale quella costituzionale che, secondo i suoi progetti, doveva essere tale da mettere il governo al riparo da qualsiasi modificazione della maggioranza parlamentare per l'intera legislatura. Nel progetto di riforma elettorale del B., nonostante sue precedenti dichiarazioni, forse per motivi tattici spesso tra loro divergenti, non veniva precisato in qual misura dovevano essere divisi i seggi tra la lista di maggioranza, da dichiararsi eletta per intero, e quelle di minoranza.
Sempre nell'ambito del Gran Consiglio il B. fece anche parte di una commissione incaricata di dettare norme precise per una maggiore valorizzazione delle forze sindacali e tecniche del fascismo.
La sua opera come segretario generale agli Interni risultò poco incisiva ed efficace, sia per una certa mancanza di volontà politica da parte di Mussolini nel sostituire con elementi fascisti gli alti gradi della burocrazia dello Stato (per esempio i prefetti), sia per la difficile situazione in cui venne a trovarsi per l'ostilità dello stretto entourage di Mussolini insediatosi intorno al Viminale. Questa ostilità culminò quando, traendo anche occasione dalle profonde divisioni provocate nell'interno del fascismo dalla polemica revisionista (caso Rocca), il B. si vide costretto a dare le proprie dimissioni dalla segreteria del partito.
Il B. fece parte quindi della cosiddetta "pentarchia", incaricata di redigere il "listone" per le elezioni politiche dell'aprile 1924, nelle quali fu eletto deputato per la circoscrizione calabro-lucana.
Significativo, ai fini della comprensione della sua evoluzione politica, specialmente dopo il suo allontanamento dalla segreteria del partito, fu il discorso che tenne di fronte agli elettori di Cosenza. Dopo aver premesso che la marcia su Roma era stata compiuta per la nazione intera, l'oratore dichiarava che il fascismo doveva prepararsi a perdere, almeno in prospettiva, i suoi rigidi contorni di partito, in vista di una più proficua collaborazione con i partiti "nazionali", e per un più rapido processo di fusione tra sé ed il paese.
Il 14 maggio rassegnò le dimissioni dalla carica di segretario generale del ministero degli Interni per incompatibilità con quella di deputato. Contemporaneamente, in qualità di membro della commissione incaricata di elaborare la riforma del regolamento della Camera, presentò un progetto che prevedeva, tra l'altro, una procedura abbreviata per le discussioni parlamentari, allo scopo evidente di restringere le funzioni del parlamento. Il 3 giugno, in risposta al discorso della Corona, si fece portavoce della volontà normalizzatrice del governo. Fatto oggetto di una campagna scandalistica da parte degli stessi gruppi fascisti del Viminale, il B. se ne lamentò con Mussolini in una lettera del 16 giugno, accusando quest'ultimo di averla favorita (Arch. Centrale dello Stato,Carte M. B. (1923-25), b. 1).
Il momento in cui la lettera fu scritta - contemporaneo al clima di estrema tensione, di paure e di accuse reciproche che si era creato ai vertici del fascismo in seguito al delitto Matteotti - fa supporre che il B. cercasse di profittare della situazione per riacquistare la fiducia, eclissatasi negli ultimi tempi, di Mussolini, ricordandogli le proprie benemerenze e il suo contributo al successo del fascismo. Stando agli avvenimenti dei mesi successivi, non pare tuttavia che l'avance ottenesse i risultati sperati. Ciò spiegherebbe almeno in parte le notizie diffuse dalla stampa, alla fine del mese di dicembre, di un pronunciamento dissidente capeggiato dal Bianchi.
Il 31 ott. 1925, nominato alla carica di sottosegretario di Stato ai Lavori pubblici, il B. rivolse gran parte della propria attività al potenziamento economico della Calabria. Trasferito il 13 marzo 1928 al sottosegretariato del ministero dell'Interno, partecipò all'attuazione già in corso dell'ordinamento podestarile, alla riforma dello stato giuridico dei segretari comunali, al riordinamento dell'organismo della provincia, al rinvigorimento della politica sanitaria ed assistenziale. Il 12 sett. 1929, infine, in occasione di un vasto avvicendamento ministeriale, destinato ad accentuare la "fascistizzazione" dello Stato mediante l'inclusione nel governo di fascisti della "vecchia guardia", il B. (che era stato rieletto deputato) venne elevato alla carica di ministro dei Lavori Pubblici. Ma, contemporaneamente, le sue condizioni di salute, già da tempo precarie per una grave malattia, peggiorarono irrimediabilmente. Morì a Roma il 3 febbr. 1930.
I suoi discorsi e scritti più importanti vennero pubblicati a Roma nel 1931.
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