CAPPELLO, Michele
Figlio di Giacomo di Michele e di Elisabetta di Antonio Badoer, nacque presumibilmente alla fine dell'anno 1487, dato che il 25 ottobre del 1508, a vent'anni già compiuti, come innovava a partire dal 1497 una deliberazione presa dal Consiglio dei dieci, egli venne presentato all'Avogaria di Comun dallo zio paterno Lorenzo, che faceva le veci del fratello defunto, per concorrere all'estrazione della Balla d'oro. Del ramo di S. Polo del nobile casato veneziano, a differenza del padre, che aveva cercato sul mare guadagno e prestigio alternando al comando dei convogli mercantili di Barbaria e di Fiandra la custodia dell'Arsenale in qualità di patrono, il C., seguendo le orme dello zio, che tra l'altro capitano a Brescia e savio "a tansar" si segnalò per l'impegno continuo al servizio della Repubblica, in Terraferma come rettore e a Venezia come membro dei più importanti consigli di governo.
Pressoché totale il silenzio delle fonti sui suoi anni giovanili: si sa soltanto che nel novembre del 1504 con dodici amici costituì una compagnia della Calza, detta dei Contenti, per festeggiare le nozze di Sebastiano Contarini. Sicuramente documentabile è invece il suo cursus honorum, iniziato ufficialmente nel dicembre del 1517 con il ballottaggio a quella carica di savio agli Ordini che di norma segnava l'ingresso nella vita politica dei giovani patrizi, anche se, già nel 1512, appena raggiunta l'età minima richiesta per l'elezione agli uffici pubblici, egli aveva ricoperto quello di massaro all'Argento. L'ascesa del C. verso le magistrature più prestigiose avvenne gradualmente; officiale alla Dogana da mar nel 1518, fu dei Quaranta l'anno seguente, mentre nel 1520, come provveditore sopra il Cottimo d'Alessandria, si distinse, assieme al collega Lorenzo Barbarigo, per aver fatto approvare una diminuzione dello 0,50% del dazio che colpiva le merci esportate in Egitto, il cui gettito si era dimostrato eccedente rispetto ai bisogni della rappresentanza consolare veneziana e di freno ai commerci. Dopo esser rimasto per i due anni successivi ai margini della vita pubblica, avendo invano concorso alla carica di ambasciatore in Inghilterra e, ripetutamente, a quella di podestà e capitano a Salò, l'8 luglio 1523 ottenne la prima magistratura esterna, la podesteria e capitania di Feltre.
Raggiunta a dicembre la sede assegnatagli, accompagnato da Giovan Battista de' Lazzaris in qualità di vicario e da Simone Cavinato come cancelliere, il C. diede il cambio a Nicolò Bernardo nel governo della città che tenne fino al maggio del 1525, quando fu sostituito da Bernardo Balbi. La sua reggenza, caratterizzata, come quelle dei predecessori, dalle cure dedicate alla ricostruzione di Feltre devastata dall'incendio appiccato dagli Imperiali nel 1510, si svolse nell'ordinaria amministrazione, eccezion fatta per le misure d'emergenza che egli dovette adottare nella primavera del 1524, di concerto con i provveditori alla Sanità eletti dalla cittadinanza, per impedire il propagarsi dei focolai di peste scoppiati nei territori vicini. Pochi giorni prima della scadenza del mandato ebbe anche modo di raccogliere ed inviare alla Signoria notizie sulla guerra rustica appena scoppiata nel Trentino che, testimoniando l'estendersi anche all'Italia della "rivolta dei contadini", costrinse la Serenissima, preoccupata di mantenere l'ordine nei propri domini, ad offrire concreti aiuti militari per sconfiggere i ribelli, nonostante l'impegno cui era già costretta in Lombardia per fronteggiare il ritorno offensivo dei Francesi.
Negli anni che seguirono il rientro dalla Terraferma il C. non prese parte alla vita politica, forse assorbito dagli affari di famiglia sia in occasione del matrimonio con Maria di Pietro Bernardo, celebrato agli inizi del 1526 (argutamente osserva in proposito il Sanuto nei Diarii che "né volse compir le noze se prima non havesse tutti li danari" della dote, che ammontava a ben 10.000 ducati), sia in concomitanza con la nascita dei due figli, Giacomo (9 ag. 1527), morto in tenera età, ed Elisabetta, futura moglie di Gerolamo Priuli e madre di quell'Antonio che sarebbe pervenuto al dogado nel 1618.
