PANNONIO, Michele di Nicolo d'Ungheria
PANNONIO, Michele di Nicolò d’Ungheria (Michele Ungaro). – Non si conoscono il luogo e la data di nascita di questo pittore, documentato per la prima volta a Ferrara il 27 novembre 1438 come testimone alla stipula di un atto notarile in cui è detto abitare in casa di Giacomo Sagramoro, pittore del marchese Nicolò III d’Este (Franceschini, 1993, doc. 437).
Non si sa neppure se il cognome derivi all’artista dall’essere egli stesso nato in Ungheria piuttosto che dal luogo d’origine del padre. È possibile che sia identificabile con il Michele d’Ungheria menzionato fra i collaboratori di Gentile da Fabriano nel 1423, quando questi stava lavorando alla pala Strozzi in S. Trinita a Firenze (G. Poggi, La cappella e la tomba di O. Strozzi…, Firenze 1903, pp. 20 s.).
Il fatto che Pannonio sia attestato a Ferrara per la prima volta nel novembre del 1438 e non fosse allora residente ma ospite in città lascia credere che vi fosse giunto pochi mesi prima, forse al seguito della delegazione ungherese, in occasione del concilio per la riunificazione delle chiese d’Oriente e d’Occidente tenutosi quell’anno nella capitale estense. In seguito è documentato a Ferrara dal 1445 al 1463. Nel 1445 ricevette dal vescovo, dai rettori della Fabbrica della cattedrale e dalla magistratura del Comune l’incarico di dorare e dipingere le antiche sculture della facciata del duomo; fra l’ottobre del 1447 e la fine del 1450 decorò con centinaia di stelle d’oro su fondo azzurro l’interno degli armadi realizzati da Arduino da Baiso e le volte della sagrestia della cattedrale; inoltre dorò e mise colore alle figure dei Ss. Pietro e Paolo e del Padre Eterno intagliate da Antonio di Nicolò da Firenze per lo stesso ambiente e la scultura in pietra di un Profeta posta in chiesa presso il tabernacolo del Corpus Domini (Cittadella, 1868, I, pp. 52, 63; Franceschini, 1993, docc. 545, 596b).
Nel 1447 si ha la prima notizia di un suo impiego alla corte estense – l’incarico di brunire sette stocchi arrugginitisi del corredo di Isotta, figlia del marchese Nicolò – cui fecero seguito l’anno dopo commissioni di maggior peso, seppure sempre di carattere ornamentale, per la cappella di Leonello d’Este nel palazzo di corte: la decorazione della cassa dell’altare con il consueto motivo a stelle d’oro su fondo azzurro oltremarino; la coloritura di visi, mani e piedi di quattro dei sei angeli in bronzo fusi da Nicolò Baroncelli per l’altare; la dipintura di verde dello stallo («gaiba») entro cui il principe udiva la messa (Franceschini, 1993, docc. 555 s, 585 c).
Fra il 1450 e il 1452 eseguì diverse pitture pubbliche per conto del Comune: le immagini dei santi Domenico, Tommaso d’Aquino e Pietro Martire sulla torre dei Leoni in Castello e quella di Borso con sopra un Cristo e le insegne estensi e della città sulla vicina porta delle mura; dipinse inoltre uno stendardo che il Comune consegnò al podestà uscente in segno di ringraziamento e dorò la statua equestre di Nicolò III, opera di Baroncelli e Antonio di Cristoforo, inaugurata nella pubblica piazza nel giugno del 1451 (Cittadella, 1868, I, p. 366; Franceschini, 1993, docc. 690 a e, 708 i).
Nel luglio e nel novembre del 1452 fu tra gli artisti chiamati a lavorare alle opere per accogliere a Ferrara l’imperatore Federico III e per la cerimonia di investitura di Borso a duca di Modena e Reggio, occasione per la quale dipinse bastoni da siniscalco e decorò il baldacchino imperiale e il bucintoro estense. Gli anni fra il 1452 e il 1456 furono quelli di più intensa attività dell’artista per la corte estense, dalla quale fu frequentemente impiegato nell’ornamento di oggetti per i principi (casse, forzieri, scacchiere, carrozzelle per dame) e in modesti lavori di decorazione delle ville nel contado (Franceschini, 1993, passim; Toffanello, 2010, pp. 255 s.).
