CASTELLI, Michele
Della vita di questo personaggio, legato alla nascita del giornalismo regolare in Italia, in quanto autore della prima gazzetta a stampa di Genova, è documentato soltanto il decennio (1638-1647) in cui si svolse la sua attività pubblicistica.
Va rilevato che l’autorevole Historia Academiae Pisanae di A. Fabroni (III, Pisis 1795, p. 126) registra un Michele Castelli “hispanus” – e precisamente di Malaga – professore di filosofia morale dal 1632 a tutto il 1634, e che la Biblioteca volante di G. Cinelli Calvoli-D. A. Sancassani (II, Venezia 1735, pp. 102 s.), repertorio preziosissimo ma purtuttavia non esente da varie imprecisioni, registra sotto il medesimo nome – ma il luogo di nascita qui è Fivizzano – un’orazione tenuta nella chiesa pisana di S. Caterina e stampata nella stessa città nel 1628. Ma è troppo poco per avanzare un’identificazione alquanto improbabile del gazzettiere di Genova, impegnato fra avventurosi e rischiosi casi a confezionare il suo foglio con lineari resoconti, con il docente spagnolo che qualche anno prima istruiva i giovani pisani esponendo “accurate... et satis copiose” le opere dei filosofi classici; né può ovviamente essere l’intonazione palesemente filospagnola della gazzetta del C. – atteggiamento politico del tutto naturale nella Genova di questo periodo – ad avvalorare una simile congettura.
Comunque da alcune sue affermazioni si ricava che il C. giornalista non fu genovese, mentre si può congetturare che, avendo nel 1645 – come dichiara in una lettera del novembre di quell’anno – ben nove figli nati per “la maggiore parte” a Genova e ancora tutti a carico, dei quali Alessandro, verosimilmente il maggiore, già era in grado di collaborare con lui (firmerà poco dopo, nel 1646, l’annuncio della cessazione della gazzetta), egli doveva essere nato verso il 1600.
Dopo la fine della pubblicazione della gazzetta, dipesa dal progressivo affermarsi a Genova di orientamenti filofrancesi, il C. abbandonò temporaneamente la città (trasferendosi forse a Lucca): vi fece ritomo l’anno dopo e l’ultima notizia che lo riguardi è una deliberazione del Senato genovese del 5 giugno 1647 con la quale si incarica il magistrato degli Inquisitori di esaminare un suo recente scritto – non pervenutoci – supposto lesivo della fama della Repubblica e di infliggere eventualmente l’opportuna punizione.
Le prime gazzette a stampa incominciano ad apparire in Italia nel quarto decennio del sec. XVII: si tratta di fogli ripiegati – che constano quindi di quattro facciate – pubblicati settimanalmente e contenenti notizie sui principali fatti politici e militari europei; proseguono direttamente gli avvisi manoscritti dei “menanti”, che rapidamente e progressivamente, anche se non totalmente, soppiantano rivoluzionando, come è ovvio, le caratteristiche fondamentali dell’informazione pubblica. La stampa permette un ampliamento del pubblico dei lettori notevole sia in senso puramente quantitativo che in senso qualitativo, per l’allargarsi della gamma dei gruppi sociali raggiungibili; cosi che le gazzette, che con regolari spedizioni postali possono varcare i confini dello Stato, aggiungono alla loro naturale funzione informativa una nuova e più estesa possibilità propagandistica e di influenza e di orientamento delle opinioni.
Spesso inoltre i loro autori, a vari governi che li stipendiavano per tale segreto servizio di informazioni, inviavano fogli manoscritti riservati contenenti notizie più importanti e preziose. Non può sorprendere quindi che questi primi giornalisti, al centro di interessi politici non indifferenti e di complesse trame, vivessero vicissitudini movimentate e talora tragiche avventure (si pensi, oltre ai casi del C., all’oscuro omicidio di cui furono vittime Michele e Giovan Battista Oliva, i giornalisti che gli succedettero).
