CARUSO, Michele
Nacque a Torremaggiore (Foggia), intorno al 1830. Salariato agricolo, nel pieno dell'età si trovò coinvolto nella grande crisi del crollo della dinastia borbonica a seguito dell'impresa garibaldina e della unificazione del Mezzogiorno nello Stato italiano, con il seguito acuto e protratto di sconvolgimenti politici, economici e sociali che generarono, fra l'altro, il cosiddetto "brigantaggio" contadino.
Favorito inizialmente dalle forze della reazione borbonico-clericale contro la rivoluzione della borghesia liberale-unitaria, il brigantaggio mostrò però già nel 1861, e via via sempre più chiaramente, negli anni successivi, il carattere di una manifestazione estrema, armata, condotta principalmente dai proletari delle campagne, che coinvolgeva gli strati più vasti dei contadini semiproletari in un moto generalizzato di protesta non soltanto contro i mali strutturali e contingenti della società meridionale (disoccupazione, carovita, miseria, arretratezza, oppressione), ma, ancor più, contro il tipo . di soluzione che i governi e i ceti possidenti imponevano alla questione demaniale, ossia alla liquidazione del regime feudale nel Mezzogiorno d'Italia, incamerando i terreni comunali, sopprimendo gli usi civici e riducendo a una mistificazione le quotizzazioni demaniali.Il C. fu tra quei numerosi capi contadini, perlopiù "giornalieri" o salariati agricoli, che in quei frangenti emersero spontaneamente dalla massa e s'imposero per coraggio, spietata risolutezza e doti di guerriglieri nella condotta di una lotta senza quartiere contro le forze dell'esercito italiano e la guardia nazionale, arrecando nello stesso tempo danni incalcolabili alle proprietà e alle rendite della borghesia agraria. Nell'anno 1862 il C. si trovò alla testa di una grossa banda composta da circa cento uomini interamente montata a cavallo, mobilissima e instancabile, discretamente armata e ben disciplinata, sostenuta da una fitta rete di fautori contadini e fors'anche borghesi. Operava perlopiù lungo le due sponde del Fortore, ma poteva contare sulla rapida radunata delle altre bande della Capitanata, del Gargano, del versante settentrionale del Vulture, del Beneventano (Giuseppe Schiavone) e del Molise, per condurre profonde scorrerie fino a Benevento, ad occidente, e fino a Foggia, ad oriente.
"Queste bande - riferiva nel settembre 1863 il prefetto di Benevento, D. Sigismondi, scrivendo a Silvio Spaventa, capo della polizia - capitanate da intrepidi ed accorti condottieri, conoscitori perfetti dei luoghi, educati e perfezionati a tal genere di guerra da tre anni di esercizio, subordinano con rara costanza e perseveranza le loro mosse al loro scopo. Quindi evitano i paesi, scorrono continuamente la campagna senza posare per molte ore in un luogo, camminano e di giorno e di notte, passano a cavallo per qualunque strada la più dissestata che sia... Ogni luogo è buono per loro; si forniscono di viveri e di cavalcature nelle numerosissime masserie di questa ubertosa Provincia, non hanno direzione determinata e la cambiano a seconda delle circostanze... La loro mobilità è estrema" (in Bergamo, Bibl. civica, Arch. Gamba, LII, 6089).
Il generale Pallavicini, dalla fine del 1863 comandante della zona militare dove imperversava il "grande brigantaggio", definì il C. un "coraggioso ed abile capo di briganti", riconoscendo ai principali capibanda della zona (Irpinia, Beneventano, Capitanata, Basilicata) "vere qualità militari". Basandosi sulla perfetta conoscenza del terreno, su una eccezionale resistenza alle fatiche, su una superiore mobilità rispetto alla fanteria e alla stessa cavalleria regolari, e fruendo dell'appoggio multiforme delle masse contadine, il C. fra il 1862 e il 1863 desolò con le sue incursioni l'intera Capitanata e il Beneventano, devastando i raccolti, razziando intere mandrie, incendiando le masserie e affrontando e non di rado sopraffacendo i reparti dell'esercito e la guardia nazionale. Nel novembre 1862 sbaragliò presso la masseria Mellanico, in territorio di Santa Croce di Magliano, una compagnia del 36° reggimento fanteria. Nel giugno del 1863, unito a Schiavone, inflisse una sanguinosa sconfitta alle guardie nazionali di Orsara, giunse alle porte di Benevento e riscosse spavaldamente tributi dai possidenti locali mentre le forze regolari erano disseminate altrove e le autorità civili paventavano una rivolta popolare nel capoluogo. Dall'estate in poi, la furia del C. mieté più di centotrenta vittime tra soldati, guardie nazionali, possidenti e, da ultimo, tra gli stessi contadini, a Torrecuso, San Bartolomeo in Galdo, Colle, Castelvetere, Morcone e Torremaggiore.
