MICHELE da Bologna
MICHELE da Bologna. – Nacque a Porretta Terme, nel Bolognese, tra il novembre 1499 e il luglio 1500 da una Apollonia e da Alessandro, il cui cognome resta ignoto (recenti ipotesi restringono il campo alle famiglie Lenzi e Santoli). S’ignora il nome che ricevette al battesimo.
Le scarse notizie sulla prima parte della sua vita accreditano un percorso di formazione svoltosi a Pistoia (probabilmente in ragione della maggior vicinanza a Porretta, rispetto a Bologna). Infatti, durante i processi inquisitoriali subiti nei primi anni Settanta, da cui proviene la maggior parte dei dati biografici su di lui, M. rammentò di avervi seguito corsi di diritto canonico. La stessa fonte autorizza a ritenere che l’ordinazione sacerdotale precedette il suo ingresso nell’Osservanza: nel corso del processo M. dichiarò «que profesò cuarenta años […] y que es de orden sacro puede aver çincuenta años, poco más o menos» (Martín Flores, p. 62).
Entrato nell’Ordine dei frati minori forse alla fine degli anni Venti, e quasi per certo in uno dei due conventi bolognesi, M. presto trovò la propria via nell’impegno missionario. È verosimile che questa vocazione si manifestasse nel clima gravido di speranze di pace e di riunificazione del mondo cristiano che contrassegnò i due incontri bolognesi tra Carlo V e papa Clemente VII (ottobre 1529-marzo 1530; dicembre 1532-febbraio 1533).
A quell’atmosfera va ricondotta la pubblicazione dell’opuscolo Passio gloriosi martyris beati patris fratris Andreae de Spoleto … (Bologna, Giustiniano da Rubiera, 1532), apparso quell’anno anche a Tolosa (dove in maggio si era tenuto il capitolo generale dell’Ordine) e a Colonia. Vi si leggeva, oltre al resoconto del martirio, a Fez, di fra Andrea da Spoleto, il testo di due lettere scritte per il capitolo dal vescovo di Città del Messico, Juan de Zumárraga, e da fra Martín de Valencia, il capo dei primi dodici missionari giunti in Messico su richiesta di Cortés nel 1524. Nella loro entusiastica descrizione, l’America diventava la terra in cui intere popolazioni semplici e miti attendevano la salvezza dalla predicazione evangelica; gli straordinari successi conseguiti oltremare sembravano prefigurare la rapida ricomposizione dell’umanità in «unum ovile et unus pastor», secondo il monito giovanneo (X, 16), esortando i religiosi di tutta Europa all’impegno missionario.
L’incitamento a partire poté giungere a M. anche da due confratelli conosciuti a Bologna e all’epoca già in Messico: fra Francesco da Bologna (o degli Allé), la cui presenza è documentata nella regione del Michoacán fin dal 1530; e fra Francesco da Faenza, il cui nome si lega alla fondazione del convento di Zinapécuaro, nella parte orientale della regione. Dà notizia dell’attività in Messico di questo frate la stessa fonte da cui risulta il passaggio di M. in America, ossia lo scritto dell’umanista G.A. Flaminio De quibusdam memorabilibus Novi Orbis nuper ad nos transmissis, datato 25 luglio 1535 e inserito in una sua Epistula ad Paulum III (Bologna, V. Bonardo - M.A. Grossi, 1536). Flaminio aveva trasposto in latino la missiva inviatagli da M. per informarlo sul viaggio e le prime esperienze americane.
M. si era imbarcato (registrandosi come Miguel de Parma) sulla nave «Trinidad» con altri 19 compagni, tra cui fra Jodoco Rijcke, futuro evangelizzatore dell’Ecuador (che a sua volta scrisse una relazione del viaggio consonante con quella di Michele). Il gruppo era guidato dal «comisario general de Indias», fra Juan de Granada. Nel 1570, durante il processo, M. dichiarò di essere in America da 39 anni, ma si tratta certamente di un ricordo impreciso.
Partita l’11 ott. 1533 da Siviglia, la «Trinidad» fece scalo a Gran Canaria; la traversata la portò fino a San Juan de Portorico e, dopo una breve sosta, a Hispaniola (dove giunse il 21 dicembre secondo Flaminio, il 19 secondo Rijcke). Fermatisi nell’isola fino alla Pasqua del 1534, i missionari si divisero in due gruppi: sei di loro, con Rijcke, presero la via del Perù, appena conquistato; gli altri, con J. de Granada, proseguirono verso il Nicaragua e Città del Messico. La lettera fornisce interessanti ragguagli etnologici sulle popolazioni messicane, dando altresì conto dei successi dei missionari, presentati come ancor più straordinari di quelli conseguiti dagli Apostoli nei primi secoli.
L’opera missionaria di M. si svolse nel territorio degli attuali Stati di Jalisco, Michoacán, Zacatecas, a nordovest di Città del Messico. Qui peraltro operavano anche gli altri due frati bolognesi: in una lettera di Francesco da Bologna, successiva al 1538, si attesta la «felice situazione in cui mi trovo insieme con fra Michele», alludendo al comune lavoro missionario (Francesco Allé, p. 433). Scrivendo da Uruapan nell’ottobre 1537, M. accenna all’attività, svolta nell’anno precedente, in Michoacán e a Zinapécuaro. Nella seconda metà del 1539 fu secondo padre guardiano del convento di Zapotlán.
