DE NAPOLI, Michele
Nato a Terlizzi (Bari) il 25 apr. 1808 dall'avvocato Giuseppe e da Maria Michele Mastrandea, nel 1828 si trasferì a Napoli per studiare giurisprudenza presso la locale università.
Laureatosi nel 1833, nello stesso anno si iscrisse all'istituto di belle arti, assecondando un'inclinazione che si era manifestata sin dagli anni dell'università, quando aveva eseguito vari schizzi e disegni molto apprezzati da Costanzo Angelini, insegnante di disegno presso l'istituto nonché rappresentante della corrente neoclassica a Napoli. Dell'Angelini il D. fu allievo prediletto dal 1834 al 1839. Già dal 1837 egli era stato ammesso all'Esposizione biennale col dipinto Alessandro e il suo medico Filippo, che gli valse la grande medaglia d'argento; due anni dopo espose La morte di Alcibiade, premiato con la piccola medaglia d'oro e acquistato dalla casa reale. Il quadro gli meritò la protezione del marchese E. Forcella, che ottenne di farlo studiare a Roma, a palazzo Farnese, dove alloggiavano i pensionati di governo (1839-1842).
Frutto dell'intensa stagione romana, dei rapporti allacciati con altri pittori e dello studio dei classici è il Prometeo che, esposto alla Biennale del 1841, rneritò la grande medaglia d'oro e fu anch'esso acquistato dal re (ora è a Capodimonte). Il largo successo di pubblico e di critica ottenuto dal dipinto procurò al D. la nomina a socio corrispondente della R. Accademia e a professore onorario presso l'istituto di belle arti di Napoli.
Rientrato nella città partenopea, il D. vi eseguì i primi dipinti su commissione: gli affreschi per una cappella nel camposanto di Napoli; quelli sulla facciata e nei pennacchi della cupola della chiesa di S. Maria Montevergine (1843), in cui, pur non padroneggiando dei tutto la tecnica, manifestava il ritorno a un netto purismo accademico. Nel 1845, per la chiesa di S. Lucia a Napoli, realizzava due grandi composizioni con Scene di martirio della santa:questa fatica, un S. Andrea d'Avellino, dipinto per una cappella privata in Abruzzo, e probabilmente un'intensa attività ritrattistica, ancora poco studiata, gli impedirono di partecipare alla Biennale del 1845, che coincideva con il VII congresso degli scienziati italiani, quell'anno tenutosi a Napoli. Maturava così, lentamente ma inesorabilmente, il suo distacco dalla cultura artistica ufficiale nonostante, ancora nel 1848, il D. venisse nominato membro della commissione di riforma dell'istituto di belle arti di Napoli. In tale occasione egli pubblicò un opuscoletto (Considerazioni intorno alle istituzioni artistiche napoletane, Napoli 1848), in cui, oltre a dare un saggio delle sue doti di scrittore, forniva una testimonianza del suo rigoroso credo artistico.
Dal 1847 al 1859 il D. eseguiva numerose opere fra cui: IGiochi Lampadici in onore di Partenope, sipario del teatro del Fondo (1848- 1849), Giacobbe predice l'avvenire ai figli, presentato al concorso per la cattedra di disegno presso l'istituto di belle arti (1851). Sconfitto in questa prova da Giuseppe Mancinelli, il D. si vedeva tuttavia offrire, con reale rescritto, la nomina a professore di pittura dell'istituto, carica che rifiutò sdegnosamente. In questi anni eseguiva anche: S. Francesco d'Assisi che mostra le stigmate, ora a Capodimonte; Visione di s. Maria Maddalena per la chiesa di S. Maria dei Cristallini a Napoli (1853); i due grandi affreschi sulle pareti del coro di S. Domenico Maggiore, sempre a Napoli (1853-54), che segnano il momento più felice della sua attività. Nel 1854 dipinse il sipario con Il torneo di re Manfredi per il nuovo teatro Piccinni di Bari; a questo seguirono gli affreschi nella cattedrale di Andria (1855) e in quella di Capua (1856). Nel 1859 eseguiva, per la chiesa delle benedettine di Catania, un S. Benedetto che risuscita il figliuolo di un contadino, esposto all'ultinia Biennale Borbonica (1859). Di idee liberali, dopo la liberazione del Mezzogiorno il D. ricoprì incarichi pubblici. Nel 1860 venne nominato consigliere comunale, membro del Consiglio edifizio, ispettore del Museo nazionale di Napoli e, nel 1861, direttore dell'istituto di belle arti. Ebbe così modo di collaborare alla riorganizzazione del Museo e di potenziare la raccolta della scuola napoletana. Nello stesso anno sposava Luisa Patella, di ventisei anni più giovane, dalla quale non ebbe figli. Al 1863 risale il suo ritorno alla natia Terlizzi, dove rimase sino alla morte.