Negli anni successivi fu nuovamente all’opera per la cattedrale: nel settembre del 1456 fornì disegni per gli stalli del coro, poi non realizzati, per cui presentarono progetti anche Lorenzo e Cristoforo Canozi da Lendinara; nel giugno del 1458 prese parte, assieme all’architetto ducale Pietro dagli Ordini, a un accordo fra il massaro della cattedrale Vincenzo de’ Lardi e lo scultore Ludovico Castellani riguardante alcune opere che quest’ultimo doveva terminare per il duomo; infine, nell’estate del 1459 dipinse per la chiesa metropolitana un drappo raffigurante la Creazione del mondo e di Adamo ed Eva a completamento della serie che si usava esporre nel coro in occasione delle maggiori festività (Cittadella, 1868, I, pp. 60, 63).
Nel novembre del 1458 fu invitato da Ludovico Gonzaga a recarsi a Mantova per prendere accordi riguardo a un incarico che il marchese intendeva affidargli (A. Luzio, La galleria dei Gonzaga…, Milano 1913, p. 21).
La lettera è stata talvolta interpretata come un’offerta di assumere il ruolo di pittore di corte in attesa dell’arrivo a Mantova di Mantegna, cui il posto era stato offerto in precedenza, ma il contenuto della missiva non è così esplicito. Non è noto neppure se Pannonio abbia accettato l’invito: i documenti dell’archivio gonzaghesco tacciono sulla sua presenza a Mantova, mentre è certo che era a Ferrara il 30 giugno 1459, quando ricevette un casale come dote della moglie Lucia di Giacomo dai Gigli. All’epoca il pittore aveva già una figlia, di nome anch’essa Lucia, nata nel 1449-50 e data in affido dall’età di due anni al muratore Guglielmo da Roncogallo. Nel 1470 Lucia sposò Battista, figlio dell’orefice di corte Amadio da Milano (Cittadella, 1868, I, pp. 687 s.; Franceschini, 1993, docc. 904, 909).
Nei primi anni Sessanta Pannonio è ancora documentato a Ferrara anche se non in relazione a commissioni artistiche. Tuttavia nel 1463 ricevette la considerevole somma di 731 lire per aver decorato l’interno del palazzo di Borso alla certosa con monogrammi cristologici bernardiniani (YHS) in rilievo di gesso, armi ducali, imperiali e altre pitture a verdaccio in diversi ambienti, fra i quali la camera del duca con le Storie di s. Antonio Abate, e aver dipinto in azzurro fino con stelle e rosette d’oro i soffitti della cappella e dello studiolo (T. Tuohy, Herculean Ferrara, Cambridge 1996, p. 463).
Morì a Ferrara fra l’aprile del 1463 e il maggio del 1464 (Franceschini, 1993, docc. 1006, 1023).
La ricostruzione del catalogo e del profilo critico di Pannonio si deve ai due articoli di Gombosi (1929-30) e Boskovits (1978) dai quali emerge la fisionomia di un maestro formatosi nel clima del gotico internazionale, ma che già attorno al 1450 mostra di guardare alle novità protorinascimentali degli allievi di Squarcione nella vicina Padova. Non dunque un epigono di Cosmè Tura, ma un suo possibile maestro e precursore nell’invenzione dello stile peculiare dell’officina ferrarese. Operoso al servizio degli Estensi, del Comune e del capitolo della cattedrale con la varietà di incarichi tipica del pittore di corte, Pannonio fu uno dei maggiori artisti attivi a Ferrara alla metà del secolo XV. La possibilità di attribuirgli opere ancora esistenti si fonda tuttavia esclusivamente sul confronto stilistico con il dipinto raffigurante la Musa Thalia oggi allo Szépmüvészeti Múzeum di Budapest, che porta iscritto il nome del pittore in una forma – «Ex Michaele Pannonio» – mai altrove attestata come firma e che per questo è stata interpretata anche come indicazione della derivazione del dipinto da un originale perduto. L’iconografia e le caratteristiche tecniche della tavola assicurano invece che essa faceva parte del ciclo decorativo ideato da Guarino Veronese per lo studiolo di Leonello d’Este nella villa di Belfiore, iniziato da Angelo Maccagnino da Siena nel 1448 e terminato da Cosmè Tura attorno al 1462. Seppure il nome di Pannonio non appaia mai nei documenti di pagamento e nelle fonti letterarie relative al ciclo, nella critica prevale l’opinione che la tavola oggi a Budapest sia stata dipinta da Pannonio nella fase di transizione fra la morte di Maccagnino, nel 1456, e l’inizio dell’attività di Tura a Belfiore, nel 1458. Furono infatti questi gli anni in cui più forte fu l’influenza reciproca fra l’autore della Thalia e i miniatori della Bibbia di Borso d’Este, l’altro grande cantiere decorativo dal quale nascerà un linguaggio artistico specificamente ferrarese. L’interesse dimostrato da Ludovico Gonzaga nei confronti di Pannonio nel novembre del 1458 potrebbe del resto essere dovuto proprio alla sua precedente attività come pittore dello studiolo e al fatto che l’arrivo di Tura l’aveva reso libero da impegni con la corte estense.