Nell'estate di quell'anno 1863 il governo Minghetti, il cui ministro dell'Interno era Peruzzi, non poté più rinviare l'inizio dell'offensiva legislativa (legge Pica), militare, politica e poliziesca contro il grande brigantaggio che nel Mezzogiorno scuoteva le basi stesse del regime unitario. Al generale Pallavicini fu assegnato il compito di attaccare il C., per avviluppare in seguito il nucleo più "duro" del brigantaggio, quello lucano arroccato sul Vulture, capeggiato dal Crocco. Instaurando il metodo dinamico della "persecuzione incessante" da parte delle forze regolari e della mobilitazione totale delle guardie nazionali e delle autorità civili, Pallavicini si scontrò ben 35 volte in poche settimane con il C. e i suoi luogotenenti (tra i quali fedelissimo G. B. Varanelli) e riuscì in tal modo a disgregare via via le forze brigantesche, ad infondere il terrore nei sostenitori clandestini ed infine ad isolare e a catturare, forse per tradimento di una donna, il loro capo. Questi, sorpreso in territorio di Molinara, venne tradotto a Benevento.
Un testimone oculare, che lo vide legato su un asino, tra la folla tumultuante di borghesi che minacciavano il linciaggio, riferì: "vestito siccome un cafone qualsiasi senza distinzione di sorta, egli procedeva cinicamente fiero e impassibile, guardando di soppiatto il fremente popolo" (L'Opinione, 16 dic. 1863). Durante il sommario processo dinanzi al Tribunale militare, richiesto se sapesse leggere e scrivere, proruppe: "Ah, Signurì, s'avesse saputo legge e scrive avria distrutto lo genere umano" (cfr. Gelli).
Il C. venne fucilato in Benevento il 13 dic. 1863.
La figura e la fine del C. sono tipiche e, in un certo senso, emblematiche rispetto alle caratteristiche ed ai limiti sociali delle masse bracciantili meridionali, in particolare di quelle della Capitanata, nel secolo scorso. Una feroce determinazione nel vendicarsi dei torti, dell'oppressione e dello sfruttamento esercitati dai possidenti; una intensa carica vitale estrinsecantesi nel coraggio fisico, nella resistenza alle fatiche e alla miseria e nel disprezzo della morte; un impulso incontrollato di rivolta che approdava a forme anarcoidi di "pandistruzione" prive di prospettive rinnovatrici; l'esercizio dell'autorità per mezzo del terrore non potevano costituire una funzione "politica", egemonica, nei confronti dei più larghi strati intermedi contadini che, in sostanza, miravano alla conquista della terra e di migliori condizioni di vita e di lavoro. La fine del C., progressivamente isolato dalle stesse masse contadine, segna così l'inizio dell'inevitabile sconfitta dell'ala estrema della rivolta contadina postunitaria, la quale, sebbene animata da profonde aspirazioni ad una maggiore giustizia sociale, era priva di una teoria, di una guida politica e di valide indicazioni di rinnovamento sociale, e perciò non poteva imporre i propri obiettivi alla borghesia italiana che stava allora compiendo la sua rivoluzione, unificando il paese, fondando lo Stato unitario e suscitando un mercato economico nazionale secondo i propri interessi e le proprie concezioni. Il "brigantaggio" rimase, così, piuttosto a segnare i limiti inevitabili e le connaturate insufficienze di quella rivoluzione, da cui dovevano scaturire alcuni dei più pesanti problemi per il successivo sviluppo storico dello Stato unitario e di tutta la società italiana.
Fonti e Bibl.: Atti Parlamentari, Documenti, legislatura VIII, sessione 1863-64, I, pp. 759 ss.; F. Pallavicini, Promemoria sulla repressione del brigantaggio, in C. A. Maffei di Boglio, Brigand Life in Italy, London 1865, pp. 533 ss; J. Gelli, Banditi, briganti e brigantesse dell'Ottocento, Firenze 1931, p. 226; F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l'Unità, Milano 1964, pp. 161, 164, 168, 179, 182, 210, 309, 374, 376.