EREDE, Michele
Nato a Genova il 21 ag. 1806, primogenito di Pietro e di Maria Vassallo, fu avviato agli studi classici, ma la morte del padre, negoziante di modeste fortune, lo costrinse ad abbandonarli per provvedere al mantenimento della famiglia. Si impiegò allora presso la ditta dei fratelli Rocca, commercianti all'ingrosso ed armatori, seguitando tuttavia a studiare, con interessi enciclopedici ma con particolare attenzione alle materie economiche.
Appunto con un articolo intitolato Economia commerciale esordì nel giornalismo il 4 dic. 1840 sul primo numero dell'Espero, periodico alla cui nascita aveva contribuito e che rappresentava una novità ardita nel clima di quegli anni, fino alla sua soppressione nel 1845.
L'articolo non aveva tuttavia nulla di dirompente, limitandosi a raccomandare lo spirito di associazione tra i commercianti, ritenuto indispensabile per fronteggiare la concorrenza di altre piazze nel nuovo panorama economico europeo. Sarà questo il leitmotiv di molti suoi interventi successivi, in particolare d'uno scritto pubblicato nel '48 sull'Antologia italiana (Del sommo sviluppo che lo spirito di associazione può e dovrebbe dare al commercio genovese, IV, pp. 60-74).
Assai più indicativo delle sue idee era un opuscolo pubblicato due anni dopo (Difesa delle idee politiche ed economiche del sig. Placido Deluca..., Genova 1842), nel quale interveniva sulla questione "se i privilegi nel commercio e ne' prodotti della industria siano utili o dannosi".
Sulla scorta di Romagnosi attaccava il liberismo dottrinario, sosteneva che il principio della libera concorrenza era giusto in astratto ma scarsamente applicabile in un'Europa irta di barriere, dove esistevano forti dislivelli economici e dove senza protezioni "una industria bambina sarà schiantata da una più provetta". Ironizzava su certo misticismo liberistico inglese, ad esempio quello di Palmerston: "La economia della Provvidenza con tanto zelo difesa dall'ex ministro degli Affari esteri dell'Inghilterra l'ammiro anch'io, ma non la combino col volere ad ogni costo portare l'oppio alla China, e col volere ad ogni costo pure rovinare le fabbriche di cotone della Spagna, le quali cose non sono una prova incontrastabile di mutua benevolenza". Viceversa lodava il dazio differenziale su certi generi importati con bandiera estera imposto dal governo sardo, che a suo dire avrebbe reso la marina ligure la quarta d'Europa; ricordava che per imprese come quelle ferroviarie la tutela governativa sembrava indispensabile e sosteneva che il vero ostacolo al decollo economico del Regno era la grettezza dei detentori di capitali, i quali preferivano una rendita tenue ma sicura a qualunque speculazione industriale o commerciale.
Nel 1843 fondò e diresse la Rivista ligure-Giornale di lettere scienze ed arti, che uscì a fascicoli mensili dal 20 marzo di quell'anno al 17 febbr. 1847 col dichiarato proposito di stimolare l'asfittica cultura genovese. Nelle prime due annate l'E. vi scrisse molto di economia, ma anche di letteratura e di storia, di didattica e di teoria politica.
Gli articoli tradiscono un campanilismo abbastanza acceso ed esaltano le glorie passate di Genova, sia pure allo scopo di denunciare il torpore presente: i trionfi dei mercanti medievali vengono contrapposti alla stagnazione attuale (I, 1, pp. 41-53); la grande tradizione caritativa della città è richiamata per spronare alla fondazione di asili infantili e di Casse di risparmio (I, 2, pp. 3-32 e 260 ss.). In questa difesa sin troppo puntigliosa del passato accadde all'E. di polemizzare con I. Petitti di Roreto, il quale nelle sue Osservazioni alla storia del Banco di S. Giorgio scritta da Carlo Cuneo (Annali universali di statistica, marzo-aprile 1843) aveva sostenuto - contro il parere dell'autore - che il Banco era guidato dalla logica della speculazione privata, anche se la sua funzione pubblica era indubbia. L'E. contestava questo giudizio (I, 1, pp. 225-242) in nome di una concezione agiografica del S. Giorgio come istituto patriottico capace di fondere interessi pubblici e privati; ma non si trattava solo di una disputa erudita, perché la difficile liquidazione del Banco era una ferita ancora aperta e il vero bersaglio delle critiche era il governo sardo che non avrebbe condotto quella liquidazione secondo criteri di equità.