Il C. operava in una città che per la sua stessa posizione geografica si prestava ad essere importante centro di diffusione di notizie, opinioni e valutazioni politiche; la sua gazzetta è da considerare la prima realmente originale stampata in Italia, in quanto l’unica che la preceda, quella fiorentina redatta da Amadore Massi e Lorenzo Landi e documentata dal 1636, risulta compilata sulla falsariga di un foglio manoscritto di Venezia secondo un criterio piuttosto frequente nei primissimi tempi dei giornali a stampa; anzi, la gazzetta di Firenze all’apparire del settimanale del C. se ne servirà come fonte e non troppo scrupolosamente, tanto da suscitare a più riprese energiche proteste e accuse pubblicate sul foglio genovese durante il 1642.
Della gazzetta del C., stampata da Pier Giovanni Calenzano, esistono due raccolte, una a Genova (Biblioteca universitaria) e l’altra a Torino (Biblioteca reale): entrambe includono nella serie qualche numero dell’altro settimanale genovese di Alessandro Botticelli, concorrente del C.; il primo foglio conservato reca la data del 29 luglio 1639, l’ultimo quella del 29 luglio 1645. Poiché con una lettera del 22 luglio 1639 il C. faceva richiesta di privilegio per la stampa agli inquisitori genovesi (che, già nel novembre 1634, avevano decretato che ogni foglio di notizie – “nuntia” o “novellaria”, a quella data ancora manoscritti – fosse sottoposto per approvazione al loro esame), è da ritenere che il primo numero conservato sia anche il primo pubblicato. Immediatamente prima di questa data, nel 1638, il C. pubblica una raccolta di componimenti encomiastici, Applausi della Liguria nella reale incoronatione del Serenissimo A. Pallavicino duce della Repubblica di Genova (Genova 1638), – tra cui figura un suo poemetto in esametri De Augustino Pallavicino – per la nomina a doge di Agostino Pallavicino dedicandola al fratello di lui Alessandro, del quale si dichiara “divotissimo servitore”.
Egli vede crescere la propria fortuna ed il proprio successo negli anni successivi anche in virtù di un iniziale favore accordatogli dal governo genovese, ovviamente da collegare con la protezione della potente famiglia. In posizione di superiorità rispetto ai suoi concorrenti (oltre al già ricordato Botticelli, un certo Costa, chierico, attivo a Genova per un breve periodo), tanto da poter invocare, e non invano, pene pecuniarie nei loro confronti (febbraio 1640), riesce ad ottenere per sé la concessione di un’esclusiva per la divulgazione di ogni “novella”, manoscritta o stampata (agosto 1645). Contemporaneamente invia con regolarità informazioni riservate alla Repubblica lucchese, al granducato di Toscana e al ducato esterise con il quale ha rapporti per il tramite di Fulvio Testi (come risulta dall’epistolario di quest’ultimo).
La situazione europea, con lo scontro franco-spagnolo della guerra dei Trent’anni, pone a Genova, i cui armatori erano tradizionalmente al servizio della Spagna, gravissimi problemi politici, imponendo una neutralità difficile e un’equidistanza almeno formale fra i contendenti che la metta al riparo dalle ambizioni espansionistiche di casa Savoia ricattatoriamente manovrate dal Richelieu: tale situazione era complicata dal contrasto – sfociato in conflitto militare – interno alla dinastia, per il quale i fratelli dello scomparso (1637) Vittorio Amedeo, il principe Tommaso e il cardinale Maurizio, che erano legati alla Spagna, si contrapposero alla vedova del duca, Cristina, sorella di Luigi XIII. Su tale sfondo ed entro tale gioco politico si inquadra l’attività del C. e si spiegano anche la sua burrascosa esistenza e le complicate vicende della gazzetta.
