CANZIO, Michele
Nacque a Genova il 1º ott. 1787 (ma secondo altre fonti, nel 1788 oppure nel 1784) e studiò presso l'Accademia ligustica di Belle Arti della sua città (l'Alizeri, 1864, p. 138, riferisce che "sugli esordi del secolo egli fu onorato di premi"), di cui divenne, ancora giovane d'età, professore per "le classi d'architettura, d'ornamento e d'intaglio". Il C. fu scultore, architetto, pittore e decoratore, e si formò a Genova nel clima di rinnovamento neoclassico dovuto alle opere di Carlo Barabino e di Niccolò Traverso; egli si specializzò nella decorazione, secondo freddi formulari neoclassici, di antichi e monumentali palazzi genovesi, rendendosi spesso responsabile di numerose e gravi distruzioni di ambienti, rinnovati con radicali manomissioni e falsificazioni senza alcun rispetto per l'antico. È questo il caso dei lavori effettuati nel 1842 al palazzo reale in cui egli, con freddo e studiato accademismo, trasformò alcuni ambienti del primo e del secondo piano nobile (appartamento del duca degli Abruzzi e salone da ballo) per adattare a residenza reale una delle più caratteristiche e artisticamente importanti dimore patrizie genovesi del sec. XVII-XVIII (la descrizione di C. G. Ratti, Istruzione di quanto può vedersi di più bello a Genova, Genova 1766, pp. 179-190, precedente ai lavori del C., è la più fedele testimonianza di queste manomissioni). Invece nell'atrio del palazzo di Antonio Doria (attuale sede della prefettura) egli ritoccò abbondantemente e racchiuse in una pesante incorniciatura gli affreschi centrali cinquecenteschi, completando la decorazione con finte prospettive architettoniche che appesantiscono l'ambiente e creano effetti spaziali in antagonismo con le forme del vicino cortile. Il C. eseguì analoghe opere di rifacimento e restauro, usando motivi decorativi quasi sempre iconograficamente uguali, nei palazzi del Banco di Roma in piazza de' Ferrari, Raggio in via Balbi, Raggio in via del Campo, Doria in via Garibaldi, Pallavicini già Pasqua in piazza Fontane Marose, Pallavicini in via Lomellini, nelle ville Pallavicini delle Peschiere e Gropallo allo Zerbino, nel palazzo Rosso in via Garibaldi (qui gli interventi del C. - del 1845, 1846, 1848: vedi C. Marcenaro, Una fonte barocca per l'archit. organica: il palazzoRosso..., in Paragone, XII [1961], 139, pp. 34, 48 s. n. 47 - sono stati cancellati in recenti lavori di restauro), nelle chiese di S. Caterina Fieschi Adorno, cu Nostra Signora della Consolazione e di S. Rocco. Più validi sono invece i suoi interventi in edifici sorti in epoca a lui contemporanea, come la decorazione del catino absidale della chiesa di S. Sisto in via Prè o quelle nel teatro Carlo Felice (inaugurato nel 1828 e andato quasi completamente distrutto durante l'ultima guerra), nel quale egli ornò con motivi a chiaroscuro i soffitti della platea e dei saloni del ridotto, riuscendo ad ottenere effetti non privi di eleganza.
Del teatro Carlo Felice il C. fu inoltre direttore dell'allestimento scenico dalla sua inaugurazione fino al 1550: come scenografo lavorò anche per i teatri S. Agostino e di corte (per la sua attività scenografica cfr. Enciclopedia d. Spettacolo, II, coll. 1705 s.).
Ma l'opera più nota che l'artista ha lasciato nella città di Genova è la sistemazione del gigantesco giardino-parco della villa Durazzo-Pallavicini a Pegli, inaugurato nel 1846, nel quale il visitatore viene messo a contatto, sempre di sorpresa, con gli aspetti più vari della natura, da quelli orridi (le grotte create dai fiumi sotterranei) a quelli esotici (piante e fiori tropicali), e con motivi suggeriti dal mondo classico e mitologico (i templi di Flora e di Diana lambiti dalle acque di un laghetto), da quello orientale (la pagoda cinese e l'obelisco egiziano) e infine da quello della scena letteraria, che è ispirata al romanticismo delle opere liriche. Il gusto per questi effetti spettacolari ed artificiosi dimostra come fosse decaduto a Genova, nel sec. XIX, il sentimento per il paesaggio naturale e per l'ambiente storico, che in passato erano stati condizione spontanea di sistemazione architettonica. L'Alizeri cita nella sua guida del 1846 altre opere dell'artista, andate distrutte, e loda particolarmente il suo "florido ingegno" nel "disegnare monumenti onorarj" (ricordiamo lo zoccolo di quello dedicato a Cristoforo Colombo, in piazza Acquaverde per cui scolpì alcuni particolari), "improvvisare allegrezze di popolo" e "aprir varie scene ai teatri". Nel duomo di Genova si conservano due lampadari bronzei realizzati su disegno del Canzio. Morì il 2 sett. 1868 a Castelletto Scassoso, presso Alessandria.
Fonti e Bibl.: F. Alizeri, Guida artist. per la città di Genova, Genova 1846, I-III, passim; Id., Notizie dei professori deldisegno in Liguria, Genova 1864, I, pp. 138, 217; II, pp. 362, 376, 380, 471; Id., Guida illustrata del cittadino e del forastiero per la cittàdi Genova e sue adiacenze, Genova 1875, passim; R. A. Willard, History of modern Italian art, New York 1898, pp. 126 s.; H. A. Müller-H. W. Singer, AllgemeinesKünstlerlexikon, Frankfurt 1921, pp. 221 s.; G. B. Vallebona, Il teatro Carlo Felice, Genova 1928, pp. 14, 17; D. Castagna-M. U. Masini, Guida di Genova, Genova 1929, passim; O. Grosso, Genova e la Riviera ligure, Roma 1951, passim; E. Lavagnino, L'arte moderna, Torino 1956, I, p. 86; P. Rotondi, Il palazzo di Antonio Doria a Genova, Genova 1958, pp. 25, 30; P. Torriti, Il palazzo reale di Genova ela sua galleria, Genova 1963, pp. 12, 84; C. Marcenaro, Gli affreschi del palazzo Rosso di Genova, Milano 1966, pp. 24, 34; L. Grossi Banchi, in Le ville genovesi (catal.), Borgo San Dalmazzo 1967, pp. 100, 150, 170, 262; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, p. 533.