L'attacco al governo, seppur velato, non deve stupire, visto che proprio allora un rapporto di polizia segnalava la sua casa come luogo d'incontro di personaggi sospetti, alcuni addirittura in odore di repubblicanesimo. Per il momento, tuttavia, gli argomenti da lui trattati sui giornali non erano tali da comprometterlo politicamente. Sulla Rivista ligure riaffermava la propria diffidenza per il libero mercato polemizzando con Cattaneo (I, 2, pp. 136-164; II, 1, pp. 167-201) e ponendogli il quesito "se sia meglio aggiornare la libera concorrenza fino a tanto che i poteri economici siansi bastantemente sviluppati sì nelle piccole che nelle grandi nazioni ed evitare così che le arretrate soggiacciano alla potenza delle progressive; oppure mettere in atto la libera concorrenza ed il libero spazio, lasciando ingoiare alle più progressive quelle che lo sono meno". Nel 1844 attaccò il Gioberti dell'Introduzione allo studiodella filosofia, e in particolare la sua dottrina politica, accusandolo di "incoerenza de' principj" e di "precipitazione de' giudizj": "Sceverando da tutto l'ingombro di parole ... l'idea dominante del sig. Gioberti si trova essere questa: il governo della società per parte delle capacità, con in sommo un sovrano che alle capacità unisca il diritto. Ma non avendo ... fornito alcun mezzo per distinguere la capacità ... né il diritto, ne deriva che il suo sistema non può essere messo in atto" (II, 2, pp. 15-43).
Nel 1844 dette alle stampe a Genova un volumetto (Osservazioni sullo scritto del signor Giuseppe Papa intitolato "Brevi ragionamenti riguardanti il commercio contemporaneo") che racchiudeva un po' la summa delle sue idee economiche. Vi ripeteva temi abituali - difesa dei dazi differenziali, necessità dello spirito di associazione - ma sosteneva anche l'opportunità di una lega doganale tra gli Stati italiani e interveniva sulla questione ferroviaria, intorno alla quale formulava giudizi poco profetici. Combatteva la linea da Genova al Ticino ritenendola non remunerativa, e dannosa per i carrettieri e mulattieri dell'Appennino; vedeva un pericolo per Genova non tanto nella ferrovia Milano-Venezia quanto nella navigazione a vapore sul Po; pensava ad un sistema di comunicazioni interne ed era scettico circa i grandi collegamenti internazionali. Lo scritto conteneva altresì un appello in favore dell'istruzione tecnica e mercantile, senza la quale riteneva impossibile colmare il divario economico rispetto all'Inghilterra e alla Francia, "dove la instruzione accomodata ai diversi bisogni dell'industria e del commercio va di pari passo col progredire dell'uno e dell'altra" (pp. 15 s.).
Le richieste intorno all'istruzione commerciale erano ripetute e ampliate dall'E. in una conferenza letta il 30 genn. 1846 presso la neonata Società economica di Camillo Pallavicini e pubblicata sulla Rivista ligure (III, 2, pp. 81-112, 161-188). Frattanto il 12 apr. 1845 aveva presentato a Vincenzo Serra, presidente della Deputazione agli studi di Genova, il programma di una scuola finanziata dalla Camera di commercio. Il Serra era favorevole, ma la pratica si annunciava difficile: sarebbe servita una voce amica a Torino, e l'E. la trovò nel conte Petitti. Le polemiche sul S. Giorgio di qualche anno prima non avevano turbato l'animo di questo conservatore illuminato il quale, per sentire il polso di Genova e per lanciare strategie di riavvicinamento ai suoi gruppi dirigenti, aveva individuato nell'E. un interlocutore ideale in quanto portavoce delle rivendicazioni genovesi contro il governo sardo e buon conoscitore dall'interno del mondo degli affari.