Il Botticelli, di orientamento filofrancese, lo attacca violentemente definendolo “salariato da Spagnoli” e sostenendo che, con la parzialità della sua gazzetta, danneggia non poco l’immagine di neutralità che la Repubblica genovese vuol dare di sé in campo internazionale e nel 1645 chiede invano l’interruzione dell’esclusiva per l’attività giornalistica concessa al rivale. Ma la fiducia crescente che l’azione diplomatica del Mazzarino riesce a conquistare a Genova, orientando verso la politica francese la Repubblica, determina verso la fine dello stesso 1645 il declino della fortuna del C.: il 6 ottobre di questo anno il conte di Brienne, primo segretario di Stato francese, gli fa pervenire una lettera in cui lo diffida dal continuare ad osare “employer en les nouvelles... choses scandaleuses et faulses contre l’honeur et la reputation de la France); nel novembre successivo il gazzettiere viene avvicinato e fatto oggetto di minacce assai gravi da parte di uomini che sono da ritenere emissari del Botticelli, se non addirittura del governo francese. Invano egli denuncia i fatti alle autorità locali; a dimostrazione dei mutati indirizzi prevalenti ora a Genova, per due volte la proposta di espulsione del Botticelli, avanzata dai magistrati, resta senza seguito e, di lì a poco, come si è visto, sarà proprio il C. a dover lasciare la Repubblica e ad interrompere la pubblicazione della gazzetta. Il tono assai duro della ricordata deliberazione dei Senato genovese del giugno 1647 indica che, se il giornalista non si volle dare per vinto e tentò in qualche modo di recuperare le posizioni perdute, la conversione filofrancese della Repubblica, d’altra parte, non poteva più consentirgli spazio né speranze.
La gazzetta genovese del C., così come le altre che in questo periodo incominciano a stamparsi in Italia, è dedicata essenzialmente ad avvenimenti europei soprattutto di carattere politico e militare: movimenti di truppe, scontri, assedi. Mancano invece, anche per motivi di opportunità, informazioni di politica interna. Collegato ai circoli filospagnoli di Genova – nella gazzetta del 23 ag. 1642 dichiara esplicitamente che il numero precedente non era uscito perché egli si era in quei giorni imbarcato su una galea al “servizio di Spagna” in compagnia dello stesso ambasciatore del re cattolico – il C. palesa assai chiaramente il suo orientamento, sia che riferisca sul conflitto piemontese sia che riporti fatti ed episodi del più vasto scontro bellico in atto in Europa: le relazioni sulle vicende della ribellione della Catalogna alla Spagna e i commenti alle varie fasi del contrasto fra il Parlamento e Anna d’Austria in Francia tendono a mettere in risalto il comportamento sleale dei Francesi o ad evidenziarne i momenti di crisi interna.
Ciò aggiunge all’importanza preziosissima di questi fogli quale testimonianza contemporanea di eventi storici di primissimo piano la possibilità, suggestiva per il lettore moderno, di cogliere il senso e lo spessore di una deformazione dei fatti e di una parzialità del resoconto che si fanno esse stesse connotati storiografici non trascurabili. Infine, oltre al valore intrinseco di archetipo nella storia del giornalismo moderno, la gazzetta del C. – come anche le altre coeve – presenta un altro e diverso, ma fondamentale, motivo di interesse: quello linguistico, in quanto documento e – per così dire – registrazione di un parlato medio italiano del sec. XVII, riprodotto immediatamente sulla pagina nelle sue strutture più usuali per la natura stessa del tipo di comunicazione che il messaggio giornalistico richiedeva.
Fonti e Bibl.: F. Testi, Lettere, a c. di M. L. Doglio, Bari 1967, III, pp. 189 s., 593 (nn. 1436 1437, 1986); S. Bongi, Le prime gazz. in Italia. in Guida della stampa per. ital., a cura di N. Bernardini, Lecce 1890, pp. 44 s.; G. Ognibene, Le relazioni della casa d’Este coll’estero, in Atti e memorie della R. Deputaz. di storia patria per le provincie modenesi, s. 5, III (1904), p. 233; A. Neri, M. C. e le prime gazzette a Genova, in Rivista d’Italia, XVI (1913), pp. 300-309; O. Pastine, La Repubblica di Genova e le gazzette. Vita polit. ed attività giornalistica (sec. XVII-XVIII), Genova 1923, pp. 1-49; L. M. Levati, I primordi del giornalismo a Genova, Genova 1923; L. Piccioni, Fra poeti e giornalisti. Note di storta e di critica letteraria, Livorno 1925, pp. 49-54; F. Fattorello, Le origini del giornalismo in Italia, Udine 1933, pp. 85-122.