MICHELE da Piazza
MICHELE da Piazza. – Con questo nome è tradizionalmente indicato l’autore della cronaca, in realtà anonima, edita per la prima volta da Rosario Gregorio nel 1791 con il titolo di Historia Sicula.
L’attribuzione a M. nacque con Antonino Amico, erudito messinese e regio storiografo, che in appendice a una dissertazione pubblicata a Napoli nel 1640, in un elenco di cronache siciliane inedite, da lui portate alla luce in varie biblioteche, includeva la «Historia, quae fratris Michaelis de Placea siculi, ordinis sancti Francisci, nomine circumfertur» (Starrabba, p. 307). In uno soltanto dei codici della cronaca, un manoscritto della seconda metà del XV secolo, oggi appartenente alla Biblioteca della Società siciliana di storia patria di Palermo, compare infatti, una sola volta, il nome di M., frate minore de observancia, ma non come autore dell’opera, bensì (come rilevato da Moscone) in qualità di estensore delle rubriche della «tabola generalis». Pur continuando a indicare in lui l’autore della cronaca, la storiografia più recente aveva comunque già manifestamente espresso dubbi sull’attribuzione.
L’autore dell’Historia Sicula, come essa è pervenuta, riferisce le vicende, a lui contemporanee, accadute in Sicilia dal 1337, dopo la morte del re Federico III d’Aragona, al 1361, quando bruscamente si interrompe. Si suppone a ragione che si tratti di un catanese, o per lo meno di qualcuno che sia vissuto a Catania. L’esposizione degli avvenimenti – riguardanti tutta l’isola, ma focalizzati sulla città etnea –, le espressioni di devozione verso s. Agata e il ruolo protettivo a lei riconosciuto, l’ottica politica della cronaca – che ruota attorno alla famiglia Alagona, dominatrice a Catania –, inducono a tale ipotesi.
Assolutamente da scartare è ogni possibilità che fosse originario di Piazza, tantopiù che nulla ha mai confortato tale affermazione. Più difficile è stabilire se si tratti di un ecclesiastico, come si è generalmente ritenuto sulla scia del nome attribuitogli dalla tradizione, anche in considerazione di una spiccata sensibilità cristiana, ma di tipo popolare e con venature polemiche verso i prelati, e di una cultura biblica, peraltro non particolarmente approfondita. L’autore sembra comunque privo di conoscenze e interessi relativi alle istituzioni ecclesiastiche. Si dichiara benestante, ma manifesta distacco o addirittura riprovazione per i beni mondani. Non si può escludere che sia un laico, perfino un miles, ma con una viva sensibilità religiosa. Non possiede il linguaggio tecnico di un giurista, né la sua conoscenza dei fatti e dei documenti suggerisce che abbia fatto parte della Cancelleria del Regno.
In un latino elementare e con inflessioni del parlato volgare, che ricorre al siciliano per espressioni proverbiali e toponomastiche, e si vale di una cultura media, il racconto degli avvenimenti, spesso vivace ed efficace, che dichiara rivolto ai magnates, si sviluppa intorno a una idea politica e a una riflessione morale. Sono vicende prevalentemente e quasi esclusivamente belliche, che consentono all’autore di mostrare gli orrori, le crudeltà e i danni della guerra, che oppone tra di loro i baroni siciliani, in uno scontro interno alla Sicilia. Giustifica il suo giudizio favorevole agli Alagona con l’attribuire a essi la difesa della dinastia reale aragonese, nata attraverso la rivolta del Vespro dalla volontà popolare, contro degli avversari (i Palizzi, i Chiaramonte e i loro alleati) che quella monarchia siciliana hanno tradito, perché si sono schierati con i nemici angioini. Riserva veementi e frequenti invettive contro i baroni ribelli, ma anche contro le città di Messina e Palermo: contro i primi perché hanno usurpato i diritti del re, si sono arricchiti ai danni della popolazione e sono divenuti dei semireguli; contro le due città rivali di Catania per avere tradito la Sicilia con il loro riconoscimento del sovrano napoletano. Auspica la pace, con la vittoria alagonese, la restaurazione della monarchia insulare, il sostegno dell’Aragona, la protezione di s. Agata e il trionfo di Catania.