Grazie all'interessamento del Petitti l'Istituto di commercio si aprì nel novembre 1846, diretto dall'E., da I. d'Aste e dal prete Magnini; sin dal 7 aprile il Petitti ne aveva dato l'annuncio sugli Annali universali di statistica con parole molto lusinghiere: "Promotore e fondatore di codesta scuola è ... il sig. Michele Erede, economista distinto, già fattosi favorevolmente noto per precedenti scritture, nelle quali si mostra seguace delle buone dottrine della nostra scuola italiana, finalmente prevalse" (Ferrando, p. 180). Il dialogo intellettuale tra i due, a quest'epoca, era già iniziato ed aveva ravvicinato le idee dell'E. a quelle del gentiluomo piemontese. Il primo aveva recensito molto favorevolmente, sulla Rivista ligure del febbraio '46, l'opera del secondo Delle strade ferrate; questi il 6 marzo, ringraziandolo in una lettera che è la prima d'una lunghissima serie, gli proponeva di diffondere a Genova un proprio scritto sul commercio ligure. L'E. ne dispose la pubblicazione sull'Ecodei giornali - un nuovo periodico nato all'inizio dell'anno, cui egli collaborò sovente - accompagnandolo con alcune sue righe che ne approvavano in pieno il contenuto; Genova doveva dedicarsi alla navigazione di lungo corso, farsi intermediaria "delle derrate e merci di Europa e del Levante colle produzioni dell'America e delle Indie"; ed era fondamentale appoggiare la strategia ferroviaria del governo che intendeva battere la concorrenza austriaca nei collegamenti coll'Europa settentrionale tramite la linea da Genova al lago Maggiore, e di qui al lago di Costanza attraverso il Lucomagno: "La Sardegna di terra ferma, o per mezzo delle strade ferrate ... si farà parte non piccola del commercio europeo, o ne sarà tagliata fuori da Marsiglia e da Trieste, nostre formidabilissime rivali" (Ecodei giornali, 21marzo 1846). Poco dopo, sempre in comunione d'intenti col Petitti, ribadiva la necessità di convogliare a Genova i traffici col Levante anche per mezzo di un sistema ferroviario peninsulare, e batteva ormai sulla valenza patriottica e politica dei programmi mercantili: "Tutta l'Italia è interessata alla realizzazione dell'unico progetto che possa farla rivivere ad una gran parte dell'antico splendore conimerciale" (ibid., 5 apr. 1846).
L'E. sembrava ormai pienamente convertito al liberismo: nell'ottobre 1846 scrisse una lettera aperta a R. Cobden in cui addirittura gli impartiva lezioni di libero-scambismo, e sosteneva che il Regno di Sardegna era assai più free-trader dell'Inghilterra ("la vostra bandiera nella Gran Bretagna è privilegiata in tutto e su tutto..., la nostra qui lo è per due o tre articoli ... Alcune delle vostre colonie sono per alcune delle estere bandiere come se non esistessero" [ibid., 31 ott. 1846]). Giovanni Antonio Papa gli rimproverò il voltafaccia, oltreché i toni poco riguardosi verso il Cobden, e ne nacque una polemica un po' velenosa (l'E., risentito, giunse a promettere di non interessarsi mai più di economia e di abbandonare anche l'insegnamento nell'Istituto), in cui si rispecchiava forse il rancore dell'ambiente democratico genovese nei confronti d'un uomo giudicato ormai troppo filosabaudo e troppo vicino ad un conservatore come il Petitti.
L'E., in effetti, agiva in tutto e per tutto come fiduciario del conte, ne trasmetteva le direttive a Genova, faceva pubblicare alcune lettere del Petitti circa le "future condizioni del commercio ligure" (prima sul Corriere mercantile, poi riunite in un volumetto), e si piegava sempre più a condividerne le idee. Scettico inizialmente su Pio IX, accettò il parere del Petitti secondo cui "moralmente ha fatto più che tutti li principi italiani" (Codignola, p. i go) e finì per cantarne le lodi in versi. Municipalista, giunse a sostenere che tutti gli Stati italiani dovevano "far tacere gli interessi municipali quando quello dell'universale è in quistione" (Eco dei giornali, 28 nov. 1846). Imbevuto di genovese diffidenza per la monarchia sabauda, era indotto dal Petitti a scrivere per l'Antologia italiana, in forma di lettera a F. Predari, un articolo (I [1847], 2, pp. 620-631) Di alcuni dei più considerevoli vantaggi apportati al traffico genovese dalla Real Casa di Savoia.
