GEBBIA, Michele
Nacque a Palermo l'8 febbr. 1854, da Rosario, medico, e da Marianna Capitò. Laureatosi in ingegneria all'Università di Palermo nel 1876, due anni dopo fu nominato assistente alla cattedra di statica grafica, tenuta allora per incarico da G. Albeggiani, ordinario di calcolo presso la facoltà di scienze della stessa Università. Contemporaneamente venne assunto dal Comune di Palermo quale ingegnere straordinario (1879) e nominato ingegnere di "terza classe" (1881). Non abbandonò però l'attività scientifica: nel 1884 conseguì la libera docenza in meccanica razionale e per gli anni accademici 1886-87 e 1887-88 tenne per incarico il corso di meccanica superiore presso la facoltà di scienze.
Alla morte dell'Albeggiani gli subentrò nell'incarico di statica grafica e rinunziò all'ufficio di assistente. Ma la sua carriera accademica fu tutt'altro che rapida: fu nominato straordinario in quella disciplina soltanto il 16 ott. 1907 e ordinario dopo ancora sette anni, il 1° genn. 1914, sebbene con una lusinghiera relazione della commissione giudicatrice della promozione. Presso la facoltà di scienze tenne l'incarico di fisica matematica dal 1908 al 1925. Nel 1923, contemporaneamente al progettato suo trasferimento alla cattedra di meccanica razionale presso la facoltà di scienze, ottenne il congedo dall'ufficio di ingegnere del Comune di Palermo. Ma il trasferimento, richiesto a voti unanimi nel gennaio di quell'anno, venne prima bloccato dal Consiglio superiore della pubblica istruzione, per motivi formali relativi alla non perfetta affinità fra la statica grafica e la meccanica razionale, e poi impedito da una spaccatura in seno al gruppo matematico della facoltà di scienze che avrebbe preferito appoggiare il trasferimento da Catania del molto più giovane O. Lazzarino. La spuntò alla fine, per un solo voto, vedendo così appagata quella che da un trentennio era stata la sua più ardente aspirazione.
Nella mozione che approvava il trasferimento il suo vecchio amico G. Maisano scriveva che "i suoi lavori nel campo della teoria dell'elasticità e della statica dei sistemi articolati, formano un'insieme d'indiscusso valore e forte originalità e dimostrano in lui il pensatore acuto e l'appassionato cultore delle discipline meccaniche. La Facoltà inoltre non ignora le sue benemerenze didattiche, non soltanto per i corsi di Meccanica razionale, Meccanica superiore, Fisica matematica, da lui tenuti anche a titolo gratuito, ma soprattutto per l'efficacia e per l'indirizzo del suo insegnamento nel quale, attraverso il simbolismo matematico e l'algoritmo vettoriale, da lui pienamente padroneggiato, non viene smarrito mai, come purtroppo facilmente può accadere, il senso del problema naturale".
Con il 1° nov. 1929 veniva collocato a riposo e meno di due mesi dopo, a Palermo, la notte del 27 dicembre, il G. moriva.
A parte alcuni lavori giovanili di statica e di cinematica, i contributi del G. più rilevanti dal punto di vista scientifico sono quelli relativi alla "teoria delle dislocazioni" e in particolare all'equilibrio dei corpi elastici omogenei anisotropi, cui competono ventuno coefficienti di elasticità. Per i corpi isotropi il problema della integrazione delle equazioni dell'equilibrio elastico si poteva considerare risolto grazie ai magistrali lavori di E. Betti (1872). Il G. affrontò lo stesso problema per i mezzi cristallini qualunque dotati di un potenziale di elasticità, ispirandosi alle stesse analogie della teoria delle funzioni armoniche e dell'elettrostatica. Ma piuttosto che ricorrere a deformazioni ausiliare qualunque il G. preferì cercare la soluzione attraverso la sovrapposizione di tre deformazioni tipiche, analoghe rispettivamente alla funzione potenziale di spazio, alla funzione potenziale di semplice strato e alla funzione potenziale di doppio strato. Queste proposizioni furono enunciate dal G. già nel 1891 (Proposizioni fondamentali della statica dei corpi elastici, in Rend. del Circolo matematico di Palermo, V [1891], pp. 320-323). Ma la difficoltà principale stava nel dimostrare l'esistenza delle deformazioni tipiche e darne le espressioni analitiche. Dopo essersi costruiti i necessari strumenti analitici (Su certe funzioni di masse diffuse in tutto lo spazio infinito, ibid., VI [1892], pp. 196-207), il G. riuscì a risolvere il problema nel periodo 1892-95, ma differì la pubblicazione integrale dei suoi risultati fino ai primi anni del nuovo secolo, quando già il problema era stato completamento risolto dal matematico svedese E.I. Fredholm. Quando il G. si decise a pubblicare i suoi risultati in due note comparse sugli Annali di matematica pura e applicata (Le deformazioni tipiche dei corpi solidi elastici, VII [1902], pp. 141 ss.; X [1904], pp. 157 ss.), V. Cerruti non poté fare a meno di manifestargli il rammarico per la ritardata pubblicazione.
Il metodo del G. è profondamente diverso da quello di Fredholm, perché, anche se entrambi partono da quella che il G. chiama deformazione per sollecitazione elementare, giungono per vie differenti all'equazione a derivate parziali del sesto ordine da cui dipende la deformazione. Mentre il G. è costantemente guidato dalla rappresentazione meccanica di questa deformazione, il Fredholm procede con metodo puramente analitico riuscendo a dare la soluzione utile più generale dell'equazione suddetta, laddove il primo si limita a darne l'integrale nei casi più utili per le applicazioni, cioè quelli dei corpi isotropi, dei corpi con un asse di simmetria e del mezzo elastico immaginato da G. Green per spiegare la doppia rifrazione della luce. È tuttavia esclusiva del G. l'idea originale e feconda delle deformazioni tipiche, quelle di terzo tipo: eccitate per interposizione o soppressione di materia, portano all'importante concetto di corpi elastici tesi internamente, pur non essendo sottoposti né a forze di massa né a forze superficiali; proprietà, questa, che fu esplicitamente segnalata per la prima volta da J. Weingarten in una nota del 1901 (Sulle superficie di discontinuità nella teoria dell'elasticità dei corpi solidi, in Rend. della R. Acc. naz. dei Lincei, s. 5, X [1901], pp. 57-60) e poi ampiamente sviluppata da V. Volterra.
Un giudizio globale sul G. è forse contenuto nelle parole del fisico M. La Rosa pronunciate nel sintetico "elogio" in occasione dei funerali, parole che sottolineavano il carattere solitario del G. e il suo eccessivo perfezionismo che ritardò spesso lo sviluppo di importanti risultati. In conclusione si può dire che il G. fu un "solitario", come, forse, buona parte di un'intera generazione di studiosi siciliani dell'epoca. Per volontà testamentaria, la sua cospicua biblioteca fu donata alla facoltà d'ingegneria dell'ateneo palermitano.
Fonti e Bibl.: C. Mineo, Commem. di M. G., in Giorn. di scienze naturali ed economiche, XXXVI (1931), pp. 1-12; F. Pastrone - M.L. Tonon, Le origini della teoria delle dislocazioni: i contributi ital., in Boll. dell'Unione matem. ital., s. 6, 1/A (1892), pp. 175-196; Lettere a Michele La Rosa (1903-1932), a cura di P. Nastasi, in Quaderni del Seminario di storia della scienza, 1991, n. 1, pp. 213 s.