CARDUCCI, Michele
Nacque il 27 marzo 1808 a Pietrasanta (Lucca) da Giuseppe, possidente che venne sperperando i suoi beni in una vita scioperata, e da Lucia Galleni, di Serravezza. Dal padre ereditò il carattere impulsivo e collerico, ma non le idee: fu, infatti, liberale e rivoluzionario, quanto il padre reazionario fino al fanatismo. Mentre studiava medicina all'università di Pisa, stimolato dall'ambiente goliardico corso da fermenti di rinnovamento politico, si iscrisse alla carboneria, e nel 1831 partecipò a una congiura diretta ad ottenere la costituzione.
Dell'insuccesso della cospirazione, cui presero parte tra gli altri F. D. Guerrazzi e G. Libri, e che prevedeva l'arresto del granduca Leopoldo II nel teatro fiorentino della Pergola la sera del Berlingaccio, gli adepti indicarono la causa nel tradimento del Libri (ma in realtà le sue cagioni furono diverse; e Gino Capponi, il quale aveva sconsigliato quell'azione rivoluzionaria, nei suoi Ricordi avrebbe mostrato di non condividere questo giudizio). Uno scambio epistolare su questo argomento fra il dottor Gaetano Bichi e il C. (che fra l'altro si diffondeva sulla insurrezione italiana, a suo avviso già esplosa a Roma e aiutata dai Francesi) fu la causa dell'arresto non solo dei due, ma anche del fratello del Bichi, il sacerdote Giambattista, e di Antonio Gherardi Angelini. Una perquisizione eseguita il 14 marzo del '31 (di essa è conservato il ricordo nel rapporto del capitano Barzelli) portò inoltre a scoprire nella camera pisana del C. il programma Per la Libertà, l'Unione e la Indipendenza della Italia, circolare della "Società de' Patriotti italiani in Parigi" datata 16 sett. 1830. Il C. fu condannato a dodici mesi di relegazione a Volterra, il Bichi a diciotto mesi di relegazione a Grosseto; gli altri due imputati furono assolti.
Nonostante le suppliche dei familiari al governo granducale, la condanna del C. non fu ridotta, ed egli rimase a Volterra fino all'aprile del '32. In questa città conobbe Ildegonda Celli, figlia di un orefice fiorentino, che avrebbe sposato due anni più tardi. Nel frattempo, ritornato a Pisa, riprese gli studi, conseguendo però soltanto la laurea in chirurgia, allora distinta e indipendente da quella in medicina: da ciò, oltre che dai suoi convincimenti politici, che lo facevano oppositore e ribelle dipesero i continui trasferimenti da una condotta all'altra cui fu costretto non senza amarezza sua e disagio della famiglia.
Nel 1833 era stato assunto come sanitario presso una società mineraria francese, che curava l'estrazione del piombo argentifero a Valdicastello in Versilia, dove gli nacque il primogenito Giosue. Fallita la società, cominciò per il C. la peregrinazione da una località all'altra: Seravezza, Bolgheri, Castagneto, Laiatico, Celle, Piancastagnaio, Santa Maria a Monte.
Quasi sempre riuscì a conquistarsi il rispetto per la serietà e l'abnegazione che poneva nel lavoro, ma si attirò anche non poche antipatie e inimicizie, sia per le impennate di un carattere brusco e litigioso sia perché sobillava a rivolta contro le prepotenze feudali i contadini (che non sempre gliene erano grati). Queste azioni rivoluzionarie rivelano un contenuto sociale che andava oltre il liberalismo borghese: di qui la maggiore diffidenza e avversione nei suoi confronti. A Bolgheri, il 21 e il 23 maggio 1848, gli furono sparate nottetempo alcune fucilate di intimidazione contro la casa; riparò quindi a Castagneto, dove guidò una sommossa di contadini che chiedevano nuovi contratti dai loro padroni, i conti della Gherardesca, e dove ebbe il suo momento di popolarità: l'instaurazione della repubblica a Firenze e la fuga del granduca sembravano attestare la concretezza delle idee del dottore.
Con il ritorno del granduca e la restauzione si chiusero le speranze del C. di trasformare rapidamente le antiche strutture oppressive di quella società contadina. Nell'aprile del '49, per sottrarsi al risentimento popolare, da Castagneto riparò a Laiatico, nel Volterrano. Pur rinchiudendosi sempre più in una delusa amarezza, attese con intelligenza ed amore alla professione; ne fa fede l'opera svolta a Piancastagnaio durante il colera dell'estate 1855: non solo organizzò l'assistenza sanitaria, ma anche studiò la malattia, dissezionando i cadaveri e stendendo una relazione che fu data alle stampe.
Oltre che sentire sciupate le sue doti d'ingegno e cultura in un ambiente retrivo e mediocre, dovette quasi sempre lottare con difficoltà economiche. Si era addossato alla morte del padre molti debiti di lui; aveva dovuto badare alla madre, che accolse nella sua casa fino alla morte nel 1843; dovette provvedere all'istruzione dei figli (al primogenito Giosue erano seguiti Dante, nato nel 1836, e Valfredo, nato nel 1841). Accanto alla passione per la politica e per la sua professione di medico, il C. ebbe una viva curiosità per la letteratura e la storia. Fu romantico manzoniano. L'unica ricchezza della sua casa era una biblioteca, ove accanto ai classici figuravano gli scrittori contemporanei, quali il Giusti, il Guerrazzi, il Niccolini. Documento di questo interesse per l'arte e della cultura letteraria del C. sono i suoi versi, stampati nell'opuscolo In occasione che la città di Acquapendente l'aprile del 1853 festeggiava con accademia letteraria la tutela accordata da S. Em. il Cardinal Caterini, che in un gusto di romanticismo popolare alla Prati celebrano tra l'altro con nostalgia la terra di Versilia e satireggiano la terra maremmana.La sera del 4 nov. 1857 a Santa Maria a Monte il figlio Dante si uccise con un ferro chirurgico del C., o fu da lui involontariamente ucciso dopo un violento alterco. Il giovane cresceva abulico e dissipato, nonostante le qualità dell'ingegno: da qui i contrasti violenti col padre, che culininarono in quell'ultimo scontro.
Il C. trascinò tristemente l'ultimo scorcio della sua vita. Si spense a Santa Maria a Monte il 15 ag. 1858.
Bibl.: V. Cian, Ildottor M. C. e il conte Alamanno Agostino della Seta, in Giorn. d'Italia, 18 apr. 1907 (vi sono pubblicate due lettere del C. in data 12 nov. 1831 e 2 apr. 1832, nelle quali egli esprime la sua riconoscenza per l'aiuto ricevuto dal suo nobile amico); V. Cian, Il dottor M. C. cospiratore, in Nuova Antologia, 1º marzo 1908, pp. 50-102; A. Lumbroso, Interrogatorio di M. C. innanzi al giudice di Pisa, in Rivista di Roma, XII(1908), pp. 150-58; Id., Il processodi M. C., ibid., pp. 211-17, 226-29; V. Cian, Il dottor M. C. patriota, in Fanfulla della Domenica, 2 ag. 1908; E. Gamerra, Ildottor M. C. nei movimenti della toscana nel 1848, in Nuova Antologia, 1º luglio 1915, pp.73 ss.; A. Evangelisti, M. C., in Giosuè Carducci, col suo maestro e col suo precursore, Bologna 1924, ad Ind.;U. Clades, Dall'idillio di San Miniato alla tragedia di Santa Maria a Monte, Firenze 1965 (alla cui nota bibl. rimandiamo per ulteriori indicaz.). Si vedano anche le biografie di Giosue Carducci citate ad vocem.