Col precipitare della crisi politica italiana le posizioni dei due uomini cominciarono a divergere. Mentre il Petitti, nel dicembre 1847, gli scriveva predicando "ordine, pace e quiete" per non turbare il cammino dello sviluppo economico (Codignola, p. 359), l'E. si stava riaccostando agli ambienti democratici, e il 2gennaio partecipò ad un banchetto patriottico nel quale si tennero discorsi molto arditi. I vecchi giornali economico-letterari gli stavano ormai stretti: il 22 aprile scriveva a V. Ricci di voler fondare un nuovo periodico, poi preferì aderire ad un foglio nato pochi giorni prima - il Pensiero italiano - che si sarebbe spostato sempre più a sinistra. L'E. vi pubblicò articoli in cui chiedeva "energie e misure straordinarie" per armare la guardia nazionale e presidiare i forti della Città (21luglio e 16 ag. 1848). Il 24 agosto, sul Corriere mercantile, prese le difese di L. Pareto attaccato dai conservatori piemontesi, tra i quali lo stesso Petitti, ed usò contro di loro toni durissimi; anche se poi ricorse all'espediente di non far giungere il giornale all'amico perché restasse all'oscuro dell'articolo. Ai primi di settembre giustificava i moti scoppiati a Genova per l'arresto del mazziniano F. De Boni, e ricevette per ciò i rimproveri del Petitti, che in questo periodo non si stancava di raccomandargli moderazione. Durante l'insurrezione genovese dell'aprile '49era nello stato maggiore della guardia nazionale e fu implicato nei disordini, anche se riuscì a non compromettersi.
I rapporti col Petitti, però, non si interruppero. Nel novembre 1848 l'E. ne aveva sollecitato l'aiuto per ottenere una cattedra di economia politica. L'anno seguente, da agosto in poi, tra i due si tornava a parlare di scuole mercantili e nautiche; e quando il 1º marzo 1850 venne approvata la legge che istituiva presso il convitto nazionale di Genova i corsi di contabilità commerciale e di scienza del commercio, grazie ai buoni uffici del conte - ormai vicino alla morte - l'E. fu chiamato ad insegnare la seconda disciplina.
In quello stesso 1850, non appena il Cavour entrò nel ministero, l'E. cercò di allacciare rapporti con lui: tra ottobre e novembre gli indirizzò alcune lettere contenenti proposte in materia mercantile.
Auspicava, guardando agli esempi di Londra e di Trieste, "un ben concepito Uffizio di statistica commerciale e marittima, dove si abbiano prontissimi tutti i dati ... che possono giovare a ben condurre le intraprese non solo, ma, che più monta, a farle concepire" (Epistolario, VII, p. 351). Suggeriva "la creazione d'una scuola di mozzi da stabilirsi a bordo d'una vecchia fregata" per risolvere il problema dei ragazzi discoli e fornire uomini alla marina militare senza troppo ricorrere alle leve di mare (ibid., p. 363). Progettava la fondazione di "una forte casa di commercio sedente a Genova con diramazioni figliali agli Stati Uniti ed a Londra", dotata di bastimenti propri e in grado di importare merci a basso costo per rivitalizzare il commercio di deposito; e sperava di poter contare sull'appoggio e sull'esempio di qualche alto personaggio, magari il re stesso o un membro della famiglia reale, come era avvenuto per consimili imprese in Olanda ed in Austria (ibid., pp. 365 ss.). Più tardi, nel gennaio 1852, chiese ancora al Cavour sovvenzioni per un'eventuale linea diretta Genova-Istanbul, linea per la quale si costituì il 23 maggio 1853 un comitato di cui l'E. fece parte.