Ben più impegnativa e di lungo respiro fu la missione svolta dopo il 1542 insieme con fra Antonio de Segovia nei territori degli Indios cazcanes, teatro recente della grande rivolta indigena detta «guerra del Mixtón». Qui i frati fondarono il convento e l’ospedale di Juchipila, da cui l’evangelizzazione si irradiò in tutta la regione oggi chiamata Los Altos de Jalisco. Per gli anni successivi l’attività di M. è scarsamente documentata, a parte la sua guardiania al convento di Tlajomulco, più a sud, nel 1560.
Fu di nuovo guardiano a Juchipila nel 1567 o 1568, ma tra il luglio 1570 e gli ultimi mesi del 1571 dovette risiedere presso il convento di Guadalajara, capitale del Vicereame della Nueva Galicia, per sottoporsi al processo inquisitoriale formalizzato nei suoi confronti dal provveditore della diocesi, Melchor Gómez de Soria, su accuse provenienti dai maggiorenti di Juchipila: l’alcalde mayor e l’encomendero Diego Flores.
M. aveva rifiutato la confessione a due spagnoli; si era opposto alla consegna di un indio che aveva cercato riparo nel convento; aveva acconsentito a celebrare il matrimonio di un’india contro la volontà di Flores, che di conseguenza ne aveva perduto i servizi. Al di là del tentativo degli accusatori di presentare comportamenti e affermazioni di M. in una luce «luterana», quel che emerge chiaramente dai verbali del processo è il suo tentativo di proteggere gli indios dall’aggressiva comunità spagnola, convinta del proprio buon diritto a sfruttarli: è sintomatica la frase attribuita a M., secondo cui il frate avrebbe detto «que los vecinos y los curas del lugar tendrían que salir del valle y regresar a España, para dejarlo con toda su provincia a los franciscanos, sus verdaderos dueños, porque fueron ellos quienes habían evangelizado la región» (Martín Flores, p. 47). Condannato a pene lievi (interdizione dalla carica di guardiano, proibizione di predicare e amministrare i sacramenti per tre mesi), si espresse con durezza contro il provvedimento, ignorandone le prescrizioni. Ciò gli valse nuove accuse da parte di confratelli e un secondo processo (marzo 1572-sett. 1574) a Città del Messico, uscendone assolto dall’inquisitore generale da poco nominato, Moya de Contreras.
Tornato nel Messico occidentale, M. fu in seguito guardiano a Sayula (1574) e a Poncitlán (1576). Trascorse gli ultimi anni a Chapala, dove morì il 14 luglio 1580.
M. entrò per tempo nella tradizione cronachistica francescana, destinata peraltro a una circolazione manoscritta fino all’Ottocento. Il primo a segnalarne l’opera fu fra Diego Muñoz, che sottolinea come M. «deprendió las lenguas Mexicana, Tarasca, Othomí, Cazcana, Tecuexa y Coca y en todas les predicó y administró muchos años» (Descripción, p. 65). È una testimonianza degna di fede, trattandosi delle lingue in uso nei territori evangelizzati da Michele. Il tema della sua abilità linguistica e comunicativa passò ad altri cronisti, da Jeronimo de Mendieta fino a Marcellino da Civezza, elemento genuino in una biografia resa opaca da scambi di persona e fraintendimenti che si condensarono nell’idea di un M. francese (identificando il toponimico «Bologna» con Boulogne-sur-Mer) o fiammingo (data la rilevante presenza, in quegli anni, di missionari fiamminghi).
La tradizione collega il nome di M. alla piccola statua (38 cm di altezza) della Virgen de San Juan: sarebbe stato lui a portarla a San Juan de los Lagos (all’epoca San Juan Bautista de Mezquititlán), dove oggi è conservata nella cattedrale di Nuestra Señora. La statua, oggetto di intensa devozione popolare a partire dalla miracolosa resurrezione di una giovane, nel 1623, è realizzata con la tecnica detta titzingueni, già in uso presso i Taraschi del Michoacán per le immagini dei propri dei e consistente nel ricoprire una struttura lignea o di canna di mais con strati di pasta di mais mista a succo di orchidea e di gesso dipinto. La presenza di questa e altre simili e coeve sculture sacre nel territorio è riconducibile all’azione pastorale di Vasco de Quiroga, primo vescovo (dal 1537) del Michoacán.
Fonti e Bibl.: Marco da Lisbona, Croniche de gli Ordini instituiti dal serafico p. s. Francesco, parte IV, a cura di B. Barezzi, Napoli 1680, I, p. 61; II, p. 732; Jeronimo de Mendieta, Historia eclesiástica indiana, México 1870, p. 378; D. Muñoz, Descripción de la provincia de San Pedro y San Pablo de Michoacán, Guadalajara 1965, p. 65; J. de Torquemada, Monarquia indiana, III, México 1986, pp. 332, 334; Marcellino da Civezza, Storia universale delle missioni francescane, Roma 1881, p. 644; F. Chauvet, Fray Jacobo de Tastera, misionero civilizador del siglo XVI, in Estudios de historia novohispana, V (1970), 3, pp. 7-33; Francesco Allé, a cura di F. Surdich, in Nuovo Mondo. Gli Italiani, a cura di P. Collo - P.L. Crovetto, Torino 1991, p. 433; A. Moreno, Fray Jodoco Rique y fray Pedro Gocial. Apóstoles y maestros franciscanos de Quito, 1535-1570, Quito 1998, capp. III-IV; J. de J. Martín Flores (con la collaborazione di A. Giacomelli), Fray Miguel de Bolonia. El guardián de los Indios, Guadalajara 2006; M. Donattini, Il mondo portato a Bologna: viaggiatori, collezionisti, missionari, in Storia di Bologna, a cura di A. Prosperi, III, 2, Bologna 2009, cap. IV.
M. Donattini