Oltre alla Thalia di Budapest, sono attendibilmente attribuite a Pannonio le due piccole tavole raffiguranti S. Giorgio e il drago (già coll. Asquith) e la Crocifissione (già coll. Taccani, Milano), i tre pannelli di polittico con i Ss. Ludovico di Tolosa, Bernardino da Siena (Ferrara, Pinacoteca nazionale) e Antonio da Padova (già coll. privata, Milano); più incerta è l’appartenenza al gruppo della tavoletta raffigurante la Madonna col Bambino e santi (Venezia, Galleria di Palazzo Cini). Sono attribuibili a Pannonio anche il S. Francesco di ubicazione ignota pubblicato da M. Ferretti (in Le muse…, 1992, p. 340) e un piccolo Cristo passo in collezione privata, ancora inedito; deve invece essere respinto il riferimento al pittore della Madonna adorante il Bambino nel Museo di Castelvecchio a Verona, proposto da H-J. Eberhardt (Pisanello, 1996).
Fonti e Bibl.: L.N. Cittadella, Notizie amministrative, storiche, artistiche relative a Ferrara ricavate da documenti, I-II, Ferrara 1868, ad ind.; G. Campori, I pittori degli Estensi, Modena 1875, pp. 17 s.; A. Venturi, I primordi del Rinascimento artistico in Ferrara, in Rivista di storia italiana, I (1884), pp. 591-631; Id., Storia dell’arte italiana, VII, 3, Milano 1914, pp. 558-570; G. Gombosi, Pannóniai Mihály és a Renaissance kezdetei Ferrarában [M. P. e gli inizi del Rinascimento a Ferrara], in Az Országos Magyar Szépmüvészeti Múzeum Évkönyvei [Annuario del Museo nazionale ungherese di belle arti], VI (1929-30), pp. 91-108; R. Longhi, Officina ferrarese (1934), in Id., Opere complete, V, Firenze 1956, pp. 18 s.; M. Boskovits, Ferrarese Painting about 1450: some new arguments, in The Burlington Magazine, CXX (1978), pp. 370-385; A. Bacchi, M. P., in S. Giorgio e la principessa di Cosmè Tura, Bologna 1985, pp. 177-182; Id., in La pittura in Italia. Il Quattrocento, a cura di F. Zeri, II, Milano 1987, p. 724 s. v.; V. Tátrai, in Le muse e il principe (catal.), a cura di A. Mottola Molfino - M. Natale, Milano 1991, pp. 404-408, n. 96; L. Bellosi, Il ‘vero’ Francesco di Giorgio e l’arte a Siena nella seconda metà del Quattrocento, in Francesco di Giorgio e il Rinascimento a Siena 1450-1500 (catal., Siena), a cura di L. Bellosi, Milano 1993, pp. 19-89; A. Franceschini, Artisti a Ferrara in età umanistica e rinascimentale, I, Ferrara 1993, ad ind.; H.-J. Eberhardt, in Pisanello (catal., Verona), a cura di P. Marini, Milano 1996, pp. 412-414, n. 99; F. Lollini, La nascita di un nuovo linguaggio, in Cosmè Tura e Francesco del Cossa (catal., Ferrara), a cura di M. Natale, Ferrara 2007, pp. 241-247; M. Toffanello, ibid., pp. 256-265 nn. 41-45; Id., Le arti a Ferrara nel Quattrocento, Ferrara 2010, pp. 253-256; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 527.