In tutte queste proposte, cui Cavour prestò un'attenzione più cortese che benevola, l'E. manifestava un alto grado di sfiducia nei confronti degli ambienti mercantili genovesi - poveri di fantasia, di coraggio, di cognizioni - e riteneva che l'azione governativa fosse ancora indispensabile perché "si sviluppino presto e bene tanti nostri latenti fattori economici" (ibid., p. 362). Si rendeva conto altresì - e vi insisteva in alcuni articoli pubblicati sulla Gazzetta di Genova nel 1850 - che l'avvenire commerciale della sua città dipendeva da scelte politiche di vasto respiro, in grado di rompere l'isolamento cui l'Austria avrebbe voluto condannare il Regno di Sardegna mediante una rete ferroviaria ed una lega doganale austro-italiana che lo escludesse dal resto della penisola e dall'Europa settentrionale. Ma era poi lui stesso a dar prova di miopia, condividendo l'opposizione di molti suoi concittadini al trasferimento dell'arsenale militare dalla darsena genovese alla Spezia, che avrebbe restituito al commercio ampi spazi portuali (Sultraslocamento della Marina militare alla Spezia..., Genova 1851).
La sua fiducia nel Cavour fu di treve durata, anzi divenne presto un avversario della politica finanziaria del conte, e in ciò si trovò sempre più d'accordo con il gruppo che faceva capo a V. Ricci. In vista delle elezioni del dicembre 1853 l'E. fu tra i direttori dell'effimero Giornale degli elettori che appoggiava con successo i candidati antiministeriali. Contro il governo, oltreché contro la "neghittosa" Municipalità di Genova, era diretto anche un suo opuscolo del febbraio 1854 (Genova e il ministero) nel quale contestava, in polemica col Cavour e col Paleocapa, la scelta del percorso Novi-Tortona per la ferrovia da Genova al confine lombardo, anziché il più breve Serravalle-Tortona. Identici bersagli - Comune e ministero - venivano presi di mira da un altro opuscolo dell'ottobre '54 (Ilcholera-morbus asiatico in Genova nel 1854): l'E. vi denunciava "la poca energia e la minore previdenza di chi era preposto alla cosa pubblica" nell'affrontare l'epidemia, e vedeva in quella tragedia un'occasione per avviare il risanamento dei quartieri più degradati, per migliorare le condizioni di vita del popolo mediante l'istruzione pubblica e l'apertura di "scuole di ginnastica".
I temi sociali lo interessavano sempre più: si occupò di associazionismo operaio (Parole di Michele Erede nel solenne pranzo delle associazioni operaie..., Genova 1855); progettò una cooperativa per l'acquisto e la distribuzione di generi alimentari tra i lavoratori, capace anche di realizzare profitti da destinare "ad un vasto e ben inteso sistema di educazione" (Provvista economica di commestibili, Genova 1855). Ma i grandi nodi dell'economia internazionale continuavano ad affascinarlo: seguiva con trepidazione i progetti del canale di Suez, o della via alternativa per il golfo Persico e l'Eufrate; prevedeva che "il commercio fra l'India e l'Europa si opererà ... ognora più esclusivamente pel Mediterraneo"; si chiedeva "quale potrà essere in questa rivoluzione la parte del porto di Genova" (Quesiti sull'avvenire commerciale di Genova, Genova 1855). E rispondeva che sarebbe stata tanto più grande quanto più si fossero realizzati buoni collegamenti ferroviari con la Svizzera e la Germania, buone linee marittime verso Alessandria e Istanbul; e polemizzava col governo che aveva favorito Rubattino e la Compagnia Transatlantica senza capire che il vero flusso di ricchezza sarebbe venuto da Levante.
L'avversione al governo di Cavour, maturata su temi economici, esplose politicamente nel 1859-60: "La patria - scriveva a V. Ricci il 24 marzo 1860 - versa manifestamente in serissimo pericolo per la foga imprevidente del signor Cavour" (Istituto Mazziniano, n. 558). Collaborò alla spedizione dei Mille, cui partecipò suo figlio Gaetano Angelrico, e nel maggio 1860 propose una linea regolare di piroscafi tra Cagliari e la Sicilia; ma il Ricci, interpellato, lo avvertì che il governo era assolutamente contrario, e allora l'E. trovava Cavour colpevolmente attendista, e se la prendeva con la doppiezza di uomini come La Farina e Depretis.