Il ritorno del C. alla vita pubblica si ebbe nel luglio del 1528 con la nomina ad una carica di non grande importanza, la podesteria sopra uffici e cose del Regno di Cipro, ma già l'anno dopo egli risultò eletto nella giunta di Pregadi proprio nei giorni in cui il Senato era divenuto teatro di forti contrasti circa l'opportunità d'accettare le pesanti clausole di pace imposte da Carlo V, dopo che l'accordo di Cambrai, segnato il dissolvimento della lega di Cognac, aveva portato all'isolamento politico e militare della Repubblica. Divenuto senatore ordinario nel 1530, ma mancata nello stesso anno la nomina a capitano di Bergamo, egli ottenne una seconda magistratura esterna, la capitania di Brescia, il 30 maggio 1531.
Il C. prese possesso della carica a novembre succedendo ad Antonio Giustinian e la tenne fino al dicembre 1532, quando gli subentrò Giacomo Correr. Come documentano i numerosi dispacci inviati assieme ai colleghi (ressero infatti con lui le sorti della città quali podestà Francesco Venier prima e Francesco Morosini poi), temendo il verificarsi d'incidenti a causa dei tumulti scoppiati nel Cremonese per le angherie cui le soldatesche spagnole, in difficoltà per il vettovagliamento, avevano sottoposto la popolazione, egli, in ossequio alla politica di rigida equidistanza che la Serenissima aveva adottato all'indomani del congresso di Bologna e dell'imposta alleanza veneto-imperiale, si adoperò a raccogliere, per vie segrete ed ufficiali, dettagliate notizie sulla consistenza, sui movimenti e sulla dislocazione di quelle truppe, provvedendo nel contempo all'adozione di misure atte a fronteggiare ogni evenienza. La sua buona conoscenza delle cose militari è testimoniata anche dalla dettagliata descrizione dello stato delle più importanti piazzeforti del Bresciano, nonché dei lavori necessari per riattarli, contenuta nella relazione che, al suo ritorno, egli lesse in Collegio il 15 genn. 1533 meritando particolari lodi del doge.
Tornato a Venezia il C., nel settembre del 1533, riprese il suo posto in Senato, ove fu riconfermato anche l'anno seguente, dopo aver fatto parte, nel giugno, del Collegio dei venti sopra le Tasse; non riuscì invece, e per due volte consecutive, ad ottenere quella nomina a capitano di Verona, da lui particolarmente ambita, che conseguì soltanto il 13 giugno 1535. Dopo questa terza parentesi in Terraferma, di cui scarsissime sono finora le notizie reperite oltre a quella della durata (dall'ottobre 1535 al gennaio 1537), egli sedette in permanenza nei principali Consigli che costituivano il governo della Repubblica: eletto nuovamente in Pregadi nell'agosto del 1537 non portò a termine il mandato poiché già nel gennaio del 1538 era entrato nel Consiglio dei dieci; confermato anche per l'anno successivo nella giunta di quel consesso, fu chiamato ancora una volta tra i Dieci nell'ottobre del 1539. Il 30 gennaio di quello stesso anno egli era stato inoltre, in occasione dell'ascesa al dogado di Pietro Lando, uno degli elettori dei nove, avendo così parte in una fase del complicato meccanismo con cui veniva designato il nuovo doge.
Presente e attivo nelle due più importanti magistrature della Serenissima durante i dibattiti che divisero il patriziato sulla politica da seguire verso il Turco dopo l'attacco a Corfù (1537) e nei confronti di Francia e Spagna (ciascuna delle quali sollecitava la Dominante a schierarsi dalla propria parte) nonché durante i difficili momenti in cui l'alleanza antiturca con Carlo V ed il papa (1538), anziché alla conquista di Costantinopoli, aveva condotto la Repubblica alla sconfitta della Prevesa, il C. si segnalò per la sua azione di governo sul finire del 1539 e agli inizi del 1540 quando, visto inutile ogni sacrificio finanziario dopo il fallimento della prima missione di pace di Tommaso Contarini e constatata la volontà di disimpegno degli alleati, il Consiglio dei dieci, conscio della necessità di concludere la pace anche sacrificando la grandezza e l'integrità dello Stato alla sua libertà, inviò al nuovo ambasciatore Alvise Badoer istruzioni segrete per la cessione, in caso estremo di necessità, di Nauplia e di Malvasia.
La carriera politica del C., divenuto ormai un autorevole esponente del patriziato, fu troncata dalla morte sopravvenuta il 4 ott. 1540, dopo appena due giorni da che era stato nuovamente proposto per il Consiglio dei dieci.