Qui trascorse circa quindici anni nel silenzio, occupato quasi esclusivamente dall'attività politica (fu successivamente consigliere comunale nelle file del partito liberale, poi sindaco e consigliere provinciale, e ricoprì un ruolo importante negli affari dell'amministrazione cittadina, come la conclusione della fabbrica del duomo e l'erezione del teatro Millico). Tale attività ebbe però spiacevoli risvolti, con le accuse di malgoverno intentatagli da G. Lioy e un processo che ebbe termine solo nel 1883, quando il D. riuscì a dimostrare la propria onestà.
Frattanto, già dal 1876 fl pittore si era lasciato nuovamente lusingare dall'arte: in questo anno egli si impegnava infatti con la fabbriceria della cattedrale di Altamura per due tele (Ilbattesimo di s. Agostino e La morte di s. Girolamo), consegnate l'anno successivo e pagate 6.000 lire. In questi ultimi anni egli eseguì numerose tele, poi donate alla cattedrale di Terlizzi: l'Ufficio del sacramento eucaristico (1878), presentato all'Esposizione di Roma del 1883; l'Invenzione della Madonna di Sovereto (1882), la Maddalena penitente (1884), bocciata all'Esposizione di Torino di quell'anno. Nell'83 partecipò all'Esposizione di Roma col S. Andrea d'Avellino dipinto negli anni napoletani. Nel 1885 firmò la sua ultima pala d'altare, il Ritorno delleMarie dal Calvario, in cui riprese un tema già trattato in un cartone del 1852: opera che, come le altre precedentemente nominate, è conservata nella cattedrale di Terlizzi.
Il 24 marzo 1892 il pittore morì a Terlizzi, legando al Comune gran parte delle sue sostanze per la costituzione di un asilo di mendicità, e la sua casa, da destinare ad una pinacoteca intitolata al suo nome.
Attualmente tale museo versa in stato di totale abbandono mentre dovrebbe permettere uno studio più puntuale della ricca produzione del pittore, anche attraverso l'esame del cospicuo fondo di disegni e bozzetti, oltre che di oli e cartoni, in esso conservato. Altre opere, oltre a quelle elencate in precedenza, sono conservate in collezioni private e musei (notevole, nell'ambito della ritrattistica, il Ritratto del primicerio Manerba, databile ai primi anni '40, presso la Pinacoteca provinciale di Bari).
Il D. va considerato uno dei più notevoli rappresentanti della pittura pugliese dell'800, e la sua attività, svoltasi tra Napoli, Roma e la Puglia, è in un certo senso esemplare rispetto a quella di altri artisti pugliesi coevi.
Fonti e Bibl.: La bibliografia completa sul D. (ivicomprese fonti archivistiche, recensioni, note critiche) è stata raccolta da L. Zingarelli, cit., 1983, p. 199. Si trascelgono da questa i contributi più importanti: Catal. illustr. della Pinacoteca De Napoli, Terlizzi 1900; C. Villani, Scrittori ed artisti pugliesi, antichi, moderni e contemporanei, Trani 1904, pp. 667-670; A.M. Comanducci, Diz. illustrato dei pittori e incisori ital. moderni, Milano 1934, ad vocem;M. D'Orsi, M. D. e la Pinacoteca di Terlizzi, Bari 1939; G. Guastamacchia, Quadri e figure di storia terlizzese, Molfetta 1967, pp. 111 ss.; Ch. Farese Sperken, Per una rivalutazione della pittura dell'800 in Puglia: M. D., F. Spinelli, G. De Nittis, in Arch. stor. pugliese, XXVIII (1975), pp. 354-64; Id., Le collezioni dell'800 e primo '900 della Pinacoteca provinciale di Bari (catalogo), Fasano 1977, p. 42; N. Paloscia, M. D., a cura di L. Paloscia, Città di Castello 1980; R. Manzionna, Dipinti napoletani dell'Ottocento nella cattedrale di Altamura, in Altamura, nn. 21-22, 1979-80, pp. 220 s .; L. Zingarelli, in V. A. Melchiorre-L. Zingarelli, Ilteatro Piccinni di Bari, Bari 1983, p. 199; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XXV, p. 342 (sub voce Napoli, Michele de).