Dopo l'Unità si disinteressò di politica, ma non abbandonò i temi economici. Nel 1862 meditava di far rinascere l'antica Società patria delle arti e manifatture. Tra 1862 e 1863, dopo che da tempo la Transatlantica di Rubattino aveva rinunciato ai collegamenti con l'America, l'E. lavorò senza successo ad una compagnia sovvenzionata che unisse Genova alle Repubbliche del Plata, e incalzava il Ricci per ottenerne l'appoggio. Nel gennaio 1865 era bene introdotto nel giornale Genova, che aveva cominciato ad uscire il 18 di quel mese; ma a settembre pensava già di fondarne uno nuovo, per metterlo a disposizione dell'amico Ricci, e anche perché riteneva che un quotidiano ben fatto avrebbe potuto vendere 1500 copie al giorno ed essere un buon affare.
Poi i suoi interventi si diradarono, l'attività prevalente restò quella didattica. Nel 1875-76, su invito della Camera di commercio di Bari, avviò in quella città una Scuola superiore di commercio: gliene offrirono anche la direzione, ma per l'età ormai avanzata non si sentì di accettare.
Morì a Genova il 20 genn. 1878.
Gli scritti dell'E. sono sparsi su periodici quali l'Espero, la Rivista ligure, l'Eco dei giornali, il Corriere mercantile, il Pensiero italiano, l'Antologia italiana, la Gazzetta di Genova. I più significativi sono stati ripubblicati - e riuniti - in opuscoli. Un elenco esauriente può trovarsi in L'economia degli Stati italiani prima dell'unificazione, I, Stati sardi di Terraferma (1700-1860), saggio bibliografico a cura di F. Sirugo, Milano 1962, ad Indicem. A tale elenco vanno aggiunte le opere La Scuola superiore di commercio in Venezia e l'Istituto tecnico di Genova, Genova 1863; Come sia utile studiare la computisteria e la merceologia, ibid. 1868; La ragioneria insegnata nel R. Istituto industriale, professionale e nautico di Genova, ibid. 1870.
Fonti e Bibl.: Genova, Bibl. d. Civico Istituto Mazziniano, Autografi, nn. 558, 647-651, 2008, 2497 s., 19943-19947, 27396; A. Codignola, Dagli albori della libertà al proclama di Moncalieri. Lettere del conte Ilarione Petitti di Roreto a M. E. dal marzo 1846 all'aprile del 1850, Torino 1931; C. Cavour, Epistolario, VII, a cura di C. Pischedda, Firenze 1982, pp. 350-352, 362-367; IX, a cura di C. Pischedda - R. Roccia, ibid. 1984, pp. 417 s.; X, a cura di C. Pischedda - S. Spingor, ibid. 1985, p. 260; E. Ferrando, Lopera di Ilarione Petitti di Roreto e di M. E. nella fondazione della Scuola di commercio di Genova, in IlRisorgimento italiano, n. s., VIII (1915), pp. 162-187; G. Prato, Fatti e dottrine economiche alla vigilia del 1848. L'Associazione agraria subalpina e Camillo Cavour, in Bibl. di storia italiana recente, IX (1921), pp. 209, 231 s., 249, 287 s., 320; E. Guglielmino, Genova dal 1814al 1849. Gli sviluppi economici e l'opinione pubblica, in Atti della Soc. ligure di storia patria, serie del Risorgimento, IV (1940), ad Indicem; L. Balestreri, Fatti e figure del giornalismo ligure. M. E. e la Rivista ligure, in Le Compere di S. Giorgio, marzo 1956, pp. 177 s.; Id., Un eroe genovese del Risorgimento, in Genova, luglio-agosto 1960, pp. 23 ss.; Id., Ilgiornale "La Lega italiana" e i moderati genovesi nel 1848, in Atti del XXXVII Congresso di storia del Risorgimento italiano ... Bari ... 1958, Roma 1961, p. 41; Id., Problemi politici ed economici del periodo risorgimentale in alcune lettere inedite di V. Ricci a M. E., in Miscell. di storia ligure, IV (1966), pp. 381-395; B. Montale, Genova nel Risorgimento, Savona 1979, pp. 28 ss., 78, 99, 103, 139, 149, 153, 175; Diz. del Risorg. naz., ad vocem.