Fu sepolto, secondo le disposizioni date nel testamento autografo del 30 marzo 1539, nella tomba di famiglia sita nella chiesa, ora distrutta, del Corpo di Cristo. Nello stesso atto, pervaso di profondo spirito religioso, con espressioni di sincero affetto egli aveva istituito la moglie e la figlia principali eredi del suo patrimonio che, dopo l'acquisizione delle sostanze dello zio Lorenzo morto senza eredi nel 1523 (il C. ne aveva onorato la memoria con una lapide nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo), era costituito, come documenta l'elenco dei beni redatto in occasione dell'estimo del 1538, da sei poderi e una "casa da statio con corte, brollo, caneva et granari" a Correzzo nel Veronese, da un podere a Legnago, dove era una casa con orto "tenida per dar recapito alle intrade che si conducono a Correzzo per mandarle poi a Venetia", da alcune terre a Lazise ed a Nogara, da alcuni stabili a Venezia dati in locazione, nonché da una casa a San Felice, abitata dallo stesso C., che gli era stata venduta nel 1536 da Sebastiano Contarini. Cospicuo doveva inoltre essere anche il liquido che gli aveva permesso, nel settembre del 1528, di prestare garanzia per una quota di 1.000 ducati a favore del banco che Silvano Cappello si apprestava ad aprire in quei giorni, come pure di donare in varie riprese alcune somme allo Stato.
Uomo di grandi qualità morali oltre che scrupoloso esecutore di alte funzioni pubbliche, il C., come attesta il Cappellari Vivaro, seppe meritare "per grandezza d'animo e bontà di costumi" il soprannome di Catone.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codici I, Storia veneta, 18: M. Barbaro - A. M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, p. 251; Ibid., Avogaria de Comun,Balla d'oro, reg. 1651v, c. 98r; Ibid., Ibid., Nascite,Libro d'oro, reg. 51/I, c. 301r; Ibid., Ibid., Cronaca matrimoni, reg. 107/2, c. 78v; Ibid., Ibid., Necrologi dei nobili, b.159; Ibid., Segretario alle voci,Misti, reg. 7, cc. 32v, 35r; reg. 8, c. 20r; reg. 10, c. 47r; reg. 11, c. 47r; Ibid., Elezioni del Maggior Consiglio, reg. 1, cc. 116v-117r, 120v-121r; Ibid., Elezioni dei Pregadi, reg. 1, cc. 65v, 69v; Ibid., Senato,Mar, reg. 19, c. 168; Ibid., Capi del Consiglio dei Dieci,Lettere di rettori e di altre cariche, (Brescia) b. 19, cc. 278r-279r; (Feltre) b. 159, c. 41; (Verona) b. 193, cc. 65r-67r; Ibid., Consiglio dei Dieci Misti, reg. 27, c. 129v; Ibid., Ibid., Comuni, reg. 12, cc. 103r-110v, 115v-112r, 113, 116v, 122r, 130r, 144v-154v, 163v-177r, 178r, 179r; reg. 13, cc. 81v-82r, 84r-106r, 114r-120v; Ibid., Ibid., Criminali, reg. 5, cc. 74v-77v, 80r, 82r-83v, 85r, 98v-99r, 101r-103r, 105r; Ibid., Secreta, reg. 5, cc. 23r-26r, 28v, 44v; Ibid., Archivio Notarile,Testamenti,notaio Solian Bonifacio, b. 939, n. 727; Ibid., Dieci Savi alle Decime, b. 93, San Marco, condizione 755; Venezia Bibl. naz. Marc., mss. It., cl. VII, 15 (= 8304): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campid. veneto, I, cc. 228, 236r; Ibid., mss. It., cl.VII, 816-21 (= 8895-8900): nn. 4-9 della Racc. dei Consegi, a) cc. 65r, 139r; b) cc. 122r, 216r, 232r, 294v, 337v, 209r; c) cc. 56r, 64r, 93r, 159r; d) cc. 8r, 9r, 160r, 161r, 197r, 222r, 223v, 226r, 232r, 291r, 295r-297r, 299r, 312r; e) cc. 14r, 170r, 173r, 207r, 233r, 235r, 271r, 297r; f) cc. 76r, 100r, 128r, 172r, 174r, 196r, 235r, 238r, 241r, 243r, 246r, 247r, 302r, 304r; Ibid., mss. It., cl. VII, 198 (= 8383): Registro dei reggimenti..., cc. 18r, 63v, 68r; Venezia, CivicoMuseo Correr, cod. Cicogna 502 (= 2011): E. A. Cicogna, Inscrizioni nella chiesa de' SS. Giovanni e Paolo, fasc. I, c. 19v; Ibid., cod. P.D. C 2378/XVI; M. Stanuto, Diarii, VI, XXV, XXIX, XXXI, XXXV, XXXVII-XXXVIII, XLI, XLVIII-LI, LIV-LVIII, Venezia 1881-1903, ad Indices; G.Zabarella, Il Pileo..., Padova 1670, pp. 33, 42; Catalogo degli eccellentissimi rappresentanti veneti spediti al governo della città di Brescia, Brescia s.d., p. 15; A. Cambruzzi, Storia di Feltre, II, Feltre 1875, pp. 300-303; M. Gaggia, Le due loggie pubbliche e la chiesa di S. Stefano in Feltre, in Arch. stor. di Belluno,Feltre e Cadore, V (1933), p. 384 n. 1.