La cronaca non offre sicuri elementi per una identificazione dell’autore, il quale solo in un’occasione si manifesta in prima persona, per dichiarare la propria commozione fino alle lacrime, nel descrivere un episodio particolarmente drammatico. Con l’attenzione rivolta esclusivamente alle vicende interne siciliane, soprattutto politico-militari, ma anche agli effetti economici prodotti (distruzione delle messi, carestia e fame conseguenti), agli eventi naturali (eclisse solare, alluvione di Catania) e alla tragica epidemia di peste del 1347, fornisce notizie, anche molto particolareggiate, di grande rilevanza, perché non giungono da nessun’altra fonte. Esse provengono, probabilmente, in parte da conoscenze dirette, in parte dai suoi informatori o dall’accesso alla documentazione, qualche volta riprodotta nella cronaca, della quale potevano disporre gli Alagona, al cui archivio l’autore fa un esplicito richiamo. È probabile che, ecclesiastico o laico, egli sia stato uno dei personaggi che, nella seconda metà del XIV secolo, circondarono a Catania Artale d’Alagona e suo padre Blasco.
Muovendo dall’analisi del racconto di alcuni episodi particolari, sono affiorate in questo senso e sono state azzardate alcune ipotesi di individuazione: l’anonimo guardiano del convento francescano di Catania (Tramontana, pp. 112-114) o l’abate benedettino del monastero catanese di S. Nicolò l’Arena, Giacomo de Soris, morto nel 1361, proprio quando la cronaca si interrompe (Sciascia, pp. XXVII-XXIX). Alle suggestioni a favore di quest’ultima ipotesi si può affiancare il nome di un miles, il dominus Percevallo de Soris, che fu accanto a Blasco e ad Artale d’Alagona per tutto il periodo coperto dalla cronaca, fu capitano di Aci, fu presente come testimone, con l’abate Giacomo, alla manifestazione delle ultime volontà di Blasco, ebbe più volte funzioni di procuratore per i beni degli Alagona, ma nella cronaca compare solo marginalmente, nelle trattative di tregua con gli inviati del re napoletano Luigi di Taranto.
L’Historia Sicula è stata pubblicata da R. Gregorio in Bibliotheca scriptorum qui res in Sicilia gestas sub Aragonum imperio retulere, Panormi 1791-92, I, pp. 509-580; II, pp. 1-106, poi da A. Giuffrida con il titolo di Cronaca (1336-1361), Palermo 1980.
Fonti e Bibl.: M. Moscone, L’Historia Sicula del cosiddetto M. da P. (1337-1361), tesi di dottorato, Università di Palermo, 2005; R. Starrabba, Scritti inediti o rari di Antonino Amico, Palermo 1891, p. 307; S. Tramontana, M. da P. e il potere baronale in Sicilia, Messina 1963, pp. 25, 106 s., 109 s., 112-114, 119 s., 124 s., 129 s., 132 s., 140 s.; G. Ferraù, La storiografia del ’300 e ’400, in Storia della Sicilia, IV, Palermo 1980, pp. 657-660; G. Fasoli, Cronache medievali di Sicilia. Note d’orientamento, a cura di O. Capitani, Bologna 1995, pp. 5, 7, 14, 22, 28, 50 s., 54-61, 63-65, 67, 70 s.; G. Ferraù, Il tessitore di Antequera. Storiografia umanistica meridionale, Roma 2001, p. 275; Acta Curie Felicis Urbis Panormi, VII (1340-42/1347-48), a cura di L. Sciascia, Palermo 2007, pp. XXVII-XXIX; Repertorium fontium historiae Medii Aevi, VII, p. 593.
S. Fodale